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Autore Discussione: Hotpot di Filippo Santelli  (Letto 1142 volte)
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« inserito:: Luglio 21, 2020, 07:20:24 pm »

Rep: Hotpot di Filippo Santelli

21 giugno 2020

Ciao a tutti da Pechino, che sta lentamente tornando alla normalità. O meglio, che sta prendendo le misure alla sua nuova normalità virale.


Sabato, per la prima volta da quando ho rimesso piede qui in Cina, mi sono avventurato ad un concerto. Mi ha invitato un'amica, stupendomi: non credevo che gli eventi con musica dal vivo fossero di nuovo autorizzati, dopo la seconda ondata che ha colpito la città un mese fa. E la sorpresa è stata doppia, visto che il concerto era al Jianghu, uno dei miei locali preferiti, ma che credevo chiuso per sempre. Si trova dentro una casa a corte negli hutong, i magici vicoletti della vecchia Pechino, con un piccolo palco dove si strizzano band locali più o meno underground, ma quasi sempre valide (sabato, un misto folk e reggae). L'ultima notizia che mi era arrivata, alla fine dello scorso anno, era che il Jianghu aveva dovuto chiudere, colpito come tanti altri locali dalla campagna di "bellificazione" degli hutong, che nel gergo dell'amministrazione di Pechino significa eliminare ogni attività non a norma per trasformare il centro in un'asettica (quindi controllabile) attrazione turistica. Invece no: nonostante la "bellificazione" e nonostante il virus, lo Jianghu è ancora lì, con mia grande gioia.

"Hanno chiuso e riaperto una marea di volte", mi ha spiegato l'amica, che vive a Pechino da 15 anni. La vita dei locali indipendenti della capitale è sempre più così, sul filo, sermpre pronti a schivare il regolamento urbanistico di turno, fino a quando non è più possibile. Per il Jianghu, d'altra parte, è nomen omen. Provo a spiegarvelo, anche se non è facile. Alla lettera "jianghu" (江湖) significa "fiumi e laghi", ma in realtà designa la comunità dei combattenti nei racconti cinesi di arti marziali, e per estensione tutte quelle figure che si muovono ai margini della società, tenendosi lontano dal potere e dai suoi funzionari, spesso corrotti, e seguendo un proprio codice di condotta morale. Un mondo, o vari mondi di mezzo, che vanno dalle comunità anarcoidi degli artisti alle triadi della mafia cinese. Mondi che fino a qualche anno fa in Cina trovavano spazio e ora sempre meno, schiacciati da un regime ossessionato dal controllo del territorio e della narrativa. In una pausa del concerto la mia amica sintetizza con un'immagine, non so quanto metaforica: "Dieci anni fa qui ci saremmo tutti fumati una canna". Oggi nessuno porta la mascherina, è la massima trasgressione.

Se c'è una cosa che mi dispiace è non aver vissuto la Cina che mi raccontano le persone che abitano qui da più tempo, diciamo dagli anni Zero. Una Cina in cui, se non tutto, molto (di più) era possibile, in pensieri, parole e azioni. Forse è un caso, ma ho appena finito di leggere un libro che in qualche modo parla anche lui di "jianghu". E' un saggio accademico, quindi ve lo consiglio solo se siete dei nerd di Cina, per gli altri lo riassumo. Si intitola Minjian, è scritto da Sebastian Veg, un professore di cultura cinese del XX secolo, e parla degli intellettuali "della gente comune", minjian appunto, gli inglesi direbbero "grass-roots". Sono una serie di scrittori, documentaristi, artisti, avvocati, storici dilettanti, giornalisti e blogger che tra gli anni '90 e gli anni '10 del nuovo millennio hanno operato in Cina al di fuori dei tradizionali circoli intellettuali, del mondo accademico e di quello politico, ricavandosi delle nicchie di critica della società (e del potere) attraverso l'impegno attivo su temi concreti, come la condizione dei lavoratori migranti o la riabilitazione delle vittime cancellate della Rivoluzione culturale. Un universo affascinante fatto di riviste corsare, comunità di artisti ai margini delle città, storia orale raccolta nei villaggi, sottocultura digitale. Filoni diversi, con una triste cosa in comune: più o meno nello stesso periodo, tra il 2015 e il 2016, il regime li ha ridotti tutti al silenzio. Chi è finito in galera, chi è emigrato, chi si è ritirato nel silenzio. Fiumi e laghi di Cina, improvvisamente prosciugati.

 
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Non passa giorno senza che gli Stati Uniti annuncino qualche nuova misura contro la Cina, e Pechino le relative ritorsioni. La scorsa settimana la Casa Bianca è tornata a ipotizzare il bando di TikTok, il social network amato dai giovani di proprietà del colosso pechinese ByteDance, accusato di essere uno strumento dello spionaggio comunista. Diventerà la nuova Huawei? Qui cerco di dare un po' di contesto, utile per farvi una vostra idea.

A proposito di Huawei: con una spettacolare giravolta il Regno Unito ha deciso di eliminarlo dalle reti 5G nazionali, una grande vittoria per l'alleato americano. Ora la partita si sposta in Europa continentale, come racconto in questo pezzo parlando con una bravissima analista, Rebecca Arcesati. Il fronte decisivo per gli equilibri è la Germania, dove Merkel è contraria al bando.

Nel mezzo di questa zuffa con gli Stati Uniti, la Cina mette a segno un 3,2% di crescita nel secondo trimestre, confermandosi la prima delle maggiori economie mondiali a risollevarsi dalla crisi virale. Un bel successo per Xi e la leadership, anche se non sarà facile completare il rimbalzo e tornare al punto di partenza.

A Hong Kong, finora colpita solo marginalmente del virus, si teme per una nuova ondata epidemica, che al momento pare anche la più grave. La governatrice Carrie Lam ha detto che la situazione è critica, c'è chi ipotizza un lockdown. Ma dopo la legge sula sicurezza entrata in vigore in città, ogni mossa sanitaria è destinata ad assumere una valenza politica. 

Per commenti, apprezzamenti, insulti o eventuali mi trovate su Twitter e Instagram.

Buon Hot Pot a tutti!

Filippo
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