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Autore Discussione: Aizzati da un deputato di Forza Italia, i "padroncini" sono 120 mila e sanno ...  (Letto 2965 volte)
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« inserito:: Dicembre 12, 2007, 06:29:37 pm »

Un settore al collasso che nessuno dei due Poli è riuscito a governare

Autotrasportatori, quei cileni di casa nostra

Aizzati da un deputato di Forza Italia, i "padroncini" sono 120 mila e sanno di poter bloccare l'Italia


ROMA — Paolo Uggè non è Leon Vilarin, il capo dei camionisti cileni che nell'autunno del 1972 diede la spallata decisiva al governo di Salvador Allende.
Ma dire che nessuno abbia mai pensato che lo sciopero dei Tir potesse dare, se non proprio una spallata, perlomeno una spallatina al governo di Romano Prodi, sarebbe inesatto. Anche perché Uggè non è soltanto il capo dei camionisti italiani. Lui è pure, fatto molto singolare, parlamentare della Repubblica.

Siede alla Camera sui banchi di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi, il quale da mesi insiste che Prodi se ne deve andare. E lui conosce la sua gente, come dimostra il commento tutt'altro che signorile dopo la riunione con il governo: «Ci stanno prendendo per i fondelli». Proprio quello che ci voleva per distendere gli animi prima della precettazione.

I padroncini schiumano rabbia e l'aumento vertiginoso del gasolio è soltanto la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il centrodestra li aveva coccolati al punto da portare al governo perfino il loro capo Uggè: sottosegretario alle Infrastrutture con delega alla logistica. Per intenderci, come se avessero dato al sindacalista degli statali il compito di scrivere il contratto del pubblico impiego. Non che i problemi fossero stati affrontati e risolti. Ma con il centrosinistra l'aria è cambiata di colpo.

La paura di nuove tasse, le liberalizzazioni che fanno temere la caduta delle ultime barriere anche in un settore apparentemente protetto, o l'assenza di feeling con un governo che guarda i lavoratori autonomi senza troppa indulgenza. Perfino quelli che con un governo simile dovrebbero trovarsi più in sintonia: e non a caso protestano anche gli autotrasportatori della Cna. Forse il fattore scate nante non è stato uno solo di questi elementi, quanto piuttosto una miscela di tutti. Ma il risultato è nitroglicerina.

I camionisti possono bloccare il Paese e l'hanno dimostrato. Se ci si è fermati davanti ai tassisti, che al massimo possono bloccare Roma e Milano, figuriamoci davanti ai Tir. Come stupirsi, quindi, che nessun governo abbia mai voluto prendere di petto questa faccenda? Del passaggio di Uggè al governo (due anni e mezzo), per esempio, si ricorda soprattutto la redazione del «Piano nazionale della logistica» da parte di un organismo pomposamente battezzato Consulta nazionale dell'autotrasporto, di cui l'ex capo del Cuna era presidente. Ne facevano parte 41 persone e una serie di consulenti, fra cui Lorenzo Necci ed Ercole Incalza. Costo del Comitato e del Piano, per il solo 2005, due milioni di euro.

Ovviamente quel Piano non ha risolto nulla. Né poteva farlo. I padroncini sono 120 mila: sia con il centrodestra, che li coccolava, sia con il centrosinistra, che non li ama troppo, continuano a fare una vita d'inferno. Ed è sempre peggio. Loro sono troppi e le loro aziende sono troppo piccole, mentre le grandi imprese olandesi o tedesche invadono il mercato. Pur essendo in un settore dove serve la licenza, si scannano tra di loro per un carico. La concorrenza è violenta al punto che si lavora in perdita, con tariffe di un euro e trenta a chilometro, pur di lavorare. Siccome poi l'organizzazione è inesistente, capita che il camion torna indietro scarico. La conseguenza è che il 40% dei mezzi marciano vuoti: uno spreco enorme oltre a un danno incalcolabile per l'ambiente.

 Succede così che, per recuperare tempo e denaro, Tizio viaggi sovraccarico, Caio vada più veloce del consentito, Sempronio stia al volante per troppe ore. Se i conti sono giusti, dei 575 milioni di euro di contributi per il gasolio che gli autotrasportatori chiedono, ben 230 servirebbero per far camminare mezzi scarichi. E migliaia di camion vuoti che camminano su e giù per la penisola inondando l'aria di Co2 non sono né di destra né di sinistra. Dario Ballotta della Cisl sostiene che è necessario rianimare il trasporto merci su ferrovia e i porti. Ma servono massicci investimenti, che mancano, e soprattutto volontà politica. Non si vede nemmeno quella. Così si finirà per arrivare al solito compromesso politico sui soldi. Fino al prossimo inevitabile blocco.

Sergio Rizzo
12 dicembre 2007

da corriere.it
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Admin
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 12, 2007, 06:33:40 pm »

Una deriva pericolosa

Alfredo Recanatesi


«Rompere il muro di silenzio attorno alle fabbriche e tornare a parlare con gli operai». Così Walter Veltroni annuncia per l’inizio del 2008 la conferenza operaia del Pd nel Nord Italia. E delinea le priorità del suo partito su lavoro e produttività: «La questione salariale va riaperta». Con detrazioni fiscali, incentivi mirati e controllo dei prezzi.

Se è così, le manifestazioni dei camionisti non hanno nulla a che fare con lo sciopero; al contrario, nella sostanza ne costituiscono una forma degenerata, e nella forma un uso ricattatorio nei confronti dell’intera collettività in genere e di tutti gli altri lavoratori in particolare. Anche a motivo delle politiche seguite nei passati decenni, il trasporto su strada da noi è più vitale che altrove. Ancor più che per le ferrovie, il trasporto aereo o il trasporto pubblico urbano, quindi, non è accettabile che l’autotrasporto si fermi senza alcun preavviso, con i camion già carichi anche di merci deperibili che vanno in malora.

Non è parimenti accettabile che i camion si fermino bloccando strade ed autostrade col fine specifico, esplicitamente dichiarato ai microfoni dei telegiornali, di creare un danno economico e sociale indiscriminato che arriva alla limitazione della libertà altrui di muoversi e di lavorare. Ancora: non è accettabile che, di fronte a così palesi trasgressioni della legge, lo Stato sia rimasto spettatore eludendo il dovere di rimuovere i blocchi stradali e denunciare i responsabili per gli enormi danni arrecati. La precettazione decisa ieri impone una ripresa del servizio, ma non sana le illegalità perpetrate. Ma soprattutto, non è accettabile la discriminazione che con queste azioni di forza implicitamente si stabilisce all’interno del mondo del lavoro.

I diritti di un camionista sono forse "più diritti" di quelli di un operaio impiegato in un mobilificio, o di un idraulico che deve guadagnarsi la giornata effettuando interventi di riparazione, o di qualsiasi altra persona che deve avere comunque riconosciuta e garantita la libertà di andare dove più gli garba? Sono forse diritti che valgono più di quelli di tutti gli altri, lavoratori o no, solo perché i camionisti hanno un Tir da mettere di traverso negli svincoli autostradali? Sono in gioco, com’è facile capire, questioni fondanti del vivere civile, fondanti della stessa democrazia che certo non ammette il ricorso al ricatto nei confronti della società come strumento di pressione per l’affermazione dei propri interessi. Quali interessi, poi.

Tra le richieste avanzate dai camionisti alcune - turni ed abusivismo - sono rispettabili e condivisibili, ma altre - agevolazioni su gasolio e pneumatici - sono a dir poco discutibili. Che il costo dell’autotrasporto sia aumentato è sotto gli occhi di tutti. Tutti ne subiamo conseguenze dirette e indirette. Chi utilizza un qualsiasi veicolo per motivi di lavoro tenterà di trasferire quel costo sui prezzi praticati e ci riuscirà nella misura in cui il mercato del bene o del servizio che produce glielo consentirà.

Per il resto, il rincaro graverà sul suo reddito disponibile, come quota dell’impoverimento che il Paese nel suo complesso subisce ogni volta che rincara il prezzo internazionale di beni essenziali come il petrolio e l’energia in genere. Piaccia o non piaccia, così funziona l’economia di mercato. Quando si chiedono "agevolazioni" si chiede in realtà che quei rincari vengano posti a carico dell’intera collettività. Ma non c’è alcun motivo per cui la collettività dovrebbe caricarsi di quest’onere se non quello che le agevolazioni stesse vengono chieste puntando il coltello dei blocchi autostradali, dei distributori di benzina a secco, delle derrate che marciscono, delle fabbriche che devono fermarsi. Non è la prima volta che una categoria, per il solo fatto che svolge un servizio vitale, tiene in scacco una buona parte del Paese.

Ciò nondimeno è difficile trovare il precedente di un ricatto tanto grave nel quale, alla protervia delle gomme bucate ai camionisti che non intendevano partecipare all’illegalità del blocco, si unisca la cinica soddisfazione per i danni arrecati.

Ma è quanto mai necessario che la politica recuperi il terreno perso sulla imposizione della legalità. La "riprovazione" manifestata dal presidente del consiglio non può bastare. Non può bastare neppure la precettazione. Non possono bastare non solo per ripristinare la legalità e prevenire altri così evidenti attacchi all’ordine sociale ed economico, ma non possono bastare soprattutto per evitare che il coltello tra i denti diventi il fattore decisivo nella fisiologica contesa tra gli interessi delle diverse categorie che compongono la nostra collettività nazionale.

Pubblicato il: 12.12.07
Modificato il: 12.12.07 alle ore 14.22   
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