Arlecchino
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« inserito:: Agosto 02, 2020, 05:30:53 pm » |
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Tra i poliziotti tunisini: “Combattiamo i trafficanti criminali, ma ci sono anche i barconi di povere famiglie”
01 AGOSTO 2020
Viaggio a Sfax, frontiera della migrazione verso il nostro Paese, con un ufficiale della Guardia Nazionale: “Sui barconi troviamo di tutto, anche le armi”
DAL NOSTRO INVIATO VINCENZO NIGRO
SFAX - "Su certi barconi troviamo di tutto, hashish, coltelli, spade: la novità di 3 giorni fa è che abbiamo iniziato a vedere anche bombe molotov che gli scafisti erano pronti a lanciare sulla nostra motovedetta. Sono i barconi dei criminali, dei trafficanti, quelli che fanno salire decine di migranti. Ogni barca un guadagno anche di 50/60 mila euro. Poi invece ci sono i barconi delle famiglie. È questa la sorpresa drammatica e dolorosa delle ultime 3 o 4 settimane: papà, mamma, i figli anche piccoli che si imbarcano tutti insieme, di notte con altre famiglie per provare a scappare. Che cosa facciamo allora? Nei casi più drammatici li facciamo tornare a casa, tiriamo da parte i capi famiglia e facciamo loro una lavata di testa come Allah ci impone, una notte in guardina, ma la moglie e i figli li lasciamo andare. Agli altri ci pensano i giudici, i tribunali: li denunciamo tutti, con i criminali nessuna pietà, chi ha precedenti va in carcere sicuro per rimanerci".
Una strada dopo Sfax, dopo una giornata interminabile. In auto è salito il colonnello W., un ufficiale della Guardia Nazionale. Prima in auto da Tunisi, 4 ore fin dentro questa che è la seconda città ed era la capitale industriale del Paese. Adesso l'economia tunisina è malata, avrebbe bisogno della terapia intensiva. Attorno al porto, complice il secondo giorno di festa dell'Aid al Adha, il deserto di cemento e di metalli, la devastazione e l'abbandono sono brutali. Un colpo al cuore e allo stomaco. Sembra una pustola infetta, una cancrena al centro della città e di quello che era il suo business principale, il porto.
Sfax è come un ventaglio aperto e disteso sul mare. Al centro c'è il porto. La caserma della Guardia Costiera, che in Tunisia è gestita dalla Guardia Nazionale, di mattina è deserta. Le motovedette sono tutte ormeggiate dopo i servizi della notte. "Parlate con il portavoce a Tunisi", dice il piantone al cancello. Ma poi arriva il colonnello, è un amico di famiglia di qualcuno, lavora in un altro porto, e sale in auto sull'autostrada al ritorno.
"Si, è vero, tutto quello che si dice sulle famiglie tunisine che partono, è vero", dice il giovane ufficiale vestito in bermuda e maglietta firmata nel giorno di festa. "La migrazione ha ormai due facce: quella dei vari tipi di criminalità che abbiamo conosciuto per anni, i cui capi sono tutti in galera, mentre poco alla volta individuiamo i capi dei nuovi gruppi e proviamo a metterli in carcere. Siamo sempre troppo lenti rispetto alle nuove mafie, ma li inseguiamo e prima o poi li catturiamo. Poi ci sono le famiglie, la gente di un villaggio, che si unisce, compra la barca da un pescatore, e prova a partire. I ragazzi di un bar, che fanno lo stesso con un piccolo fuoribordo. Rotta Nord Est per l'Italia". Il colonnello racconta qualcosa di drammatico: "Il momento peggiore sono i salvataggi notturni: quando le barche, i gommoni si sfasciano o finiscono in avaria, e loro che non sanno nuotare, annaspano, urlano, bevono affogano. È la morte ogni giorno e ogni notte quella che inseguiamo, che proviamo a tenere lontana dai nostri fratelli tunisini e dagli africani che troviamo sulle barche".
Chiediamo: in Italia sono girati video di "propaganda", di tunisini collegati agli scafisti che invitano chi è a casa a partire. Che assicurano i servizi dei loro colleghi trafficanti. "No, io non ne so niente ancora: possono esserci, ma non serve la pubblicità. È la crisi economica che spinge a partire, insieme alla crisi politica. La rivoluzione è stata bellissima, ma con la rivoluzione non si mangia. E loro sperano di mangiare nel Paradiso Europa".
Cosa dice del governo italiano che blocca i fondi di aiuto al vostro governo, che vi chiede di fare di più? "Che qui da noi vige la legge del più forte, i discorsi gentili non pagano, quindi fanno bene a essere duri. Ma che cosa possiamo fare? Siamo senza governo, la politica litiga, la rivoluzione sta perdendo la sua forza e il sostegno del popolo. Il popolo più povero non crede più a nulla, e parte".
Il bar "La Calma", uno dei mille, di Sidi Mansour. Rispetto a Sfax, Sidi è una specie di Ostia, un quartiere gigante della città, soltanto più a Nord. È da questa costa che partono i migranti, il primo punto di imbarco di tutta la Tunisia. In questo bar e in tutti gli altri non si parla di altro: calcio, crisi economica e voglio di scappare. Cinque ragazzi: tre hanno 17 anni, uno 18, l'ultimo 21. Il più grande racconta: "Sono elettricista, ho iniziato a lavorare, il padrone non mi ha pagato, mi ha preso in giro per mesi. Ho litigato, sono senza lavoro". Gli altri: nessuno di loro sa perché continua a studiare (se e quando le scuole riapriranno) e cosa faranno nella vita. "Partire? Tre di noi non vogliono, due ci stanno pensando. Ma non te lo diciamo, nessuno lo dice a nessuno: il giorno prima sei qui a prendere il caffè, la notte sei sulla spiaggia per partire".
"Io ci ho provato tre volte, la terza sono caduto, mi sono fratturato una caviglia e adesso aspetto. Io provavo a inserirmi nei grupponi che si imbarcano di notte, aspettavo con loro, provavo a confondermi fra gli altri, per partire senza pagare. Al primo segnale di luce si esce dalla casa, dal rifugio in cui aspetti la notte. Il secondo segnale di luce vuol dire che la barca è arrivata, che devi correre per imbarcarti".
Ma se avete capito che è così rischioso, che tutto è così disastroso, perché ci provate ancora? "Un cugino era un Sdf, senza domicilio fisso. Non aveva nulla. Ha provato, ha sofferto, ci è riuscito, adesso è in Italia, ha una moglie e un figlio, lavora come pittore nell'edilizia". Racconta un altro: "Il mio amico era minorenne, è partito, è arrivato in Italia: la sorella è venuta a prenderselo dal Belgio, ce l'ha fatta. Adesso vive". Vive, come se prima non avesse una vita, perché questa non è una vita.
Il colonnello W., di cui conosciamo il nome, si passa una mano sul volto sudato. Chiude gli occhi. "Ho idee che non sono le mie, ho il ricordo della Tunisia sotto la dittatura, qualcuno la rimpiange, non io, ma dimmi, giornalista, dove andremo a finire con questa democrazia? Partiremo anche noi poliziotti?".
da repubblica
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