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Autore Discussione: Ugo La Malfa - Perseguì il disegno di una egemonia liberal-riformista ...  (Letto 1937 volte)
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« inserito:: Marzo 27, 2019, 05:08:39 pm »

La scomparsa di Ugo La Malfa - Perseguì il disegno di una egemonia liberal-riformista (1979)

UGO LA MALFA
LUNEDÌ 26 MARZO 2018

Di Aniello Coppola – “Rinascita”, a. XXXVI, n. 13, 30 marzo 1979, pp. 9-10.

La scomparsa di Ugo La Malfa, uno dei massimi protagonisti dell’Italia repubblicana
Nelle fasi decisive della storia democratica scelse sempre una posizione centrale. Il centro-sinistra come occasione per avvicinare il nostro sistema politico al modello europeo. La funzione essenziale di incrocio del dibattito tra forze diverse. Il giudizio sul compromesso storico, tratto dalle cose, diede luogo a polemiche nell’area laica. La capacità di leader che ottiene ascolto e il carattere scomodo di uno personalità che sfugge alla gestione corrente.

Cinquant’anni di battaglie politiche, di cui più di trenta spesi in prima linea, anzi al vertice del potere, può vantarli soltanto un politico di razza. E sono pochi, pochissimi a stargli a pari in questo itinerario. Ma la sua peculiarità emerge dal temperamento, dall’impronta europea della sua cultura, e da una caratteristica personale ineguagliata anche dagli altri “padri della Repubblica” che hanno vissuto la loro stagione più feconda nel campo del riformismo liberal-democratico. È stato il solo, tra le grandi figure del Partito d’azione – il più fitto concentrato di generali senza esercito – a imporsi per la forza delle proprie intuizioni politiche, tanto da poter contare in ogni situazione assai più dei consensi elettorali che riusciva a raccogliere.
L’anomalia del sistema politico italiano, uscito dalla rivincita storica delle forze lasciate ai margini dal processo unitario, fu il suo cruccio irrisolto di liberale moderno. Ma il fortissimo senso di sé, intrecciato a un realismo da grande politico, gli diede la sicurezza altera di poter contare per il proprio valore intrinseco, a prescindere dai rapporti di forza. In tutte le fasi decisive della nostra storia democratica si collocò costantemente in posizione centrale, riuscendo sempre a riprendersi dall’insuccesso delle sue pregiudiziali, a riemergere nonostante il vanificarsi delle sue intuizioni precorritrici, a superare le difficoltà che il suo razionalismo illuministico incontrava nel confronto con la realtà spesso prosaica della nostra vita collettiva. Così fu subito dopo la liberazione, quando la questione monarchica fu risolta assai più dal realismo togliattiano che dal moralismo azionistico. Per un paradosso della storia, trovò in De Gasperi l’uomo capace di restituirgli una posizione centrale, insieme con gli Einaudi, i Menichella, i Merzagora, il personale liberal-democratico cui la Dc ricorse per avviare la politica del rilancio capitalistico, premessa del miracolo economico.
In quella fase l’accumulazione culturale fatta in gioventù dalla scuola di Raffaele Mattioli e dal pensiero economico anglosassone fecero del ministro del Commercio estero Ugo La Malfa il promotore della liberalizzazione degli scambi che spinse gli industriali italiani a uscire dalla nicchia autarchica e protezionistica approfittando dell’inferiorità salariale che rendeva i nostri prodotti competitivi sul mercato internazionale. I risultati di quella operazione, contraddetti peraltro dal declinare del centrismo, lo schema di governo che li aveva favoriti, gli diedero la certezza che il nostro sistema potesse proporsi l’obiettivo di utilizzare lo sviluppo economico come la base di un’operazione mirante ad estendere il consenso al blocco politico-sociale dominante, ad allargare le basi dello Stato mediante l’assunzione al governo del più disponibile tra i partiti del movimento operaio. Si trattava, in altri termini, di avvicinare l’Italia, divenuta la settima potenza industriale, ai modelli politici della grande Europa.
Con Fanfani, Moro, Lombardi, Nenni (ognuno con motivazioni e con disegni diversi) fu tra i promotori e tra i protagonisti del centro-sinistra, la più ambiziosa operazione politica dell’Italia contemporanea. Se l’ispirazione di Fanfani fu il riformismo sociale di matrice cattolica; se Moro espresse l’ambizione di un giolittismo democristiano; se Lombardi coltivò il sogno di un programmismo rivoluzionario; se Nenni idealizzò l’incontro storico tra socialisti e cattolici come una via di uscita per la crisi interna e internazionale del movimento operaio, La Malfa concepì il centro-sinistra come l’occasione per colmare il fossato che separava la borghesia laica dalla razionalità capitalistica che per lui era sostanza insostituibile della democrazia moderna.
Con Riccardo Lombardi, il leader repubblicano fu il solo protagonista del centro-sinistra a non rinchiudersi in quella formula di governo come in una rocca ideologica sorda o indifferente ad ogni sollecitazione esterna. Al contrario, in quella fase rifulse la sua concezione di una dialettica politica e ideale senza esclusivismi. E non soltanto per la visione aperta che ebbe sempre della democrazia, ma perché non rinunciò mai al sogno di una egemonia intellettuale e anche politica sull’intero arco delle forze costituzionali, incluso il più forte partito del movimento operaio.
Non pensò il centro-sinistra né come un’operazione di sfondamento contro il movimento operaio, né come una manovra di aggiramento che avrebbe dovuto tagliar fuori i comunisti e ridurli a surgelati inutilizzabili. Per lui, l’ingresso dei socialisti nel governo era la premessa e la condizione di una espansione politica del sistema borghese-capitalistico. In quegli anni fu il punto di incrocio di un dialogo che lo vide protagonista proprio in forza di quel complesso di superiorità che egli ricavava dall’altissima considerazione che aveva del proprio valore e dalla convinzione profonda che l’ordine sociale in cui si identificava fosse immutabile e disponesse di una forte capacità di autocorrezione e di ammodernamento.
Le ultime tracce lasciate da La Malfa nella vicenda politica italiana provano che la sua personalità era una originalissima combinazione di fantasia e di realismo, sicché ogni sua intuizione era strettamente correlata all’analisi dei processi reali, nella società e nella sfera politica. Poco conta che egli abbia riletto sempre la storia appena trascorsa come una serie di appuntamenti mancati con le sue previsioni, i suoi ammonimenti, le sue analisi. Val meglio constatare che, nel campo laico, è stato il primo a percepire che la crisi economica, l’evoluzione del partito comunista e il cambiamento della geografia elettorale avevano sommerso gli ancoraggi sui quali il nostro sistema politico si era stabilizzato per decenni.
In consonanza con Moro, ne ricavò la convinzione che non fosse più possibile governare contro o senza i comunisti. Più libero dai condizionamenti soggettivi e oggettivi che frenavano il presidente democristiano, si azzardò a parlare di ineluttabilità del compromesso storico. Questo suo giudizio suonò come iconoclastico per quanti, nel settore laico-radical-socialista, dal 20 giugno 1976, salmodiavano esorcismi contro l’abbraccio democristian-comunista che avrebbe inesorabilmente soffocato le forze intermedie. Si parlò di tradimento dei laici e il tradimento fu interpretato come il segno che La Malfa si apprestasse ormai a buttarsi alle spalle l’intero patrimonio politico accumulato in mezzo secolo di polemiche con i suoi “carissimi nemici” e si predisponesse a fare da garante laico dell’intesa tra i comunisti e i democristiani. La polemica probabilmente gli costò l’elezione a presidente della Repubblica. Ma la scarsa fondatezza di tale sospetto risultò abbastanza chiara nelle successive vicende, che videro sfilacciarsi la grande maggioranza, fino alla formazione del governo in cui aveva assunto, per mandato del Quirinale, la funzione di vice-presidente del Consiglio e di guida della politica economica. La costante del suo disegno politico restò sempre quella di una egemonia liberal-riformista sul movimento operaio.
Se il livello di un leader si misura dal raggio di influenza del suo pensiero e della sua iniziativa, ebbene La Malfa ebbe in massimo grado potere di ascolto e forza di incidere sulle forze politiche più diverse e lontane. E a dispetto del suo atteggiamento predicatorio, della sua vocazione pedagogica, dei suoi sbalzi di umore, del suo gusto un po’ gigionesco per la funzione carismatica del leader. Mai felpato o accomodante, pur essendo maestro nelle ruses de guerre della politica, le sue sortite hanno avuto sempre una sigla personalissima, tipica di un personaggio ribelle alle convenzioni e ai condizionamenti che imbozzolano le mezze figure, gli omuncoli della politica.
Solo i partiti che egli riusciva a modellare a propria misura erano in grado di sopportarne la personalità cruda e prepotente, il fervore intellettuale, gli scatti imprevedibili eppure magistralmente studiati, la naturalezza con la quale recitava la parte del mattatore, il coraggio della impopolarità. Non è stato il solo grande personaggio scomodo, anche per chi gli fu più vicino. Ma a lui non è mai capitato di farsi sottrarre il potere di comando da qualche luogotenente addetto all’intendenza, o di dover patteggiare il potere con un giovane delfino impadronitosi dell’apparato. È rimasto sempre leader in senso assoluto, disdegnando di contrattare con chi non avesse la sua taglia, e non facendosi mai invischiare in defatiganti negoziati sottobanco per la gestione degli affari correnti. Anche in questo, resta un modello ineguagliato nell’universo politico nazionale.
Aniello Coppola

Da - https://www.facebook.com/notes/ugo-la-malfa/la-scomparsa-di-ugo-la-malfa-persegu%C3%AC-il-disegno-di-una-egemonia-liberal-riformi/983766065112385/
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