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Autore Discussione: Pietro ICHINO - UN APPELLO PER L’ILVA  (Letto 2998 volte)
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« inserito:: Ottobre 06, 2020, 07:55:57 pm »

UN APPELLO PER L’ILVA

La fabbrica, per difficoltà di mercato e per mancanza di cassa, si sta lentamente spegnendo: i volumi di produzione e manodopera si assottigliano, mentre il nebulosissimo progetto governativo di “decarbonizzazione” oggi serve solo a tenere a distanza gli imprenditori potenzialmente interessati a rilevare l’impianto
Appello del 26 settembre 2020 di un gruppo di sei ex-dirigenti dello stabilimento tarantino (questo sito ha già ospitato gli interventi di due di essi: Roberto Pensa e Biagio De Marzo); lo pubblico volentieri come contributo convincente per la comprensione dei problemi concreti della più grande acciaieria d’Europa, nonostante il mio dissenso su qualche passaggio  (peraltro del tutto marginale) – In argomento v. anche il mio articolo pubblicato su lavoce.info il 29 novembre 2019, Il capitale sociale che manca all’ex-Ilva .

La Babele sullo stabilimento di Taranto
Attualmente uno dei dossier più importanti e strategici per l’Italia all’attenzione del Governo è quello relativo all’acciaieria ex Ilva di Taranto, gestita da ArcelorMittal Italia.
Il Partito Democratico ha presentato di recente (Roma 14 settembre 2020) il documento “TARANTO CAPITALE DEL GREEN NEW DEAL”, che affronta la questione sempre più grave e drammatica di quello che era il più grande impianto produttivo siderurgico europeo.
Questo del PD, ultimo dei documenti e delle dichiarazioni stravaganti alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni, mostra una inadeguata consapevolezza dei processi siderurgici nel mondo, della complessità e durata della trasformazione della siderurgia che elimini il carbonio dal suo ciclo produttivo (Obiettivo 2050) e, persino, della situazione reale della fabbrica di Taranto.
Le recenti dichiarazioni dei ministri Gualtieri, Boccia e Provenzano e quelle del presidente della regione Puglia Michele Emiliano, prima, in campagna elettorale e dopo, sono la chiara dimostrazione di come, a fronte del disastro economico e sociale che incombe, vengano “pesate” le enormi criticità della fabbrica, le sue problematiche antiche e quelle sopraggiunte e aggravate dal commissariamento di Ilva Spa in amministrazione straordinaria e dalla gestione ArcelorMittal Italia.
Il modo con cui si sta trattando il problema ex Ilva fa pensare quasi a una grande operazione di distrazione di massa, per non dire una vera e propria distorsione della realtà, consapevole o no che essa sia.
È veramente incredibile che dopo 8 anni, dopo un percorso che attraverso la definizione dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) normalizzava la questione ambientale dello stabilimento regolamentandone i processi, richiedendo limiti emissivi inferiori alle normative europee, adeguando gli impianti alle migliori tecnologie, si voglia ripartire su un percorso totalmente diverso, di elevata complessità, dimenticando lo stabilimento che esiste, che ha avviato e in molti casi completato i costosi interventi di adeguamento, che è fatto in un certo modo per cui deve produrre acciaio ogni giorno, che deve affrontare la concorrenza internazionale, che dà ogni giorno lavoro a circa 10-12000 persone (compreso l’indotto), che ha alle spalle una città di circa 200 mila persone e una provincia di circa 400mila persone da esso profondamente dipendente. Si vuole illudere la gente (ma fino a quando?) con il progetto dell’“acciaio green” a breve termine. Questo progetto va perseguito perché è un’ottima cosa ed è dovere della siderurgia europea affrontare questo percorso: naturalmente occorrono finanziamenti, esistono rischi industriali e soprattutto necessitano lunghi tempi tecnici per studi, valutazioni e realizzazioni.

 Cerchiamo di stare con i piedi in terra!
L’acciaio “green” è un progetto per il quale occorrono decenni, investimenti massicci, ipotesi produttive e di efficienza tutte da dimostrare. E nel frattempo che cosa si fa? Le 12.000 persone le mandiamo a coltivare i mitili o ad accompagnare i turisti nel Borgo Antico? O a preparare gli impianti per i Giochi del Mediterraneo del 2026? Con i progetti europei possiamo lanciarci verso qualsiasi soluzione moderna e adeguata allo sviluppo tecnologico e di difesa della salute dei cittadini, ma nel frattempo cosa facciamo di questo stabilimento, da domani in avanti? Questa è la risposta mancante ed elusa da tutti. È molto facile indicare obiettivi futuristici dimenticando che ogni giorno ci sono 12.000 famiglie che devono vivere e alle quali occorre indicare una prospettiva degna e sicura. La cortina fumogena della “decarbonizzazione” e di preridotto, gas metano, impiego di idrogeno e delle ormai troppe fantasie tecniche che girano sulla fabbrica, serve in realtà, a creare alibi, nebulosità e a giustificare il non procedere; forse a nascondere gravi e drammatiche decisioni quali la chiusura della fabbrica.
In questa vicenda, che oggi vede una fabbrica paralizzata, un indotto in difficoltà e migliaia di persone in cassa integrazione, il governo resta silente e lavora su ipotesi “green”. In più, va tenuto conto che la gestione di AMI da oltre un anno, per difficoltà economiche, è indotta a operare per priorità con manodopera ridotta, rinviando attività e acquisto di ricambi: questo espone la fabbrica a un progressivo degrado e a potenziali rischi per il personale e per la popolazione in considerazione della particolarità delle produzioni e dei suoi impianti.

Alcune semplici considerazioni realistiche.
La principale criticità che sta accompagnando la vita della ex ILVA, oggi AMI, è l’incapacità di fare profitto o meglio l’impossibilità di realizzare i volumi produttivi necessari perché questa azienda possa diventare profittevole. Un’azienda privata non può gestire una fabbrica perdendo considerevoli quantità di denaro.
La fabbrica, oggi gestita da AMI, per difficoltà di mercato e per mancanza di cassa, si sta lentamente spegnendo assottigliando i volumi di produzioni e la manodopera!
La nostra politica, sia locale sia nazionale, richiede anche di effettuare una conversione impiantistica (la fantomatica decarbonizzazione: a oggi a chi è ben chiara?) che comporterà, oltre ai rilevanti costi di investimento, anche maggiori costi di gestione che non potranno consentire la competitività sui mercati e il mantenimento dei livelli occupazionali. Esistono tuttora perplessità, anche tra gli addetti ai lavori, per modalità, fattibilità, tempi e costi: questa visione rende praticamente impossibile reperire un partner privato e lo Stato dovrà farsene carico.

Cosa accade in Europa?
Non esistono in Europa stabilimenti siderurgici a ciclo integrale come quello di Taranto che abbiano deciso di fermare gli impianti in attesa della disponibilità delle nuove tecnologie concretizzate in impianti in piena scala affidabili come quelli attualmente in funzione.
È vero che quasi tutti i maggiori gruppi siderurgici europei hanno avviato sperimentazioni su scala pilota di tecnologie che puntano alla realizzazione degli obiettivi suddetti in un arco di tempo di almeno trent’anni, con ingenti investimenti e disponibilità di energia elettrica da fonti rinnovabili e a costi accessibili.
Per restare alla siderurgia, la Commissione Europea, grazie all’azione congiunta di imprese e organizzazioni sindacali europee, ha previsto una serie di strumenti per accompagnare questa enorme trasformazione. In particolare, nel prossimo programma quadro europeo di ricerca e innovazione (HorizonEurope), è prevista la creazione di una PPP (Public-Private-Partnership), un organismo pubblico-privato, dotato di fondi pubblici e privati per lo sviluppo e l’applicazione di nuove tecnologie basate sulla progressiva eliminazione del carbonio dal ciclo produttivo e sua sostituzione con altri elementi riducenti quali, ad esempio, l’idrogeno. Anche il Fondo per l’Innovazione (Innovation Fund) sarà disponibile per finanziare la fase di trasferimento dei risultati di ricerca verso la dimensione industriale. Infine, anche il fondo di recupero dell’economia europea dalle conseguenze della Pandemia da COVID-19 (Recovery Fund) potrà essere utilizzato dagli Stati Membri dell’Unione Europea per accompagnare questo lungo e complicato processo di cambiamento dell’economia.
L’impegno della siderurgia europea per la de-carbonizzazione dei processi siderurgici, facendo presenti necessità di finanziamenti, tempi e rischi, sembra sincero, condiviso e per noi condivisibile.

Valutazioni per i “decisori”
Noi sottoscrittori di queste note, siderurgici per alcuni decenni, che conosciamo la fabbrica, abbiamo esposto per tempo le valutazioni che qui riprendiamo e fervidamente sottoponiamo ai “decisori”.
.  I) L’utilizzo dell’idrogeno per la produzione di acciaio non è una tecnologia praticabile a breve. In base alle attuali conoscenze, essa è solo una strada parallela da percorrere per ridurre, in maniera modesta, l’impiego del carbone in altoforno.
.  II) Il progetto della riduzione diretta abbinata all’acciaieria elettrica, che certamente non è una novità, è improponibile per gli elevati costi dell’energia elettrica e del metano.
.  III) Una azione industriale seria deve essere frutto di una visione realistica della effettiva, critica situazione e deve accelerare il processo del recupero produttivo nel rispetto dei vincoli e parametri ambientali imposti dall’AIA.
.  IV) Sono urgentissimi sia la ridefinizione del rapporto con la multinazionale Mittal e dei piani industriali della controllata AMI, sia il rafforzamento della vigilanza del Governo sul rispetto degli accordi e perché non vengano trasferite altrove quote di mercato.
.  V) È ben noto che, per lo stabilimento di Taranto, una produzione di acciaio inferiore ai 6 milioni di tonnellate/anno non consentirà mai un bilancio aziendale accettabile e quindi il mantenimento di adeguati livelli occupazionali.
.  VI) L’applicazione al Siderurgico di Taranto della VIIAS (Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario), finalmente rivalutata dal Ministero dell’ambiente, e della recentissima VIS ISTISAN 19/9 del Ministero della salute, implementate sui vari assetti dello stabilimento, significherebbe stabilire definitivamente che la sostenibilità ambientale e sanitaria viene prima di quella economica e, in funzione dei loro esiti, farebbe scattare il confronto con un clima di “pacificazione” con la cittadinanza.
Si esca, dunque dalle fantasie e si passi ad azioni concrete, altrimenti non sarà possibile tenere in funzione la fabbrica e il capitolo produzione di acciaio a ciclo integrale in Italia sarà definitivamente concluso.

Come procedere
Riteniamo ragionevolmente necessario procedere per fasi:

1 – la conclusione dei lavori di adeguamento dello stabilimento alle normative che regolano le emissioni derivanti dai processi produttivi e dalla logistica (impatto ambientale di carattere “tradizionale”);
2 – il ritorno dello stabilimento a una situazione di normalità produttiva con l’attuale impiantistica, riavviando nel più breve tempo possibile tutti gli impianti fino a raggiungere il massimo livello di produzione possibile con un rischio sanitario accettabile all’esito della VIIAS e della ISTISAN 19/9 e consentito dall’andamento del mercato, con la massima occupazione possibile.
3 – Quanto alla de-carbonizzazione dei processi produttivi, essa è un obiettivo che riguarda tutti i settori industriali e tutta l’economia come previsto dalla legislazione europea sul cambiamento climatico, aggiornata dal “Green Deal”.
Restiamo fiduciosi che il Governo italiano sappia agire efficacemente per accompagnare lo stabilimento di Taranto sul doppio binario del ritorno alla massima produzione possibile e dello sviluppo di nuove tecnologie per la de-carbonizzazione del ciclo siderurgico, in stretto contatto con AMI, organizzazioni competenti, sindacati dei lavoratori, istituzioni locali e cittadinanza, il tutto nella massima trasparenza e mettendo fine a ogni strumentalizzazione politico/elettoralistica.
Non c’è molto tempo per agire. Se non si mette fine al chiacchiericcio inconcludente e non si prendono rapidamente le decisioni necessarie, lo stabilimento sarà condannato a una progressiva irrilevanza, unita al trasferimento della sua produzione in altri stabilimenti del gruppo ArcelorMittal e alla chiusura definitiva, con conseguenze terribili per i lavoratori e per il territorio.

Taranto 26 settembre 2020

Filippo Catapano
Michele Conte
Biagio De Marzo
Enrico Gibellieri
Pasquale Lenzi
Roberto Pensa

Da - https://www.pietroichino.it/?p=56908
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 06, 2020, 09:13:37 pm »

UN NUOVO SUCCESSO DEL MODELLO LIBERAL-DEMOCRATICO?

Risposta a chi vede nelle brillanti performances planetarie del populismo il segno di una obsolescenza forse irrimediabile della società aperta occidentale tradizionale

Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 529, 5 ottobre 2020 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 17 febbraio 2020, Sulla UE la Lega fa il pesce in barile, e quello del 21 ottobre 2019, La folgorazione di Salvini sulla via di Damasco.

Nel primo decennio di questo secolo abbiamo fatto appena in tempo a congratularci per la limpida vittoria non violenta del modello occidentale liberal-democratico su quello sovietico, che ci è capitata tra capo e collo la crisi economico finanziaria globale del 2009. La quale nel decennio successivo ha portato con sé, insieme ad altri danni, l’onda sovranista-populista con i suoi exploit straordinari negli USA, nel Regno Unito, in Brasile, in Italia e altrove. Ora, proprio in quei successi assai pericolosi delle istanze populiste molti vedono un segno di crisi grave del modello liberal-democratico: “un sistema nel quale Donald Trump può essere eletto Presidente e rischia perfino di essere rieletto, o nel quale i fautori della Brexit possono vincere sulla base di pregiudizi e disinformazione diffusa, è un sistema malato, destinato a soccombere”; donde la domanda che serpeggia: “non sarà che in quest’epoca iper-complessa qualche iniezione di autoritarismo alla Putin, Orbàn o Kaczynski costituisca una correzione necessaria del vecchio modello democratico occidentale?”. Poi però in un tiepido mattino di primavera ci svegliamo sentendo il ministro degli Esteri Di Maio – già leader di quel M5S che puntava su un referendum per l’uscita dell’Italia dall’Euro – dichiarare: “è necessario che l’UE parli sempre di più con una voce sola”. E in questi giorni sentiamo assumere una posizione sostanzialmente analoga da Giorgetti (qui sotto nella foto con Di Maio), numero due di quella Lega che è stata la punta di diamante degli (ex?) anti-europeisti italiani. Allora vien fatto di pensare che ancora una volta siamo in presenza di una limpida vittoria della democrazia liberale: senza di essa l’anti-europeismo di M5S e Lega avrebbe potuto soltanto incancrenirsi e incattivirsi, mentre proprio il fatto che gli sia stato consentito di esprimersi fino in fondo, con il rischio concreto di aver successo, sta conducendo i suoi sostenitori a cambiare idea, almeno sul tema specifico. Quanto agli altri temi, chi può dire che nemmeno su uno solo abbiano da dire anche loro qualche cosa che meriti di essere ascoltato?

Da - https://www.pietroichino.it/?p=56967
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 18, 2020, 07:01:05 pm »

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