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Autore Discussione: Disinformazione e democrazia: lo sguardo di un filosofo della scienza  (Letto 1635 volte)
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« inserito:: Settembre 06, 2020, 02:56:54 pm »

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Disinformazione e democrazia: lo sguardo di un filosofo della scienza

Disinformazione-scientifica-e-democrazia-mauro-dorato-recensione-499

Di FRANCESCO SUMAN

Nel libro pubblicato da Raffaello Cortina, Disinformazione scientifica e democrazia – la competenza dell’esperto e l’autonomia del cittadino, il filosofo della scienza Mauro Dorato offre un’analisi articolata del rapporto tra scienza e democrazia. La trattazione mira a difendere due tesi: la necessità di alfabetizzazione scientifica a fronte dell’inarrestabile specializzazione della conoscenza e la preferibilità della democrazia rappresentativa su quella diretta. Ma un’eccessiva categorizzazione lascia poco spazio a quelle dinamiche “umane troppo umane” che caratterizzano la comunità scientifica. La filosofia della scienza, che dovrebbe coltivare la familiarità con il metodo scientifico e lo spirito critico, si trova invece ad essere alfiere dell’ennesimo idolo (una scienza esatta dispensatrice di verità), con effetti che rischiano di essere opposti a quelli desiderati.

Disinformazione-scientifica-e-democrazia-mauro-dorato-recensione-300Gli slogan funzionano sugli striscioni da stadio, nelle pubblicità, o sulle copertine dei libri, ma quasi mai servono a capire le sfaccettature di una realtà complessa. Circa tre anni fa, da uno sfogo su Facebook, ne è nato uno di particolare successo e in un attimo si è ritagliato un posto nell’immaginario comune. “La scienza non è democratica” è appunto uno slogan che coglie pochi aspetti, forse quelli più banali[1], delle due imprese collettive che chiama in causa.

Un’analisi ben più articolata del rapporto che sussiste tra scienza e democrazia è stata affrontata da Mauro Dorato, nel libro pubblicato da Raffaello Cortina, Disinformazione scientifica e democrazia – la competenza dell’esperto e l’autonomia del cittadino (Milano, 2019, 163 pp., 16,00 Euro). Obiettivo del filosofo della scienza dell’Università degli Studi di Roma Tre è difendere due ambiziose tesi, interrelate tra loro e sostenute da altrettante considerazioni fattuali.

La prima (T1) sostiene che un buon livello di alfabetizzazione scientifica della cittadinanza è elemento imprescindibile per il corretto funzionamento della democrazia. Il fatto a sostegno (F1) è che la tecnologia (nel suo più ampio senso di applicazione della conoscenza scientifica) permea sempre più le società occidentali contemporanee.

Altra considerazione fattuale (F2) è che le conoscenze scientifiche (sia naturali, sia sociali, economiche e giuridiche) vanno incontro a una tanto progressiva quanto inesorabile specializzazione. È proprio quest’ultima a rendere preferibile - ecco la seconda tesi di Dorato (T2) -il ricorso a forme rappresentative e non dirette di democrazia: attraverso libere elezioni si possono delegare rappresentanti più competenti dei cittadini a trovare i mezzi più opportuni per realizzare i loro scopi. Sia in ambito politico sia in quello conoscitivo, scrive Dorato, il principio di delega o rappresentanza trova realizzazione nella mediazione dell’esperto (p. 14), proprio in virtù della specializzazione delle conoscenze. La delega della decisione all’esperto va in contrasto con l’autonomia del cittadino e il rischio è quello di sfociare nella tecnocrazia. La sfida, quella più difficile, è far convivere il principio di delega con il principio di autonomia decisionale del singolo cittadino. L’equilibrio da trovare è difficile, ma è un ideale a cui vale la pena tendere.

L’affidabilità e l’imparzialità dell’esperto sono dunque la chiave di volta per la solidità dell’intera impalcatura argomentativa del saggio, tanto quanto lo è l’informazione che diffonde il parere degli esperti.

Il termine “disinformazione” implica in se stesso l’esistenza di un’informazione corretta, secondo Dorato, e l’oggettività della conoscenza è uno di quei valori che secondo l’autore dovrebbero stare a fondamento sia della comunità scientifica sia di quella democratica. “Qualunque pratica che abbia a che fare con la giustizia di un paese democratico presuppone l’oggettività scientifica” (p. 155). Dalla trattazione di Dorato sembra emergere che la convivenza in società presupponga un patto epistemologico prima ancora che sociale. “Se il fatto che una prova è una prova dipendesse dall’arbitrio umano la nostra convivenza sarebbe impossibile perché regnerebbero l’arbitrio e il diritto del più forte” (p. 156).

In sintesi, la posizione di Dorato è riassumibile con quanto segue: all’interno di una comunità scientifica gli esperti raggiungono sempre un consenso, vero e oggettivo, fondato sulla razionalità. Tali conoscenze dovrebbero venire adottate per il buon governo, e la classe dei rappresentanti eletti democraticamente dovrebbe prendere ispirazione dai metodi della comunità scientifica.

Ciò purtroppo non avviene, osserva Dorato, in quanto esistono degli elementi, tre sostanzialmente, che allontano la società dalla fiducia negli esperti.

Il primo è rappresentato dalle campagne di disinformazione, provenienti principalmente dalla rete, cioè dal basso, condotte da ciarlatani, “venditori di fumo” li chiama Dorato. Secondo l’autore la “comunità scientifica smaschera immediatamente o assai rapidamente gli imbroglioni e i venditori di fumo” (p. 89).

Una seconda minaccia può provenire dall’alto: esistono infatti esperti “venditori di dubbi”, guidati da interessi di parte, economici o politici, che mirano a minare il consenso della comunità di esperti. L’esempio riportato riguarda i dubbi seminati dagli “esperti” dell’industria del tabacco in merito alla presunta dannosità (o non dannosità) delle sigarette per la salute. Un altro esempio più attuale che Dorato avrebbe potuto portare è quello degli “esperti” delle compagnie petrolifere, consapevoli da più di 40 anni dei livelli di anidride carbonica che si sarebbero raggiunti nel XXI secolo e che hanno tenute nascoste le informazioni sui loro effetti nocivi. I “venditori di dubbi” mirano a far percepire alla società un disaccordo che in realtà non esiste nella comunità scientifica. L’effetto ottenuto è la perdita di fiducia in quest’ultima.

Una terza minaccia deriva direttamente dall’interno della comunità scientifica ed è rappresentato dalle frodi scientifiche (dati fabbricati ad hoc per ottenere la pubblicazione dell’articolo su una rivista scientifica).

Quando l’“esperto” è guidato da interessi economici, la sua faziosità si traduce in sfiducia tout court, da parte della società, nei confronti dell’impresa scientifica. Da qui gli appelli a forme di democrazia diretta, in cui il potere decisionale salta il passaggio della delega al rappresentante, delegittimato. Secondo Dorato però, in un gioco di parole, queste esperienze sfociano molto presto in forme di democrazia eterodiretta, in cui il potere decisionale individuale è solo un’illusione.

È indispensabile pertanto che i cittadini imparino a capire di quali esperti si possono fidare e che imparino a difendersi dai nuovi meccanismi di propaganda “ben più potenti e capillari della radio utilizzata dai regimi fascisti negli anni Trenta e che si basano sui sistemi di disinformazione che più o meno deliberatamente sono veicolati dai social network” (p. 17) .

Data l’iper-specializzazione delle scienze e la loro inaccessibilità ai più, è la conoscenza della storia e della filosofia della scienza, secondo Dorato, a poter fornire le difese immunitarie contro le derive anti-scientifiche della società e contro le conseguenti forme di democrazia diretta. “La familiarità con la filosofia e la metodologia della scienza può aiutare a orientarsi nei dibattiti pubblici riguardanti decisioni che coinvolgono la scienza e a difendersi quindi dalla disinformazione scientifica, malgrado l’inevitabile mancanza di conoscenze iper-specialistiche” (p. 136).

Guardando alla scienza in ottica prospettica e ai suoi successi passati, se ne può cogliere l’importanza senza essere esperti di fisica o medicina. L’approccio storico-filosofico funge da ponte tra discipline scientifiche e umanistiche, in quanto permette di comprendere il posto dell’uomo nell’universo, ha un potere liberatorio nei confronti di visioni antropocentriche e fa sì che “le molteplici prospettive offerte dalle singole scienze (gli alberi) non ci facciano perdere uno sguardo più “sintetico” sulla conoscenza umana (la foresta)” (p. 125).

Il problema della normatività
L’intento del lavoro del Professor Dorato è certamente dei più nobili: l’Italia è uno dei Paesi in cui la distanza tra percezione e realtà (ad esempio in merito a temi caldi come l’immigrazione) è più grande rispetto a tutti gli altri Paesi europei[2]. L’alfabetizzazione scientifica della cittadinanza è un elemento che può certamente contribuire ad affrontare le sfide epocali (una su tutte, quella dei cambiamenti climatici) con cui la nostra società dovrà misurarsi. Cedere il potere decisionale a rappresentanti preparati è la soluzione giusta secondo Dorato, sempre. In molti si troveranno d’accordo con lui, altri sostenitori di forme più dirette di democrazia invece no.

Ma il punto più delicato e controverso dell’intero libro di Dorato è che l’autore ha l’ambizione di fondare le sue tesi non su base storica o politica, culturale o economica, ma su base prettamente filosofico-epistemologica. In altri termini, le soluzioni difese da Dorato dovrebbero essere sempre preferibili, a prescindere dalla circostanza storica, culturale o socio-economica. L’autore esplicita i suoi intenti sin dal principio, quando dichiara di voler porre il discorso sul piano normativo (ovvero come la realtà dovrebbe essere) rinunciando per lo più al piano descrittivo (come la realtà è). In questa scelta risiede gran parte dei limiti, se non tutti, del libro di Dorato.

Esperti di disinformazione
Quando Dorato parla dei “venditori di fumo” (i ciarlatani della rete), dei “venditori di dubbi” (sedicenti esperti che mirano a minare il consenso degli esperti agli occhi della società) e delle frodi scientifiche, sostiene che la comunità scientifica è costituita in modo tale da individuare e smascherare in tempi rapidissimi le mele marce. Questo è vero, in linea di principio, ma purtroppo la realtà si discosta troppo spesso dai modelli. È stata infatti una delle riviste medico-scientifiche più autorevoli al mondo, The Lancet, in seguito a un procedimento di peer review, a pubblicare nel 1998, l’articolo del gastroenterologo britannico Andrew Wakefield in cui veniva sostenuta la correlazione tra vaccinazioni e autismo. Il lavoro si rivelò essere una vera e propria frode, ma non fu la comunità scientifica a svelarla, bensì un giornalista, Brian Deer. Solo dopo 12 anni nel 2010, The Lancet ritirò l’articolo dalla rivista.

Anche quando Dorato tratta direttamente il caso Stamina, che ci ha reso zimbello della comunità internazionale (scientifica e non), sembra tracciare uno scenario forse troppo ottimistico: “dopo la scomunica definitiva da parte della comunità scientifica, Vannoni è stato condannato per associazione a delinquere (…). La comunità scientifica smaschera immediatamente o assai rapidamente gli imbroglioni e i venditori di fumo” (p. 89). Uno scienziato come Roberto Defez[3] ha fatto notare che proprio in occasione del caso Stamina è mancata una voce forte e unanime, in grado di farsi sentire a tutti i livelli della società, di condanna da parte della comunità scientifica italiana. Se non fosse stato per pochi casi isolati, che Defez ha definito eroici, come l’impegno diretto ma individuale di Elena Cattaneo (oggi senatrice a vita), Davide Vannoni avrebbe continuato la sua folle corsa. Inoltre, prima di venir smantellato, il sistema Stamina era riuscito a convincere l’intero Parlamento a votare per l’introduzione di una cura inesistente nel Sistema Sanitario Nazionale. Il problema che dunque andrebbe posto è: dobbiamo lavorare sull’alfabetizzazione scientifica di chi? Della cittadinanza, dei navigatori del web o dei rappresentanti democraticamente eletti?

Recenti fatti di cronaca ci ricordano inoltre che le minacce disinformative non provengono affatto solamente da internet, come tende a sostenere Dorato, che ai “seguaci in rete” sembra attribuire le colpe dello scoppio non solo del caso Vannoni (fu una trasmissione televisiva e non la rete a sollevare il polverone Stamina) ma anche, assurdamente, del caso Di Bella, esploso ben prima dell’avvento dell’era di internet (“Sarebbe bastato un controllo in rete della qualità della produttività scientifica di Di Bella o Vannoni per smascherare il loro inganno: un conto sono le citazioni in riviste scientifiche internazionali, un conto i numeri dei loro seguaci in rete” p. 123).

Sono state infatti le pagine di uno dei più autorevoli quotidiani nazionali ad aver dato spazio a una figura controversa come Luc Montagnier, che si esprimeva in favore delle cure omeopatiche e contro una scienza a suo dire oscurantista[4]. È stato uno dei più prestigiosi istituti universitari e di ricerca italiani a ospitare a novembre dell’anno scorso il XXXV Convegno internazionale di agricoltura biodinamica[5]. Ogni anno in circa metà delle università italiane si tengono Master post-laurea di I e II livello in Omeopatia e Medicine Complementari (o alternative) per medici, farmacisti e personale sanitario[6]. Nell’università italiana più antica del mondo il rettore e il Senato accademico hanno autorizzato la costituzione di un’associazione per la gestione di un progetto sull’agricoltura biodinamica[7]. Sono stati rappresentanti democraticamente eletti della Regione Veneto a votare contro un provvedimento per la mitigazione dei cambiamenti climatici un attimo prima che l’acqua alta invadesse la sala consigliare[8]. Fake news su presunte armi di distruzione di massa nascoste nelle colline a nord-est di Baghdad sono state diffuse dal governo statunitense per giustificare la guerra in Iraq.

Come ha fatto notare il giornalista Antonio Scalari[9], “la disinformazione più pericolosa e socialmente più rilevante è stata diffusa, per anni e anni, fuori dal web, con nome e cognome, a partire dall'alto e dagli stessi soggetti che avrebbero dovuto ostacolarla”.

Si consideri inoltre un altro scenario ancora. Proprio in questi giorni si sta discutendo della possibilità di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta che si occupi di disinformazione e fake news. In Francia e in Germania il dibattito è in fase più avanzata rispetto al nostro Paese. L’argomento è divisivo ma certamente non può prescindere dalla circostanza storico-politica in cui può ritrovarsi una società e si ricollega direttamente al rischio di “tecnocrazia” trattato nel libro di Dorato. Cosa succede quando un governo, magari democraticamente eletto ma autoritario, che diffonde disinformazione, può decidere cosa è da giudicarsi vero e cosa è da giudicarsi falso? Il paradosso pieno si realizza negli Stati Uniti, con Trump, che è arrivato a bollare come fake news ogni parere a contrasto con la sua visione del mondo. Il concetto di fake news può diventare allora un’arma per delegittimare, con un colpo retoricamente basso, la posizione di qualunque avversario.

Il coinvolgimento del pubblico
Per quanto riguarda invece il ruolo educativo che dovrebbero ricoprire storia e filosofia della scienza, Dorato non fa altro che riproporre un vecchio problema, credendo di risolverlo. Alle scienze iper-specialistiche l’autore sostituisce le conoscenze di storia e filosofia della scienza, sotto cui fa ricadere anche la nozione frequentista di probabilità: “un tipico caso di disinformazione scientifica difende la nocività di un particolare vaccino sulla base del fatto che ha controindicazioni. In casi come questo la conoscenza della concezione frequentista di probabilità si rivela di importanza fondamentale” (p. 140).

Una maggiore dimestichezza con le coordinate fondamentali del metodo scientifico è certamente auspicabile in una cittadinanza che debba compiere scelte collettive. La filosofia della scienza può svolgere un ruolo cruciale nell’alfabetizzazione scientifica della cittadinanza, avendo il pregio di insegnare ragionamenti invece di contenuti mnemonici. Tuttavia, l’approccio di Dorato sembra soffrire di tutti i limiti di quello che in comunicazione della scienza viene chiamato deficit model. Secondo questa teoria l’ostilità da parte del pubblico nei confronti della scienza sarebbe dovuta alle sue mancanze di informazioni necessarie a comprenderla. Colmando questo deficit, la società tornerà ad affezionarsi ai temi scientifici. Inutile dire che il deficit model, proposto già a metà anni ‘80 da un documento della Royal Society inglese (The Public Understanding of Science - PUS), è stato sostituito, per dimostrata inefficacia, da un altro paradigma, più inclusivo, chiamato Public Engagement with Science and Technology (PEST). La sfida di come avvicinare la società alle questioni scientifiche di cui sono sempre più intrise le scelte collettive rimane aperta. Sappiamo solo che dire che la scienza ha la verità è un approccio che ha già mostrato notevoli limiti.

Verità, oggettività e consenso
Secondo Dorato l’indagine scientifica conduce verso l’oggettività e i risultati che produce possono dirsi veri. Questi aspetti, secondo il filosofo della scienza, convivono senza contraddizioni con la fallibilità delle teorie scientifiche, che sono sempre e solo vere fino a prova contraria. Parte della soluzione starebbe nel negare quella che Thomas Kuhn chiamava l’incommensurabilità tra teorie scientifiche di paradigmi diversi e nell’affermare un principio di continuità tra di esse che implica il progresso scientifico (p. 131 – 132).

L’incommensurabilità prevede che teorie appartenenti a comunità scientifiche e culture diverse non possano essere messe in competizione, valutando una come migliore dell’altra. L’accettazione dell’incommensurabilità porterebbe secondo Dorato inesorabilmente alla minaccia del relativismo, ovvero la convinzione che “una teoria vale l’altra” (p. 148), anticamera della delegittimazione degli esperti e dunque della democrazia diretta. Ma le teorie mitologiche sull’origine degli esseri umani non possono stare sullo stesso piano della teoria dell’evoluzione darwiniana, la fisica di Aristotele non è corretta quanto quella di Einstein.

All’interno di una certa epoca storica, il disaccordo tra esperti c’è (si pensi alle controversie sulla natura corpuscolare o ondulatoria della luce), ma alla fine viene sempre risolto, secondo Dorato, sul piano oggettivo e razionale. Oltre all’azione dei venditori di fumo, dei venditori di dubbi e dei fabbricatori di frodi scientifiche, Dorato non sembra prendere in considerazione che in una comunità scientifica possano convivere sinceri disaccordi.

Ma cosa accade, verrebbe da chiedersi, fintanto che quel consenso non viene raggiunto? Sussiste un disaccordo tra esperti che mina l’oggettività della conoscenza e quindi la legittimità della democrazia rappresentativa?

La scienza vive di confronto e di scontro tra teorie che avanzano predizioni diverse a riguardo di un medesimo fenomeno. All’interno di una disciplina, spesso i dati osservativi a disposizione non sono sufficienti a stabilire quale delle teorie in gioco sia quella giusta: si parla in questi casi, come sanno bene i filosofi della scienza, di sottodeterminazione di una teoria rispetto ai dati. Una simile circostanza si verifica soprattutto nelle cosiddette small data sciences, come potrebbero essere la paleontologia o l’archeologia, in cui molte pagine del libro dei dati sono andate perdute: purtroppo disponiamo solo di pochi fossili o reperti che accedono un lumicino nella lunga e buia galleria del tempo profondo. Finché non ne dissotterriamo un certo numero soddisfacente le teorie restano in competizione l’una con l’altra. La paleoantropologia ad esempio negli ultimi 5 anni soltanto ci ha regalato una serie di sorprese che hanno completamente rimescolato le convinzioni degli scienziati[10].

Affinché il consenso all’interno di una comunità di esperti produca conoscenza vera e oggettiva, ammesso che la produca (secondo Dorato sì), l’autore avrebbe dovuto considerare almeno due fattori: il primo è la complessità del problema discusso, il secondo è lo statuto epistemologico della scienza di appartenenza della comunità di esperti.

Oggi nessuno metterebbe in dubbio l’esistenza della forza di gravità, ma per quanto riguarda una questione più complessa come la materia oscura, ad esempio, cosa possiamo dire? Esistono teorie che rivaleggiano sulle pagine delle riviste specialistiche di cosmologia. Per spiegare il fenomeno delle curve di rotazione delle galassie a spirale, c’è chi sostiene la teoria MOND (Modified Newtonian Dynamic) secondo la quale la gravità non sarebbe perfettamente uniforme in tutto l’universo; tali oscillazioni spiegherebbero le anomalie che la teoria rivale spiega invece postulando l’esistenza della materia oscura, un genere di materia che interagisce con i corpi gravitazionali ma non con la radiazione elettromagnetica (e dunque non risulta visibile). Seppur le ultime ricerche diano in vantaggio la teoria a supporto dell’esistenza della materia oscura, possiamo dire di avere una conoscenza vera e oggettiva in materia di cosmologia?

Per quanto riguarda il secondo punto, prendiamo ad esempio l’economia, la disciplina che più di ogni altra forse informa le azioni dei governi. Dorato porta l’esempio del problema della disoccupazione e propone la sua ricetta: “Gli esperti hanno infatti il compito di realizzare l’obiettivo unanimemente condiviso (riduzione della disoccupazione) attraverso interventi tecnici (aumentare le tasse, diminuire la spesa pubblica, ecc.) sui quali può e deve esistere lo stesso tipo di dibattito che caratterizza il raggiungimento del consenso nelle comunità scientifiche” (p. 56).

Anche qui Dorato forse la fa troppo semplice. Lo statuto epistemologico dell’economia la colloca tra le discipline con un alto grado di elaborazione teorica (modelli matematici predittivi) e un basso grado di conferme empiriche (i modelli matematici spesso falliscono le loro predizioni o spiegano una porzione molto piccola dei fenomeni osservati nella realtà). Possiamo dire che l’economia produce conoscenza vera e oggettiva? Anche se ci fosse unanime consenso tra i membri esperti di questa comunità “scientifica” (e non c’è), senza mezzi termini la risposta è no. Eppure eleggiamo rappresentanti la cui azione di governo è informata da una scienza il cui statuto epistemologico è a dir poco traballante.

Basando dunque gran parte dell’argomentazione sulle fondamenta della verità e dell’oggettività della conoscenza scientifica, Dorato fa una mossa quanto meno rischiosa per l’argomentazione stessa. L’idea di scienza difesa da Dorato è astratta, esatta e romanticamente positivista. Parlando del funzionamento della comunità scientifica, ad esempio, Dorato ne traccia, ancora una volta, un resoconto troppo ideale: il consenso scientifico si forma sempre su base puramente razionale. Nel libro vi è pochissimo spazio per quelle dinamiche “umane troppo umane” e molto poco razionali (che afferiscono alla sfera della sociologia della scienza) che chi ha fatto ricerca conosce fin troppo bene: il principio di autorità, l’eccessivo attaccamento a un’ipotesi, il carrierismo, la fame di visibilità, le dinamiche di distribuzione dei finanziamenti, il publish or perish (“pubblica o muori”) sono tutti elementi che possono sfociare nei casi più gravi anche nella manipolazione dei dati o dei risultati di un lavoro scientifico[11].

La comunità scientifica nel suo insieme ha gli strumenti per difendersi da queste derive irrazionali, è vero, e col tempo riesce a individuare e correggere gli errori che produce. Ciò non toglie che tali componenti irrazionali esitano, non possano essere negate e la loro massa critica è tale da fare quotidianamente a cazzotti con la pura razionalità del metodo scientifico. Questo perché le comunità scientifiche prima di essere fatte di automi razionali sono fatte da uomini.

Esistono comunità scientifiche che possono fungere da esempio, è vero, ma non necessariamente solo per il solo metodo razionale con cui affrontano i problemi; piuttosto per una serie di regole comportamentali che afferiscono alla sfera sociologica-morale e non puramente epistemologica. Guido Tonelli, descrivendo le dinamiche di risoluzione dei conflitti tra gli scienziati del Cern, al lavoro sugli acceleratori di particelle che hanno portato alla scoperta del bosone di Higgs, illustra la strategia che la comunità dei fisici ha adottato per la gestione degli errori: “In una grande impresa collettiva come la nostra si sa che gli errori possono essere fatali. Se un tecnico o un fisico fa uno sbaglio e lo nasconde per paura di essere punito, può avvenire la catastrofe, si può arrivare a buttare nella spazzatura un rivelatore che è un gioiello di tecnologia da 500 milioni di euro. Allora cosa conviene fare dal punto di vista collettivo? Abbiamo stabilito che è infinitamente più vantaggioso non solo non punire, ma addirittura premiare chi segnala l'errore. È sufficiente dire «scusate ieri nella corsa ho saltato questa operazione, non ho seguito questa procedura e ho paura che ci possano essere dei danni». Per noi questa informazione è utilissima, possiamo intervenire per evitare il disastro, e poi migliorare la procedura, magari operando una piccola modifica, in modo tale che la volta successiva non si ripeta un errore dello stesso tipo. È un meccanismo che ci siamo inventati sul campo, che funziona molto bene e che potrebbe essere adottato anche in altri contesti” [12].

Il rischio in cui incappa Dorato è quello di trasformare l’impresa conoscitiva più intellettualmente onesta che l’uomo abbia saputo creare in una religione laica. La necessità di alfabetizzazione scientifica passa per la stimolazione dello spirito critico, mentre eleggendo la scienza a dispensatrice di verità non fa che riproporre un altro idolo, custode della verità, con effetti opposti a quelli desiderati.

Anche la speranza che le decisioni democratiche ricalchino i meccanismi, ideali, della scienza, idealizzata, appare ingenua. Non tanto perché la razionalità non sia un valore cui tendere o uno strumento efficace di risoluzione dei problemi nella gestione della cosa pubblica, ma quanto perché l’uomo non è un animale puramente razionale. E le controversie politiche si combattono sul terreno dei valori, dell’identità, delle aspirazioni e la razionalità è solo un recente strumento intellettivo che deve controbilanciare bias cognitivi che l’evoluzione ha radicato nel nostro sistema percettivo.

Il problema dell’alfabetizzazione scientifica è reale, ma si risolve con costanti iniziative di sostegno all’istruzione prima di tutto, mentre i governi degli ultimi decenni, indipendentemente dal colore, hanno fatto scivolare gli investimenti al 3,5% del Pil[13] quando la media europea sfiora il 5%[14], con la Danimarca al 7%, la Svezia al 6,5% e il Belgio al 6,4%.

La filosofia della scienza in questo intreccio di valori, politiche e tratti cognitivi può rivestire una parte importante, sempre che non venga stereotipata ad alfiere della razionalità pura, altrimenti invece di un’esaltazione del suo ruolo si ricava solo un’occasione persa.

Il patto sociale e costituente prevede “il pieno sviluppo della persona umana” (Art. 3) e non si può pretendere che sia la sola componente razionale a dominare tale sviluppo. Le “ragioni” che muovono l’uomo nella società non sono mai puramente razionali, per la pace degli scientisti e dei filosofi anch’essi irrazionalmente troppo affezionati alle proprie ipotesi.

NOTE

[1]     Lo stesso autore del celebre slogan ne è consapevole, come ha dichiarato in un’intervista rilasciata a MicroMega http://temi.repubblica.it/micromega-online/burioni-la-scienza-non-e-democratica-ognuno-parli-di-quel-che-sa/
[2] https://www.corriere.it/esteri/18_agosto...
[3]     Si veda Defez R. (2018) Scoperta – come la ricerca scientifica può aiutare a cambiare l'Italia (Codice Edizioni, Torino). Qui un’intervista all’autore: https://ilbolive.unipd.it/it/news/finanziamenti-ricerca-luniversita-italiana-fossile
[4]     Si veda https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2019/10/22/omeopatia-perche-non-bisogna-ignorarlaRSalute12.html?ref=search
[5] http://www.convegnobiodinamica.it/
[6] https://www.ilfoglio.it/scienza/2018/11/...
[7] https://www.ilfoglio.it/scienza/2019/11/...
[8] https://www.repubblica.it/le-storie/2019...
[9] https://www.facebook.com/plugins/post.ph...
[10]     Si veda l’intervista al paleoantropologo Chris Stringer sulle origini di Homo sapiens: http://lameladinewton-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/10/15/le-culle-africane-dell%E2%80%99umanita-potrebbero-essere-piu-di-una/
[11]     Si veda ad esempio Bucci E. (2015) Cattivi scienziati – la frode nella ricerca scientifica
[12]     Tonelli G. (2019) Da Equi Terme al Cern, MicroMega 4/2019 Almanacco della scienza
[13] https://www.corriere.it/scuola/medie/18_...
[14] https://www.ilsole24ore.com/art/italia-t...

(26 novembre 2019)
Tag: delega, democrazia, disinformazione, rappresentanza, scienza

Scritto martedì, 26 novembre, 2019 alle 23:16 nella categoria Archivio. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

5 commenti a “Disinformazione e democrazia: lo sguardo di un filosofo della scienza”
Orlando Ragnisco scrive:
28 novembre 2019 alle 16:41
L'atteggiamento del Prof. Mauro Dorato viene qui bollato come "ingenuamente positivista". Molti dei rilievi avanzati nell'articolo sono fondati, ma non vorrei che questi rilievi offuscassero quella che si rivela sempre più come una irrinunciabile esigenza: un'opera massiccia e incessante di alfabetizzazione scientifica. I contrasti tra gli scienziati, le diverse visioni, persino le contraffazioni non possono essere alibi per giustificare il fatto che la maggioranza della popolazione del nostro paese si trovi in uno stato di spaventosa ignoranza dei contenuti e dei metodi della ricerca scientifica.


Francesco De Lorenzo scrive:
28 novembre 2019 alle 20:14
La chiosa finale è alquanto enigmatica:

"Il patto sociale e costituente prevede “il pieno sviluppo della persona umana” (Art. 3) e non si può pretendere che sia la sola componente razionale a dominare tale sviluppo. Le “ragioni” che muovono l’uomo nella società non sono mai puramente razionali, per la pace degli scientisti e dei filosofi anch’essi irrazionalmente troppo affezionati alle proprie ipotesi."

Dunque.
Primo. La componente razionale è scadente. Questo è il punto. Quindi il pieno sviluppo della persona umana non si raggiunge senza quella disconosciuta componente. Se uno pensa che 2+2 fa 22 il progetto è fallito.

Che le ragioni non siano pienamente razionali è il risultato scientifico delle tesi di Damasio, di Kahneman ecc. Il contrario - ovvero che degli umanisti, esegeti, ermeneuti, esperti in ontologia, dialettici ecc abbiano provato che i comportamenti siano irrazionali - non è dato. Già gli analitici avrebbero invece qualcosa da dire.
Ma questi studi servono proprio a non essere costantemente indotti dalle pulsioni.
A difendersi dalla manipolazione costante.
Non ad eliminarle che è impossibile.
Ultimo metto Lacan - sull'altro lato - secondo cui il sistema desiderante va comunque controllato.

Non entro nel merito del resto che servirebbe un saggio. Ma le confutazioni sono deboli.
Comunque qualsiasi tentativo di affrontare il metodo partirebbe da Popper che qui non esiste. Kuhn è interessante ma propone una decisione democratica sul paradigma. E quindi pensa di aver descritto ciò che avviene. Il processo.
Mentre la questione fondamentale è che nessun scienziato leggerebbe mai un testo di epistemologia per sapere come si deve comportare.

Sisco scrive:
30 novembre 2019 alle 15:39
In un film di Roman Polansky nei cinema in questi giorni si narra la vicenda di un ebreo ingiustamente accusato di alto tradimento in seguito ad attività spionistiche. Ebbene la ricerca della verità non appartiene ad esperti e tantomeno a giudici, come nel caso del film, ma a prove. Le prove artefatte non sono prove se vengono smascherate e tantomeno le ideologie sono credibili se si rendono ridicole di fronte a tutti. Questo articolo non tratta di scienza, tratta di credenze piu' o meno valide su come debbano andare le cose in democrazia, ma porgere argomenti così tendenziosi come fossero verità acquisite: la scienza, il progresso, beh denota impreparazione specifica e atteggiamento di parte. Non resta che chiarire che si tratta solo di pettegolezzi teorici...

Tremendo scrive:
6 dicembre 2019 alle 18:04
Attenzione a non attribuire un intrinseco valore positivo alla scienza e alla democrazia. Il valore non è nelle cose in se, ma in quello che noi vi attribuiamo. Per esempio all'acqua attribuiamo un valore positivo se serve per bere, per irrigare i campi, ma un valore negativo se si tratta di una inondazione. Quindi a salvarci non sarà né la scienza, né la democrazia, ma la nostra testa se è consapevole di come ragiona. Neppure la razionalità in se stessa è un valore.

Tremendo scrive:
10 dicembre 2019 alle 09:02
la scienza non è democratica. E si cita Burioni. Secondo me la scienza deve essere prima di tutto scienza, non opinioni di un Burioni qualsiasi o succube della sinistra. Infatti sui vaccini c'è uno studio di studio di Miller e Goldman che mostra come gli USA, che sono la nazione con la più alta percentuale di vaccinati, con 26 dosi di vaccino nei neonati prima dell’anno di vita, sono al 34° posta nella classifica per quanto riguarda la mortalità infantile. Quindi non lasciamo abbindolare come sardine dal Burioni nostrani.
http://www.infoautismo.it/autismo.in/portale/index.php/vaccini-e-autismo/item/615-maggiori-le-vaccinazioni-maggiore-la-mortalita-infantile-lo-studio-di-miller-e-goldman?fbclid=IwAR28_m3wqmcb0prngxzf0uPwqDXkB3bgmHTjlxKyQ6MY6_Hq8L92TnCZnwY

da - http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/11/26/disinformazione-e-democrazia-lo-sguardo-di-un-filosofo-della-scienza/
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