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Il Piano Colao sugli appalti pubblici è un altro flop. Ecco perché
Scritto da Francesco Bruno il 15 Giugno 2020
Sono anni che si discute della revisione, sospensione o cancellazione del Codice degli appalti [1] (“Codice” nel prosieguo).
Media, tecnici, politici… Tutti sembrano concordare sull’opportunità di far qualcosa, con il fine di poter accelerare i processi burocratici che spesso si interpongono tra le decisioni della politica e l’esecuzione effettiva di quanto deciso.
Il tema è affrontato anche nel corposo rapporto predisposto dal “Comitato di esperti in materia economica e sociale”, cosiddetto “Piano Colao”.
Il principio indicato è quello di una “revisione del codice degli appalti per allinearlo agli standard europei”. L’esplicazione dello stesso è invece contenuta nell’iniziativa n. 22 delle schede di lavoro. Nella voce “Contesto”, si trovano concetti che ho affrontato diverse volte su questi pixel, relativi soprattutto al difficile equilibrio tra “polo della legalità vs. polo dell’efficienza”, ben centrato dal comitato che scrive «In tutti i casi nei quali si è privilegiata una sola delle esigenze contrapposte si è ottenuto un effetto positivo immediato lungo quella direttrice, rapidamente compensato dalla reazione opposta.»
La parte delle “azioni specifiche” però, appare meno lineare. Il filo logico e semantico non è chiarissimo, ma sembrerebbe che si suggerisca di abrogare il Codice vigente e di passare ad un’applicazione della “Direttiva + integrazione minima”, che potrebbe essere transitoria o, perché no, permanente.[2] Credo, ma sono pronto ad essere smentito, che il passaggio sottintenda un messaggio alla politica: visto che un tentativo di riforma organica richiederebbe tempi biblici, per un paio di anni procedete come avete fatto per ricostruire il Ponte Morandi o garantendo alle stazioni appaltanti gli stessi poteri concessi al Commissario Arcuri.
Le intenzioni le comprendo e non sono di certo malvagie, ma mi sorgono spontanee due riflessioni.
La prima è di metodo. In tema di riforme, il Paese continua ad oscillare da un eccesso all’altro. C’è troppa burocrazia negli appalti? Sospendiamo il Codice. Ci sono degli arresti per un affidamento diretto al cognato del funzionario pubblico? Scriviamo subito una legge sugli appalti da centinaia di pagine. Medesimo approccio sul fisco ad esempio, dove si oscilla tra lotte serrate agli “evasori veri” e condoni più o meno evidenti. Un approccio deleterio, che -nel caso degli appalti- continua a comportare diverse incertezze agli operatori.
La seconda riflessione è di contenuto. Il Comitato (e non solo) punta molto sulle Direttive europee. Una delle tre direttive dalle quali discende il Codice (Direttiva 2014/24/UE), si applica agli appalti di lavori, forniture e servizi di valore superiore a determinate soglie. Il Codice, all’articolo 36, disciplina soglie molto più basse, prevedendo l’ipotesi di affidamento diretto solo al di sotto dei 40 mila euro (la soglia comunitaria rilevante per gli appalti pubblici di lavori è superiore ai 5 milioni di euro).
Cosa suggerirebbe il Comitato su questo aspetto? Non c’è miglior presidio di legalità rispetto alla trasparenza delle procedure ed alla possibilità di partecipazione per il maggior numero di imprese. Perché saranno gli offerenti ad evidenziare le eventuali carenze dei bandi o delle aggiudicazioni, avendo un interesse diretto nella questione. Saranno loro, quindi, a garantire l’interesse pubblico seppur mossi da un fine privato. Se si eliminasse o riducesse il meccanismo competitivo in nome di una maggiore efficienza (con maggiori affidamenti diretti), si creerebbero problemi di legalità ingestibili. Che finirebbero, come detto sopra, ad una successiva feroce repressione giustizialista. D’altronde, anche nelle aziende private strutturate, gli uffici acquisti sono tenuti ad espletare procedure competitive tra più fornitori al di sopra di determinati importi. Sia per ragioni di compliance sia per poter ottenere risparmi o offerte qualitativamente maggiori.
Potrebbe anche essere che la concorrenza verrebbe tutelata con “l’integrazione minima” alla Direttiva auspicata dal Comitato. Quest’ultimo non si espone in proposito ed è inutile fare un processo alle intenzioni. Ma è bene chiarire che se il sottinteso del Comitato e di chi vorrebbe mettere in stand-by il Codice è quello di limitare la concorrenza nel settore dei contratti pubblici, il gioco non varrebbe sicuramente la candela. E la recessione non potrebbe essere una ragione sufficiente.
Tuttavia, non si vuole negare che concorrenza significhi anche litigiosità e contenziosi, che spesso rallentano o bloccano l’esecuzione delle gare pubbliche. Se la tutela giurisdizionale è irrinunciabile e, per fortuna, la giustizia amministrativa è abbastanza celere, si dovrebbe comunque puntare sulla qualità delle stazioni appaltanti nel costruire una lex specialis difficilmente attaccabile. Ma ciò è possibile solo qualora la normativa sia sufficientemente chiara, anche per indebolire eventuali azioni legali strumentali.
Ma ci sono anche altri profili che rallentano le procedure. Ad esempio, un elemento che provoca l’aumento dei contenziosi riguarda il privilegio del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, introdotto anch’esso per profili di legalità più che di efficienza, ma che spesso finisce per privilegiare i bandi costruiti ad hoc. Sicuramente il criterio del minor prezzo facilita la scelta del contraente, mentre i rischi di legalità causati da tale criterio di scelta potrebbero essere temperati da un ripensamento dell’istituto del procedimento di verifica dell’offerta anomala e attraverso le garanzie che l’aggiudicatario deve prestare.
Un altro esempio, se si vuole alleggerire il peso burocratico collegato al Codice, riguarda l’opportunità di ripensare la normativa antimafia (in particolare la Legge n. 136/2010 e il D. Lgs. n. 159/2011). Ripensare non significa abbassare la guardia, anzi, ma semplicemente leggere i vari articoli e capire dove si possa intervenire per semplificare senza compromettere la legalità. Alcuni sono veramente complessi e di scarsa utilità pratica, in un mondo dove le banche dati della PA dovrebbero poter incrociare tutti i dati necessari. Ciò favorirebbe anche gli operatori internazionali. Si potrebbero altresì incentivare i vantaggi per le aziende che cercano di ottenere il rating di legalità, riconosciuto dall’AGCM.
Sono tanti i possibili interventi da mettere in atto, per semplificare e rendere più comprensibile la normativa sugli appalti. Ma occorre puntare sulla qualità e sull’organicità delle riforme piuttosto che sulla fretta. Se gli esperti provenienti dalla società civile (non mi riferisco solo al Comitato di cui sopra) vogliono aiutare la politica, devono avere il coraggio di essere più precisi e chirurgici nelle loro analisi e proposte.
Twitter @frabruno88
[1] Più correttamente Codice dei contratti pubblici, D. Lgs. n. 50/2016
[2] Il Comitato propone di «Rivedere integralmente il Codice dei contratti pubblici vigente, per ottenere (almeno) i seguenti vantaggi: (i) la creazione immediata di un canale efficiente per le opere strategiche; (ii) la distinzione più netta dei regimi di concessione e appalto e tra i settori ordinari e quelli definiti speciali dalla stessa normativa europea (energia, trasporti, acqua, poste, attività estrattive, porti e aeroporti); (iii) la messa alla prova del modello “Direttiva + integrazione minima,” che ove funzioni bene potrà essere semplicemente esteso, senza bisogno di un nuovo codice; (iv) l’inserimento del regime particolare nel processo di riscrittura di quello generale e, quindi, in un ambiente complessivo non di deroga o eccezione pura.»
Da -
https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/06/15/appalti-colao-esperti/?uuid=96_a5olycjM