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Autore Discussione: Banche centrali, meglio se indipendenti. Ma il linguaggio dell’economia va...  (Letto 1714 volte)
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« inserito:: Gennaio 24, 2019, 06:31:03 pm »

Banche centrali, meglio se indipendenti. Ma il linguaggio dell’economia va rinnovato

 Scritto da Francesco Mercadante il 23 Gennaio 2019

DRAGHI E GNOMI
L’indipendenza delle banche centrali, oltre a essere una forma di tutela della democrazia, serve a proteggerci dagli aumenti spropositati dell’inflazione. Anzi, è stato dimostrato che tanto più una banca centrale è indipendente, quanto più l’inflazione è adeguatamente contenuta. Non si tratta di un’opinione personale o politica, ma di uno studio pubblicato nel 1993 sul Journal of Money, Credit and Banking e intitolato Central Bank Indipendence and Macroeconomic Performance: Some Comparative Evidence. Gli autori, Alberto Alesina e Lawrence H. Summers, in pratica, ‘hanno messo sotto osservazione’ un periodo di trentatré anni, dal 1955 al 1988, e ne hanno tratto una sintesi comparativa.

Stabilità dell’inflazione significa anche e soprattutto migliore qualità dell’economia reale: la fiducia dei cittadini e degli investitori si consolida, le imprese possono permettersi proiezioni di medio-lungo termine et cetera. Si badi bene che l’indagine anticipa di parecchio il divorzio tra il Tesoro e Bankitalia, tanto che la ‘resistenza’ sovranista dovrebbe per lo meno riesaminare un po’ di storia economica, prima di insistere col canto funebre. In genere, le argomentazioni di chi vuole il ritorno al passato sono – concedeteci il termine! – viscerosomatiche, legate a umori, stati d’animo e, in parole povere, a movimenti di pancia. Sostengono che abbiamo dovuto fare i conti con un’impennata della spesa per interessi passivi, con un aumento consequenziale di debito e deficit, con le pretese dei mercati finanziari e tante altre cosette che, per carità, se prese in valore assoluto, cioè se isolate dagli altri fenomeni, diventano elementi validi e pure interessanti.

Il guaio è che la macroeconomia, pur non essendo una scienza esatta, non risponde affatto a un meccanismo di causa ed effetto né, tanto meno, ci permette di dire che un certo debito o un certo interesse sono giusti o sbagliati, senza che si faccia un’analisi quanto più ampia possibile del contesto. In altri termini, se noi c’impegniamo a raccontare in giro che, dagli anni Ottanta agli anni Novanta, il rapporto debito / PIL è passato dal 50% circa a oltre il 100%, ma non diciamo al nostro elettorato o semplicemente ai nostri elettori che cos’è e quanto incide su alcune scelte uno shock economico, allora stiamo manipolando le informazioni. Allo stesso modo, far credere che l’inflazione sia stata causata unicamente da certe decisioni di politica monetaria, laddove l’inflazione ha un andamento crescente, vuol dire abusare di chi ci segue. Abusare del linguaggio, creando costrutti iperbolici, indebolisce l’economia di un intero paese. Perché? Perché le persone hanno delle aspettative. E, siccome non tutte le imprese si possono permettere valutazioni asimmetriche, il rischio è quello della recessione.

In più occasioni, per esempio, Salvini ha parlato della Svizzera come modello economico, lasciando intendere che “diventeremo come la Svizzera”. Ognuno è libero di fare il cantastorie quanto e come vuole, ma dobbiamo dire come stanno le cose. La Svizzera, nell’ambito dello studio summenzionato, si configura come paese virtuoso proprio per la storica indipendenza della propria banca centrale. Non solo la Confederazione Svizzera non è azionista della Banca Nazionale Svizzera, ma il Controllo Federale delle Finanze non ha alcun potere di vigilanza su di essa. In pratica, funziona come una SPA del credito, a tutti gli effetti. Vogliamo puntare al modello svizzero? Bene. Allora, diciamo la verità e soprattutto facciamo in modo che la dicano anche gli economisti della Lega, i quali o si sono confusi o non sono in linea col proprio leader.

Lo shock della domanda è, per lo più, un evento imprevedibile, non legato alle variabili endogene dell’economia; di conseguenza, la narrazione che lo riguarda deve essere trasparente; molto di rado, governi e investitori possono esserne ritenuti direttamente colpevoli, fuorché per una serie di intrecci che il politico di turno non può riferire di certo a proprio piacimento. In sostanza, se a causa di un conflitto o di calamità naturali il prezzo di una materia prima sale alle stelle, abbiamo il dovere di fare un resoconto sistemico, che non può e non deve essere politico, come non può e non deve diventare una requisitoria, altrimenti il ritardo in termini d’intervento correttivo si fa spaventoso.

Tra le altre cose, per ridurre l’inflazione occorre sacrificare un po’ di PIL e viceversa: per guadagnare PIL bisogna sopportare un po’ d’inflazione. Qui, subentra la volontà dei governanti, i quali devono fare precise scelte di politica economica, sebbene nessuno si possa sottrarre alla relazione tra le funzioni dell’economia, quale che sia la sua provenienza, PD, M5S, Lega o Forza Italia. Alcuni economisti sono persuasi che gli stati dovrebbero ‘entrare di peso’ nell’economia con generose offerte di moneta, pur di mantenere elevato il PIL. Per carità, è una via, ma bisogna poi prepararsi alla reazione degli elettori, i quali, guardando molto di rado alla complessità del sistema, non sono affatto lieti di misurarsi con la diminuzione del potere d’acquisto della moneta.

In tema di indipendenza delle banche centrali, giusto per non smarrire il focus iniziale, a far compagnia alla Svizzera, troviamo la Germania, con la Bundesbank, il cui prestigio storico e la cui capacità di controllo dell’inflazione sono davvero al di sopra di ogni sospetto. Non è un caso che il marco tedesco, nel tempo, sia diventato anche un bene rifugio. Ebbene? La tanto ‘insultata’ e, sicuramente, invidiata Bundesbank gode non solo di fama, ma anche delle piena autonomia di strumenti e obiettivi. Per coloro che non hanno molta dimestichezza col linguaggio dell’economia, diciamo che fissare, per esempio, un tasso d’interesse o il livello d’inflazione è un atto che rientra tra gli “obiettivi”. Il mezzo che si utilizza per rispettare gli obiettivi, invece, è espressione dell’autonomia di “strumenti”.

Un altro esempio eclatante proviene dal Regno Unito, la cui banca centrale, nota come Bank of England, ha più di trecento anni di storia e, nel 1998, ha ottenuto l’indipendenza nella determinazione del tasso d’interesse, compito per il quale è deputato il Monetary Policy Committee. In questo caso, però, l’Istituto ha indipendenza negli strumenti, ma non negli obiettivi perché il governo, di anno in anno, produce un documento nel quale indica proprio il livello di stabilità dei prezzi. Se l’Inghilterra ha optato per una formula di parziale autonomia, lo stesso non ha fatto l’ammirata e decantata Svezia, la cui Riksbank è totalmente libera nell’esercizio delle proprie funzioni, siano esse di strumento o d’obiettivo.

Vogliamo parlare del Federal Reserve System, cioè di un sistema di indipendenza bancaria che, in fatto di stabilità, fa ottima compagnia a Germania e Svizzera? Bisogna notare, prima di tutto, che sei dei sette membri del Consiglio dei Governatori, di nomina presidenziale, restano in carica addirittura 14 anni; il che serve a evitare le contaminazioni dei corsi politici. In secondo luogo, è appena il caso di ricordare che la FED è un altro organismo autonomo.



Dunque: dev’esserci un motivo, se Spagna, Nuova Zelanda, Italia et alii, vale a dire paesi in cui l’indice d’indipendenza della banca centrale è stato molto basso, hanno dovuto subire un notevole impatto inflattivo, mentre Germania, Svizzera, Stati Uniti, Paesi Bassi, Belgio et alii, ossia paesi in cui l’indice d’indipendenza della banca centrale è stato piuttosto elevato, hanno goduto di armonia e stabilità. Si può continuare a negare l’evidenza fino alla morte (economica, s’intende). D’altronde, la cocciutaggine è propria di chi non sa né vuole investire perché il primo investimento, che avrebbe dovuto fare e che non ha fatto, avrebbe dovuto essere quello dello studio. Chi non ha studiato non accetta la complessità delle relazioni, cerca la rapidità dei meccanismi di causa ed effetto e, in ciò stesso, rinuncia al futuro.

Nel linguaggio di tutti i giorni, il sostantivo inflazione è usato con un eccesso di leggerezza, cosicché il suo significato viene fatto coincidere unicamente con l’aumento generale dei prezzi; il che, tutto sommato, pur essendo vero, non è sufficiente. È arrivato il momento, a nostro avviso, di riconsiderare l’intera semantica dell’economia e avviare un processo di informazione e rinnovata alfabetizzazione della disciplina.

In pratica, molti dei termini che costituiscono il vocabolario dell’economia e della finanza dovrebbero acquisire un significato sistemico e funzionale, così da essere sottratti al meccanicismo propagandistico. Quello dell’economia è un linguaggio relazionale, fatto di funzioni e variabili, non di ‘equivalenze’ stantie. Di conseguenza, se stiamo parlando dell’inflazione e il suo valore, per esempio, è attestato attorno al 3%, è necessario parlare anche del tasso d’interesse ufficiale reale, che, secondo la regola di Taylor, in questo caso, deve crescere di mezzo punto. E sia chiaro: la citazione di Taylor è solo un esempio, com’è già stato fatto notare. Questa prospettiva linguistica funzionale ci permetterebbe inoltre di dimostrare perché il circuito delle promesse elettorali risulta sempre fallimentare.

Twitter @FscoMer
Sito francescomercadante.it

Da - https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2019/01/23/banche-centrali-indipendenti-economia/?uuid=96_AtjC1SUl
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