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Autore Discussione: Tommaso Labate. La prendo alla larga e comincio con un’autocritica.  (Letto 2189 volte)
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« inserito:: Novembre 12, 2020, 06:50:36 pm »

Tommaso Labate

Avvertenza numero uno, così chi non è interessato non arriva alla fine e non gli faccio perdere tempo: questo è un post che riguarda la sanità calabrese, il caso Cotticelli e quel che immaginate.
Avvertenza numero due, così chi non è d’accordo sull’approccio ed è convinto che non ci sia bisogno di un altro punto di vista rispetto al già visto e già sentito smette subito di leggere e passa altrove: questo non sarà il milionesimo post per dire delle figure barbine di Cotticelli sia su Rai Tre che a La7 (a sto punto mancano Mediaset, Sky e Dazn, confido nelle prossime ore) anche perché aggiungere il milionesimo insulto – ancorché meritato – non dà e non toglie nulla, almeno secondo me.

La prendo alla larga e comincio con un’autocritica. Lo sapete da quanto tempo ho smesso di notare la sporcizia che ferisce il mio paesino d’origine e di lamentarmi della spazzatura che la travolge, a differenza del comune con cui confiniamo a Nord e che si trova giusto a una manciata di chilometri?
Ve lo dico io. Da quando sono sommerso per dieci mesi d’anno, tutti i giorni, dalla spazzatura di Roma. Come se io stesso mi fossi talmente assuefatto dall’odore di spazzatura della città più antica del mondo da considerare quella del paese come un obolo tutto sommato sopportabile. Come se la soluzione del mio problema “spazzatura” non ci fosse: se le strade non sono pulite a Roma, posso io pretendere che lo siano al mio paese di origine?
Questo mio modo di ragionare – ve l’avevo detto che era un’autocritica – è l’apoteosi dell’errore, dello sbaglio. Nel senso che pensando così – e ragionando sulla base che il meno schifo è comunque un traguardo tutto sommato dignitoso, se stai nello schifo – un problema non lo risolvi mai. Ci sopravvivi, magari. Ma, come si leggeva in un libro che andava di moda quando ero adolescente, “vivere è un’altra cosa”.
Adesso, venendo al tema della sanità, noi siamo dei sopravvissuti da sempre, da quando io ho memoria. E non tutti, perché in tanti sono morti. Sopravvissuti perché talvolta la bravura di singoli medici – che molto spesso sono stati messi da parte rispetto ai meno bravi – ha compensato l’assenza non solo di strutture; ma di siringhe, garze, medicinali, Tac, risonanze. “Questa ti consiglio di fartela a Roma”, “per questo ti mando a Bologna”, “vai a Verona”: dopo ciascuna di queste indicazioni magari la nostra vita si è salvata ma il nostro sistema sanitario moriva ogni giorno di più, perché chi lo uccideva si faceva forte della nostra indifferenza, della nostra disattenzione, del nostro sguardo ormai volto altrove, a Roma, a Bologna, a Verona.
È finita come la mia spazzatura a inizio post: con lo sguardo rivolto altrove, ci siamo dimenticati di casa nostra, di fronte all’intollerabile abbiamo tollerato.
L’arrivo del Covid-19 ha scombinato tutto. Perché, semplicemente, col coronavirus nessuno si salva da solo. A Roma, Bologna, Verona non ci arrivi manco se hai il portafogli gonfio e il serbatoio della macchina pieno. Ti serve l’ospedale sotto casa ma sotto casa non c’è più.
E la colpa, parlo in prima persona, è più mia che del Cotticelli di turno.
L’intervista di Cotticelli per me è stata una specie di schiaffo. L’ho preso in faccia e mi fa ancora male. Negli ultimi tre giorni, però, non mi sono chiesto che cosa può fare il prossimo Cotticelli o Zuccatelli o l’assessore o il governatore o il presidente del Consiglio per la Calabria. Mi sono chiesto se sono disposto a voltarmi dall’altra parte e a offrire la mia indifferenza rispetto alle cose che non vanno. A cominciare dall'ambulatorio sotto casa per finire a Palazzo Chigi ma senza saltare passaggi intermedi.

Sta a noi, da oggi.
Sta soprattutto a noi.

Perché se continuiamo a voltarci dall’altra parte come facciamo da mezzo secolo, Cotticelli arriverà comunque.
Anche se si chiama con un altro nome.

da Fb del 12 novembre 2020.
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