"Vi spiego perché tutta la musica è truccata".
Intervista a Baccini
Alla vigilia del Festival di Sanremo - che in un post su Facebook ha definito "truccatissimo" - il cantautore genovese racconta tutto quello che sa sui meccanismi che regolano i passaggi in radio, la tv e lo streaming.
E salva solo una cosa...
Di GABRIELE FAZIO
02 febbraio 2019, 15:01
Tutto è cominciato con un post - anzi, con una serie di post - su Facebook. Un attacco ad alzo zero contro il Festival di Sanremo, dove lui, Francesco Baccini, è stato protagonista nel 1997 piazzandosi undicesimo, e contro la "manifestazione truccatissima".
“Sono trent’anni che mi esprimo in maniera non equivocabile, non è una novità. Chi mi conosce sa benissimo come la penso e perché sono fuori dai giri, perché non li voglio i giri; li ho sempre combattuti questi giri, però hanno vinto. Vincono sempre. Faccio il cantautore perché sono cresciuto con le canzoni di uno che si chiama Guccini, uno che si chiama De André, che rappresentavano quelli che erano contro un certo modo di vedere il mondo. Questo me l’hanno insegnato loro”. Un Francesco Baccini a ruota libera quello sentito da Agi, che conferma la verve ampiamente espressa sulla sua pagina Facebook.
La cosa che si evince subito dopo la lettura dei tuoi post è che il presunto scandalo che riguarda il Festival di Sanremo, non ti stupisce per niente…?
“Ne parlava Luigi Tenco ai suoi tempi, che aveva scoperto che c’erano tutta una serie di combine, ma l’Italia è quella roba lì fin dal primo minuto della Repubblica Italiana. È la mentalità italiana, quella di fottere gli altri e fare andare avanti i parenti, l’amante, il cugino, lo zio…cioè, vale per il concorso alle poste e non vale per Sanremo? Vale per tutto. È che oggi è tutto fatto a volto scoperto, almeno prima facevano anche un po' finta, adesso è proprio come se la Banda Bassotti non si mettesse manco più la mascherina. In Italia chi ha un minimo di potere decide per i suoi tornaconti personali. L’Italia è un Paese dove tutti si stanno sul c.... con tutti, a partire dal proprio vicino di casa. Quindi, di cosa parliamo?”
Tu sei uno dei pochi ad aver preso apertamente una posizione rispetto alla faccenda…
“Io ho iniziato trent’anni fa. Io conosco tutti, io so questi chi sono. Li ho visti cominciare tutti. Li conosco da ancora prima che iniziassero. Quindi quando tu conosci i tuoi polli, sai di chi parli, sai di cosa stai parlando. Il problema è che quando dici una cosa del genere il pubblico caprone poi ti dà del “rosicone”, ma che ho da rosicare? Io vorrei essere esattamente quello che sono, la mia è una scelta precisa di non far parte di un certo giro, che puoi chiamare mafioso, politico, è uguale. È sempre di lobby di potere che si tratta. Gruppetti di potere che comandano tutto. Non è che sono invidioso, è che so come funziona un certo sistema, perché se tu a Sanremo quest’anno c’hai l’80% tra cantanti, presentatore, ospiti, che arrivano tutti dalla stessa agenzia, cosa vuol dire? Moggi cosa faceva? Lo stesso. Sanremo dovrebbe essere un concorso dove tutti possono mandare una canzone e ci dovrebbe essere una commissione che valuta la canzone, è questa la cosa che fa ridere. L’ultima cosa che gli può interessare è la canzone. Io posso mandare anche la canzone più bella del mondo, ma se so già come funziona non gliela mando nemmeno. Io per anni all’inizio non capivo e ho mandato per diverse volte una canzone a Sanremo che veniva rimbalzata sempre. All’inizio mi facevo dei problemi io, poi quando ho capito come funzionava ho smesso di farmi i problemi e anche di mandargli i pezzi. Anche perché Sanremo ormai è l’unico momento musicale rimasto in televisione che è una roba aberrante”.
Anche tu hai fatto un Festival di Sanremo…
“Io l’unico Sanremo che ho fatto sapevo già di esserci perché la mia casa discografica aveva un posto solo, nessuno ci voleva andare e io ci sono andato perché me ne volevo andare da quella casa discografica. Così facemmo un accordo: ok, io vado a Sanremo anche se non me ne frega niente. Anche perché per me non ha mai rappresentato nulla, né da pubblico né da cantante. Cioè, a me Sanremo non è mai interessato dal punto di vista musicale, poi alle volte c’è capitato per sbaglio qualcuno che ha fatto delle cose interessanti, ma per sbaglio”.
Quindi, anche rispetto alla tua esperienza a Sanremo, confermi il fatto che la scelta delle canzoni è semplicemente un accordo tra l’organizzazione e le case discografiche?
“Ma certo! Però almeno una volta c’era questa cosa qui delle case discografiche, oggi sono rimaste poche case discografiche, e mettono sotto contratto i ragazzini che fanno numeri su Internet. Sono buttadentro questi. Io sono cresciuto col Premio Tenco, un altro Sanremo, che era proprio quello contro la gara di canzonette. Come diceva De André “Non si può fare una gara di sentimenti, non facciam mica ginnastica”. Nel mondo la parola “festival” vuol dire rassegna, in Italia la parola “festival” vuol dire gara. Io sono contrario all’idea di mandare canzoni perché non è materiale da gara, non stiamo parlando di una specialità sportiva. Quindi questo Sanremo, dove c’è un’agenzia che ha il presentatore, gli ospiti, i partecipanti, cos’è un festival? È il festival dell’agenzia. E ovviamente se tu non sei in quell’agenzia è quantomeno inutile che tu mandi un pezzo. 1+1 fa 2, non 238”.
Ma secondo te perché sei uno dei pochissimi ad aver aperto bocca sulla questione?
“Perché hanno paura di non lavorare più. Ma a me non me ne frega niente perché tanto io lavoro comunque. Hanno paura, no? Paura di ritorsioni. Fine.”
Francesco Baccini, che a Sanremo portò Senza Tu, pezzo che prendeva in giro, con la sua solita ironia, proprio le canzonette da festival, prosegue poi con un altro ragionamento:
“I cantanti in gara non sono pagati, mentre chi scende la scala e dice “buonasera” gli danno un milione di euro, che fa ridere. È come se nel campionato di calcio la cosa fondamentale che si va a vedere è il guardalinee e non la partita. Una volta ti dicevano “eh ma vai a Sanremo e poi vendi centinaia di migliaia di dischi” e sono soldi, ma oggi il supporto discografico fa dei numeri che è meglio neanche dirli perché fan ridere, ti ci compri le sigarette. I soldi arrivano da un’altra strada, che è il live”.
…ed è una cosa del tutto negativa?
“Non è che sia del tutto negativa, ti parlo proprio di quello che sta succedendo. Io i miei primi tre dischi ho venduto due milioni di copie, io potevo anche non fare neanche un concerto perché mi arrivavano tanti di quei soldi... Io facevo i concerti perché mi divertivo a farli, ma si guadagnava così tanto dalla vendita dei dischi e dalle royalty che potevi pure non farla una tournée. Oggi l’unica vera fonte di guadagno sono i concerti. Perché se quantifichi quello che vendi o i click su YouTube non ci guadagni un cazzo (e ride) o dovresti avere 500 milioni di click e anche questi numeri su Internet sono dopati, ci sono società che ti vendono i 'like'. Se tu hai successo i soldi te li devono dare, non devi pagarli tu. Oggi invece devi pagare per farti vedere e per far credere che hai fatto successo. Siamo al delirio completo. Non faccio nomi, ma c’è gente che paga per andare in tv, per farsi vedere, per essere presente in questo circo mediatico. Io son genovese: non pago, mi devi pagare tu se vuoi che venga a suonare”
Tu hai scritto un altro post dove invece attaccavi la cosiddetta musica “indie” …
“E' moda. Cosa c’è di 'Indie', indipendente? Indie è un marchio, una griffe. La musica indie non dovrebbe nemmeno andarci a Sanremo. Negli anni ’70, quelli che erano indie, che poi erano i cantautori, erano contro il sistema di Sanremo, Canzonissima…se noi avessimo visto De Gregori a Sanremo, De Gregori avrebbe smesso di cantare, perché avrebbe perso qualsiasi credibilità. Nessun cantautore doveva andare in televisione, anzi…infatti non andavano in televisione ma riempivano gli stadi. Io ero ragazzino in quegli anni, mai avremmo voluto vedere Bennato o De Gregori o Venditti o De André a Domenica in o Sanremo. Anzi, andavano al Tenco che rappresentava l’opposto di Sanremo. Infatti in quegli anni il Tenco era molto più popolare tra il pubblico, perché raccoglieva tutti quelli che non volevano ascoltare quella musica istituzionale che era rappresentata da Sanremo. Quindi i cosiddetti “indie” dell’epoca, o alcune realtà di rock progressive come la PFM, Sanremo non l’avrebbero voluto vedere nemmeno in cartolina. Questi indie invece vanno a Sanremo come fosse normale, sono semplicemente nomi senza significato. Non c’è nessuna differenza sostanziale. Una volta un certo tipo di musica andava a rompere le scatole al potere. Vatti a sentire i primi dischi di Bennato, cosa diceva, e non lo invitavano certo a cantare su Rai1 alle 20:30. Tutti questi cantanti, a chi è che danno fastidio? A nessuno”.
E di tutta questa nuova infornata di cantautorato cosa ne pensi dal punto di vista musicale?
“Sicuramente c’è qualcosa di interessante e molte cose noi non le conosciamo nemmeno. Le radio trasmettono delle robe che è meglio lasciar perdere. E la radio dovrebbe essere la fonte numero uno della musica. Ma ormai le radio producono i dischi e si passano tra di loro. Il vero problema è che in Italia il termine “Conflitto d’interessi” non ha nessun significato e sono trent’anni che è così, da quando è sceso in campo Berlusconi. Se tu dici a uno straniero che in Italia il sistema della radio funziona in un certo modo, ti guarda e non capisce nemmeno cosa vuol dire. Tu vai in America, accendi la radio e senti qualsiasi genere musicale, qui accendi la radio è senti sempre i soliti 15 che cantano. Ma è possibile che cantano in 15? No, cantano in centomila in realtà. Senti sempre e vedi sempre le stesse facce. È una compagnia fissa. E se tu non sei della compagnia, sei fuori. Gli artisti normalmente sono più avanti del loro periodo, difficilmente i loro contemporanei li capiscono. Fabrizio ha molti più fan da quando è morto rispetto a quando era vivo”.
Ma secondo te internet non ha migliorato la situazione introducendo un concetto di musica on demand, non imposto da radio e tv?
“Si, ma il problema è: se io non so leggere ed entro in una biblioteca con tutti i libri del mondo, dove cavolo vado? Il problema è che i ragazzi di musica oggi non sanno niente e in più c’hanno anche l’arroganza di dirmi che la fanno. Oggi questa televisione della De Filippi, di Amici, di XFactor, dove praticamente hai dato il potere in mano a gente che deve ancora cominciare. È come se mi iscrivo all’università, ma in realtà sono già più famoso di un luminare. Come se mi iscrivo a medicina e sono più famoso del primario. E poi il pubblico cresce con questi esempi, sanno benissimo chi è Pino di Amici ma non sanno chi sono i Rolling Stones! Hai creato una Chernobyl”.
Tu denunci il costume italiano da anni, da Cartoons, il tuo primo disco…
“Si, fin dall’inizio. Io guardo sempre da dove uno parte, perché è un percorso. Io diffido da quelli che partono in un modo e arrivano in un altro perché se ascolti il primo disco di De Andrè capisci che ha fatto un percorso, così come Guccini ha fatto un percorso, Paolo Conte ha fatto un percorso…non è che Paolo Conte ha cantato la canzone sanremese e poi è diventato Paolo Conte, Paolo Conte è Paolo Conte dall’inizio. Il mio primo disco è l’inizio di un percorso”.
Se oggi dovessi riscrivere “Nomi e cognomi”, da dove partiresti?
“I nomi e cognomi che ho fatto sono validi ancora adesso anche se alcuni non ci son più, ma ci son sempre. Adesso ci sono dei nomi che spariscono dopo sei mesi, sono obsoleti dopo tre anni. Comunque se oggi facessi un disco del genere, che ai tempi cambiò il percorso della mia carriera, non passerebbe da nessuna parte. Sono stati bravissimi oggi a eliminare qualsiasi dissenso”.
Quello è stato un album che ha davvero creato un piccolo scandalo in Italia. Tu quando hai capito di aver davvero toccato un nervo scoperto…?
“Me ne sono accorto subito. Io ero reduce da “Il pianoforte non è il mio forte”, ero abituato ad andare molto in radio, in televisione…quando uscì il pezzo su Andreotti io andavo in giro, nonostante il disco è stato per sei mesi nei primi tre in classifica, io non sentivo il pezzo alla radio. Mi dicevano “No, ma guarda che passa”, ma io non lo sentivo mai. Anni dopo mi confessarono che avevano avuto ordine di non passare quel pezzo. Non lo passavano ma lo scrivevano nei tabulati, quindi la casa discografica mi faceva vedere i passaggi, loro scrivevano che passava ma non passava. E lì ho capito che questo disco stava veramente rompendo le palle”.
A proposito di nomi e cognomi te ne faccio uno: Matteo Salvini. Te lo faccio perché tu eri amico di De André e in occasione dell’anniversario della sua morte ha fatto molto discutere l’attestato di stima su Facebook del Ministro dell’Interno.
“Mi vien da ridere solo a pensare alla risposta di Fabrizio, avrebbe trovato le parole per liquidarlo con una frase. Non saprei dirti quale perché ci vorrebbe Fabrizio a rispondere, però, elegantemente, non gliele avrebbe mandate a dire. Anzi gli avrebbe risposto a tono perché su queste cose poi Fabrizio era micidiale, se veniva tirato fuori in una situazione del genere sicuramente mi sarei divertito a leggere la risposta di Fabrizio”
Si fa più serio invece quando deve dare la sua di opinione su Salvini:
“Questa politica qua è tutta una propaganda. Cercano tutti di mettersi medagliette, cercano di prendere quello che c’è giorno per giorno. Oggi è morto qualcuno e loro “Era un grande!”. Cercano consensi in tutti i modi, è la politica del consenso. Quindi il giorno che è morto De André tutti piangiamo De André, il giorno dopo non ce ne frega un tubo. È semplicemente un discorso di apparenza, noi siamo il Paese dell’apparire, dell’immagine, ognuno cerca semplicemente di apparire. È una vita da mimi, fai finta di essere qualcos’altro, non c’è nessuna onestà intellettuale. È come Internet, la gente va in giro ma non va in giro per andare in giro, va in giro per far vedere che è andata in giro. Se tu vai al ristorante non mangi, fai le foto ai piatti e poi le pubblichi. Se vai a un concerto non vai a sentire il concerto, vai al concerto per far vedere che sei andato al concerto e il concerto non lo guardi perché passi il tempo a farti i selfie. È delirante questo. Non c’è più il rispetto di niente. Gli unici che destano rispetto sono i morti, perché non possono dire più niente”.
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