Visco: serve riforma fiscale vera Da Draghi allerta sul debito
Banche centrali. Il governatore: «Il reddito di cittadinanza può garantire contro un periodo di povertà tra un lavoro e l’altro». Il presidente Bce: «Sovranità a rischio per i Paesi troppo indebitati»
L’Italia ha bisogno di una riforma fiscale che manca da vent’anni. Mentre il Reddito di cittadinanza può essere una variante del Reddito di inclusione e potrà garantire contro «un periodo di povertà relativa tra un lavoro e l’altro e questo ovviamente avverrà per molti». È quanto ha affermato ieri il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, parlando agli studenti della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Insieme a Visco, all’evento organizzato per la presentazione del suo ultimo libro (“Anni difficili” edito dal Mulino), c’erano il giudice costituzionale Giuliano Amato e l’economista Giovanni Dosi. Il governatore ha inquadrato il tema del reddito di cittadinanza, il cui decreto istitutivo è stato pubblicato proprio ieri in Gazzetta Ufficiale, distinguendolo da un “impossibile” reddito di base, ovvero una cifra prestabilita per ciascuno indipendente dalla fascia sociale di provenienza, e lo ha posto nella prospettiva delle attuali dinamiche del mercato del lavoro. Un lavoro sempre più mobile, precario e flessibile, che imporrà continui cambiamenti e che può essere affrontato solo puntando «sulla formazione continua, lungo tutto l’arco della nostra vita lavorativa».
Nel suo ampio intervento a braccio il governatore ha toccato diversi temi di politica economica e, in particolare, quello fiscale. Bisogna che l’Italia metta mano «a una completa riforma fiscale, non misure come gli 80 euro o la tassazione dei profitti». Ricordando le riforme sistemiche degli anni Sessanta e Settanta, Visco ha osservato che nel nostro Paese non è mutata la distribuzione del reddito come è avvenuto altrove, semmai «abbiamo avuto uno spostamento verso il basso legato all'economia reale».
Se per determinare un nuovo equilibrio è giusto utilizzare la leva fiscale con una riforma di sistema a livello nazionale, guardando all’Europa serve invece un’Unione fiscale, indispensabile per mantenere l’Unione monetaria, ha poi aggiunto il Governatore.
La Banca centrale europea ha avvertito ieri i governi ad alto debito, come quello italiano, che l’indebitamento si traduce in una perdita di sovranità perché in ultima analisi affida il giudizio sul futuro del paese ai mercati finanziari. In una audizione parlamentare a Bruxelles, il presidente Mario Draghi ha ribadito di essere pronto a reagire al rallentamento economico che da qualche settimana è sempre più visibile nella zona euro.
«Un debito pubblico elevato – ha spiegato il banchiere centrale - riduce la sovranità nazionale di un Paese perché l’ultima parola nel giudicare i conti pubblici è affidata ai mercati, istituzioni non elette, fuori dal controllo democratico». Con un occhio probabilmente alle politiche del governo Conte, il presidente dell’istituto monetario ha aggiunto: «La sovranità è persa sulla scia di scelte sbagliate». Ha notato come con la crisi scoppiata nel 2008 i titoli sovrani siano diventati «rischiosi».
A proposito della situazione italiana, Draghi si è limitato a salutare l’intesa raggiunta tra Roma e Bruxelles alla fine dell’anno scorso sul bilancio 2019 e a ricordare che «l’economia italiana è cresciuta e sta crescendo meno delle altre economie della zona euro». Ha spiegato peraltro che è troppo presto per valutare se il governo Conte dovrà introdurre una manovra correttiva per rimettere in carreggiata le finanze pubbliche: «Dipenderà tra le altre cose dal gettito fiscale».
Sul fronte economico, il presidente Draghi ha fatto notare che le ultime informazioni sulla congiuntura nell’unione monetaria sono «più deboli dell’atteso». Parlando di «rischi per la crescita al ribasso», il banchiere ha sottolineato che «il consiglio direttivo è pronto ad agire in modo appropriato con tutti gli strumenti a disposizione». Draghi ha escluso tuttavia che la banca possa decidere di reinstaurare quest’anno acquisti di debito sul mercato, «certamente non quest’anno».
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Davide Colombo
Beda Romano
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