IL FOGLIO LETTERARIO
Rivista letteraria. Dal 1999
…
Federica Marchetti - Lalla Romano
FEDERICA MARCHETTI – LALLA ROMANO
Redazione Il Foglio Letterario / 22 aprile 2018
Commenti disabilitati su Federica Marchetti – Lalla Romano / Letteratura italiana dimenticata
Lalla Romano era una donna energica, alta, solida, misurata e talmente limpida da risultare dura, impenetrabile, insindacabile. Vissuta 95 anni, pittrice, poetessa, narratrice, ha scritto fino alla fine dei suoi giorni. Sposata per 62 anni con un bancario, ha avuto un figlio sempre in contrasto con la madre. Nel 1969 ha vinto il Premio Strega con Le parole tra noi leggere incentrato proprio sul rapporto col figlio (che non prese bene la vicenda). Negli ultimi anni era diventata oggetto di curiosità mediatica e concedeva cordiali interviste. Oggi in pochi leggono Lalla Romano, nessuno la cita eppure i suoi romanzi restano pietre miliari del Novecento italiano.
Graziella Romano detta (per tutta la vita) Lalla era nata a Demonte, in provincia di Cuneo, nel 1906, esattamente l’11 novembre, nello stesso giorno in cui erano nate la madre e la nonna materna. È la prima delle tre figlie (Silvia e Luciana) di Roberto Romano (geometra) e di Giuseppina Peano (nipote del celebre matematico Giuseppe Peano). Quando ha dieci anni si trasferisce con la famiglia a Cuneo dove frequenta il Liceo classico “Silvio Pellico”.
Nel 1924 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino e inizia a frequentare lo studio del pittore Giovanni Guarlotti. Viaggia (a Parigi) dove approfondisce la sua coscienza artistica anche grazie all’amica Andrée Arnoux. Nel 1924 si laurea con una tesi su Cino da Pistoia. Negli anni della vita torinese di Lalla Romano si circonda di amicizie intellettuali (tra cui Cesare Pavese e Mario Soldati). Entra nella sua scuola di pittura di Felice Casorati e stringe amicizia con l’allieva Paola Levi-Montalcini (gemella di Rita). Fa un viaggio in Ungheria, accetta le supplenze a Cuneo e conosce Innocenzo Monti, l’impiegato di banca che sposerà nel 1932. Diventa direttrice della Biblioteca Civica di Cuneo. Nel 1922 nasce il suo unico figlio Pietro (detto Piero). Si trasferisce col marito a Torino e va ad insegnare all’Istituto Magistrale “Regina Margherita” e in seguito al Liceo Classico “Cavour”. Dipinge ed espone.
Nel 1941 pubblica con l’editore Frassinelli il suo primo libro di poesie, Fiore. Il suo carattere schivo la fa vivere appartata con i soli contatti col mondo intellettuale. I bombardamenti distruggono il suo appartamento così Lalla ritorna a Cuneo dai genitori dove va ad insegnare all’Istituto Tecnico. Milita nei Gruppi di difesa della donna. Grazie a Pavese traduce Flaubert e Delacroix. Nel 1945 la mostra personale a Cuneo coincide con l’abbandono della pittura. Torna a Torino dove vive sola col figlio perché il marito ora lavora a Milano (alla Banca Commerciale). Nel 1947 muore il padre e Lalla raggiunge il marito a Milano dove insegna alla Scuola Media. Collabora a riviste con articoli e brevi opere narrative e frequenta Eugenio Montale, Carlo Bo, Elio Vittorini, Vittorio Sereni, Anna Banti, Piero Citati, Elsa Morante, Lidia Storoni.
Nel 1951 debutta nella narrativa con Metamorfosi, nel 1953 pubblica Maria (definito piccolo capolavoro da Contini e recensito da Montale), nel 1957 Tetto Murato. La sua prosa è definita autobiografica (definizione che non ha mai accettato in pieno) e si concentra spesso sulle difficoltà dei rapporti familiari. Nel 1959 lascia l’insegnamento, nel 1960 muore la madre. Nel 1961 esce L’uomo che parlava da solo e nel 1962 il figlio si sposa con Marlène. Nel 1964 pubblica La penombra che abbiamo attraversato (il titolo è una citazione proustiana) e la sua non attribuzione al Premio Viareggio è seguita da una vera e propria sollevazione (Montale di dimette dalla giuria). Nel 1969 esce per Einaudi Le parole tra noi leggere che dedica alla nuora: il romanzo vince il Premio Strega e diventa best-seller. Racconta il difficile rapporto col figlio ribelle che, a sua volta, pubblica il primo romanzo, Il ponte di quarta. L’anno seguente nasce il suo unico nipote, Emiliano.
Nel 1973 Lalla Romano pubblica L’ospite (in cui parla del nipote) e inizia a collaborare con varie testate giornalistiche. Tra gli anni ’70 e ’80 escono altri romanzi, una raccolta di fiabe, traduzioni, poesie, diari di viaggio, un saggio. Nel 1984 muore il marito e nel 1987 ne scrive nel romanzo Nei mari estremi. Espone, scrive e pubblica fino alla fine della sua vita nonostante la malattia agli occhi. Negli anni ’90 (durante un viaggio in Dalmazia) incontra il fotografo giornalista Antonio Ria e insieme vanno a vivere a Milano nell’appartamento di lei, situato nel quartiere di Brera: tra di loro ci sono quarant’anni di differenza. Vitale, severa, scontrosa dedica a quest’incontro il libro In vacanza col buon samaritano che esce nel 1998. Amicizia, affetto, amore: così Lalla definisce il rapporto col giovane compagno. Nel 2000 inizia a scrivere un Diario ultimo che lascerà incompiuto: se ne va il 26 giugno del 2001 sempre assistita da Ria che lo pubblica postumo nel 2006.
La sua opera ha attraversato con grazia tutto il Novecento. Una voce spavalda, una scrittura rassicurante, un talento eccezionale. I suoi scritti hanno sempre avuto una tematica autentica: partendo da movimenti autobiografici senza eroismi, la Romano ha raccontato persone semplici ma problematiche. La memoria a cui l’autrice ha sempre attinto con pudore è il nucleo di ogni suo racconto. Rifiutando la retorica e l‘artificio ha attinto ai suoi valori quali l’arte e la libertà passando attraverso la guerra, la famiglia, la provincia. L’artista, che per la sua arte manipola la verità, deve a tutti i costi essere autentico senza aver paura di scendere negli abissi della sua anima. La sua opera è realistica fino in fondo. Così per prenderne le distanze la Romano crede nella trasformazione dell’esistenza in prosa: nero su bianco la vita diventa opera e esce dalla sfera personale. E ovviamente lo strumento necessario per allontanarsene definitivamente è l’ironia. La sua scrittura è sempre controllata e il racconto in prima persona offre (e impone) un unico punto di vista.
Nelle opere l’autrice fa rivivere i personaggi della sua vita attraverso la memoria come metodo (e non come culto) per arrivare alle cose aggirandole (dalle sue parole in un colloquio con Vittorio sereno pubblicato come prefazione a Le parole tra noi leggere). Nel suo libro più famoso concentrato tutto sulla figura del figlio, la Romano ribalta i suoi valori. La tensione drammatica e il conflitto diventano fonte di ispirazione ma anche terreno di sperimentazione. Due soggetti legati dallo stesso destino ma l’uno di fronte all’altro: il figlio rifiuta, si ribella e fugge, la madre scruta, ama e ricatta. Tutto contribuisce ad aumentare il conflitto così accanto ai sentimenti e alla curiosità c’è anche l’ingombrante bagaglio culturale di entrambi. La coscienza della madre con un linguaggio spregiudicato dissacra il figlio. Il romanzo che ha trasformato l’esperienza della maternità in un documento non piacque a Piero, ribelle anticonformista. La storia (divisa in sei parti) ambientata tra Cuneo e Torino racconta il difficile rapporto tra l’io narrante (la madre) e il figlio Piero dall’infanzia e adolescenza (la famiglia, le nuove amicizie, la guerra) fino all’affermazione nella società ma sempre pronto a provocare scandalizzando.
Tra le righe il romanzo è disseminato dello stupore della madre che si confronta con la sua diversità: quel figlio che lei stessa ha partorito. Quasi un urlo di autoaccusa. La Romano lavorò a questo libro per quasi quattro anni (con fatica e tensione). Nato dal seme del sentimento il romanzo aveva un unico obiettivo: decodificare il figlio da poterlo “leggere”. Ma in primo piano c’è sempre lei, la madre, l’autrice. Alcuni le rinfacciarono l’intrusione nel privato, altri ne rimasero scandalizzati. La Romano capì di aver colto nel segno e indicò il linguaggio come unica chiave di lettura dell’opera che può essere letta come romanzo di formazione o come una confessione. Le parole tra noi leggere è stato accompagnato al senso di colpa che ha afflitto la Romano come un’ombra sebbene opera lucida, consapevole e trasparente (per sua stessa definizione). Ella non ha mai creduto di aver “usato” il figlio che però di questo l’accusò. L’unico desiderio era di conoscere il personaggio che era in lui ma alla fine il ritratto che ne venne fuori fu duplice, della madre e del figlio. I lettori, dal canto loro, hanno sempre amato questo romanzo, lo hanno idolatrato mentre Piero lo ha odiato sempre di più. La Romano, schiva e riservata, si è prestata al troppo amore per il romanzo ma ha subito lo sdegno del figlio che non ha mai più letto niente della madre. Si è consolata scrivendo: “Anche il libro è un figlio per scrittore (uomo o donna). Questo il dramma, irrimediabile. Ma è appunto vita, transitorietà. Forse non colpa, ma punizione” (da “Poscritti e conclusione” in L. Romano, Le parole tra noi leggere, Einaudi).
Alla fine del 2008 nel Palazzo Borelli di Demonte è stato aperto lo “Spazio Lalla Romano”.
Sito dedicato a Lalla Romano è
www.lallaromano.itFederica Marchetti
Da -
http://www.ilfoglioletterario.it/federica-marchetti-lalla-romano/