Gualtieri: il dem anti-Mes che il Pd non sopporta più
I nuovi equilibri giallorosa
Di Wanda Marra | 21 Ottobre 2020
“Eh, Gualtieri…”. Dalle parti del Pd, il nome del ministro dell’Economia è spesso accompagnato da un sospiro di insofferenza. Non da oggi, pure se dopo la sua presa di posizione sul Mes (un no dovuto al contesto, mascherato da sì, nel nome dei rischi che le fibrillazioni parlamentari potrebbero portare in termini di spread e della convenienza che ora sostiene relativa), sia i sospiri, sia le insofferenze aumentano. La fotografia dell’autunno, con il Covid che galoppa, è quella della conferenza stampa di lunedì pomeriggio, con Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri, che si scambiano i ruoli. Motivare anche “economicamente” le ragioni del no al Mes è toccato al ministro, rassicurare il Pd, promettendo una verifica, al premier (che però ha ribadito: “Non è una priorità”).
Intanto, crescono i malumori tra i dem nei confronti di Gualtieri. Che hanno da ridire soprattutto sulla gestione del ministero, sulle mancate risposte e, magari, sulle mancate corsie preferenziali. Lui si affida a Claudio Mancini, deputato romano, che è il suo plenipotenziario, il braccio armato sulle aziende.
Va detto che tra premier e ministro non era iniziata come un idillio. Durante le prime fasi del negoziato europeo, che ha portato al Recovery Fund, i due apparivano meno allineati. Mentre Conte cercava di alzare l’asticella dell’intervento, Gualtieri sembrava più rigido, più attento agli equilibri di Bruxelles. Ma d’altra parte, per il suo approdo in via XX settembre, è stato determinante il rapporto preferenziale con Mario Draghi.
Il momento di massima tensione tra i due fu prima degli Stati generali di Villa Pamphilj, a giugno: il titolare del Mef all’inizio non era convinto su quella che appariva “una passerella” e non ci stava a essere escluso dalla cabina di regia dell’evento. Poi, qualcosa è cambiato. Nella trattativa con Autostrade per la revoca della concessione, per dire, Gualtieri si preoccupò di trovare soluzioni che potessero funzionare per Palazzo Chigi. Ancora. Giocoforza, Mef e Chigi devono gestire insieme anche il Recovery Plan. Non a caso, un ruolo di primo piano ce l’ha Enzo Amendola, ministro degli Affari europei: se da una parte è quello che accompagna il premier in tutti i vertici internazionali dall’altra gioca anche un ruolo di mediazione con il Pd.
Poi ci sono le partite economiche. C’è chi vede gli eventi in termini di scambio: Conte avrebbe avallato l’operazione di Gualtieri per privatizzare Mps, l’altro avrebbe cambiato posizione sul Mes. Tra un premier e un ministro del Tesoro si creano sempre convergenze e divergenze, che vanno oltre le storie e le provenienze. Ma poi, c’è la politica. Ha fatto una carriera tutta nel Pd, Gualtieri, ma sempre scavalcando i confini delle correnti. In origine, era considerato un fedelissimo di Matteo Orfini, a indicarlo per primo come ministro dell’Economia fu Matteo Renzi, volle attribuirsene l’investitura Zingaretti. Ora, cerca di ritagliarsi un ruolo da tecnico quasi super partes, intessendo relazioni di fiducia con i ministri M5s. Così diceva ieri Luigi Di Maio: “Il presidente Conte è stato chiaro più volte sul Mes. Lo è stato anche il ministro Gualtieri”. E poi sta ben attento a non invadere territori che non gli appartengono e sono pure delicati. “Ma perché dicono che io sono sulla linea morbida? Non mi sono espresso”, ha detto, commentando i giornali che lo mettevano nella “squadra” dei meno duri sulle misure per contrastare il Covid. Di certo non ha fatto asse con Dario Franceschini. I maligni raccontano che l’idillio è apparente perché “Roberto” ha in mente la scalata a Palazzo Chigi. Come sempre, dopo una foto, se ne scattano altre.
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