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Autore Discussione: Uno spiraglio. È il titolo dell’articolo di fondo di Ugo La Malfa, il 17/10/1044  (Letto 2270 volte)
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« inserito:: Dicembre 12, 2019, 07:13:47 pm »

La Repubblica non nacque «bipolare» (1985)

GIOVANNI SPADOLINI · GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 2019·7 MINUTI

«La Voce Repubblicana», 1-2 marzo 1985.

Uno spiraglio. È il titolo dell’articolo di fondo di Ugo La Malfa, il 17 ottobre 1944, sulla «Italia libera», l’organo di quel partito d’azione che nelle stesse giornate è protagonista della resistenza nel Nord, allo stesso titolo dei comunisti e dei socialisti e con forze di poco inferiori solo ai primi.

«La Repubblica ci unisce»: ha scritto, con uno di quegli slogan lampeggianti di cui è maestro Pietro Nenni, sull’«Avanti!» della domenica precedente.

Ed ha delineato, in quel suo linguaggio pieno e senza chiaroscuri, tre piattaforme in cui associare le forze socialiste e la sinistra democratica, di cui il partito d’azione è la punta di diamante (l’unico partito nuovo, anche nel lessico, rispetto all'Italia prefascista, di quel tentativo di contrapposizione al passato, di sguardo profondo nel futuro, quell'ansia post-fascista, oltre che antifascista, di uno stato nuovo che tenesse conto delle insufficienze nazionali, che ne avviasse la risoluzione su basi, appunto, nuove:
1) intransigenza istituzionale;
2) lotta per la riforma agraria;
3) lotta per il superamento del trust e dell’industria monopolistica, «oggi – sottolineava Nenni con accenti profetici – alla mercé dei pochi magnati che si sono costituiti Stato nello Stato».

E La Malfa, pronto, risponde: sì. Ma sottolinea che quell'opera non può essere «ecumenica», «unanimistica», che presuppone un «grande raggruppamento politico» capace di «lavorarvi tenacemente durante una generazione o due» (la sottolineatura non è nostra ma di La Malfa) «sul fondamento democratico al governo o fuori dal governo».

Siamo alla fine del 1944, ma già le speranze del rinnovamento strutturale della vita italiana si appannano. La vittoria del CLN, in quel famoso scontro al Grand Hotel di Roma nel giugno ’44, si è rivelata più nominale che reale. Bonomi – pur contrapposto a Badoglio – delude le ansie dei rinnovatori: di lì a poche settimane socialisti e azionisti usciranno dal governo.
E sarà quell'ultimo atto dell’intesa a sinistra, su schemi democratici e non frontisti, invano vagheggiata da La Malfa per evitare la polarizzazione dello scontro fra il nuovo partito cattolico – rappresentativo dei ceti medi svincolati dal fascismo – e il potente partito comunista, riconsacrato dalla lotta di liberazione nella sua legittimità nazionale, ben al di là del fantasmi di Livorno.

Lo «spiraglio» rappresentato da tutto ciò che possa avvicinare il partito socialista ai principi di rinnovamento democratico proprio del partito d’azione, da tutto ciò che sembri preludere a una centralità democratica del PSIUP; il partito di Nenni al suo distacco dal patto di alleanza col PCI, necessario per assicurare al partito socialista un ruolo-guida nel paese.

Pochi come La Malfa guardano lontano, intuiscono i possibili sbocchi per l’assetto futuro dello Stato, ai quali può portare il diverso modo di «liquidazione del fascismo nelle sue cause storiche ed economiche». Per La Malfa, la via da seguire è una soltanto, quella del metodo democratico e non marxista: «il problema di tale liquidazione – sono le sue parole – può e deve essere risolto nel quadro della democrazia, con provvide leggi e con graduali misure di riassestamento politico e sociale», e non «secondo la psicologia bolscevica».
Senza quella chiarificazione preliminare la lotta politica in Italia si sarebbe radicalizzata, il progetto di rinnovamento democratico della società affidato a forze di centro-sinistra sarebbe venuto meno, a una sinistra forte si sarebbe contrapposto un centro-destra ancora più forte e capace di attirare tutti i ceti moderati».

Quell'articolo di La Malfa è finalmente entrato nei libri di storia. Lo segnala Simona Colarizi, nel vasto affresco – oltre settecento pagine – che ha dedicato, nell’ambito della «Storia d’Italia» dell’UTET, a La seconda guerra mondiale e la Repubblica (in realtà il titolo dice meno del testo, l’opera parte dal 1938, quando l’intervento italiano non è ancora deciso, e arriva a ben dodici anni oltre la fondazione della Repubblica, quando tutto è così diverso, così lontano, al 1958: crisi del centrismo, scomparsa di Pio XII, avvio di un nuovo ciclo fra laici e cattolici).

Simona Colarizi, che ha dedicato tante e così importanti ricerche alla storia dell’antifascismo (e per prima a quelle dell’Unione democratica nazionale di Amendola), sottolinea, a commento di quello scritto di La Malfa: «È una lucida intuizione della successiva bi-polarizzazione del sistema politico italiano, destinato a svuotare la funzione politica delle componenti centriste».
Ma tutto il suo libro è la conferma che la bipolarizzazione non c’è stata. Il tema del bipolarismo sta tornando d’attualità ed è giusto che esso si rifletta anche nelle pagine e nelle polemiche degli storici. L’indagine della nostra autrice ci conferma però un punto fondamentale: l’Italia non nacque «bipolare» dalla lotta al fascismo e dalla resistenza.
L’Italia rinacque, almeno, «quadripolare»: con una forza cattolica, di cui pochi seppero valutare la portata («scambiammo la DC per il partito del Vaticano», amava confidare La Malfa); con un complesso di movimenti innestati sul filone liberal-democratico e portati a cimentarsi con una nuova realtà (il nuovo partito d’azione in primo luogo, ma con larghe influenze su partiti storici come repubblicani e liberali e non solo in quelli); una forza socialista, una forza comunista.

Ancora in quell’ottobre 1944 nulla era veramente deciso. Non l’egemonia democristiana; non il blocco socialista-comunista; non l’indebolimento della «terza forza» laica e democratica. Un complesso di errori portò a quelle situazioni, che parvero irreversibili e non lo furono mai.
Bonomi era un «ponte» fra la vecchia Italia prefascista e la nuova. Parri sarebbe stato la carta del futuro, giocata anzitempo e quindi destinata a logorare – La Malfa l’aveva capito – la rigogliosa ma tormentata adolescenza del partito d’azione. La scelta di De Gasperi presidente, nel dicembre 1945, nacque dall'impossibilità di una presidenza Nenni; ma il perché una presidenza Nenni non fu possibile è spiegato benissimo in queste pagine, da parte di una studiosa che pure non nasconde le sue inclinazioni socialiste, sempre riconoscendo come il partito socialista facesse il possibile, anzi l’impossibile, per non cogliere le occasioni che talvolta la storia non ripete due volte nel giro della stessa generazione.

Eppure da queste pagine della Colarizi si deduce una conclusione confortante. Mai il regime repubblicano italiano si piegò a una stretta bipolare, nel corso del primo decennio (e quindi ancor meno dopo). È la situazione internazionale che radicalizza la lotta fra ’45 e ’48; la guerra fredda appare decisiva per spiegare gli sbocchi del 1948. Ma il «fronte popolare», invano combattuto dai socialisti dell’antica scuola come Pertini, non uccide le speranze dell’autonomia socialista. Né l’alleanza fra DC e partiti di democrazia laica, che non trova in queste pagine lo spazio obiettivo che merita, mai soffoca l’autonomia di forze, come le componenti repubblicana e socialdemocratica, che non a caso preparano le vie del centro-sinistra.
Neanche nella DC la partita è mai chiusa. Simona Colarizi sottolinea, con efficace acutezza, il trapasso da De Gasperi a Fanfani; ma non può non rilevare le complessità e drammaticità degli anni centristi, nell’opporre la visione rigorosamente antifascista di De Gasperi alle tentazioni di blocco d’ordine, come l’«operazione Sturzo» a Roma (anche quella fallita per merito di qualcuno e non di una vaga provvidenza). Ed è la prima volta, in un’opera storica, diciamo così, fatta da sinistra, che la legge elettorale maggioritaria del 1953 viene presentata più ancora come argine a destra che non come tentativo di compressione a sinistra.
Simona Colarizi ha visto molto materiale d’archivio di prima mano: specialmente i rapporti dei prefetti, dei questori, dei comandanti dei carabinieri. Ha potuto così affidare alla storia dei partiti una storia, o un principio di storia, dell’opinione pubblica. Lo ha fatto in modi che per i lettori ordinari non saranno facili a seguire: quasi con una lunga riflessione sui fatti, che talvolta prescinde dai fatti stessi o li dà per esauriti.

È storia critica, che presuppone un lettore non disarmato. Ma è soprattutto storia vivente: storia dei fallimenti di una generazione, delle tante occasioni perdute dalla sinistra. E il libro ci ricorda che senza l’attenzione meditata dei due partiti prevalenti nel versante della «terza forza», socialisti e repubblicani, il rischio del bipolarismo, finora in un modo o nell’altro evitato, potrebbe ripresentarsi domani.
E sarebbe il colmo dell’assurdo: rispetto a una società profondamente modificata. E modificata proprio nel senso della molteplicità, dell’articolazione, della diversità. Chi saprà accoglierla?
Giovanni Spadolini

Da - https://www.facebook.com/notes/giovanni-spadolini/la-repubblica-non-nacque-bipolare-1985/2649567215134867/
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