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Autore Discussione: LA MALEDIZIONE CHE SI AVVERA  (Letto 1318 volte)
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« inserito:: Ottobre 18, 2020, 07:10:35 pm »

LA MALEDIZIONE CHE SI AVVERA

   
ALIDA AIRAGHI
14 Ottobre 2020

La giovanissima casa editrice milanese Utopia ha inaugurato il suo catalogo riproponendo uno dei più famosi libri di Massimo Bontempelli, Gente nel tempo. Scelta perspicace e raffinata, perché il romanzo, pubblicato nel 1937, è stato più volte riedito con ottime tirature (fino all’inclusione nell’opera omnia dell’autore, uscita da Mondadori nel 1961, nel 1978 e nel 1997), provocando curiosità e polemiche per l’atmosfera di funerea iattura di cui era impregnato.

Aleggia infatti sull’intera vicenda una minacciosa profezia, pronunciata dalla Gran Vecchia, autorevole e intransigente matriarca della famiglia Medici, che prima di spegnersi in un’afosa notte estiva del 1900 aveva predetto all’inetto figlio Silvano, alla nuora Vittoria, al medico di casa, al notaio e al parroco del paese di Colonna, la morte in giovane età di tutti i componenti del casato.

Il macabro presagio negli anni si era rivelato sempre più attendibile. I due sposi avevano reagito ad esso in maniera differente: Silvano con maggiore turbamento, Vittoria con il desiderio di infrangere ingessati tabù, e di aprirsi alla vita. Le loro figlie, Dirce e Nora, rispecchiavano il diverso carattere dei genitori: la prima più introversa, la seconda più esuberante. A distanza di cinque anni dal funerale della nonna, videro morire il padre, e dopo un altro lustro assistettero anche alla scomparsa della madre.

Trasferitesi a Milano, le sorelle trascorsero gli anni della guerra impegnandosi come ausiliarie negli ospedali militari, mentre lo spettro della maledizione che incombeva sulla famiglia continuava a tormentarle. Infatti, la fatidica scadenza dei cinque anni tornò a pretendere il suo obolo sacrificale, portandosi via uno zio nel 1915, e nel 1920 il bambino di Nora. “Qualche cosa c’era, qualche cosa di oltreumano, di astrale”, in quelle fatali ricorrenze. Il ritorno nel paese natale, dove la lugubre fama che le circondava si era ormai diffusa radicandosi nelle coscienze e nei comportamenti degli abitanti, non le aiutò a superare paure e superstizioni, rendendo sempre più precaria la loro salute fisica e mentale, nell’attesa ansiosa del compiersi del funesto presagio.

“Non importa morire, importa non sapere quando… La vita è essere incerti, la vita è non sapere, non sapere né quando né dove uno va… La vita è andarsene”, riflette uno dei protagonisti nell’ultima pagina del volume.

Forse è il caso di ricordare brevemente quale sia stata la parabola esistenziale e culturale dell’autore di questo singolare romanzo, sospeso tra il noir goticheggiante e un acuto psicologismo.

Massimo Bontempelli (Como,1878-Roma,1960) fu una controversa figura di romanziere, poeta,  drammaturgo, compositore, giornalista e traduttore. Laureato in filosofia e in lettere, visse in varie città, collaborando a numerose e importanti testate giornalistiche e case editrici. Convinto interventista, inviato di guerra, combatté come artigliere al fronte, ottenendo la Medaglia di bronzo al valor militare. Trasferitosi a Parigi, entrò in contatto con le avanguardie artistiche francesi, affidandosi nelle prime opere a un irrazionalismo onirico sulle tracce del movimento surrealista di Breton, e inaugurando con gli amici Alberto Savinio e Giorgio De Chirico la corrente sperimentale del “realismo magico”.

Tornato a Roma, aderì al Partito Fascista insieme a Pirandello, per la cui compagnia teatrale iniziò a scrivere opere drammatiche, sempre oscillanti tra atmosfere fiabesche e spettrali. Estremamente critico nei confronti del provincialismo letterario italiano, fondò prestigiose riviste dal respiro cosmopolita (“900”, “Quadrante”, “Città”), rivalutando l’imprevedibilità del caso e il fascinoso dominio della magia contro il determinismo massificante della società borghese, e sottolineando il ruolo fondamentale dell’inconscio nelle azioni umane, insieme alla necessità di rifarsi al mito come sorgente immaginativa di ogni forma artistica. Su questo terreno ideologico, Bontempelli edificò nel 1937 le basi di Gente nel tempo, opera in cui l’assurdo e l’imponderabile si insinuano nei disegni del destino, creando attese e smarrimenti, incubi e leggendarie fantasticherie.

Il romanzo, “strutturato, come un thriller misterioso, in un percorso a tappe agghiacciante e diabolico, non privo di colpi di scena” (come scrive la prefatrice del volume Marinella Mascia Galateria), anticipava con assoluta originalità i nuovi itinerari narrativi e drammaturgici del secondo ’900, e rimane ancora oggi l’inquietante testimonianza di un inedito tentativo esoterico di sottrarsi a una realtà vissuta come opprimente e drammatica.

 
MASSIMO BONTEMPELLI, GENTE NEL TEMPO – UTOPIA, MILANO 2020 – p.192

Prefazione di Marinella Mascia Galateria

TAG: libri
CAT: Letteratura
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 20, 2020, 11:49:20 pm »

La Frusta
Letteraria                     

Rivista di informazione e critica culturale

Nel febbraio del 2015 hai festeggiato il quindicennale del varo di questa rivista. Come è nata l’idea?

"LaFrusta" nacque sotto la spinta del “tutti in rete” che attraversò il Paese alla fine del ’99. Ricordo che in quell’anno i maggiori provider (le compagnie telefoniche perlopiù) distribuivano nelle edicole i CD autoinstallanti, al fine di catturare il maggior numero di utenti. Nel novembre del ’99 fui colpito da un trafiletto del “Corriere” che segnalava un applicativo di una Net.com americana che ti consentiva di “farti il sito” con davvero pochi colpi di mouse. Debbo dire che io ero principiante in informatica (conoscevo, male, il pacchetto “Office”) e totalmente digiuno di linguaggi di programmazione e men che meno di HTML.

Vuoi dire che non sapevi come si costruivano le pagine web, gli ipertesti?

Non ne sapevo letteralmente nulla. Cominciai a comprare delle riviste divulgative in edicola e armatomi di santa pazienza ma assistito da immensa curiosità feci ingresso in questo mondo. Le riviste suggerivano un sito “Aracnophilia”, in inglese ovviamente, dove ti avrebbero insegnato a costruire come un ragno (Aracne) la tua tela. Ma, in parte per la mia poca dimestichezza con la lingua inglese (sono un francofilo aspirante francofono: lo so: uno fuori dal giro, una specie di “vecchia zia”) in parte per la difficoltà del linguaggio HTML   mollai subito l’idea di costruirmi il sito con il bloc notes e i tag (anche se tutti dicevano che era facile come bere un bicchier d’acqua). C’era  “Frontpage”, è vero,  ma credo che occorresse  avere  anche buona pratica di FTP (File Transfer Protocol), insomma una strada impervia per un absolute beginner come me. Venne questo suggerimento di homestead.com  del “Corriere”, scaricai l’applicativo dalla Rete e benché in inglese, capii subito che era alla mia portata. L’applicativo era un editor di siti del tipo “drag and drop” (trascina e rilascia) e si dimostrò subito rispondente alle mie necessità. In più ti consentiva di saltare la fase dell’ FTP, perché pubblicavi la pagina  in Rete con un semplice clic. Curiosando in Rete, mi accorsi che gli americani lo utilizzavano per le pagine personali (non esistevano allora i blog); insomma un applicativo per analfabeti informatici come me. [...]

La Rivista è aperta alla collaborazione di tutti

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