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Autore Discussione: I pm su De Gennaro "Istigò l'ex questore a dire il falso sulla Diaz"  (Letto 9206 volte)
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« inserito:: Giugno 21, 2007, 10:06:01 am »

I pm su De Gennaro "Istigò l'ex questore a dire il falso sulla Diaz" «Lo avrebbe convinto a ritrattare».

La difesa: non ci sono stati reati

 
DAL NOSTRO INVIATO

GENOVA — L'accusa è infamante, soprattutto per un uomo che di mestiere fa il capo della polizia. Aver tentato di manipolare un testimone che deponeva al processo che vede imputati per falso alcuni dei suoi uomini di fiducia. Lo scorso 11 giugno Gianni De Gennaro ha ricevuto un avviso di garanzia dalla procura di Genova nel quale gli viene contestato il reato di istigazione a rendere falsa testimonianza.

In dettaglio: «Per aver determinato Colucci Francesco mediante istigazione, o comunque induzione, a deporre durante l'esame testimoniale reso il 3 maggio circostanze non corrispondenti al vero, anche ritrattando sue precedenti dichiarazioni in relazione ai fatti vertenti sulla fase di preparazione, svolgimento e conclusione delle operazioni di polizia condotte alla scuola Diaz e in particolare ai contatti fra loro avuti e alle informazioni e richieste reciprocamente passate e formulate allorquando Colucci rivestiva la carica di questore di Genova». I magistrati mettono anche in risalto il ruolo pubblico e di potere del prefetto De Gennaro, e lo considerano ovviamente come una responsabilità in più: «Fatto aggravato per aver determinato a commettere il reato persona a lui sottoposta, e con abuso della funzione pubblica da lui esercitata quale direttore generale del Dipartimento di pubblica sicurezza ». L'avviso di garanzia conteneva anche la convocazione per l'interrogatorio. Doveva essere il 16 giugno. De Gennaro non si è presentato.

La notte della scuola Diaz come una maledizione, per il capo della Polizia e i suoi uomini. Un avviso di garanzia che dopo tanta tensione sotterranea segna in modo definitivo il conflitto con la procura ligure, convinta che in questi anni (sei, da quel 21 luglio 2001) da De Gennaro, via questura di Genova, sia arrivato solo una forma sorda di ostruzionismo, fino a questo atto finale, che lascia intravedere la convinzione che le difese degli imputati siano state gestite da un'unica regia.

Urge riassunto: Francesco Colucci è l'ex questore di Genova ai tempi del G8. Lo scorso 3 maggio si presenta in aula, chiamato a deporre dall'accusa. A sorpresa, contraddice e ribalta molte delle dichiarazioni rese in istruttoria. Tanti «non ricordo», «la mia affermazione di allora forse è stata superficiale», ma quello è il meno. A insospettire i magistrati, sono le circostanze che Colucci mostra di ricordare. Nella sua ricostruzione di quella notte disgraziata, i dettagli inediti riguardano le sue comunicazioni con il vertice della polizia, oltre a una nuova definizione della catena di comando che gestì l'irruzione nella scuola dei no global, che «esclude» alcuni imputati cari a De Gennaro e tira in ballo altri nomi, segnatamente quello di Lorenzo Murgolo, vicequestore di Bologna che al G8 fungeva da vice di Ansoino Andreassi, il «superpoliziotto», all'epoca fu questa la definizione, che gestì la preparazione al G8 genovese.

È certo che dopo la deposizione di Colucci, i magistrati rinunciano all'audizione del teste successivo: Gianni De Gennaro. L'avvocato Franco Coppi, suo difensore, indica qual è a suo avviso l'unica discrepanza: «Da un primo esame delle carte, l'unica contraddizione di Colucci è che in istruttoria disse di aver chiamato Sgalla (capo dell'ufficio Pubbliche relazioni del Dipartimento) su indicazione di De Gennaro, mentre in aula dice di averlo fatto su sua iniziativa. Non mi sembra un'enormità. Il fatto poi che De Gennaro sia l'istigatore dell'eventuale falsa testimonianza mi pare frutto di una pura congettura».

C'era un'aria strana, ieri all'udienza del processo sulla Diaz. I difensori degli imputati, che hanno rifiutato l'esame in aula, hanno attaccato l'inchiesta parallela su Colucci, sostenendo che «la sua deposizione, che l'accusa sospetta di falso, viene sottratta al vaglio del tribunale con indagini di un altro procedimento». Che ci fosse qualcosa di importante, nelle carte della nuova indagine, era ormai ben più di un sospetto. I pm di Genova hanno in mano altri elementi, oltre alla deposizione di Colucci, il quale non è mai stato ritenuto un «fedelissimo» del capo, anzi. L'ex questore potrebbe aver rivelato qualcosa durante una telefonata intercettata dalla procura. È indagato dal 22 maggio, e la cosa divenne subito nota, al punto che anche Andreassi si lasciò scappare un riferimento alla nuova inchiesta durante l'audizione come teste. Andreassi è l'uomo chiave del processo, perché fa da contraltare alla versione di De Gennaro e dei suoi. Nel 2002 disse di essere stato estromesso e «delegittimato», spiegando come la Diaz «fu il frutto di un mutamento di linea d'azione». De Gennaro negò. Non venne mai indagato. Lo è oggi, per un reato che — se l'ipotesi d'accusa fosse confermata — sarebbe uno sfregio alla sua storia di uomo e poliziotto. La notte della Diaz, come un maledizione.

Marco Imarisio
21 giugno 2007

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 21, 2007, 10:06:26 am »

Gianni De Gennaro / Il personaggio

Un poliziotto di razza e le sue ragioni Da Falcone alle nuove Br: una carriera lunga 30 anni 

 
ROMA — Giuliano Amato parlava e Gianni De Gennao annuiva, ieri al Viminale, mentre il ministro dell'Interno spiegava l'evoluzinoe della criminalità in Italia. I magistrati sospettano che il capo della polizia abbia tentato di manipolare un testimone (l'ex questore di Genova, Francesco Colucci) che deponeva al processo nel quale sono imputati per falso alcuni dei suoi uomini di fiducia.

E quando una giornalista ha chiesto perché ci sono ancora tanti omicidi irrisolti, Amato ha passato la parola al capo della polizia, che ha risposto che si tratta della fisiologia delle indagini, «a volte il concreto sospetto non basta a far trovare le prove. Ma non credo che sia una peculiarità italiana». Come dire che è normale che di non tutti i crimini si scoprano i colpevoli, succede dappertutto. L'importante è provarci sempre, con impegno e con tutte le forze a disposizione.

È fatto così, Gianni De Gennaro, 59 anni ad agosto, «sbirro» di razza, appassionato di barca e di cavalli. Ragiona e tenta di far ragionare, spiega e si fa spiegare, cerca soluzioni. Lo faceva da commissario della squadra narcotici della questura di Roma, più di trent'anni fa. Poi al fianco del giudice Falcone nelle indagini antimafia degli anni Ottanta, e ai vertici di squadre investigative divenute famose: il Servizio centrale operativo e la Dia. Infine al secondo piano del Viminale, dove è entrato nel 1994 come vicecapo responsabile della Criminalpol, poi vicario e dal 2000 capo della polizia. Tredici anni sempre al fianco — «al servizio», dice lui — dei ministri responsabili della sicurezza, di qualunque coalizione: Maroni, Napolitano, Russo Jervolino, Bianco, Scajola, Pisanu e infine Amato. Ministri di tutti i colori e di tutti i generi.

È fatto così. Ostenta la calma e il distacco del ragionatore anche quando sa che mentre presenta col ministro il nuovo «rapporto sulla criminalità », alla Camera il presidente del Consiglio sta dicendo che il governo considera concluso il suo mandato. E lui ha in tasca un avviso di garanzia ricevuto una settimana fa dalla Procura di Genova. Avviso che certo non ha gradito, al quale ha risposto non presentandosi alla convocazione. Non per mancanza di rispetto, ma perché prima di rispondere e spiegare è bene capire, ragionare. Come aveva fatto in vista della testimonianza proprio al processo per le violenze alla scuola Diaz in quel maledetto G8, e invece alla vigilia della deposizione i magistrati gli comunicarono che la sua testimonianza non era più necessaria. Perché?
Con l'avviso di garanzia probabilmente il capo della polizia qualche risposta se l'è data. Ma nel frattempo ha dovuto pensare a mille altri problemi, come gli capita da diversi lustri; da ultimo la visita di Bush a Roma con manifestazione annessa. Perché la «macchia» del G8 genovese c'è e ora ha pure l'arredo giudiziario che difficilmente si fa mancare in questi casi, ma la storia del poliziotto più famoso d'Italia è legata ad altri episodi che restano e resteranno.

C'è il lavoro svolto a fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il pentimento di Tommaso Buscetta e di molti altri, ma c'è anche quello che De Gennaro non avrebbe mai voluto fare: l'indagine, seguita passo dopo passo da capo della Dia e poi della Criminalpol, sui mafiosi assassini di Falcone e Borsellino, arrestati e condannati (compresi latitanti «storici» come Brusca, Bagarella e Aglieri) nel giro di pochi anni. Fino alla cattura del Grande fuggitivo, quel Provenzano che l'11 aprile 2006 è caduto nelle mani dei poliziotti cresciuti alla scuola di De Gennaro e della sua «squadra»: da Antonio Manganelli ad Alessandro Pansa, da Nicola Cavaliere a Francesco Gratteri e tanti altri, investigatori cresciuti con lui e saliti a posizioni di responsabilità nella polizia italiana.

Nel frattempo le emergenze si accavallavano. Prima e durante gli anni dell'antimafia — offuscati dalle stragi ordinate da Cosa nostra sul continente nel '93, anch'esse svelate e punite almeno nella manovalanza mafiosa — c'erano stati i sequestri di persona. Dopo è tornata improvvisa l'emergenza del terrorismo brigatista: niente a che vedere col sangue versato tra i Settanta e gli Ottanta, solo qualche sparo nel buio che però ha mietuto vittime, più pericoloso e inafferrabile 7 proprio perché «fuori tempo». Pure gli assassini di Massimo D'Antona e Marco Biagi sono finiti in carcere, grazie alla morte dell'ispettore della Polfer Emanuele Petri e alle inchieste svolte con De Gennaro alla guida della polizia. E poi i sospetti terroristi islamici, espulsi se non condannati, con un sistema di prevenzione che è riuscito a evitare attentati. «Finora», ripete sempre lui, col sorrisetto disincantato di chi sa che non tutto è prevedibile e non tutte le indagini, come le ciambelle, riescono col buco.

Adesso che il governo annuncia il ricambio, si verifica ciò che De Gennaro disse al presidente del Consiglio l'inverno scorso, quando furono avvicendati i vertici dei servizi segreti e «l'autorità politica» gli anticipò che anche per la sua poltrona sarebbe arrivato il tempo del ricambio. E lui, col solito sorrisetto: «Tra poco saranno sette anni, figuriamoci». Ora quel tempo sembra arrivato. E siccome la polemica politica non risparmia nessuno, sono cominciate le risse tra partiti che da tempo, a intermittenza, accompagnano la carriera di De Gennaro. Soprattutto quando i suoi uomini hanno svolto indagini «scomode», senza fermarsi davanti a nomi importanti o palazzi ingombranti.

Perché è vero che a causa del G8 Rifondazione comunista chiede da un anno la rimozione del capo della polizia, ma è anche vero che in quel partito non ci sono solo Agnoletto e Caruso, ma pure il presidente dell'Antimafia Forgione o il presidente della Puglia Vendola, che hanno conosciuto De Gennaro e la sua «squadra», maturando convinzioni diverse da altri compagni. E nel centrodestra che ieri si stracciava le vesti dopo l'annuncio di Prodi c'è pure chi voleva allontanarlo dal Viminale già nel '94, perché considerato troppo vicino ai «magistrati comunisti »; magari spedendolo a fare il prefetto di Palermo, dov'era immaginabile che l'aspettasse qualche chilo di tritolo, come rivelò l'ex ministro Maroni che invece lo tenne al suo fianco. Chissà chi brinderà davvero, al momento del cambio.

Giovanni Bianconi
21 giugno 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 24, 2007, 04:36:36 pm »

24/6/2007 (14:21)

Scheda: chi è Antonio Manganelli
 

Ha fatto coppia con De Gennaro per tutti gli anni ’80

Antonio Manganelli, che dovrebbe succedere a Gianni De Gennaro, è l’attuale vicecapo vicario della polizia. Faccia da bravo ragazzo, ancora oggi che sta per compiere i 57 anni, una moglie bionda e poliziotta, una figlia liceale, ha fatto coppia con De Gennaro per tutti gli anni ’80, numero uno e numero due del nucleo anticrimine e poi del servizio centrale operativo, indagando su mafia e sequestri di persona, droga e criminalità economica, lavorando al fianco di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e collaborando con le polizie di mezzo mondo, dall’Fbi alla Bka tedesca.

Nel ’91, quando De Gennaro ha tenuto a battesimo la neonata Direzione investigativa antimafia, Antonio Manganelli è diventato il direttore dello Sco, sette anni dopo era questore a Palermo, dal ’99 al 2000 questore a Napoli. Poi di nuovo al fianco di De Gennaro al Viminale, come lui sempre al lavoro, capodanno e ferragosto compresi.

Era in vacanza, per una volta, proprio nei giorni maledetti del G8 di Genova 2001. Una coincidenza che forse ha reso più facile il placet anche da parte della sinistra radicale. Lasciando soli i prefetti di carriera a chiedere che alla guida della polizia vada uno di loro non un poliziotto.

Tra le doti di Manganelli anche quella di saper tenere i rapporti, di mediare, nella società civile, quando è stato questore di Palermo e Napoli, all’interno dell’amministrazione, quando ha diretto il servizio centrale operativo e poi quello di protezione, con il ’palazzò, da quando, sette anni fa è al Viminale, di nuovo nella stanza accanto a quella di De Gennaro.

da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 02, 2007, 10:32:41 am »

CRONACA

Il vicequestore parla dopo l'ammissione dei pestaggi al processo sulle violenze alla Diaz

Fournier: "A Genova non decise De Gennaro. Quella notte nella scuola non picchiai"

"Io, poliziotto di destra con il fantasma del G8"

di CARLO BONINI

 
ROMA - Michelangelo Fournier, 44 anni, vicequestore aggiunto del primo reparto mobile della polizia di Stato, lo dice tutto di un fiato, con una robusta stretta di mano e un sorriso sornione. "Sai che c'è? Mannaggia a me, alla mia "fissa" per la storia del '900 e a quella frase". "Mannaggia" dunque a Ferruccio Parri e alla "macelleria messicana". E non perché la notte del 22 luglio 2001, a Genova, non sia stata una macelleria. Anzi.

"Alla "Diaz", come diciamo a Roma, c'è stata la schifezza". "Mannaggia" perché in quattordici giorni quell'espressione gli ha ribaltato la vita una seconda volta. Subito dopo averla pronunciata, se ne era partito per New York con la moglie. Martedì scorso, al suo ritorno in caserma, ha trovato un nuovo capo della polizia, il vecchio con un avviso di garanzia e una vocina a fargli un altro po' di deserto intorno: "Fournier si candiderà con una lista di sinistra".

"Non ci si crede... Io con una lista di sinistra... Roba da matti. Io non intendo candidarmi a nulla. E comunque mai e poi mai a sinistra. Io la penso esattamente all'opposto. Mia madre era comunista, mio padre è un liberale. Io sono cresciuto da ragazzo con la passione per gli anarchici di destra come Longanesi e Prezzolini e ho studiato a Roma al San Leone Magno. Se sono di destra? Diciamo che se mi chiedi chi sono i più grandi uomini del '900, dico Roosevelt, Ho Chi Minh, Ataturk, Nelson Mandela e Lech Walesa. E aggiungo che nella mia libreria, accanto a Junger e Celine, ci sono Gogol e Dostoevskij, Steinbeck e Kerouac. E Tiziano Terzani... Che uomo".

Diavolo di un Fournier. Lo immagini cavaliere bianco tra cavalieri neri, "celerino" liberal tra picchiatori in divisa e lui, invece, dal baule delle suggestioni del '900, ha pescato e cucito su di sé un abito eccentrico. Che, ora, suo malgrado, lo fa apparire "amico tra i nemici e nemico tra gli amici", come in quel vecchio (1974) film russo di Nikita Mikhalkov. "Se pensassi che la polizia è fatta di lupi, me ne sarei andato quella notte del 22 luglio di sei anni fa. Se non fossi e non mi sentissi poliziotto democratico tra poliziotti democratici di un paese democratico, non avrei detto ai magistrati di Genova quel che ho detto. Non sarei più tornato in una piazza e in uno stadio. Non avrei avuto più il coraggio di guardare negli occhi i ragazzi del nucleo che comando. Invece, io, nelle piazze e negli stadi ci sono tornato, almeno cento volte l'anno da sei anni a questa parte. A prendermi gli sputi, i sassi, le bottiglie, a sentirmi gridare da qualche punk-a-bestia o da qualche ragazzino di buona famiglia con la kefiah "servo dei servi dei servi". A fronteggiare i nazisti delle curve. E ci sono tornato perché negli occhi ho continuato e continuo a portarmi dietro l'immagine terribile e la terribile lezione di un paio di trecce zuppe di sangue...".

Ora, Fournier, occhiali a specchio su un cranio rasato di fresco, jeans e maglietta, si mette a passeggiare lungo i viali deserti dell'immenso compound che, alle porte di Fiumicino, ospita il primo reparto celere. Tra campi da calcio e da rugby, rimesse per gli automezzi blindati, palestre. Dieci passi e una Marlboro light. Altri dieci passi e un'altra Marlboro light. I pensieri di Fournier sono tornati lì. Alla Diaz. Alla notte del 22 luglio 2001, a quell'immagine che non lo ha più abbandonato.

"Entrai tra i primi. Istintivamente salii verso i piani superiori e poi la vidi nel corridoio. Ero convinto che fosse morta...". La testa di quella ragazza tedesca sembrava di stoppa. "Lo seppi qualche giorno dopo guardando la tv che veniva dalla Germania. E in quel momento seppi anche che ce l'aveva fatta. Di lei ricordo le trecce raggrumate nel sangue e un chiazza in terra che pensai fosse materia cerebrale". Lei non si muoveva, ma su di lei infierivano in quattro, forse cinque. "Due poliziotti con la pettorina; gli altri con l'uniforme dei reparti celere e un cinturone bianco. Bianco, non blu come il nostro". Sappiamo come andò in quegli istanti. Sappiamo quel che accadde dopo. "Dovetti spintonarli, togliermi l'elmo, gridare di farla finita".

Dice Fournier di non aver mai saputo chi fossero quei quattro. Dice Fournier che mai forse si saprà davvero chi altri c'erano nella "macedonia di polizia" (l'espressione è di Vincenzo Canterini, all'epoca comandante del primo reparto celere) che trasformò la Diaz in una tonnara. Lui ricorda quel che ha fatto, gli ordini che ha dato ("Chiamai i soccorsi e dissi a tutti di lasciare immediatamente lo stabile"), "l'allucinazione" in cui era piombato. "Io non picchiai, né i ragazzi del mio reparto si abbandonarono a violenze. Io so solo che uscii all'aperto e dissi a Canterini che così non avrei lavorato mai più...". La notte del 22 luglio fu la seconda insonne.

"Non dormivo da 48 ore. Alloggiavamo con tutto il reparto su una nave da crociera cipriota alla fonda nel porto di Genova. Eravamo arrivati qualche giorno prima e ci eravamo scontrati con il blocco nero in via Tommaseo, dove ci avevano tirato delle molotov. Io avevo appena perso mia madre. Ero arrivato al G8 e contavo i minuti per tornare a Roma. Sono figlio unico e dovevo occuparmi di mio padre. La notte del 22 avevamo già fatto i bagagli, poi, appunto, arrivò quella maledetta chiamata...".

Quando, il 23 luglio, il reparto lasciò Genova, Fournier aveva capito bene quel che era accaduto. Qualche giorno dopo, riceverà l'avviso di garanzia: "Ricordo lo choc di quella comunicazione, ma ricordo ancora meglio il titolo di quelli del "Manifesto": "C'è posta per voi"...". Eppure - dice - ancora non sapeva tutto. "Quando fui interrogato la prima volta, il pubblico ministero, il dottor Zucca, mi allungò i fogli con i referti medici dei feriti della Diaz e mi disse di leggere con attenzione. Bene, io mi ritengo una persona forte, ma scorrere quelle carte fu terribile. Mi cadde sulle spalle una croce che non ha più smesso di tormentarmi. Fino a quando non ho deciso di svelare al dibattimento anche quell'unico dettaglio che avevo taciuto per carità di Patria. Quello dei poliziotti che si accanivano sulla ragazza. Perché era giusto che lo facessi. Perché dovevo la verità non solo a me stesso, ma ai miei uomini e alla polizia".

Fournier si congeda. "Non ho altre verità nel cassetto. Ma un'ultima cosa vorrei dirla, anche perché ora posso farlo senza che la mia suoni come piaggeria. Il capo della polizia Gianni De Gennaro... pardon, l'ex capo della polizia, e che "capo", non c'entra con quella notte. Fu un terribile cortocircuito. E De Gennaro non era lì. Non fu lui a decidere cosa andava fatto e come andava fatto". Un'ultima stretta di mano e una foto mostrata sul cellulare. Una bimba che abbraccia un dobermann. "Mia figlia e il mio secondogenito. Altro che cani feroci. Anche su di loro quanti luoghi comuni..."

(2 luglio 2007) 

da rpubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Luglio 06, 2007, 09:52:30 am »

Le chiamate giunte al 113.

«I feriti? Teste aperte a manganellate»

Diaz, le telefonate nella notte: è un macello Genova, le registrazioni depositate dalla difesa.

Il capo della Digos dice agli agenti: «Ragazzi, le molotov non lasciatemele qui...» 

DAL NOSTRO INVIATO


GENOVA — Ore 23.58, 21 luglio 2001. Il signor Scotto, che abita accanto alla scuola Diaz, chiama il 113: «Buonasera, guardi che si stanno suonando di brutto qua sotto, dove c'è il centro, il Forum...». Operatore: «Sì, sapevamo già, grazie». Il signor Scotto: «È un macello». Operatore: «Grazie, sapevamo già, salve». Alla fine si torna sempre al punto di partenza. Il processo per i fatti della scuola Diaz non è nient'altro che questo, il tentativo di far capire a chi non c'era il dolore di chi venne pestato a sangue, lo sbigottimento di chi assistette dalle finestre di casa, il caos, la disorganizzazione e il senso di posticcio che stava dietro all'intera operazione. La registrazione delle chiamate giunte al 113 durante il blitz, che verrà depositata oggi (ultima udienza prima della chiusura estiva) dai difensori di parte civile, almeno è un documento utile a ricostruire il clima emotivo di quella notte tremenda. A scorrere le conversazioni con il 113, l'anarchia sembra regnare sovrana.

Ma anche dal caos, così sostengono le parti civili, è possibile avere risposte ai quesiti che fanno parte del processo. All'1.23 chiama il vicequestore Lorenzo Mugolo, furente: «È tutto il giorno che non rispondete a 'sto c... di 113, c'avete una sala operativa che sembra un reattore e non rispondete... Dov'è quel pullman, dove sono le volanti che stanno scortando il pullman? Qui non c'è niente!». Sono dettagli per cultori della materia, ma Murgolo era la persona incaricata della gestione dell'ordine pubblico davanti alla scuola, e quindi anche del deflusso delle persone arrestate. Una funzione che Vincenzo Canterini, capo del reparto Mobile di Roma, in aula ha invece attribuito a se stesso.

A giudicare dalla chiamate al 113, è Murgolo che si occupa della logistica. Canterini invece partecipa al ping pong sui referti medici e sui documenti da produrre la mattina dopo all'autorità giudiziaria. Alle 3.05 è lui a chiamare l'allora capo della Digos Spartaco Mortola: «Oh, scusa se ti disturbo... Mi ha telefonato credo Gratteri (allora capo dello Sco, ndr) per avere... sai, se qualcuno si è fatto male eccetera, io adesso sto facendo fare dei referti e domani mattina te li mando». Mortola: «Falli mandare su direttamente allo Sco, alla squadra mobile». Sottovoce, rivolto a qualcuno nella stanza, il capo della Digos fa anche un accenno ad un "corpo del reato" che in seguito diventerà famoso: «Oh ragazzi, le molotov non lasciatemele qui...». Francesco Colucci, il questore di Genova, si fa sentire più volte «perché vorrei essere informato».

Dalla questura chiamano allora il dirigente Alfredo Fabbrocini, presente sul posto: «Ma quanti eravate, quanti erano, così per sapere, perché noi non lo sappiamo...». Risposta, confusa: «Ti direi una bugia, non lo so, c'era un tale caos...». Il 113: «Ti faccio questa domanda, perché ce lo chiede il questore».

Fabbrocini: «C'erano tutti, comunque c'era il funzionario della Digos, il funzionario della Mobile, insomma, ero (...) non lo so se non c'era altro. C'era anche Ciccimarra, che lo conosco, ah, c'era Gratteri, c'era anche il dottor Gratteri. Capito? Loro hanno disposto il servizio, noi abbiamo fatto manovalanza». Quello che sembra chiaro a tutti i convenuti è la gravità dell'accaduto. Alle 3.42 la Centrale operativa chiama il posto di polizia dell'ospedale San Martino: «Volevo sapere la situazione dei malati...». Risposta: «Ci sono due riservati, ma non sono gravi». Altra domanda: «Ma cos'hanno subito?». Risposta: «Teste aperte a manganellate». Una delle ultime telefonate al 113, ore 3.55, è di un agente: «Ma senti un po', ne è morto un secondo?». Operatore: «Ma figurati». Agente: «C'è un collega che stava piantonando uno dei fermati, uno di quelli raccolti dalle parti della scuola e praticamente era in una pozza di sangue. Il collega che lo piantonava all'ospedale se ne voleva andare via perché diceva che tanto questo è morto».

Marco Imarisio
06 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 06, 2007, 09:54:45 am »

CRONACA

Genova, gli avvocati delle parti offese depositeranno le comunicazioni oggi al processo per il blitz nella scuola

Un agente della polizia dopo l'irruzione: "Qui ci sono teste aperte a manganellate"

G8, le telefonate tra poliziotti e centrale "Speriamo che muoiano tutti, 1-0 per noi"

di MARCO PREVE

 
GENOVA - C'è la poliziotta che scherza sulla tragedia di Carlo Giuliani ("speriamo che muoiano tutti... tanto uno già...1 a 0 per noi.."), il funzionario che impreca per i ritardi, l'agente che non sa che accade, l'altro che racconta di teste spaccate, il capoufficio stampa di Gianni De Gennaro "dimenticato" per strada, il capo della celere distrutto dalla nottata, quello della Digos che cerca di disfarsi delle due molotov. Sono le 26 telefonate che gli avvocati delle parti offese del processo per il blitz alla Diaz nel luglio 2001 - 29 tra funzionari e agenti imputati per lesioni, falso e calunnia - depositeranno nell'udienza di oggi, l'ultima prima della pausa estiva. Le comunicazioni sono quelle che intercorrono tra i poliziotti sul campo e la centrale operativa del 113 in questura.

Ore 21.35 l'irruzione deve ancora essere decisa ma vengono inviate pattuglie per verificare la situazione attorno alla scuola che ospita la sede del Genoa Social Forum. Una funzionaria della centrale operativa (Co) parla prima con una pattuglia della Digos: "In piazza Merani ci hanno segnalato questi dieci zecconi (i manifestanti ma anche i giovani di sinistra, ndr) maledetti che mettevano i bidoni della spazzatura in mezzo alla strada...". Alle 21.57 la stessa poliziotta parla via radio con un collega (R) il tono è rilassato e scherzoso.

R: "Ma guarda che io dalle 7 di ieri e di oggi sono stato in servizio fino alle 11, quindi... ho visto tutti 'sti balordi queste zecche del cazzo... comunque...". Co: "... speriamo che muoiano tutti...". R: "Eh sei simpatica". Co: "Tanto uno già va beh e gli altri... 1-0 per noi... tanto siamo solo sul 113 e registrano tutto".

A cavallo della mezzanotte, al 113, arrivano le telefonate allarmate di residenti della zona. Ore 23.58: "... via Cesare Battisti... guardi che è un macello... "; ore 23.59: "Lo sapete che hanno attaccato i ragazzi qui della scuola Diaz".

I primi feriti. Ore 00.17, l'agente al posto di polizia dell'ospedale San Martino chiama il 113: "Ascolta ha chiamato il 118 che sta arrivando una valanga di feriti, è possibile?". 113: "Sì no, guarda io non te lo so dire...".

Non hanno idea della situazione neanche gli agenti del reparto prevenzione mandati a piantonare i feriti all'ospedale. Alle 2.36 uno di loro chiama la Centrale operativa. "Sono 25 persone, uno ha problemi al torace... l'altro lo metti in chirurgia, l'altro in neurologia..", 113: "Sono in stato d'arresto?". Il poliziotto: "No devono essere accompagnati... si vede che questi sono i protagonisti degli scontri di oggi... però chi ha proceduto io non lo so". Co: "Guarda non lo so neanche io... ".

Alla stessa ora il poliziotto al San Martino spiega al 113, che chiede se ci sono ferite da taglio: "No, no teste aperte a manganellate".
Uno degli imputati il commissario Alfredo Fabbrocini parla al telefono con il 113 che chiede informazioni su quanto accaduto alla Diaz. Co: "Allora scusami esatto... quante persone avete accompagnato voi a Bolzaneto?".

F: "Guarda ti direi una bugia, non lo so... c'era un tale caos, guarda, anche perché noi non accompagnavamo, noi facevamo la scorta... comunque c'era il funzionario della Digos, il funzionario della mobile". Co: "E lì ti fermi... perché non c'era altro". F: "Non lo so se non c'era altro, c'era qualche funzionario addetto della Digos, ce n'erano almeno tre o quattro.. c'era il dottor Sgalla, c'era anche Ciccimarra che li conosco, quella là più alta in grado non so chi era, comunque ce n'erano altri... ah c'era Gratteri, c'era il dottor Gratteri... loro hanno disposto il servizio, noi abbiamo fatto manovalanza...".

All'1.23 Lorenzo Murgolo alto funzionario della questura di Bologna, indagato e poi prosciolto, si infuria con il 113 perché non arriva un pullman per il trasferimento dei "prigionieri" arrestati: "Sono il dottor Murgolo porca... perché non rispondete porca.. è tutt'oggi che non rispondete a sto ca... di 113.. ".
Cinque minuti dopo è ancora lui, in sottofondo si sente la gente che urla "assassini assassini". L'operatrice del 113 è in difficoltà di fronte alla rabbia di Murgolo e chiama un funzionario ma la musica non cambia: "Ma porca... ma mi volete dire dov'è 'sto pullman..". 113: "La navetta è sul posto...". M: "Mah.. io non la vedo".

Alle 2.07 Mario Viola funzionario collaboratore di Roberto Sgalla capo ufficio stampa del capo della polizia chiama ripetutamente il 113 per avere una volante che li riporti indietro perché tutti i mezzi sono partiti "scordando" i due dirigenti. Alle 2.44 richiama e dice che è stato accompagnato dal capo della mobile "perché se aspettavamo una volante stavamo ancora lì".

Mentre attendono di essere collegati dal centralino Viola parla con dei colleghi: "Che ha detto?... ha detto che non è stata proprio una bella cosa quella che abbiamo fatto" e un altro ribatte "che se ne andasse a fan... ".

Alle 3.05 Vincenzo Canterini ("... sai che non connetto più io.. dissociato.. davvero so dissociato...") capo della celere romana parla con un suo attuale coimputato, Spartaco Mortola, ex dirigente Digos di Genova che agli agenti nel suo ufficio dice: "Oh ragazzi le molotov non lasciatemele qui...". Sono le due bottiglie che, scoprirà la procura, furono introdotte nella Diaz dagli stessi poliziotti.

(6 luglio 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #6 inserito:: Luglio 06, 2007, 10:48:45 pm »

G8, una catena di comando parallela dietro le violenze


«Più di una filiera di comando» dietro i fatti del G8 di Genova. Lo afferma Ezio Menzione, uno degli avvocati che si sono occupati dei numerosi processi scaturiti da quei fatti. Venerdì sono state depositate dagli avvocati di parte civile al processo per la sanguinosa irruzione della polizia nella scuola Diaz 34 trascrizioni di conversazioni telefoniche con il 113 intercorse nelle giornate del 21 e 22 luglio 2001. Nelle trascrizioni - alcune delle quali sono state già anticipate dalla stampa - viene evidenziato il drammatico clima nelle ore precedenti e immediatamente successive al blitz della polizia . E dalla lettura di queste trascrizioni emerge c'era probabilmente qualcuno che rispondeva ad autorità diverse dal governo o dalle autorità "legittime". «Quello che abbiamo sempre pensato è che, dietro agli incidenti di Genova, ci sia dell'altro», sostiene Menzione.


Nelle registrazioni depositate c'è una telefonata che riguarda una comunicazione tra una funzionaria della centrale operativa e una pattuglia della Digos: «Speriamo che muoiano tutti», dice la poliziotta che scherza sulla tragedia di Carlo Giuliani. «Tanto... 1 a 0 per noi».

In un'altra trascrizione, un agente al posto di polizia dell'ospedale San Martino, dopo l'irruzione nella scuola Diaz, chiama il 113: «Ascolta, ha chiamato il 118 che sta arrivando una valanga di feriti, è possibile?». E ancora: «Qui ci sono teste aperte a manganellate».

Una telefonata riguarda anche una comunicazione tra un agente e il dott. Nando Dominici, all'epoca capo della Squadra Mobile di Genova, poco prima dell'irruzione nella scuola, sulla presunta presenza di infiltrati della polizia tra i manifestanti nei cortei. L'agente spiega: in un filmato, trasmesso su La 7, «hanno sostenuto in trasmissione che i due fossero degli infiltrati della polizia all' interno dei cortei... per diciamo dare fastidio. Nel filmato però c'è un piccolo particolare: si vede che tutti e due, è vero, sono travisati, ma hanno la placca della polizia in vista...». Dominici a quel punto chiede: «Ma sul serio?». «Sì - risponde l' agente - si vede nel filmato».

«Dalle trascrizioni delle telefonate della Diaz emerge una nuova ondata di orrore», afferma il senatore di "Insieme con l'Unione" Mauro Bulgarelli. E il capogruppo del Prc al Senato, Giovanni Russo Spena afferma: «Dopo le ammissioni dell'ex vicequestore Fournier arrivano ora le intercettazioni depositate a dimostrare, se mai ce ne fosse stato bisogno, che a Genova, nei giorni del G8, sono davvero successe cose inammissibili in uno Stato democratico.

«Mi chiedo - prosegue Russo Spena - di cosa ci sia ancora bisogno perché l'Unione si decida a fare quanto previsto nel suo programma e a costituire una commissione parlamentare d'inchiesta su quei fatti».


Pubblicato il: 06.07.07
Modificato il: 06.07.07 alle ore 19.52   
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« Risposta #7 inserito:: Luglio 06, 2007, 10:49:46 pm »

Agnoletto: «Fu una vera strategia della tensione»

Luca Domenichini

«La sera del 21 luglio 2001 (durante il terzo giorno del G8 di Genova, ndr) io sono ospite di una trasmissione su La 7. Il conduttore è Gad Lerner. Io pongo come condizione alla mia partecipazione di mandare in onda una cassetta che mi era stata consegnata 10 minuti prima dal regista Davide Ferrario. Quella cassetta mostrava in modo inequivocabile persone vestite da black bloc che si intrattenevano amichevolmente con le forze dell'ordine. Io accuso la polizia di avere messo infiltrati tra i black bloc. In un paese normale, la polizia infiltra qualcuno per evitare che si commettano reati. A Genova, invece, nonostante gli inflitrati, alcun black bloc è stato fermato. La ragione è molto semplice. Gli infiltrati della polizia tra i black bloc avevano un altro scopo: partecipavano loro stessi alle azioni dei balck bloc e d'indicare loro gli obiettivi, così da screditare tutto il movimento. Cioè, il Genoa Social Forum».
Insomma, una "strategia della tensione"...

«Sì, una strategia della tensione».

L'avvocato Ezio Menzione, uno dei legali che si sono occupati dei numerosi processi scaturiti da quei fatti, ha affermato che dalle trascrizioni emerge quello che si sospettava, ovvero l'esistenza di «più di una filiera di comando» parallela dietro alle violenze di Genova. Cosa ne pensa?

«Se Menzione, quando parla in sostanza di "comandi diversi", si riferisce all'insieme delle giornate del G8, allora non c'è dubbio. Venerdì 20 luglio il comando reale delle operazioni di piazza era nelle mani dei carabinieri e dell'allora ministro Gianfranco Fini, che in quel momento si trovava nella sala operativa dei carabinieri. Il 20 i carabinieri hanno assalito il corteo delle "tute bianche", nel totale disprezzo delle indicazioni che provenivano dalla questura e che spiegavano che quel corteo era autorizzato. Il 20 c'è stata un'asse tra An, Fini e i carabinieri che si è mosso indipendentemente dai vertici della polizia. Per la sera di sabato 21, invece, le responsabilità dell'irruzione alla Diaz portano ai vertici della polizia. In primo luogo, a Gianni De Gennaro».
Che idea si è fatto leggendo le trascrizioni delle chiamate tra la centrale operativa e i mezzi di polizia?

«È stata l'ennesima conferma di quello che abbiamo sempre sostenuto. Cioè, che è stato un vero e proprio massacro. Non solo, quando si parla della morte di un ragazzo dicendo "uno a zero per noi" o quando si ipotizza che ci sia un'altra morte, ne emerge una immagine assolutamente inaccettabile da parte della polizia e sorge una domanda: quali sono stati criteri di selezione in questi anni della polizia? Penso sia indispensabile da parte del governo di prendere provvedimenti, di espulsione, per gli agenti coinvolti nelle telefonate. E chiedo al governo che sposti il prossimo G8 dalla Maddalena».


Pubblicato il: 06.07.07
Modificato il: 06.07.07 alle ore 21.50   
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« Risposta #8 inserito:: Luglio 07, 2007, 06:40:51 pm »

Nelle testimonianze dei funzionari l'irruzione rivendicata come un successo

La Diaz e le telefonate, bufera sulla polizia

Genova e il G8, il processo per il blitz.

I ds e la sinistra radicale: solo ora si scopre la verità   
 
 
GENOVA—Nell’agosto 2001 c’era ancora qualcuno fermamente convinto che l’irruzione alla scuola Diaz fosse stata un successo. E davanti alla Commissione parlamentare conoscitiva sui fatti del G8 rivendicò meriti e bontà dell’iniziativa. La testimonianza al processo dell’onorevole Katia Zanotti, che partecipò alla commissione, aveva funzione di promemoria. Far rientrare dalla finestra le audizioni controverse, escluse dall’aula con una legittima decisione del Tribunale, avvalorata da pronunce di Cassazione e da precedenti come i processi Andreotti e Contrada.

Così, ha fatto un certo effetto la rievocazione della relazione mandata in Parlamento dall’ex capo della Digos Spartaco Mortola, che raccontava di quella notte. «Le operazioni di ingresso e "neutralizzazione" degli occupanti durano pochi minuti (…) Eseguo un rapido giro di ricognizione ai piani superiori… e con parte del personale Digos eseguo l’attività di perquisizione». Interrogato dai pm pochi mesi dopo, Mortola sfumerà molto sulla sua visita ai piani superiori, negando di aver effettuato perquisizioni.

Citata anche la testimonianza resa da Francesco Gratteri, allora capo del Servizio centrale operativo, che rivendicò la legittimità dell’uso della forza, alla luce dei «corpi di reato» recuperati nel blitz e della resistenza incontrata: «Penso che la decisione e la condotta energica, purtroppo, siano state legittimamente adottate, alla luce degli avvenimenti poi occorsi». L’onorevole Zanotti ha poi ricordato i contrasti tra i funzionari, rendendo onore a chi non si può più difendere. Il prefetto Arnaldo La Barbera, morto nel 2002. Un uomo che si assunse le sue responsabilità («Un’operazione di polizia giudiziaria da me pienamente condivisa»), ma al quale ne sono state attribuite molte altre, postume, da alcuni dei suoi colleghi.

Zanotti ha citato una lettera, mai pubblicata, nella quale il prefetto ribatteva alle accuse di Vincenzo Canterini, che negò di essere stato consigliato a pensarci bene sull’opportunità di un blitz. La lettera è del 5 settembre 2001: «Gli rivolsi un consiglio, un invito a valutare attentamente lo "stato di tensione" che avevo percepito nelle fasi antecedenti all’irruzione e a riflettere sull’opportunità di procedere». Non era un ordine, scrive La Barbera. «Io parlai al collega, al comandante di uomini, non al dipendente ».

Il prefetto spiegava di non aver citato l’episodio nell’audizione perché non era suo costume segnalare iniziative di colleghi, che, pur da lui non condivise, erano nella loro sfera di competenza. E concludeva: «La prego di consentirmi di non nascondere la profonda amarezza di dovermi confrontare con un collega sulla veridicità dell’accaduto ». Audienza finita, gli avvocati di parte civile erano sbalorditi per l’eco prodotta dalle trascrizioni delle telefonate al 113 acquisite agli atti del processo.

L’ultimo a parlare è stato Massimo D’Alema: «È una sconfitta della politica che solo grazie alla magistratura, diversi anni dopo, venga a galla quel che è accaduto al G8. Il governo Berlusconi aveva il dovere di fare chiarezza, e non l’ha fatta». Prima, gli esponenti della sinistra radicale. Mauro Bulgarelli e Loredana De Petris (Verdi) hanno chiesto nuovamente la commissione d’inchiesta: «A Genova fu sospeso lo stato di diritto». Francesco Caruso, Vittorio Agnoletto e Heidi Giuliani (Rifondazione) vogliono la rimozione degli agenti autori delle telefonate al 113 nelle quali si inneggia alla morte di Carlo Giuliani e sostengono che vi fossero poliziotti infiltrati tra i black bloc. Manuela Palermi (Pdci) si lamenta del silenzio della Casa della libertà e di parte dell’Unione: «C’è un filo che lega il Sismi al G8». Il processo riprenderà il 19 settembre.

Marco Imarisio
07 luglio 2007
 
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« Risposta #9 inserito:: Luglio 14, 2007, 11:39:48 pm »

2007-07-14 16:02

G8: DE GENNARO INTERROGATO, RESPINGE ACCUSE


 GENOVA - E' durato poco meno di quattro ore l'interrogatorio dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro alla Procura di Genova. De Gennaro è uscito in auto da Palazzo di giustizia alle 15.40, dribblando giornalisti e cinefotoperatori in attesa. De Gennaro è indagato per concorso in falsa testimonianza con Francesco Colucci, ex Questore di Genova nell'ambito della sanguinosa irruzione dei poliziotti nella scuola Diaz, durante il G8.

L'ipotesi d'accusa degli inquirenti genovesi fa riferimento alla presunta induzione a far rendere falsa testimonianza all'ex Questore di Genova Colucci, a sua volta indagato di falsa testimonianza per le dichiarazioni rese come teste dell'accusa il 3 maggio scorso al processo per i fatti avvenuti alla Diaz. De Gennaro è assistito dagli avvocato Franco Coppi e Carlo Biondi.

L'interrogatorio si svolge nella massima segretezza in un'aula del quinto piano di Palazzo di Giustizia di Genova. Ad interrogarlo sono i pm Enrico Zucca, Francesco Cardona Albini, e il procuratore aggiunto Mario Morisani. De Gennaro, al suo arrivo, è stato fatto entrare con l'auto dai garage sotterranei da dove ha raggiunto direttamente l'aula dell'interrogatorio, dribblando giornalisti e cineoperatori. Poliziotti e funzionari della Digos stanno presidiando l'aula dove è in corso l'interrogatorio e le varie uscite del palazzo di giustizia.


PM: EX CAPO POLIZIA HA RESPINTO ACCUSE GENOVA

 "De Gennaro ha dichiarato di non aver invitato in nessun modo l'ex questore di Genova Francesco Colucci a rendere false dichiarazioni: lo ha detto al termine dell'interrogatorio il procuratore aggiunto Mario Morisani. "De Gennaro - ha aggiunto - è stato molto disponibile e ha risposto alle nostre domande". A De Gennaro i pm genovesi hanno contestato il contenuto di alcune telefonate intercorse tra l'ex questore di Genova Francesco Colucci e altri funzionari di Polizia nelle quali Colucci avrebbe detto di essere stato invitato dal capo a cambiare certe dichiarazioni. Oggi, nel corso dell'interrogatorio, a De Gennaro non sono state fatte sentire le telefonate in quanto - come ha spiegato uno dei pm, Mario Morisani - si tratta di telefonate a cui De Gennaro non ha partecipato. 

da Ansa
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