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Autore Discussione: Foa: la democrazia è in crisi, ma il populismo non è la causa ma l’effetto.  (Letto 1479 volte)
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« inserito:: Febbraio 20, 2020, 06:56:36 pm »

Foa (università di Cambridge): la democrazia è in crisi, ma il populismo non è la causa ma l’effetto.

Mattia Sisti

Roberto Stefan Foa, University Lecturer del Department of Politics and International Studies (POLIS) presso l’Università di Cambridge.
Business Insider ha intervistato il Prof. Roberto Stefan Foa, University Lecturer del Department of Politics and International Studies (POLIS) presso l’Università di Cambridge riguardo alla crisi della democrazia. Questa intervista è un’approfondimento di un articolo sullo stesso tema pubblicato da Business Insider.

Prof Foa, nel suo report lei sottolinea come l’insoddisfazione verso la democrazia riguarda anche quei Paesi che hanno istituzioni democratiche, come gli Stati Uniti e le nazioni che sono parte dell’Unione Europea. Può spiegare ulteriormente le sue conclusioni nonché le ragioni dietro questo fenomeno?

Il mio collega Andrew Klassen ha messo insieme dati provenienti da oltre 25 fonti differenti, dandoci così una serie di dati continui riguardo a 77 paesi dal 1995 a oggi. L’argomento della nostra ricerca è il livello di scontento verso la democrazia da parte del grande pubblico. Dai nostri dati si può facilmente ricavare come l’insoddisfazione nei confronti della democrazia sia aumentata, specialmente nel Sud Europa, nell’America Latina e nelle democrazie anglo-sassoni, come gli Stati Uniti, il Canada, il Regno Unito e l’Australia. Le ragioni che possono spiegare questo fenomeno sono le più varie. Ma io credo ci siano due motivi principali:

• Il primo riguarda le democrazie in fase di transizione, come quelle dell’America Latina. Durante il periodo di transizione la democrazia era vista come una forza positiva, capace di ridurre la corruzione, dare servizi migliori ai cittadini e rafforzare lo stato di diritto. Nonostante grandi speranze, il risultato finale è stato una delusione perché i governi democratici non sono stati in grado di risolvere i problemi di questi paesi.

• Il secondo motivo riguarda l’Occidente. La dinamica che ha causato il malcontento verso la democrazia è dovuta ad un sentimento di privazione del benessere economico unito ad un generale senso di impotenza. Questo sentimento di rivalsa può essere ricondotto alla crisi finanziaria del 2008 ed alla crisi del debito dell’Eurozona. Il grande pubblico ha dovuto sopportare molti disagi economici, mentre i capi delle grandi banche, incluse quelle che sono andate in bancarotta come Lehman Brothers, sono stati salvati. Questo ha generato un diffuso senso di ingiustizia e risentimento nel grande pubblico verso le istituzioni democratiche le quali sono state ritenute colpevoli di aver imposto misure di austerity a large fette della popolazione ma non ad altri.

Focalizziamoci per un momento sui più importanti avvenimenti degli ultimi anni, come la Brexit, l’elezione di Donald Trump, la strategia politica di Bannon in Europa, la quale ha portato ad un ruolo di prominenza molti leader populisti come Salvini, ed, infine, il regno di Putin in Russia. Che ruolo pensa abbiano giocato questi eventi nel contesto dello scontento del pubblico verso le istituzioni democratiche?

Secondo me ci sono due fasi che possono spiegare questi fenomeni. L’insoddisfazione verso la democrazia, come ho sottolineato poco fa, è iniziata molto prima dell’ondata populista di Brexit e Donald Trump che sono apparse solo nel 2016. I populisti non rappresentano l’origine di questa frustrazione che è cominciata molto tempo prima. In questo senso il populismo non è una causa ma l’effetto dell’insoddisfazione del pubblico verso la democrazia ed è per questo motivo che può essere chiamata la seconda ondata in termini cronologici.

È interessante notare come ciò che possiamo derivare dai nostri dati è che, in molti casi, il sentimento di frustrazione diminuisce quando i leader populisti vengono eletti. Questo fenomeno non dura a lungo però. Una volta che i problemi iniziano a manifestarsi, questo sentimento ritorna, un effetto dovuto in ultima istanza ai populisti stessi. Da una parte, non è certo possibile vincere un’elezione con l’idea che le élite siano corrotte ed incompetenti se non c’è nessuno disposto a crederlo. Dall’altra, i leader populisti devono costantemente creare nuovi conflitti e risentimento al fine di mantenere il potere. Una metafora che può risultare utile per comprendere questa dinamica è quella della scintilla e del fuoco: il risentimento è la scintilla e il populismo è il fuoco. Anche la scintilla più piccola può generare un grande fuoco il quale, una volta iniziato a bruciare, è capace di generare internamente il suo stesso combustibile.

Ma esistono due aspetti ulteriori che sono degni di essere notati.
• Il primo è rendersi conto che i populisti rispondono ad un certo tipo di rabbia che viene poi rilasciata all’esterno. Il pubblico può essere insoddisfatto verso una serie di problematiche endemiche ai loro stessi paesi, come lo stallo democratico, ansie riguardo al crimine e allo stato di diritto e corruzione diffusa. Dunque, ciò che possiamo vedere nei nostri dati è un trend molto significativo, e cioè che una crescente fetta del pubblico preferisce “l’uomo forte”, ovvero qualcuno che sia chiaramente al comando e che abbia autorevolezza, piuttosto che “il parlamento e le elezioni”, in modo da risolvere una volta per tutte le problematiche prima menzionate. Il caso dell’Italia è particolarmente interessante: in un sondaggio piuttosto recente questo numero ha raggiunto il 50%. È a questo punto che possiamo vedere una crescita di slogan populisti come “prima la legge e l’ordine” (uno degli slogan di Salvini ndr.).

• Il secondo è che, una volta eletti, i populisti prendono alcune decisioni politiche il cui effetto è un aumento del discontento. La ragione di ciò è l’esistenza di uno stato di paralisi inerente ad un governo populista, come i continui litigi tra il governo e le corti di giustizia oppure una crescita economica stagnante. Un esempio di quest’ultimo è l’inflazione galoppante con Chavez in Venezuela e con Erdogan in Turchia. È a questo punto che avviene la regressione democratica, ovvero quando i leader populisti sono rimasti al potere da un po’ di tempo. La ragione solitamente è che le élite che circondano i populisti—un famoso esempio possono essere gli oligarchi russi—diventano sempre più preoccupate di che cosa potrebbe succedere loro una volta che il leader se ne sia andato. Avvenimenti allarmanti fanno la loro comparsa, come la censura della stampa e dei media, e restrizioni verso le libertà personali.

In conclusione, aveva torto Fukuyama quando ha affermato nel suo libro La fine della storia e l’ultimo uomo pubblicato nel 1992 che la storia era finita (traendo spunto da un famoso concetto hegeliano) e che per questo motivo, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, saremmo tutti vissuti sotto istituzioni democratiche liberali?

Ho notato che al giorno d’oggi va sempre più di moda affermare che Fukuyama abbia commesso un errore con “La fine della storia”. Al contrario, io credo che Fukuyama abbia ragione—perlomeno in alcuni ambiti. Il primo è che il totalitarismo è scomparso dal nostro mondo. Non solo non è più ritenuto credibile come alternativa ideologica e sistematica alla democrazia, ma anche le forme di governo non liberali, le cosiddette “democrazie illiberali”, seguono funzioni basilari di competizione tra più partiti così come un certo grado di dibattito pubblico riguardo alle sue politiche grazie all’avvento di Internet. Per fare una comparazione, è importante ricordare come tutte queste cose erano impossibili in un regime totalitario come l’Unione Sovietica negli anni ’50.

Certamente, le forme di governo totalitarie, come il fascismo o il comunismo, non sono ritornate, anche se la credibilità del liberismo si è erosa nel corso del tempo, cosa che può essere riconosciuta come il male del nostro tempo. Ma anche in questo caso le democrazie illiberali non sono un’alternativa alle loro controparti liberali. Inoltre, è importante ricordarsi che il fascino delle prime potrebbe sempre venir meno in futuro, o forse che lo sta già facendo sotto i nostri occhi. La ragione per cui siamo incapaci di percepire la scarsa appetibilità delle democrazie illiberali potrebbe essere collegata ad una delle frasi più celebri di Hegel: “la nottola di Minerva spicca il volo sul far del crepuscolo”. Il che significa: noi verremo a conoscenza di ciò solo dopo il suo essersi già verificato.

Da - https://it.businessinsider.com/foa-universita-di-cambridge-la-democrazia-e-in-crisi-ma-il-populismo-non-e-la-causa-ma-leffetto/
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