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Autore Discussione: Trieste, la pace oltre il muro dell’odio.  (Letto 1116 volte)
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« inserito:: Luglio 13, 2020, 07:10:45 pm »

Robinsonstoria

Trieste, la pace oltre il muro dell’odio

12 Luglio 2020

Cent’anni dopo il rogo della Casa della cultura slovena, lo storico incontro tra i presidenti Sergio Mattarella e Borut Pahor.
Ma scoppiano le polemiche sulla visita ai luoghi delle tragedie

di FLORIANA BULFON

TRIESTE. Nel groviglio di memorie contrapposte e traumi profondi l'omaggio dei presidenti italiano e sloveno, Sergio Mattarella e Borut Pahor, ai luoghi delle tragedie del Novecento, segna una data di pacificazione ma fa riaffiorare anche la difficoltà di conciliare lacerazioni stratificate. Trieste è in attesa di una visita storica, tre tappe simbolo di guerre e atrocità, di opposte idee su frontiere "giuste".

La restituzione del Narodni Dom, la casa del popolo e della cultura slovena distrutta dalle fiamme proprio il 13 luglio di cent'anni fa segnando l'ascesa del nazionalismo fascista. La prima volta che un presidente sloveno rende omaggio alla foiba di Basovizza, il memoriale per tutte le vittime gettate nell'abisso dalle forze di Tito. E poi il Monumento dove furono fucilati nel 1930 quattro militanti dell'organizzazione slovena Borba, branca del movimento Tigr, condannati a morte dal tribunale speciale del regime. Un incontro che supera il muro di un secolo in cui odio politico ed etnico si sono fusi in questa terra sbranata dalla storia. "Un gesto di grandissimo coraggio - ragiona Raoul Pupo, tra i massimi esperti delle vicende legate al confine orientale - spesso abbiamo rimproverato le istituzioni di essere un passo indietro rispetto all'esigenze di riconciliazione, questa volta hanno fatto un balzo avanti. Indicano una direzione importante verso la pluralità, ma mi chiedo se la società civile locale sarà in grado di seguirli". Il sindaco Roberto Dipiazza, che guida una giunta di centrodestra, non ha dubbi: "È la conclusione di un processo di pacificazione, un lavoro portato avanti negli ultimi vent'anni". Molti hanno superato quel passato e vivono l'integrazione europea, restano però le ferite su cui spesso si inseriscono strumentalizzazioni di partito.

Davanti al Narodni Dom la comunità slovena si prepara "al fondamentale atto pubblico di riconoscimento delle persecuzioni subite". Quell'incendio è stato l'inizio di una stagione di oppressione, la linea dell'assimilazione forzata degli s'ciavi (schiavi) slavi. Per lo scrittore Boris Pahor, che ha raccontato le fiamme vissute da bambino in Grmada v pristanu' (Il rogo nel porto) e che oggi a 106 anni sarà insignito delle più alte onorificenze dei due Paesi, fu la "notte dei cristalli" italiana, il suo primo violento e brutale contatto con il "fascismo di confine".

Oggi invece si va "V nov zacetek" (Verso un nuovo inizio) titola il quotidiano degli sloveni in Italia Primorski dnevnik. L'edificio tornerà ad essere la casa degli sloveni di Trieste, aperta a tutte le identità, come auspicano in una lettera i massimi rappresentanti della cultura trasnsfrontaliera, "per resistere alle nuove tentazioni di chiudersi entro confini o mura simboliche che oppongono le comunità su basi linguistico-nazionali".
Per lo storico Jože Pirjevec, nato Giuseppe Pierazzi, "quel rogo è stato il suicidio della città: negando la pluralità nel giro di cento anni da porto della Mitteleuropa Trieste diventa periferia d'Italia. Oggi stiamo per vivere un momento significativo, ma la visita del presidente Pahor alla foiba è anche una indiretta conferma della propaganda della destra. Non sono un negazionista, ma la storia è più complessa e sull'ignoranza può crescere l'odio". Intravede però "l'apertura di un nuovo capitolo per ripartire, anche se a livello locale la volontà politica manca".

E intanto sullo sfondo spunta fuori un documento in cui gli allora ministri degli Esteri Alfano e Erjavec nel 2017 stabilirono il passaggio di proprietà del Narodni Dom in cambio del sostegno di Lubiana per l'insediamento a Milano dell'Agenzia del farmaco. Poco importa che quel patto sia fallito. Il consigliere regionale e segretario provinciale di Fratelli d'Italia Claudio Giacomelli parla di "volgare mercato, si sfratta l'università di Trieste (che aveva qui una sede ndr) per fare una donazione, l'operazione ci costerà quasi 20 milioni e l'Italia sarà l'ultimo Paese al mondo a pagare ancora risarcimenti per il Novecento, per di più con un danno già risarcito".
Ferite che ripropongono scontri ideologici, posizioni che mischiano ancora la storiografia alla politica con tanto di giallo dell'ultimo minuto con un'ipotesi, poi smentita direttamente dal Quirinale, di ammainare il Tricolore e incontri da disertare a seconda dell'appartenenza. La Federazione degli esuli ci sarà perché per David Di Paoli Paulovich, presidente delle comunità istriane: "L'omaggio ai caduti delle foibe è un grande passo avanti per migliorare la verità storica". Non andranno però al monumento dei fuciliati: "sono considerati a torto eroi dell'antifascismo. Erano portatori di una politica anti-italiana". Non si presenterà invece l'Unione degli istriani di Trieste. "Sarebbe stato opportuno e anche più rispettoso che le organizzazioni custodi delle diverse memorie fossero state coinvolte preventivamente - chiarisce il presidente Massimiliano Lacota - . La scelta del monumento ai fucilati ha generato scontentezza".

Salirà invece a Basovizza Erminia Dionis Bernobi. Ha 89 anni e lavora ancora nella sua sartoria vicino alla stazione centrale. "Ci sarò perché io sono una sopravvissuta alla foiba" spiega. Costretta a una fuga rocambolesca dall'Istria per aver identificato l'assassino della sua compaesana Norma Cossetto: "Gli ho gridato "porco vigliacco", avevo quindici anni. Non me lo sarei aspettato che un presidente sloveno venisse alla foiba, significa che la pace può iniziare. L'accettazione è necessaria per riconciliarsi. Il mio pronipote ha otto mesi e non voglio viva nelle tragedie e nelle bugie".

E intanto esponenti dell'estrema destra scendono in piazza per dire no alla restituzione del Narodni Dom con lo striscione "nessuna riabilitazione per i terroristi della Tigr" e lungo le strade compaiono locandine bilingue: "Mattarella come Pertini, titini oggi titini ieri". Gli eredi del fascismo di frontiera tentano di rinfocolare antichi rancori. "Un vilipendio alla nostra Costituzione, nata dalla resistenza e dall'antifascismo - ragiona Tatjana Rojc senatrice Pd della minoranza slovena - . Dobbiamo rispettare il dolore degli altri, non usare i morti per motivi di becera propaganda elettorale". Il peso della memoria e della storia, di passi fondamentali in tempi di chiusure europee rivendicate e ostentate dalle nuove bandiere del sovranismo.

da - Robinsonstoria
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