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Autore Discussione: Roberto Cotroneo - Perché Roma dovrebbe essere il modello di un Paese che cambia  (Letto 3376 volte)
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« inserito:: Dicembre 18, 2007, 06:31:49 pm »

L'Italia dei voli blu

Roberto Cotroneo


Le dimissioni a sorpresa del generale Speciale hanno lasciato uno strascico davvero interessante. Dei fogli, meglio, dei documenti della Guardia di Finanza. Il frontespizio recita: «Comando generale della Guardia di Finanza. III Reparto Operativo». E riguarda «l’Accesso a bordo dei mezzi aerei del corpo di membri del Governo». I fogli sono 41, e vanno dal 2001 all’ottobre di quest’anno. Riguardano i membri del governo del centrodestra e quelli del governo del centrosinistra. E il traffico è notevole. In questo Paese triste, come lo ha definito il New York Times, in questo Paese dove è piuttosto faticoso trovare una buona strada per andare avanti, il traffico aereo e marittimo è assai vivo, attivo, e persino allegro, va detto. Perché non basta più ormai avere l’auto blu. Come una sorta di dipendenza da potere sempre più vertiginosa, si passa a due auto blu, poi a tre auto blu. Poi all’elicottero blu, poi alla motovedetta blu, poi al motoscafo blu, e infine all’aereo blu.

Leggere quei fogli è davvero interessante, perché se in alcuni casi è del tutto ovvio che un ministro dell’Economia e delle Finanze utilizzi i mezzi militari per spostarsi, è un po’ meno ovvio che lo facciano tutti gli altri, compresi i sottosegretari, e ognuno con molte persone al seguito. Che siano elicotteri o che siano aerei. Ed è veramente stupefacente, che i viaggi più affaticanti, più fitti, talvolta due o tre in un solo giorno, avvengano in quei mesi ingrati che sono giugno, luglio, agosto e settembre, quando, e si sa, la calura attanaglia tutti, viaggiatori delle sempre efficienti ferrovie dello stato, i cittadini pazienti e spaesati vittime dei ritardi della nostra compagnia aerea di bandiera, e quelli che aspettano i traghetti e gli aliscafi.

Anche i membri del governo si possono aggiungere a questo elenco, anche loro si muovono d’estate. Non certo per fare vacanza, sia detto, loro lavorano, si spostano verificano. Spesso succede che devono recarsi con altre cinque persone a Lipari, a Lampedusa, a Capri, a Ischia, a Venezia. Sono problemi, specie se lo fanno di ferragosto, che è una giornataccia per tutti, villeggianti dappertutto, e meno male che la Guardia di Finanza fornisce prontamente un elicottero, perché l’aliscafo per Capri, di Ferragosto è un tormento, e sono sempre in ritardo.

Facciamo un esempio interessantissimo. Si riferisce al 2002. Il 15 agosto del 2002. Secondo i piani di volo della Guardia di Finanza, il ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, in compagnia della «Sir.na Gaia Gasparri», si è veramente massacrato, e con un certo ardore. Costretto a salire su un elicottero A109, è partito da Marettimo per raggiungere Palermo, e pazienza. Poi da Palermo vola a Piano Stoccato, in provincia di Reggio Calabria, da Piano Stoccato in auto blu si sposta a Oppido Mamertina, sull’Aspromonte, e risale sul solito elicottero per essere trasportato a Reggio Calabria. E infine, con un certo sollievo da Reggio Calabria torna a Marettimo. Tutto in un solo giorno. Certo, senza elicottero come si fa. Non si può fare. La dicitura dei voli è piuttosto vaga: «Trasporto». E non «Trasporto autorità».

Gasparri poi deve avere il gusto del massacro ferragostano, perché l’anno dopo replica. Il 15 agosto 2003 sempre da Marettimo vola con il solito elicottero A109 fino a Zerbo, in provincia di Reggio Calabria, da Zerbo torna a Palermo, e poi da Palermo a Marettimo. Il ministro Buttiglione, nell’ottobre dello stesso anno è costretto a prendere un elicottero, un AB412, che da Ischia lo depositi a Napoli. Deve avere perso l’aliscafo. Giulio Tremonti, ministro dell’Economia e delle Finanze. Parte da Roma Urbe, in fretta e furia, salta sul solito AB412, e si fa depositare ad Anacapri.

L’anno dopo, nel 2004, mentre Gasparri si risparmia il tour ferragostano, segnaliamo un viaggio che senza un mezzo rapido come l’elicottero sarebbe impensabile, il professor Domenico Siniscalco, ministro dell’Economia e delle Finanze, il 17 di agosto, si fa portare da Reggio Calabria a Messina, andata e ritorno; in attesa del ponte sullo Stretto, qualcosa si deve pur fare. Ma forse doveva dare un passaggi a qualcu-no visto che all’andata è solo, e nel viaggio di ritorno carica «4 passeggeri», senza nome, e se li porta oltre lo stretto. Anche l’onorevole Antonio Marzano, ministro delle Attività produttive, si fa portare a Ischia con quattro passeggeri di cui non conosciamo l’identità. È il 10 settembre, se non si approfitta di quegli ultimi scampoli di bel tempo, signora mia.

L’onorevole Michele Vietti, sottosegretario al Ministero Economia e Finanze, accompagnato dalla Signora Vietti, il 19 maggio del 2005, approfittando di una splendida giornata che non era già più primavera, ma inizio estate, si è fatto prelevare a Pratica di Mare da un elicottero AB412, e si è fatto depositare a Ischia. In tempo forse per un buon risotto alla pescatora. Il 21 giugno il ministro Siniscalco, che dai tabulati mostra una passione autentica per il volo sopra località isolane, si fa venire a prendere a Ponza, e se ne torna a Roma in elicottero. Con quattro passeggeri privi di nome. Era martedì, ma si sa la Pontina rimane pur sempre una delle peggiori strade d’Italia. E ci metti ore se non hai un ufficiale dell’esercito che ti viene a prendere in loco.

Anche le strade di Bari, ad esempio possono essere davvero intasate. Il ministro Scajola, che di città di mare se ne intende, e sa quanto possono essere infide, si carica cinque persone a bordo, e si fa portare da una parte all’altra di Bari con un elicottero AB412 HP. Era il 4 di novembre del 2005.

Per non parlare del guardiacoste, sempre della Guardia di Finanza, utilissimo per i trasbordi marini. È tutto un Napoli-Capri, un Capri-Ischia, un Ischia-Napoli, un Trapani-Favignana, andata e ritorno. Tutto a luglio e ad agosto, si in-tende. Protagonisti il ministro Marzano e anche il ministro La Loggia, nell’anno di grazia 2002. Ma ci sono anche tragitti Cagliari Villasimius, e poi Ventotene, e Favignana, e Arbatax, Sorrento, e poi c’è l’uso del guardiacoste per vedersi in mare le regate: il ministro Lunardi, con famiglia, alla regata velica Luis Vuitton Cup «in acque antistanti Trapani». Stesso giorno, ma con un’altra barca, e sempre con famiglia, del ministro Luigi Stanca. Qualche giorno prima un guardiacoste aveva portato il ministro Siniscalco da San Felice Circeo a Ponza, per i soliti motivi istituzionali. E l’onorevole Maria Elisabetta Alberti Castellati da Napoli a Ischia, il 29 giugno, per urgenti esigenze movimento autorità di Governo. Con la XV Legislatura le cose vanno decisamente meglio. Anche se le località non cambiano di molto. E i viaggi sono molto meno frequenti. Spicca tra tutti solo il ministro Pecoraro Scanio che preferisce Ischia fuori stagione, alla fine di maggio, sempre con elicottero AB412, che è proprio tanto comodo. Ma a giugno va a Capri.

Il ministro Padoa Schioppa, fa la spola con Ventotene, spesso e volentieri, ma anche con Capri, Venezia Centro, Venezia Lido, anche il giorno di capodanno, per le consuete esigenze dell’autorità di governo. L’onorevole Paolo Cento un coast to coast Gaeta-Ventotene, ma non molto di più. È proprio vero che siamo un paese di navigatori, e di aviatori...

Pubblicato il: 18.12.07
Modificato il: 18.12.07 alle ore 8.57   
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 19, 2007, 11:22:35 pm »

Non doveva accadere

Roberto Cotroneo


Se la considerassimo una gaffe, faremmo un errore di sottovalutazione. Se dicessimo che è stato un errore politico probabilmente capiremmo molto poco di quello che è accaduto ieri a Roma, in consiglio comunale, con la bocciatura del «Registro delle unioni civili» già istituito in varie altre città, come Padova, Ancona, o Bari. Perché Roma è la città amministrata dal segretario del Partito Democratico.

Perché Roma dovrebbe essere il modello di un Paese che cambia. E invece ha ragione chi dice che quarant’anni fa eravamo più laici e più civili. La Chiesa faceva la sue debite pressioni, lo Stato laico si comportava da Stato laico. Punto. Dunque sì al divorzio, dunque sì alla legge sull’aborto. Sembrava un cataclisma, ed era solo un po’ di modernità e di civiltà, che non ha prodotto cataclismi. Tutt’altro. E adesso?

Adesso sappiamo quanto la Chiesa stia perseguendo la strada di un ritorno al braccio di ferro, quello vero. Adesso vediamo quanto si cerchi di influenzare la politica, e in modo trasversale, affinché tutte le conquiste della cultura laica vadano a finire nel cestino.

E per fare questo la Chiesa si pone come soggetto politico: influenza, scoraggia, convince. Solo che a Roma non doveva accadere quello che è accaduto ieri. Perché Roma è la città di Walter Veltroni, e perché è la capitale di questo paese. Non si può avere la sensazione che esiste un’ambiguità, anche minima, del partito democratico sui temi della laicità, e sui diritti elementari. E non doveva accadere che, come al solito, temi che sono appartenuti nel passato alla cultura illuminata di questo paese, dall’azionismo al socialismo liberale, dai cattolici progressisti, al pensiero radicale e liberale, possano diventare appannaggio e bandiera soltanto della sinistra radicale, e talvolta con quelle consuete venature provocatorie che non dovrebbero fare da corollario a temi serissimi come questi. Per dirla tutta, ci riferiamo ai folcoloristici baci lesbo bloccati dal vigile in consiglio comunale. Non possiamo delegare temi fondamentali per il paese, alle provocazioni e al folclore un po’ idiota. Sarebbe invece il caso di farsi un bell’esame di coscienza, e chiedersi in che direzione voglia andare il partito democratico, soprattutto per capire che tipo di paese ha in mente. Se ha in mente un paese dove i diritti delle coppie di fatto sono diritti fondamentali, o se invece, dobbiamo rassegnarci a mediare di continuo con le gerarchie ecclesiastiche sempre più aggressive e determinate. Un registro delle unioni civile non ha nulla di rivoluzionario. E Roma non può essere da meno di Padova, di Bari, e di Ancona. Anzi.

2. L’intervista che ieri ha rilasciato monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia accademia per la vita, al quotidiano Repubblica è davvero sconvolgente. Monsignor Sgreccia dice sostanzialmente tre cose. La prima: siamo soddisfatti che la proposta di un Registro a Roma non sia passata. E pazienza. Poi fa intendere chiaramente la seconda cosa: se non è passata è perché noi abbiamo fatto tutte le pressioni possibili sul Comune perché non passasse. Tradotto: il comune è di centro sinistra, le pressioni sono sui consiglieri di centro sinistra. Poiché è facilmente immaginabile che Monsignor Sgreccia non faccia pressioni sui consiglieri di Rifondazione, e probabile che li abbia fatte su quelli del partito democratico. E soprattutto sull’area dentro il Pd costituita da quella che fu la Margherita.

Ed è inutile fare gli ipocriti, e fingere che non sia così. Terza cosa. La più agghiacciante, che va citata tra virgolette: «Le coppie di fatto vanno aiutate a superare le loro momentanee difficoltà per accompagnarle al matrimonio. Chi ha particolari tendenze sessuali, come gli omosessuali, non va discriminato, ma aiutato con interventi di tipo psicologico e con terapie adeguate». Parole di monsignor Sgreccia. O meglio ultime parole dell’intervista. Perché, e vai a capire il motivo, la domanda successiva del giornalista dopo affermazioni di questo genere non c’è mai. Permettiamo che sui nostri giornali laici e democratici il presidente della «Pontificia accademia per la vita» definisca gli omosessuali dei «malati da curare», e «con terapie adeguate», senza chiedere spiegazioni, senza una replica, una forma di indignazione. Ma il clima che si sta creando nel paese è questo, e l’intolleranza è purtroppo una polvere sottile che entra dappertutto.

3. Il problema politico non si può sottovalutare. Forse metà del paese è contrario a coppie di fatto o a registri civici. Ma l’altra metà è figlia di una tradizione laica, liberale e progressista, che ritiene certe conquiste, e certi diritti, fondamentali per il rispetto e la convivenza civile. Questa metà è quella che vota, di norma a sinistra (ma non solo), questa metà vorrebbe una posizione chiara dei partiti a cui fa riferimento, e a cui dà il proprio voto. La sinistra prima di essere un’area politica è una galassia culturale, con i suoi distinguo, le sue litigiosità, le sue contrapposizioni, ma anche con i suoi punti fermi. Tra i pochi punti fermi c’è la laicità dello Stato, c’è il rispetto per tutti, c’è il rivendicare una storia lunga e importante, che inizia con l’Assemblea Costituente e dovrebbe arrivare fino a oggi, e che è un patrimonio della parte migliore di questo paese. Il Partito Democratico ha dei doveri, e forse mai come oggi ha bisogno di mostrare la più assoluta chiarezza su questi temi, senza se e senza ma, come si diceva un tempo, e senza soccombere a troppo inutile folclore.



Pubblicato il: 19.12.07
Modificato il: 19.12.07 alle ore 13.01   
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 20, 2007, 10:11:53 pm »

Unioni civili: parlare a tutto il Paese

Giorgio Tonini


Ha ragione Roberto Cotroneo: la votazione del Consiglio comunale di Roma sul registro delle unioni civili «non è stata una gaffe», ma una scelta politica che parla a tutto il Paese.

Perché Roma è la capitale d’Italia e perché Veltroni non è più «solo» il sindaco di Roma, ma anche il segretario del Partito democratico. «Sarebbe il caso», scrive Cotroneo, «di chiedersi in che direzione voglia andare il Pd, soprattutto per capire che tipo di paese ha in mente. Se ha in mente un paese dove i diritti delle coppie di fatto sono diritti fondamentali, o se invece dobbiamo rassegnarci a mediare di continuo con le gerarchie ecclesiastiche sempre più aggressive e determinate». Che «i diritti delle persone che vivono nelle unioni di fatto» (come, per la precisione, recita il programma dell’Unione) siano diritti fondamentali, non solo è indubbio, ma è tema sul quale Roma può vantare una delle esperienze più avanzate del paese. Non c’è diritto, che una amministrazione comunale, in assenza di una organica legge dello Stato, possa riconoscere alle persone conviventi, che il Comune di Roma non abbia in questi anni riconosciuto e garantito.

Per tutto quanto compete al Comune, il soggetto di diritto, interlocutore dell’amministrazione, è la «famiglia anagrafica». In un contesto come questo, l’istituzione del registro delle unioni civili non avrebbe garantito né un diritto, né un servizio in più, rispetto a quelli che il Comune già riconosce e garantisce. Ad essi avrebbe aggiunto, è vero, un’enfasi simbolica: ed è su questo punto che la maggioranza di centrosinistra si è divisa. Il Pd romano, unito, non ha condiviso l’enfatizzazione simbolica. Che avrebbe inutilmente e dannosamente diviso una città che invece, unita, ha già riconosciuto e quotidianamente riconosce ai conviventi tutti i diritti e le opportunità che un Comune può riconoscere.

No, non è stata una gaffe. Ma una decisione politica, figlia della consapevolezza che non solo la città di Roma, ma tutto il paese è stanco di una politica cattiva e inconcludente, che privilegia la chiusura identitaria, sul dialogo e la ricerca di soluzioni condivise ai problemi del paese. Mentre ha una gran voglia, il paese, di una politica più sobria, più propositiva, più costruttiva.

Dinanzi ai diritti delle persone conviventi, una politica che voglia essere costruttiva e propositiva è una politica che prende atto, questa almeno è la mia opinione, che la stagione dei registri delle unioni civili si è conclusa. Ha avuto i suoi meriti, quella stagione, perché ha saputo portare all’attenzione del paese una questione - penso in particolare a quella dei diritti degli omosessuali - troppo a lungo ignorata, rimossa, repressa. Ma ora non è più il tempo della provocazione. È il tempo di costruire risposte concrete. Sul piano amministrativo, come Roma ha saputo fare. Ma anche e ormai soprattutto sul piano legislativo, sul quale il Parlamento invece stenta e tarda. Lì è l’ostacolo da superare, l’intoppo da rimuovere. Come giustamente metteva in evidenza l’ordine del giorno del Pd romano.

C’è chi pensa che quell’ostacolo e quell’intoppo possano essere eliminati con una prova di forza. Sono tra quanti non la pensano così. Cotroneo scrive che «forse metà del paese è contrario a coppie di fatto o a registri civici. Ma l’altra metà è figlia di una tradizione laica, liberale e progressista, che ritiene certi diritti fondamentali per il rispetto e la convivenza civile». Non condivido questa semplificazione. Anche perché, se dovessimo farla nostra, ci condurrebbe alla conclusione che, nell’attuale parlamento - il parlamento che pure ci consente, con Prodi, di governare - una maggioranza per una legge sulle coppie di fatto, semplicemente non c’è. E non per responsabilità del Partito democratico. Per fortuna la semplificazione di Cotroneo non è una descrizione fedele e convincente della realtà. In parlamento, come nel paese, ci sono molte più sfumature e perfino contraddizioni di quelle che siamo disposti a riconoscere. C’è dunque un grande spazio per una politica che punti ad unire e non a dividere il paese sulle grandi questioni etiche che riguardano la vita e la morte, la sessualità e la famiglia. Come avvenne nel 1975, un anno dopo il referendum sul divorzio, quando un vastissimo arco di forze politiche seppe produrre quella grande svolta legislativa e culturale che è stato il nuovo diritto di famiglia.

C’è un tempo per dividere e c’è un tempo per unire. Ce lo ha ricordato in questi giorni Zapatero. Col suo no a chi voleva impegnare il Psoe in una battaglia per la revisione in senso permissivo della legge sull’aborto. Non è saggio, ha detto, dividere il paese su un punto così delicato in questo momento. Non penso si possa imputare al presidente del governo spagnolo un deficit di laicità. Semmai, si deve riconoscergli la saggezza della leadership: non solo di una parte politica, ma di un intero, grande Paese.

Pubblicato il: 20.12.07
Modificato il: 20.12.07 alle ore 8.24   
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