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Autore Discussione: Oreste Pivetta - Piazza Fontana, Licia Pinelli: Vorrei vedere la verità  (Letto 2709 volte)
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« inserito:: Dicembre 12, 2007, 06:32:18 pm »

Piazza Fontana, Licia Pinelli: Vorrei vedere la verità

Oreste Pivetta


Prima di morire vorrei vedere la verità anche in un’aula di tribunale, vorrei sapere che cosa accadde davvero in quella stanza. Sono parole (da un’inedita intervista filmata) di Licia Pinelli, la vedova ottantenne di Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico, per tutti Pino, morto il 15 dicembre 1969, cadendo da una finestra al quarto piano della questura di Milano. Lo stavano interrogando da due notti. «Malore attivo», concluse l’inchiesta condotta da un giovane magistrato, sicuramente democratico, sicuramente «di sinistra»: Gerardo D’Ambrosio.

Verità. Vorremmo tutti «vedere la verità», oltre quella stanza, in un Paese, prima e dopo Piazza Fontana, avvolto da tanti misteri e da poche certezze. Una tra queste: quanto fascista fosse quella strage e quelle che vennero dopo, quante complicità da parte

di uno Stato, che si difese accusando gli “organi deviati”, come fossero astratte imprevedibili malformazioni.

Giuseppe Pinelli era colpevole di nulla, era colpevole di essere anarchico e si sa che le indagine, come chiedeva il questore Guida, dovevano dirigere là, tra gli anarchici.

L’incubo dei giorni precedenti, del 12 dicembre, del boato nella Banca dell’Agricoltura, sembrò fissarsi e addensarsi in quella notte di dicembre, in un’altra tragedia, un’aggiunta che accusava direttamente lo Stato, in una città avvolta dal dolore, dalla paura, che si raccolse, nera e cupa, in piazza del Duomo, la mattina del 16 dicembre, per i funerali. Impaurita ma forte ancora per reagire. Le fabbriche furono in prima fila.

Trentotto anni e piazza Fontana continua a ricordarci, uno dei passaggi più tragici, oscuri e paurosi della nostra storia. Continua a ricordarci i suoi morti, le sedici povere vittime della banca, e, appunto, Giuseppe Pinelli. Più quelli della stazione di Bologna e gli altri dell’Italicus e tanti ancora.

Una vittima di Piazza Fontana fu anche Pietro Valpreda, il ballerino, l’anarchico, che, cercando un colpevole a tutti costi, fu il più facile colpevole. Come Giuseppe Pinelli. Valpreda, riconosciuto da un tassista, Cornelio Rolandi, al quale la foto del presunto dinamitardo era stata mostrata prima, se la cavò: sopravvisse al carcere e alla fine fu discolpato.

Pinelli pagò con la vita e pagò la sua famiglia. Si dovrebbe rileggere Camilla Cederna, l’amatissima giornalista che, svegliata dalla notizia, cercò, prima in Questura, quindi in un pronto soccorso d’ospedale, infine in un quartiere della periferia milanese, subito, nei primi minuti, qualche luce di verità. Camilla Cederna, «con quel senso di vergogna che prende un giornalista quando entra nella casa del dolore», bussò alla porta di un piccolo appartamento, in via Preneste, a San Siro, case popolari costruite negli ultimi anni del fascismo. La porta si aprì e comparve una donna: «Licia Pinelli non piange, ed è per questo che fa più impressione: è lì tutta dritta nella sua vestaglietta rosa dal collettino ricamato, con un bel viso grigio di pallore e gli occhi intenti che hanno sotto un alone scuro. Parla piano per non svegliare le bambine, ma, decisa a non lasciarci entrare, socchiude appena la porta, e sta lì ben piantata in quella fessura, a difendere la sua casa». Così Camilla Cederna ritagliava, dall’oscurità di un pianerottolo, lo splendido ritratto di una donna splendida, sempre nel riserbo, silenziosa e tenace a «difendere» la sua casa, la sua famiglia, il ricordo del marito.

Licia Pinelli raccontò la sua storia una volta sola, in un libro che era poi una lunga intervista raccolta da un giornalista, Piero Scaramucci (Una storia quasi soltanto mia, Milano, 1982).

Licia Pinelli, che ha ormai passato gli ottanta anni, ha deciso di “riprendersi” la parola, questa volta in una intervista filmata di una trentina di minuti, che verrà proiettata sabato prossimo (proprio il 15 dicembre, come il 15 dicembre di trentotto anni fa), al Leoncavallo (il centro sociale di via Watteau, a Milano, alle ore 21), per iniziativa di Mauro Decortes. Ha chiesto di sapere «che cosa accadde davvero in quella stanza». Ha aggiunto che in questi anni la migliore risposta a quel che ci accadde è stata la molta solidarietà giuntaci dall’opinione pubblica». E questa sarebbe «la migliore dimostrazione che su quei fatti c’è ancora attenzione». «Attenzione - ha ricordato che non c’è stata da parte delle istituzioni. Mentre io vorrei avere anche la loro verità. E non riprovare quel che accadde quando chiamai in questura per sapere perchè non mi avevano avvisato subito che mio marito era morto e mi sentii rispondere: “Signora, ci scusi, ma abbiamo avuto molto da fare.”».

Pubblicato il: 12.12.07
Modificato il: 12.12.07 alle ore 13.23   
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