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« inserito:: Febbraio 17, 2019, 10:21:28 pm »

I cinque errori della democrazia e perché puntare sul merito vuol dire salvarla

 Scritto da Alessandro Magnoli Bocchi il 29 Ottobre 2018

RES PUBLICA

La democrazia rischia di soccombere. L’idea che la democrazia[1] sia l’unico sistema possibile (e l’autoritarismo superato) ha perso plausibilità. Anche le democrazie più consolidate – in affanno nel gestire globalizzazione[2], disuguaglianza e immigrazione – sono a rischio sopravvivenza. Il mondo è in “recessione democratica”.

Ascesa e declino
La democrazia, per cinquant’anni considerata punto di arrivo … Nel 1941, solo 11 paesi al mondo erano organizzati secondo principi democratici. Ritenuta il sistema di governo cui aspirare, dopo la seconda guerra mondiale si è diffusa velocemente. Nel 2000 ben 116 paesi (il 69 per cento del totale) erano considerati democrazie.

… nell’ultimo decennio ha iniziato a perdere terreno … La tendenza ha iniziato a rovesciarsi nel 2006: negli ultimi dodici anni, molti paesi sono diventati meno democratici. La crisi del 2008 ha accentuato il trend. Alla fine del 2017, erano democrazie 97 paesi su 167 (il 58 per cento del totale).

… e oggi è in crisi. “Soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia”: l’aforisma di Leo Longanesi ben descrive l’attuale stallo. Già nell’Antica Grecia c’era scetticismo[3]. Socrate venne condannato a morte con un voto di maggioranza. Platone[4] preferiva il governo dei saggi, la “sofocrazia”. Aristotele[5] temeva la degenerazione in oclocrazia (tirannide delle masse). Oggi, la sopravvivenza della democrazia liberale è messa in dubbio dal: 1) trasferimento di decisioni a livello sovranazionale; 2) l’aumento delle diseguaglianze; 3) la corruzione dell’establishment[6]; 4) la debolezza dei partiti politici, venuti meno al loro compito principale: portare persone capaci alla guida della res publica; 5) il rigetto di competenza e autorità da parte di chi vota; e 6) le tendenze autoritarie[7] del populismo.

Sotto scacco, in tutto il mondo
Nel mondo, la democrazia è delegittimata top-down dalle élite e sfiduciata bottom-up dai cittadini. Per decenni, le classi dirigenti tradizionali hanno: 1) presidiato le istituzioni chiave (e.g.: i tribunali, i media e le forze armate); 2) rimosso le funzioni di controllo e garanzia (checks and balances); 3) governato a proprio vantaggio; e 4) sfuggito la meritocrazia e raggiunto un grado di mediocrità tale da suscitare reazioni antidemocratiche. Di conseguenza, i cittadini non si sentono né rappresentati né protetti – convinti che:
1) il potere sia in vendita a chi ha i soldi per comprarlo (democrazia prona alla plutocrazia);
e 2) la volontà popolare sia diventata secondaria rispetto alla volontà dei mercati e delle istituzioni internazionali (democrazia prona alla globalizzazione).

Nei paesi industrializzati, il sistema democratico appare rissoso e inconcludente … L’antipolitica è rampante. I partiti tradizionali, ricchi di privilegi e risorse pubbliche, hanno perso legittimità sociale e il polso della situazione. I cittadini sono confusi, non si sentono rappresentati – e votano “contro” piuttosto che “per”. I sistemi elettorali non riescono ad aggregare le preferenze individuali e la democrazia è incapace di costruire un consenso[8]. Le risultanti coalizioni (spesso incoerenti, fragili e sfilacciate) portano all’impasse politica e alla paralisi[9], rafforzando le fazioni nazionalsocialiste – la cui frangia più estrema è intransigente, antidemocratica e xenofoba. Il populismo, promettendo soluzioni semplici a problemi complessi, mina ulteriormente il dibattito politico[10] e ridesta desideri di “uomo forte”.

… molti cittadini sono convinti che non funzioni. La democrazia, prigioniera di dinamiche demografiche sfavorevoli ai più giovani, ha mal gestito l’evoluzione della società. Nonostante vivano in nazioni ricche e pacifiche, i cittadini sono scontenti, preoccupati di perdere lavoro e identità a causa di globalizzazione e cambio tecnologico. La divisione tra chi ha garanzie e chi non le ha è lacerante: alcuni sono remunerati anche se non generano risorse (i.e.: a prescindere dalla loro produttività), mentre altri – esposti senza garanzie al mercato – soffrono ogni decelerazione della congiuntura. I politici, eletti in loco, fanno promesse su temi che rispondono a dinamiche globali – e dunque impossibili da mantenere.

In molti paesi emergenti, i regimi autoritari guadagnano terreno … I paesi in cui il potere è concentrato nelle mani di pochi appaiono più efficienti e moderni[11]. In Asia, la Cina, il Vietnam e altre nazioni – raggiungendo tassi di crescita superiori ai paesi occidentali[12] – hanno dimostrato che non è necessario essere una democrazia per svilupparsi. In Medio Oriente e nell’Europa dell’Est, il passar del tempo ha dimostrato che la cacciata di un dittatore non implica l’avvento della democrazia; anzi, può generare instabilità: spesso il governo non funziona, l’economia soffre e il paese rapidamente peggiora[13]. In Europa, iI nazional-populismo autoritario di Viktor Orbán[14] – sino a pochi anni fa considerato un’eccezione – è oggi ritenuto precursore.

… la democrazia è considerata di facciata.
Spesso la democrazia legittima i regimi autoritari – soprattutto quando:
 1) il suffragio è universale a patto che il vincitore sia deciso ex ante[15];
 2) la “volontà popolare”, specie se plebiscitaria, giustifica e dà potere all’uomo forte; e 3) gli spazi per la manifestazione del dissenso esistono solo formalmente, ridotti al minimo[16].

Limiti seri, responsabilità importanti
La democrazia è di difficile definizione. È come l’Araba Fenice: “che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa”. Nel novembre 1947, in un discorso alla Camera dei Comuni, Winston Churchill ne diede una definizione rimasta nella storia: “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le forme che si sono sperimentate fino ad ora”.

… impossibile in teoria …
La promessa essenziale della democrazia è che gli elettori controllino il policy making. Eppure, disegnare norme di voto che rispettino tale promessa – aggregando scelte individuali in preferenze sociali – è quasi impossibile[17].

… e quasi irrealizzabile in pratica. Il policy making è influenzato dall’accesso diseguale alle informazioni, dal controllo dei media, dall’attività di lobbying e dal voto di scambio – soprattutto in contesti socioeconomici caratterizzati da: i) asimmetrie di potere preesistenti; ii) divisioni etniche e religiose; e iii) istituzioni inadeguate. Nel processo democratico: a) la maggioranza tende ad opprimere le minoranze[18]; b) le minoranze – specie se potenti (e.g.: le lobby) – fanno il possibile per sottomettere e sfruttare la maggioranza, concentrando i benefici (su se stesse) e spalmando i costi (sulle masse) [19].

In quanto sistema di governo, la democrazia ha importanti responsabilità. La lista delle manchevolezze non è corta. In ordine di gravità:

1. Si è rivelata incapace di lungimiranza e non ha promosso la sostenibilità.

– Ha sacrificato sistematicamente il “domani” all’ “oggi”.

– Non ha rappresentato le generazioni future – soprattutto nei paesi in cui la popolazione invecchia[20].

– Non ha programmato la gestione di risorse sempre più esigue rispetto all’aumento della popolazione.

– Non ha impedito l’insostenibilità economica, sociale e ambientale.

 2. Non ha selezionato statisti di valore, leader visionari capaci di prendere decisioni per il bene comune.

– Non ha preteso la competenza dei candidati, né prima né dopo le elezioni, e ha mandato al governo dei dilettanti[21].

– Ha permesso la “scalata al potere” a chi non ha cuore l’interesse del paese.

– Ha consentito l’elezione a chi promette “tutto a tutti” e non ha squalificato chi ha preso impegni irrealizzabili – senza preoccuparsi delle conseguenze.

– Ha dato ai politici incentivi fuorvianti, in cicli elettorali troppo corti: i governanti sono concentrati sul “farsi rieleggere”, e sulle esigenze del proprio elettorato nella mera durata del mandato[22].

– Ha chiesto agli elettori di assumersi responsabilità politiche tramite referendum.

 3. Non ha regolamentato il capitalismo, non ha gestito la globalizzazione[23], non ha evitato le crisi economiche e non ha punito i responsabili.

– Ha favorito – e legittimato con le elezioni – l’oligarchia e la plutocrazia.

– Ha accettato la trasformazione del processo elettorale in clientelismo, e non ha impedito il crescere del potere delle lobby[24] sulla politica, anzi ne ha favorito gli interessi.

– Ha accettato la perdita di sovranità nazionale e identità locali – e dunque il proprio indebolimento.

– Non è stata in grado di gestire il sorpasso economico da parte di nazioni non-democratiche, Cina su tutte.

– Ha accumulato debiti senza investire, senza preoccuparsi di generare le risorse per saldarli, mettendosi alla mercé dei mercati globalizzati.

– Ha accettato che importanti decisioni di policy vengono prese da “esperti non eletti” in assenza di un dibattito politico aperto[25].

– Non ha tutelato i diritti, non ha protetto le conquiste del welfare state (stato del benessere) e non ha dato garanzie a chi non le ha.

– Non ha impedito che i diritti (di tutti) si trasformassero in privilegi (di pochi), e ha permesso l’aumento delle disparità sociali, la disuguaglianza socioeconomica e la marginalizzazione politica.

 4. Non è stata in grado di gestire il progresso tecnologico;

– Non ha impedito la diminuzione della privacy.

– Non ha regolamentato l’avvento della robotizzazione e della nanotecnologia, affinché non creino disoccupazione.

– Non ha gestito la perdita di rilevanza della democrazia rappresentativa e non ha disciplinato la democrazia diretta[26]: i cittadini votano per eleggere candidati in parlamento così come eliminano i concorrenti di un programma televisivo o firmano petizioni online.

 5. Ha istituzionalizzato l’impasse decisionale, e aumentato la disillusione e il distacco dei cittadini verso la politica;

– Non ha impedito che le istituzioni chiave siano controllate dall’élite e da gruppi di potere in competizione fra loro.

– Ha accettato l’aumento del potere di entità senza accountability elettorale (e.g: le istituzioni transnazionali, le banche centrali, gli enti regolatori), e la mancanza di trasparenza della loro complessa governance[27].

– Ha sovraccaricato i governi – le cui burocrazie non riescono a far fronte all’“eccesso di democrazia” – di richieste dal basso[28], da parte di comunità locali, regioni autonomiste, enti e poteri minori come ONG e lobbisti.

Che fare?
La democrazia va difesa … Secondo Norberto Bobbio “La democrazia è il più grande tentativo di organizzare una società per mezzo di procedure non violente”. È sistema di governo migliore[29] della dittatura o dell’oligarchia, perché, rispetto a questi: 1) è meno impegnata in attività belliche; 2) offre alla generazione presente e a quelle future maggiori libertà e opportunità; 3) è più in grado di combattere la corruzione; 4) in media e nel lungo periodo, porta a una maggior ricchezza, e più condivisa; e 5) se ben gestita, è in grado di autocorreggersi.

… ma ne vanno risolte le debolezze.
John F. Kennedy soleva dire che “una delle manchevolezze della democrazia è di cercare capri espiatori per la sua debolezza” [30].  Suggerire riforme e riscriverne le regole non equivale a (ri)proporre sistemi autoritari, bensì a riconoscerne e risolverne le vulnerabilità più importanti, in ottica di lungo periodo. Va ammesso: la democrazia è una costruzione fragile, è fallibile e può venir meno con facilit33].

La democrazia ha in sé i germi della sua scomparsa. Se affossata dalle prevaricazioni dell’élite e dal disprezzo dei cittadini, la democrazia cade nell’autoritarismo – proprio attraverso il suffragio universale. La democrazia muore nel voto che porta a governi[34] inadeguati, nelle politiche mediocri, nell’indebolimento delle istituzioni, nella perdite di certezze dei ceti medi, nella percezione dell’élite come casta privilegiata e corrotta, nella frattura tra establishment e i cittadini, nella bassa partecipazione politica[35], nella paura del futuro, nel risveglio di tendenze autoritarie. Affinché rimanga il sistema prevalente, le classi dirigenti devono essere: 1) competenti (e affinché lo siano, deve esserlo anche chi le vota); e 2) legittimate dal riconoscimento popolare.

Ridurre le rendite di posizione dell’élite, puntando sul merito. L’agenda è nota, le priorità ben conosciute: a) ridurre i monopoli e le rendite di posizione; b) rafforzare le funzioni di controllo e garanzia (checks and balances); c) agilizzare il sistema giudiziario e migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione – con particolare attenzione ai servizi pubblici (i.e.: educazione, sanità, acqua, rifiuti, energia, trasporti – soprattutto a livello locale); e – cosa ben più difficile – d) favorire la meritocrazia.

Ripensare il diritto di voto … Nelle democrazie a suffragio universale, ogni cittadino può eleggere chi legifera e governa[36]. De iure, la “titolarità” del diritto di voto (uguaglianza formale) implica “competenza” nell’esercitarlo (uguaglianza sostanziale). De facto, l’attribuzione del diritto non implica la capacità di servirsene: la maggioranza dei votanti non è in grado di riconoscere il miglior candidato, o la policy migliore. Per dirla con Harry Emerson Fosdick: “La democrazia è basata sulla convinzione che nella gente comune ci siano possibilità non comuni”. Il risultato è un indebolimento del sistema: se chi sceglie non ha le necessarie capacità, l’eletto è spesso inadatto a gestire i problemi collettivi[37]. Per rafforzare la democrazia, andrebbe invece riconosciuta la differenza di valore dovuta alla fatica individuale (disuguaglianza sostanziale) [38]. Il diritto al voto dovrebbe essere ricompensa. Senza pretesa di arrivare al modello platonico di “sofocrazia”, per poter scegliere i governanti dovrebbe esser necessaria una preparazione politica elementare, garantita limitando[39] il suffragio a un livello minimo di istruzione – come già succede in casi specifici (e.g.: immigrati legali e minorenni[40]). Tucidide ne “La guerra del Peloponneso” (I, 22) attribuisce a Pericle la seguente frase: “Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla”.

… ed esigere competenza da chi comanda.
L’elezione deve essere una designazione di capacità. Chi governa deve: 1) possedere requisiti di candidabilità – un misto di virtù (aretè) e competenza (episteme): preparato, lungimirante, coraggioso – capace di auto-determinazione[41] e dotato di quella “libertà di pensiero” che si conquista solo con la formazione permanente; ed 2) essere migliore – in quanto a merito individuale – di quant’altri ambiscano alla sua posizione. In altre parole, anche l’eleggibilità andrebbe limitata per: a) grado di istruzione; b) precedenti e dimostrate abilità (il curriculum); e c) esperienza nell’esercizio di funzioni pubbliche. Se no, a detta di Henri-Frédéric Amiel, si finisce per delegare “la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci”. Sempre Tucidide – nel “Discorso agli Ateniesi” (Storie, II, 34-38) – attribuisce a Pericle la seguente frase: “Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento”. Per entrare nell’élite, i candidati devono essere competenti. Se no si spacca tutto.

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NOTE

[1] Potere (kratos) del popolo (demos) – un sistema di organizzazione politica in cui: 1) tutti i cittadini esercitano la sovranità attraverso il voto in un sistema pluralistico e pluripartitico; 2) l’informazione non è viziata da conflitti di interesse, il governo è liberamente eletto e i politici sono responsabili nei confronti degli elettori; 3) un insieme di regole, universalmente valide, porta a decisioni politiche vincolanti; 4) i poteri di chi governa sono limitati e controllati da istituzioni indipendenti (e.g.: tribunali, media e gruppi di pressione) e da un’opposizione costruttiva ed energica; 5) i cittadini godono di libertà e uguaglianza, i.e.: le garanzie dello stato di diritto (e.g.: libertà di parola e associazione, diritti individuali, tutela delle minoranze); e – di conseguenza – 6) è chiaro il confine tra Stato  e “partito al governo”. In altre parole, nel concetto di democrazia confluiscono l’accezione procedurale (i.e.: il rispetto delle regole del gioco) e quella sostanziale (i.e.: riconoscimento e garanzia dei diritti).

[2] Negli ultimi 50 anni, gli scambi e gli investimenti internazionali sono cresciuti a un tasso medio annuo del 6,0 per cento, circa il doppio rispetto all’economia mondiale (3,0 per cento). L’interdipendenza economica, politica, tecnologica, sociale e culturale di paesi e cittadini è aumentata costantemente.

[3] Il sistema democratico non sempre garantiva che i governanti: 1) avessero “conoscenza del bene” – requisito essenziale affinché “il governo sia finalizzato al bene”; e 2) facessero, anziché il loro, l’“interesse comune”.

[4] Platone ne scrive con dettaglio nel trattato Πολιτεία (La Repubblica), Capitolo VI, e nel dialogo Πολιτικός (Politico). Per Platone, la politica è un affare troppo serio e complicato perché possa essere lasciato “alla cura della gente comune”; il potere politico deve essere gestito da coloro che “sanno” e hanno le necessarie competenze; i.e.: Platone è fautore della sofocrazia: dovrebbero governare i filosofi, o “sapienti”;

[5] Aristotele ne scrive nel trattato Τὰ πολιτικὰ (Politica), Libro IV, e – pur ammettendo che l’essere umano è per natura “animale politico”, quindi portato a “realizzare il proprio bene insieme agli altri” – sottolinea come la guida della pόlis cada troppo facilmente “alla mercé di volizioni delle masse”.

[6] “Questa democrazia l’abbiamo conquistata col sangue e la galera. Non possiamo correre il rischio di perdere la libertà per colpa di chi la usa per rubare.” Sandro Pertini.

[7] “Ho la paura della perdita della democrazia, perché io so cos’è la non democrazia. La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi, e c’è chi grida più forte e tutti dicono: ci pensa lui”. Liliana Segre.

[8] Nel 2018, l’Italia ha nominato il suo quinto primo ministro non eletto (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte). Nelle elezioni europee del 2014, il UK Independence Party (UKIP) ricevette il maggior numero di voti (27,49 per cento) di qualsiasi altro partito britannico e divenne il più grande gruppo politico del Regno Unito nel Parlamento europeo (PE). Nelle elezioni regionali del 2015, i socialisti e i repubblicani francesi si allearono al secondo turno per impedire che il Fronte Nazionale – il più grande gruppo politico della Francia all’interno del PE – controllasse le regioni in cui aveva vinto nel primo turno. I risultati delle elezioni nazionali del 2015 resero difficile la governabilità della Spagna. Dopo aver vinto le elezioni parlamentari in Ungheria (2014) e Polonia (2015), la destra religiosa e conservatrice ha dimostrato autoritarismo, atteggiamenti illiberali e la tendenza a indebolire la democrazia costituzionale. Nel 2015 il Partito popolare danese (Danish People’s Party) in Danimarca entrò a far parte della coalizione di governo e stabilì condizioni, tra cui l’adozione di un approccio più euroscettico verso l’UE, l’introduzione di controlli alle frontiere e restrizioni alla politica d’asilo del paese.

[9] I votanti, pur scontenti dello statu quo, non vogliono andare né indietro né avanti. Ad esempio, approvano l’Euro e vogliono mantenerlo. Eppure, si oppongono all’ulteriore integrazione necessaria a far funzionare l’unione monetaria. I partiti populisti di sinistra e di destra diventano più popolari se dimostrano ostilità alla globalizzazione, al libero scambio, alla migrazione, alle minoranze religiose e ai musulmani. La periferia dell’EZ – e membri dell’EU ma non membri dell’EZ come l’Ungheria e la Polonia – soffrono la fatica del rigore e delle riforme (austerity and reform fatigue), mentre il nucleo dell’EZ, guidato dalla Germania soffre di stanchezza data dai continui salvataggi (bailout fatigue).

[10] Agendo attraverso il processo democratico, il populismo fa uso della “tirannia della maggioranza (tyranny of the majority)” per: 1) collocare i propri interessi al di sopra di quelli delle minoranze, etniche o religiose; 2) sfidare la separazione dei poteri, l’indipendenza del sistema giudiziario, della Banca centrale e della stampa.

[11] Molti paesi emergenti – e.g.: gli Emirati Arabi Uniti, il Vietnam il Ruanda – sono più tentati dal modello cinese che da quello dei paesi democratici, che esigono garanzie sui diritti e offrono prospettive di minor successo. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha a più riprese espresso aperta ammirazione per presidenti longevi e autoritari: 1) Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa dal 7 maggio 2012, è al potere da 19 anni (dal 1999) alternando quattro mandati come primo ministro e presidente; 2) Xi Jinping, presidente della Cina, è al potere da 5 anni (dal 2013); nel 2018, con la rimozione del limite dei due mandati quinquennali è divenuto “presidente a vita”, e – secondo molti analisti – è più potente di Mao; 3) Recep Tayyip Erdoğan è al potere da 15 anni (dal 2003); è stato primo ministro della Turchia per tre mandati consecutivi dal 2003 al 2014, anno della sua elezione a presidente; e 4) Kim Jong-un, leader supremo della Corea del Nord.

[12] In pochi anni, a costo di limitazioni della libertà personale (e.g.: il diritto di opinione è limitato dalla censura, il dissenso viene sistematicamente represso) e grazie a rigidi controlli nell’arruolare dirigenti di talento, la leadership cinese è riuscita a superare problemi che le democrazie occidentali non riescono neanche ad affrontare: per esempio nell’estendere il suo sistema pensionistico a 240 milioni di cittadini abitanti delle zone rurali del paese.

[13] Nel 2003 dalla guerra in Iraq, nel 2004 dalla “rivoluzione arancione” in Ucraina e nel 2011 in molti paesi della “primavera araba”. La guerra in Iraq (2003), legittimata dal progetto di “promozione della democrazia”, ha convinto l’opinione pubblica che la democrazia stessa è spesso un alibi per ambizioni imperialiste.

[14] Primo Ministro dell’Ungheria dal 2010, carica che ha ricoperto anche dal 1998 al 2002. Nel 2018, Fidesz, il partito di Viktor Orbán, ha vinto per la terza volta consecutiva le elezioni ungheresi.

[15] “Possono votare tutti, a patto che vinca l’unico candidato”. È il caso di Russia, Turchia, Ungheria, Iran, Egitto, Venezuela, Zimbabwe e Myanmar – e di altri paesi. La lista dei presidenti eletti da tali sistemi di rappresentanza è lunga: Vladimir Putin in Russia, Recep Tayyip Erdoğan in Turchia, Viktor Orbán in Ungheria, Abdel Fattah el-Sisi in Egitto, Rodrigo Duterte nelle Filippine, Nicolás Maduro in Venezuela, Michael Sata in Zambia, Jacob Zuma in Sud Africa e Robert Mugabe in Zimbabwe. Come disse Efisio Melis: “Si può eliminare facilmente una vera dittatura, ma è difficilissimo eliminare una finta democrazia.”.

[16] “Quando la maggioranza sostiene di avere sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia.” Umberto Eco.

[17] È di fatto impossibile definire la “funzione di welfare sociale” – i.e.: una regola di aggregazione delle preferenze – che trasformi l’insieme delle preferenze individuali in una sola preferenza sociale. L’impossibilità teorica della democrazia procedurale e le contraddizioni del voto a maggioranza impediscono che le scelte individuali si aggreghino nella scelta del gruppo. Per l’impossibilità teorica della democrazia procedurale si veda il paradosso del voto (Condorcet), il teorema dell’impossibilità di Arrow (i.e.: non è possibile determinare, nell’ambito delle scelte collettive, una maggioranza stabile ed univoca) e il teorema Gibbard-Satterthwaite. Per le contraddizioni del voto a maggioranza si veda il dilemma discorsivo (Discursive dilemma).

[18] Per le decisioni dettate da interesse e prese da una maggioranza che opprime attivamente individui o gruppi di minoranza, si veda la Tirannia della maggioranza e la Tolleranza repressiva (Repressive Tolerance) di Herbert Marcuse. Blaise Pascal la definisce così: “non essendosi potuto fare in modo che quel che è giusto fosse forte, si è fatto in modo che quel che è forte fosse giusto”. Secondo James Bovard, “La democrazia deve essere qualcosa di più di due lupi e una pecora che votano su cosa mangiare per cena”. (in Inglese: “Democracy must be something more than two wolves and a sheep voting on what to have for dinner”).

[19] Per le minoranze ben organizzate che affermano i loro interessi su quelli della maggioranza, si veda La logica dell’azione collettiva (The Logic of Collective Action) di Mancur Olson.

[20] L’Italia non è eccezione. Secondo i dati Istat, nel 2018 l’età media è di 45,2 anni, tre decimi in più che nel 2017, e tre anni in più rispetto al 2003. Le persone con più di 65 anni sono 13,5 milioni, il 22,6 per cento della popolazione totale; quelle over 80 anni sono invece 4,1 milioni, il 6,8 per cento del totale; gli ultranovantenni sono 727mila, l’1,2 per cento del totale.

[21] Il livello minimo di conoscenza necessario ad amministrare – ma anche a votare – è ormai alto. Il politico a digiuno della materia è di norma inadatto a gestire problemi complessi.

[22] La globalizzazione ha creato problemi (per esempio, la crisi finanziaria del 2007-2008) la cui soluzione richiede progetti che vanno al di là di un ciclo elettorale, hanno tempi più lunghi. I cinque anni della legislatura non sono sufficienti a risolvere la maggior parte delle sfide economiche.

[23] La democrazia è compatibile con una versione limitata di internazionalizzazione, e.g.: il regime di Bretton Woods del dopo guerra, caratterizzato da “capital controls” e “limited trade liberalization”. Con l’avvento della globalizzazione, le dinamiche sovranazionali – necessarie a gestire i flussi finanziari e commerciali, il progresso tecnologico e l’immigrazione – hanno progressivamente eroso: a) la sovranità nazionale (ora secondaria); e b) le identità locali. Le istituzioni della democrazia rappresentativa sono divenute irrilevanti. Le disparità sociali e il degrado ambientale sono aumentati, la privacy è diminuita. In poche parole: la globalizzazione crea vincitori e vinti, e la democrazia ha perso.

[24] Organizzazioni ed individui dotati di risorse si servono delle raccolte di fondi (fundraising) e donazioni per esercitare la loro influenza sull’agenda politica. Quando in qualità di principali contributori sono premiati con quid pro quo, la democrazia cede alle relazioni di patrocinio (relations of patronage) da parte di élite economiche con interessi commerciali.

[25] Nell’Unione Europea (UE), molti governi e cittadini hanno dovuto accettare che la politica nazionale importa meno dei mandati europei o delle richieste del mercato. Nel 2011, il bilancio dell’Irlanda è stato inviato in Germania prima che al parlamento irlandese. Italia e Grecia sono state costrette a sostituire leader eletti democraticamente con tecnocrati. Nel novembre 2011, durante la crisi del debito italiano (il rendimento dei titoli decennali salì al 6,74%; il 7% è il livello in cui l’Italia rischia di perder accesso ai mercati) il primo ministro Silvio Berlusconi fu costretto a dimettersi. Un economista, Mario Monti, che aveva servito come commissario europeo dal 1995 al 2004, fu nominato primo ministro di un governo di tecnocrati, composto interamente da professionisti non eletti. Nel corso degli anni, la Grecia ha ripetutamente ceduto sovranità in materia di politica economica al FMI, alla Commissione europea (CE) e alla Banca centrale europea (BCE). Nelle elezioni legislative del 2015 in Grecia, dopo aver promesso l’opposto, la coalizione di sinistra è entrata in un’alleanza con i populisti di destra e ha accettato le condizioni di salvataggio (bailout) dell’UE.

[26] Secondo Gianroberto Casaleggio: “la democrazia diretta è una rivoluzione prima culturale che tecnologica, per questo, spesso, non viene capita o viene banalizzata”. I partiti tradizionali verrano costretti a cambiare modus operandi. In passato, gli iscritti eleggevano la dirigenza di partito attraverso una capillare organizzazione. La digitalizzazione del rapporto ha sovvertito i rapporti tradizionali. Grazie alla Rete il cittadino può essere al centro della società sempre, non solo durante consultazioni ed elezioni. “La democrazia rappresentativa, per delega, perderà significato (…) le organizzazioni politiche e sociali attuali saranno destrutturate, alcune scompariranno”.

[27] Per esempio, l’UE soffre di un “deficit democratico” cronico, perché: 1) ammette solo le democrazie: secondo i criteri di Copenaghen, i paesi candidati devono aver “raggiunto la stabilità delle istituzioni che garantiscono la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani, il rispetto per e la protezione delle minoranze, l’esistenza di un’economia di mercato funzionante (…)”; tuttavia, 2) non è una democrazia essa stessa – e al suo interno continua a crescere il potere di entità la cui complessa governance manca di: a) legittimità elettorale;  b) controlli (checks and balances) istituzionali; e c) trasparenza e accountability. Il Parlamento europeo è spesso ignorato. L’introduzione dell’euro è stata presa da tecnocrati. Durante la crisi pluriennale dell’euro e del debito, molti governi hanno delegato funzioni istituzionali e democratiche alla sovrastruttura burocratica europea. I populismi e gli estremismi locali ne sono usciti rafforzati. Nell’UE, il processo democratico richiede un ripensamento: 1) i sistemi elettorali nazionali dovrebbero favorire la governabilità (vale a dire diventare più maggioritari) sulla rappresentatività (meno proporzionali); e 2) le istituzioni europee devono poter prendere decisioni a maggioranza – anziché all’unanimità.

[28] Ad esempio: Occupy, proteste studentesche anti-globalizzazione, movimenti anti-austerità, etc. L’adesione ai partiti politici istituzionali diminuisce per: 1) l’aumento della disaffezione dalla politica; 2) i bassi livelli di fiducia nelle istituzioni democratiche; e 3) la bassa approvazione dei governi e dei politici.

[29] Un sondaggio Pew in 38 paesi ha rilevato che: 1) il 78 per cento degli intervistati preferisce un sistema in cui “legiferano rappresentanti eletti”; 2) il 26 per cento apprezzerebbe “un leader forte, che può prendere decisioni senza interferenze del parlamento o dei tribunali”; 3) il 24 per cento vorrebbe un regime militare; e 4) l’autocrazia è più popolare tra i meno istruiti.

[30] Dalla tesi di laurea di Kennedy, pubblicata come saggio dal titolo Why England Slept nel 1940; citato in Arthur Schlesinger Jr., I mille giorni di John F. Kennedy, p. 105.

[31] Secondo Paul Ginsborg: “La democrazia ha molti nemici in attesa tra le quinte, politici e movimenti per il momento costretti a giocare secondo le sue regole ma il cui intento reale è tutt’altro – populista, di manipolazione mediatica, intollerante e autoritario. Conquisteranno molto spazio, se non riformeremo rapidamente le nostre democrazie. E non c’è ambito in cui questa riforma sia più necessaria che in seno alla stessa Unione Europea.”.

[32] In campo monetario, esempi d’inconciliabilità tra globalizzazione e democrazia sono stati il “gold standard” del XIX secolo e la convertibilità del Peso argentino negli anni 1990.

[33] La crescita economica, l’incremento della concorrenza, i minori prezzi pagati dai consumatori finali, la velocità degli scambi e delle comunicazioni sono indispensabili allo sviluppo. Il processo di evoluzione della democrazia liberale e della globalizzazione non ha raggiunto il suo apice; non siamo arrivati a “The End of History”. Occorre progettare la democrazia in un contesto in cui: 1) le dinamiche più rilevanti sono globali; e 2) i confini nazionali vanno scomparendo. La democrazia va difesa e i benefici della globalizzazione sono irrinunciabili, ma i trade off e i costi devono essere chiari.

[34] Secondo Noam Chomsky, “Il modo più efficace di limitare la democrazia è quello di trasferire il potere decisionale dalla pubblica arena a istituzioni inaffidabili: re e prìncipi, caste sacerdotali, giunte militari, dittature di partito, o moderne corporazioni.” Oscar Wilde – Lord Illingworth, Act I. Kelvil: “May I ask, Lord Illingworth, if you regard the House of Lords as a better institution than the House of Commons?” Lord Illingworth: “A much better institution of course. We in the House of Lords are never in touch with public opinion. That makes us a civilised body”.

[35] In Italia, la partecipazione politica è bassa; quando ciò succede, le istituzioni della liberal-democrazia si indeboliscono, il potere si accentra, le sedi di partecipazione (elezioni, parlamento) si sviliscono, il “capo” entra “in rapporto diretto con il popolo”, e aumenta il rischio che venga manipolata la volontà dei cittadini.

[36] Il principio “tutti gli uomini sono nati eguali” nasce come rifiuto della “teoria del diritto divino dei re”; solo poi si è tradotto nella regola “one man-one vote”, fondamento della regola di maggioranza. Secondo Olof Palme, “I diritti della democrazia non sono riservati ad un ristretto gruppo all’interno della società. Sono i diritti di tutte le persone.”

[37] Le elezioni tendono a portare a scelte mediocri e – di conseguenza – le democrazie non scelgono i migliori leader (in proposito si veda l’effetto Dunning-Kruger). L’ipotesi chiave (i.e.: che i cittadini possano riconoscere il miglior candidato politico, o la policy migliore) è erronea, perché la maggioranza ammanca delle necessarie competenze. In altre parole, individui non qualificati sono intrinsecamente incapaci di giudicare la competenza di altre persone, o la qualità delle loro idee (e.g: sulla fiscalità, sulle pensioni o sulle riforme del mercato del lavoro). Secondo Indro Montanelli: “La democrazia è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità”. Il vantaggio della democrazia rispetto ad altre forme di governo è che di norma “impedisce efficacemente a candidati inferiori alla media di diventare leader”.

[38] Secondo Henri-Frédéric Amiel, se “il principio astratto dell’uguaglianza (…) dispensa l’ignorante di istruirsi (…) e il delinquente di correggersi”, la democrazia rischia di delegare “la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci”. È invece essenziale riconoscere “la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale”. Secondo Kierkegaard, “Le persone chiedono la libertà di parola come compensazione per la libertà di pensiero che usano raramente”. In Danese: “Menneskene ere dog urimelige. De bruge aldrig de Friheder, de har, men fordre dem, de ikke har; de har Tænkefrihed, de fordre Yttringsfrihed”. (In Italiano: “Gli esseri umani sono irragionevoli. Non usano mai le libertà che hanno, ma vogliono quelle che non hanno; hanno la libertà di pensiero, esigono la libertà di parola”). Søren Kierkegaard, Enten – Eller (Either – Or), 1843.

[39] Potere (kratos) del popolo (demos) non equivale a “popolo al governo”. In altre parole, nei regimi democratici il ruolo del “demos” (la maggioranza) non è quello di governare, bensì quello di: 1) scegliere tra vari politici (capaci e in competizione) a chi affidare il governo; e 2) controllarne l’operato. Secondo Sabino Cassese, che si rifà alla democrazia ateniese, il cittadino libero – attraverso l’ethos, la prassi e l’educazione – apprende arte e virtù della politica, il sapere di come si comanda e si obbedisce. John Stuart Mill, nelle “Considerazioni sul governo rappresentativo”, distingue tra “cittadini attivi e passivi, sia per cultura politica, sia per interesse”; a cittadini dotati di maggiori conoscenze potrebbero invece essere concessi voti supplementari.

[40] Gli immigrati legali ottengano il diritto di voto se superano un test di educazione civica; i minorenni – quasi il 20 per cento della popolazione – sono oggi esclusi per scarsa capacità di giudizio. La Costituzione italiana richiede “l’abilitazione all’esercizio professionale” (art. 33), dispone l’accesso “agli uffici pubblici e alle cariche elettive (…) secondo i requisiti stabiliti dalla legge” (art. 51), stabilisce che il Presidente della Repubblica “abbia compiuto cinquanta anni d’età” e “goda dei diritti civili e politici” (art. 84) e prevede il superamento di un concorso per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni (art. 97) e alla magistratura (art. 106).

[41] Per Kant, è libero l’individuo che riesce a determinare eventi in maniera autonoma rispetto alla sequenza meccanico-causale del mondo empirico (i.e.: la nozione di libertà è connessa a quella di causa). Secondo Isaiah Berlin la libertà “positiva” è “libertà di pensiero”, padronanza di se stessi e del proprio destino, potere sul proprio agire (self-mastery). Berlin preferiva la libertà “negativa”, ovvero l’assenza di limitazioni, restrizioni o interferenze nelle azioni di un soggetto.

Da - http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/10/29/cinque-errori-democrazia-merito/?uuid=96_rC9BPFHs
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