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Autore Discussione: CINA -  (Letto 8646 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Luglio 30, 2020, 07:02:08 pm »

Hong Kong, via i candidati democratici dalle liste elettorali


Arlecchino Batocio
18:49 (11 minuti fa)
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La decisione del governo in vista delle elezioni di settembre. Fra gli esclusi il volto della protesta, Joshua Wong.
Fermati quattro attivisti del movimento https://www.repubblica.it/esteri/2020/07/30/news/hong_kong_arrestati_4_attivisti_menti_della_rivolta_cina-263255039/

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« Ultima modifica: Settembre 28, 2020, 02:42:02 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 18, 2020, 10:49:44 pm »

Rep: Hotpot di Filippo Santelli

18 agosto 2020

Ciao a tutti da Guiyang, capoluogo della provincia del Guizhou, e scusate il ritardo ma ho avuto problemi di connessione.

 
“In Cina le cose più interessanti le ho viste sempre quando sono uscito da Pechino”. Ieri mattina, mentre prendevo il mio primo volo post-coronavirus, ripensavo alle parole di un collega americano con una lunga esperienza di Cina. Gli avevo domandato un consiglio sul lavoro in questo Paese e lui mi ha risposto così: quando puoi esci da Pechino. Forse inconsciamente, ma credo che la sua frase mi ronzasse in testa già qualche giorno fa, quando ho accettato di partecipare a questo viaggio per i media stranieri nella provincia meridionale del Guizhou. Lo organizza l’agenzia stampa di Stato Xinhua e, per esperienze passate, i “contro” mi erano ben noti. Questi tour ufficialissimi, accuratamente disegnati per rispecchiare le priorità del Partito, devono mettere in risalto i successi della Cina. La propaganda può raggiungere livelli di guardia. Eppure sono anche una scorciatoia per avere accesso a realtà altrimenti difficili da raggiungere, in un Paese dove le richieste dei giornalisti stranieri sono accolte con diffidenza estrema, se non ignorate. Soprattutto, sono un’occasione per uscire da Pechino.


Ma che significa “andarsene da Pechino”? Perché è così importante? Potrei usare un’immagine per spiegarvelo. Ieri, quando sono uscito dal portellone dall’aereo sulla pista di Guiyang il panorama mi ha lasciato a bocca aperta. Ero circondato da colline ricoperte di vegetazione, mentre dei nuvoloni lasciavano intravedere un cielo azzurro intenso. Erano settimane che non vedevo colori così vivi. A Pechino tutto è sbiadito, a causa della cappa di inquinamento e umidità che avvolge regolarmente la città, già di suo spoglia e secca come molto del Nord cinese. L’impressione, credo di avervelo già detto, è quello di essere dentro a una teca di plexiglass. La sensazione, specie d'estate, di soffocare.

 
E’ anche una metafora: quella di una città costruita attorno al potere, per preservarlo, e dal potere compressa. Una città dove si decide per tutta la Cina, ma che spesso sembra lontanissima dal resto del Paese. Le storie che arrivano dalle province dell'impero aprono squarci su mondi diversi. In poche ore qui a Guiyang, le prime, ho già visto diverse cose stupefacenti. La prima è una città che sta costruendo all’impazzata. I grattacieli di vetro del centro (sotto, uno scorcio) sono tutti nuovissimi ma, nonostante l’impressione di spazi già sovradimensionati, i cantieri proseguono, le gru svettano ovunque e a fine turno gli operai circolano in gruppi per le strade tenendo in mano i loro caschetti gialli. Siamo nel Sudovest della Cina, in una delle province povere al centro del nuovo piano di sviluppo del governo. E mentre Pechino è ferma, o al massimo si dedica alla manutenzione ordinaria, solo venendo qui si capisce perché l’economia cinese stia rimbalzando e come questa ripresa sia basata su una vecchia ricetta, efficace quanto pericolosa, cioè massicci investimenti in ediliazia e infrastrutture.


La seconda cosa che ho notato è come qui il coronavirus appaia una minaccia lontana, nel tempo e nello spazio. A differenza di Pechino, la città da difendere a ogni costo, dove tutti portano ancora la mascherina e all’ingresso dei locali ti chiedono di mostrare la app con il codice sanitario, qui a Guiyang la mascherina non la mette quasi nessuno, né per strada né ai tavolini dei ristoranti che nel fresco della sera (siamo a 1200 metri) servono deliziosi spiedini d’agnello su una focaccia al sesamo (sotto, la preparazione degli spiedini). Mi chiedevo perché tutti mi guardassero strano, poi ho capito che io, straniero, ero l’unico a indossarla. D’altra parte l’ultimo caso confermato nella provincia risale alla metà di marzo. Eccesso di confidenza? Incoscienza? Non saprei. Però si respira liberamente, ed è anche una metafora.

 
Ecco, forse il consiglio del mio collega va un po’ corretto. Forse per capire bene (o un po’ meglio) la Cina è sempre necessario tenere in mente questa duplicità, o meglio ancora questa molteplicità. Pechino, quello che rappresenta, e tutto ciò che Pechino non è. Una Cina, che è tante Cine.


Letture cinesi

Pure questo è un consiglio per super appassionati, anche detti "nerd". La scorsa settimana ho letto Lavoro e diritti in Cina, un bellissimo saggio di Ivan Franceschini, tra i maggiori esperti al mondo sul tema. Il libro è uscito nel 2016, ma è ancora attuale per capire l'ambiguità del Partito comunista (sì, comunista) cinese nei confronti dei "suoi" lavoratori. Attraverso interviste con gli operai, Franceschini spiega perchè la consapevolezza dei diritti in Cina è ancora embrionale, perchè le forze del lavoro non riescono a organizzarsi e come il Partito agisce per impedire che ciò avvenga. In una formula, visto che siamo in tema di nuove Guerre Fredde: perchè in Cina non vedremo una Solidarność. 

 
Sto raccontando il mio viaggio in Guizhou su Instagram, se vi va seguitemi.

Buon Hot Pot a tutti!

Filippo
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 05, 2020, 06:54:43 pm »

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https://www.scmp.com/news/china/article/3100335/xi-jinping-calls-freer-service-trade-china-tries-counter-decoupling
 
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 05, 2020, 06:57:28 pm »

La leggendaria storia delle arti marziali cinesi: dalle origini antiche al live action di Mulan | National Geographic

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« Risposta #4 inserito:: Settembre 10, 2020, 10:34:33 am »

US lawmakers want to stop calling Xi Jinping a President. But will he care? - CNN

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« Risposta #5 inserito:: Settembre 12, 2020, 11:44:13 pm »

Rep: Hotpot di Filippo Santelli
08 settembre 2020

Ciao a tutti da Pechino, dopo una piccola pausa di qualche giorno è di nuovo tempo di Hotpot.

Ieri qui a Pechino sono tornati in classe anche gli ultimi allievi della scuola dell'obbligo, dal grado 1 (la prima elementare, 6 anni) al grado 12 (ultimo anno di superiori, 18 anni). All'ingresso degli edifici, sotto dei tendoni da campo, viene misurata loro la temperatura, disinfettate mani e suole delle scarpe. Da oggi poi, fino a giovedì, riaprono anche gli asili, dopo che tutti gli insegnanti sono stati sottoposti a una serie di test sanitari. E' fatta: il ritorno a scuola di bambini e ragazzi, senza alcuna limitazione sul numero di alunni per classe, è uno dei segnali che le autorità cinesi considerano il coronavirus ufficialmente sconfitto. Sarebbe impensabile altrimenti mettere in pericolo la gioventù nazionale. Ma di segnali ce ne sono anche altri. I cinesi hanno ripreso a viaggiare all'interno del Paese, gli aeroporti sono ancora mezzi vuoti ma le località turistiche sono di nuovo affollate. In alcune province che ho visitato di recente, come il Guizhou dove sono stato per lavoro (qui un po' di videoracconto) e lo Yunnan per una splendida mini vacanza (qui), le persone non portano più le mascherine per strada. Anche a Pechino la si indossa di meno, e la si toglie tutti senza paura dentro i locali. Hanno riaperto perfino i cinema. D'altra parte sono 22 giorni consecutivi ormai che la Cina non registra alcun positivo "locale" al coronavirus, gli unici sono quelli che arrivano dall'estero. 

Certo non tutto è tornato come prima. Restano le app sanitarie delle varie province, il codice verde da mostrare all'ingresso di determinate aree, locali o edifici pubblici. E ovviamente restano rigidamente controllate le frontiere esterne, con limitazioni dei voli in ingresso e quarantena "centralizzata" di due settimane per chi arriva, in hotel designati dalle autorità. Eppure, al netto di questo e con tutte le cautele del caso, si può dire che al momento la Cina ha vinto la sua battaglia ed è il primo grande Paese del mondo ad essere entrato nell'Era "post-Covid", mentre il resto del pianeta ancora fatica a gestire seconde e terze ondate, riaperture scolastiche e app di tracciamento. Non a caso oggi, in una grande cerimonia a Pechino, il presidentissimo Xi Jinping premierà i benemeriti della nazione che si sono distinti nella battaglia, a cominciare dai medici di prima linea.

Una domanda e una considerazione. La domanda che mi sono fatto in questi giorni è se davvero i contagi in Cina siano davvero arrivati a zero, come il regime lascia intendere e molti cittadini mostrano di credere. Qualsiasi epidemiologo vi direbbe che è altamente improbabile, che il virus circola ancora sotto traccia. Ma se la spensieratezza che ho visto in certe parti del Paese, dove non si praticano più distanziamento né mascherina, può apparire rischiosa, allo stesso tempo il governo ha mostrato di saper agire con velocità ed estrema decisione ogni volta che spunta un nuovo focolaio, tracciando i contatti, mettendo in lockdown le comunità interessate e testando milioni di persone, come è stato fatto a Wuhan, a Pechino e più di recente in Xinjiang.

La considerazione è quindi che bisogna riconoscere alla Cina, ai suoi cittadini e al suo governo, i meriti che si sono guadagnati sul campo. Lo stesso regime che per le sue fisiologiche disfunzioni all'inizio ha ignorato, sminuito o peggio nascosto la minaccia, quando si è messo in moto ha mostrato una capacità di mobilitazione collettiva incredibile, una delle chiavi per affrontare una emergenza sanitaria del genere. Ovviamente un sistema autoritario ha delle leve che le democrazie non possiedono. Ma la dicotomia "autoritarismo contro democrazia" non spiega in maniera efficace i successi o gli insuccessi nell'affrontare il virus, visto che regimi democratici come Taiwan o la Corea del Sud hanno bene quanto la Cina. La chiave mi sembra piuttosto nel livello di fiducia nei confronti di un sistema, delle sue istituzioni e delle sue regole, fiducia che nel mondo Orientale è profondamente legata alla tradizione confuciana. Ridurre questo all'autoritarismo, alla repressione o alla propaganda sarebbe sbagliato. Dal primo all'ultimo momento c'è stata nella maggior parte dei cittadini cinesi la consapevolezza che spettasse al governo gestire, governare appunto, la situazione, e che rispettare le disposizioni fosse la cosa da fare nell'interesse individuale e collettivo. Se fossi in Xi Jinping e nel Partito comunista archivierei questo "cigno nero" chiamato coronavirus come un grande attestato di solidità, almeno a livello interno.

Ultime dalla Cina
Si è concluso il viaggio in Europa del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, di cui siamo stati i primi a anticipare l'itinerario. L'obiettivo era ricucire i rapporti con alcuni dei principali governi dell'Unione, Italia compresa, incrinati dall'aggressività della propaganda cinese durante la crisi virale (l'altra faccia del successo di cui parlavo sopra) ed evitare così che si saldi con gli Stati Uniti un fronte atlantico contro la Cina, possibile soprattutto se vincerà Biden. Il bilancio è fallimentare, visto che Wang si è presentato senza concessioni concrete da offire all'Europa e ha dovuto ascoltare critiche a ogni tappa del suo viaggio, perfino dal solitamente timido Di Maio. Lunedì prossimo è previsto un importante meeting in videoconferenza tra i vertici della Commissione, più Angela Merkel, e Xi Jinping. L'Europa attende passi avanti concreti sul trattato sugli investimenti che da anni discute con Pechino e per Xi questa è una delle ultime occasioni per concederli prima delle elezioni americane.

A parte questo, ho incontrato Guo Pei, la più grande stilista di Cina. Una che è cresciuta durante la Rivoluzione cultuale, quando un bell'abito era un crimine politico, ha vissuto la straordinaria apertura del Paese, l'arrivo della moda e dei colori, le prime fabbriche private e ha finito per vestire Rihanna con un abito a forma di frittata. Racconto tutto qui.

Letture cinesi
Ho finito di leggere Country Driving, il bellissimo libro in cui Peter Hessler, insegante e scrittore americano trapiantato in Cina, racconta le sue avventure sulle strade del Dragone all'inizio degli anni 2000. Oltre ad avere una grande penna, è raro trovare una persona dallo sguardo così umano e profondo. Trovo che in mezzo a quella che molto definiscono una Nuova Guerra Fredda, la Cina rischi di essere disumanizzata, schiacciata sul volto e sulle parole dei media dei regime o dei funzionari di Partito. Proprio di recente Hessler è stato criticato perchè il suo punto di vista sarebbe troppo ristretto e lascerebbe fuori un contesto di autoritarismo e repressione che va sempre esplicitato. Io trovo invece che le sue pagine offrano una prospettiva diversa e più vicina alla quotidianità, di cui c'è estremo bisogno per chi oggi vuole capire la Cina.
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« Risposta #6 inserito:: Settembre 19, 2020, 06:22:51 pm »

La sorte degli uiguri è cruciale per i rapporti tra Cina e occidente - Pierre Haski - Internazionale

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« Risposta #7 inserito:: Settembre 20, 2020, 07:18:38 pm »

16 settembre 2020

Ciao a tutti da Roma, dove sono tornato per stare un po' con la mia famiglia.

 
Alla fine flop è stato. Nel suo primo weekend nei cinema cinesi Mulan, il film Disney che proprio per conquistare la Cina era stato pensato, ha incassato appena 23 milioni di dollari. Non un fallimento totale, ma una cifra ben distante da quella che i produttori della pellicola, costata la bellezza di 200 milioni di dollari, si auguravano di realizzare.

 
L'uscita del film è stata preceduta da polemiche politiche di ogni tipo. Prima gli attivisti pro democrazia di Hong Kong hanno invitato a boicottarlo per la presa di posizione dell'attrice protagonista a favore della polizia cittadina, e contro i manifestanti. Quindi è finito sotto accusa da parte delle organizzazioni dei diritti umani per le riprese effettuate nello Xinjiang, la provincia dove il regime cinese sta conducendo una campagna di rieducazione forzata ai danni della minoranza musulmana.


Ma la fredda accoglienza da parte dei cittadini cinesi non ha ovviamente a che fare con queste ragioni politiche. Al contrario, è legata all'obiettivo principale della Disney, cioè creare un prodotto che piacesse al pubblico cinese, secondo botteghino al mondo destinato presto a diventare il primo. Questo obiettivo ha ovviamente una componente politica, visto che per uscire nelle sale del Dragone il film ha bisogno del via libera della censura: per assicurarselo i produttori hanno messo bene al centro della sceneggiatura la fedeltà della protagonista all'imperatore. Ma ha soprattutto una componente estetica e culturale, ed è questa che è risultata del tutto stonata, al di là della scelta del cast composto per intero da attori di origine cinese.

 
E' nel cercare di ammiccare alla sensibilità dei cinesi che gli sceneggiatori della Disney hanno compiuto una serie di errori grossolani. Il primo è la mancanza di accuratezza nel maneggiare gli elementi della storia e della cultura locale. Un simbolo di queste imprecisioni è il concetto di qi, che nella cultura cinese indica la forza vitale che scorre nel corpo umano e nell'universo, ma che nel film assume i connotati di una componente psicologica, lo spirito indomito di Mulan che la porta a rifiutare gli stereotipi e combattere. Il secondo errore è proprio il tentativo di rappresentare l'eroina guerriera come un modello di femminismo, posizione che in Cina viene vista con diffidenza. A sintetizzare tutto questo, qualcuno ha definito il film la versione occidentale di un pasto cinese.

 
Ma Mulan conferma anche che sta diventando sempre più difficile per Hollywood produrre dei film che piacciano sia alla Cina che al resto del mondo (esclusi i supereroi Marvel). Specie quando quei film escono con la fama di voler conquistare la Cina. E' come se, man mano che il Dragone prende confidenza con il suo status di nuova superpotenza globale, i cittadini diventassero sempre più allergici a ogni tentativo del resto del mondo di rappresentare il Paese. Un sentimento che potrebbe anche spiegare, al rovescio, il successo di produzioni cinesi come Wolf Worrior, il Rambo mandarino, o The Wandering Earth, primo blockbuster di fantascienza prodotto nel Paese, nonostante una qualità ancora lontana dalle politiche hollywoodiane. Ora la Cina vuole raccontare se stessa.


Ultime da Oriente

Nelle ultime ore sono successe parecchie cose di rilievo. Il primo è il summit virtuale tra i leader della Ue e il presidente cinese Xi Jinping. L'incontro è stato interlocutorio, le parti non hanno escluso la possibilità di chiudere entro la fine dell'anno l'accordo bilaterale sugli investimenti, il principale dossier sul tavolo, ma l'assenza di passi avanti concreti non fa essere ottimisti.

 
La seconda è il rifiuto da parte del social network cinese TikTok dell'offerta di acquisto da parte di Microsoft. TikTok sembra avere un accordo di partnership tecnologica (non di vendita) con l'altro colosso americano Oracle, ma è improbabile che questo basti a Donald Trump, che aveva detto di voler vedere il social in mani americane.


La terza notizia viene dal Giappone: il Partito liberal democratico, come da attese, ha scelto come nuovo presidente, e quindi come nuovo premier, Yoshihide Suga, il braccio destro di Shinzo Abe costretto alle dimissioni per motivi di salute. Suga è una scelta di continuità, ma il suo profilo non potrebbe essere più diverso da quello di Abe, come racconto qui.

 
Una storia interessante: per la prima volta in Cina l'onnipresente riconoscimento facciale finisce sul banco degli imputati.

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« Risposta #8 inserito:: Settembre 24, 2020, 12:32:18 pm »

La Cina si impegna a diventare carbon neutral prima del 2060 | Ambiente | Il guardiano

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ggiannig <ggianni41@gmail.com>

mer 23 set, 08:27 (1 giorno fa)
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https://www.theguardian.com/environment/2020/sep/22/china-pledges-to-reach-carbon-neutrality-before-2060

 
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« Risposta #9 inserito:: Settembre 28, 2020, 02:41:45 pm »

Who runs Hong Kong: party faithful shipped in to carry out Beijing's will

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https://www.theguardian.com/world/2020/sep/28/who-runs-hong-kong-party-faithful-shipped-in-to-carry-out-beijing-will-security-law?CMP=share_btn_link
 
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« Risposta #10 inserito:: Ottobre 03, 2020, 07:45:56 pm »

'In my dreams I'm there': the exodus from Hong Kong

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gio 1 ott, 08:40 (2 giorni fa)
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https://www.theguardian.com/world/2020/oct/01/in-my-dreams-im-there-the-exodus-from-hong-kong?CMP=share_btn_link
 
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« Risposta #11 inserito:: Ottobre 04, 2020, 10:19:14 pm »


Demoralised but defiant, Hong Kong's spirit of resistance endures | World news | The Guardian

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mar 29 set, 09:39 (5 giorni fa)
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https://www.theguardian.com/world/2020/sep/29/dispirited-but-defiant-hong-kongs-spirit-of-resistance-endures
 
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« Risposta #12 inserito:: Ottobre 05, 2020, 07:10:05 pm »

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08:31 (10 ore fa)
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https://video.corriere.it/coronavirus-ecco-come-l-economia-mondiale-crolla-dove-cina-guadagna/7fe381b0-0659-11eb-a2e0-350f742b3f9d
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« Risposta #13 inserito:: Ottobre 13, 2020, 11:26:15 am »

Unfavorable Views of China Reach Historic Highs in Many Countries | Pew Research Center

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09:29 (1 ora fa)
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https://www.pewresearch.org/global/2020/10/06/unfavorable-views-of-china-reach-historic-highs-in-many-countries/
 
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« Risposta #14 inserito:: Ottobre 13, 2020, 11:31:36 am »


La Cina sta perdendo la faccia

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Rep: | Hotpot - Cosa bolle in Cina <rep@repubblica.it> Annulla iscrizione
08:02 (3 ore fa)
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Rep: Hotpot di Filippo Santelli
 
13 ottobre 2020


Ciao a tutti da Roma.

Ferie finite: fra un paio di giorni ripartirò per la Cina, dove mi aspetta la mia quinta quarantena (scusate il gioco di parole), stavolta nella metropoli di Nanchino. Spero che l'albergo-nosocomio dove le autorità ci metteranno sia dignitoso come il precedente a Tianjin, la prossima settimana vi racconterò tutto qui su Hotpot. Nel frattempo, forte della mia esperienza di uomo più "quarantenato" del mondo, mi premunirò con la tradizionale scorta di marmellatine, taralli e tonno sott'olio.

 
Ma non anticipiamo.

La scorsa settimana l'istituto di ricerca Pew ha pubblicato il sondaggio annuale che fotografa l'opinione che i Paesi più sviluppati del mondo hanno della Cina. Il risultato, visto da Pechino, dovrebbe essere allarmante (sul perché di questo condizionale dirò di più dopo): non solo in tutti e 14 gli Stati una maggioranza dei cittadini esprime un'opinione negativa sul Dragone, ma in molti di questi, per esempio Germania, Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Corea del Sud, l'incidenza dei critici è ai massimi da quando il sondaggio viene effettuato, una decina abbondante di anni. Il grafico sotto mostra in modo chiaro come le opinioni negative (linea blu) si siano impennate nel corso delle ultime due o tre rilevazioni.


La ragione del peggioramento più recente sono i giudizi assai critici sul modo in cui Pechino ha gestito l'epidemia di coronavirus. Un mezzo paradosso, considerato che la Cina è stata la primissima potenza a contenere il virus e al momento, nonostante un mini focolaio spuntato nella città di Qingdao, ha ritrovato una sostanziale normalità. Eppure la percezione negativa degli intervistati è probabilmente legata alla mancanza di trasparenza e al presunto ritardo nella comunicazione iniziale dell'epidemia, che avrebbe permesso al virus di propagarsi. Tra i cittadini dei 14 Paesi interpellati, il 61% ritiene che Pechino abbia gestito male Sars-Cov-2, molto peggio dell'Unione europea o dell'Oms. Solo gli Stati Uniti ottengono un "voto" peggiore. Allo stesso tempo anche la sfiducia nei confronti di Xi Jinping si impenna: il 78% degli interpellati non pensa che il presidente cinese sia in grado di fare "le cose giuste" per il mondo. Di nuovo: tra i leader globali solo Trump ha un voto peggiore.

 

Nel commentare questo sondaggio così negativo, i media di regime hanno dato la colpa alla propaganda anticinese degli Stati Uniti, che con argomenti spesso poco solidi o vere illazioni hanno continuato ad attribuire alla Cina le responsabilità della pandemia. E' una spiegazione plausibile, considerato l'oggettivo successo di Pechino con il virus. Ma spiega solo a metà, la metà che fa comodo al regime. Alla base di questa ondata di sfiducia globale verso Pechino infatti c'è anche l'atteggiamento molto aggressivo della propaganda e della diplomazia cinesi durante la crisi sanitaria, quando il regime non ha esitato a usare toni aspri o notizie false per difendere la propria immagine. E in un orizzonte ancora più ampio, a penalizzare la reputazione del Dragone è il crescente autoritarismo mostrato dalla leadership di Xi Jinping negli ultimi mesi, dalla stretta su Hong Kong alle esercitazioni militari attorno a Taiwan, dalla rieducazione delle minoranze musulmane alle minacce di ritorsioni contro le potenze straniere, colpevoli di questa o quella "ingerenza".

 
E così, ancora una volta, l'ennesima, il virus sembra aver solo accelerato dinamiche che erano già all'opera. Parallelamente alla crescita della sfiducia verso la Cina dei cittadini occidentali, c'è stata anche una presa d'atto da parte dei loro governi, in particolare quelli europei, che Pechino è un interlocutore poco affidabile, un concorrente e un rivale, oltre che un partner. La sostanza è che mai negli ultimi anni il Dragone aveva avuto un'immagine internazionale (o almeno "occidentale") così negativa. Il problema è che al suo interno il regime sembra invece godere di un apprezzamento molto solido da parte dei cittadini, anche e soprattutto per il modo in cui ha gestito l'epidemia. I fattori e le dinamiche di consenso interni alla Cina sono sempre più disallineati, se non addirittura contrapposti a quelli di consenso esterno. Detto in altre parole: ciò che per il regime è utile a cementare il Paese e consolidare il proprio potere, l'assoluta priorità, lo rende sempre più ostile agli occhi dell'Occidente.

 

Letture cinesi

Come ogni vacanziere che si rispetti, anche io negli ultimi giorni mi sono dedicato al poliziesco, ma con caratteristiche cinesi. Ho letto Processo a Shanghai, l'ultimo episodio della saga del commissario Chen Cao creata dal giallista cinese, ma residente negli Stati Uniti, Qiu Xiaolong. Questa volta l'eclettico commissario Chen (che qualcuno ha definito "il Montalbano cinese") indaga su dei casi di omicidio verificatisi a Shanghai, ma come sempre la sua è soprattutto un'indagine sull'evoluzione della Cina, la ricerca di uno spazio per il diritto e per la giustizia in un sistema in cui la giustizia è subordinata ad altro. Interessante punto di vista sulla Cina, ma quanto a letteratura, francamente, è molto meglio Camilleri.

 
Per questa settimana è tutto. Racconterò il mio ritorno in Cina, con tamponi e quarantene varie, su Twitter e Instagram.

Buon Hotpot a tutti!

Filippo


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