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Autore Discussione: DOMANISTICO - Il paradosso della ineguaglianza: il mondo migliora davvero?  (Letto 2595 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Dicembre 18, 2018, 11:04:41 pm »

SISTEMA SOLARE

Il paradosso della ineguaglianza: il mondo migliora davvero?

Analisi e proposte

 Scritto da Alessandro Guerani il 17 Dicembre 2018

Ineguaglianza.
Una parola che ultimamente esce sempre più spesso nelle analisi del successo politico dei movimenti cosiddetti “populisti”, siano essi le destre nazionaliste, siano i manifestanti dei Gilets Jaunes.

Ma come, ci dicono quelli che hanno inforcato gli occhiali rosa, il mondo va migliorando! Ci sono meno poveri! Si vive più a lungo! Anche l’alfabetizzazione ha fatto passi da gigante. Perché essere scontenti e preoccupati quando il pianeta non è mai stato in un momento migliore?

A questi interrogativi prova a rispondere Branko Milanovic nel suo articolo The Inequality Paradox: Rising Inequalities Nationally, Diminishing Inequality Worldwide, pubblicato sul blog dello Stigler Center della University of Chicago Booth School of Business.

Per chi non lo conoscesse, Milanovic è un economista. Ha lavorato per anni per la World Bank. È specializzato proprio negli studi su sviluppo ed ineguaglianza ed è autore del famoso libro Ingiustizia globale. Migrazioni, disuguaglianze e il futuro della classe media (LUISS University Press, Roma 2017). In questo libro Milanovic ha presentato il famoso grafico dell’elefante per mostrare la crescita dei ceti medi nei paesi in via di sviluppo, il declino della classe media occidentale e l’avanzata dei redditi del famoso 1% più ricco.

L’articolo inizia con la descrizione di un fatto oramai stilizzato per quanto noto: da metà anni ‘80 fino al 2013-15 dei 17 paesi dell’OCSE, 15 hanno visto un aumento della ineguaglianza sia dei redditi di “mercato”, sia dei redditi disponibili, cioè dopo l’intervento delle politiche di tassazione e trasferimenti.

Ovviamente queste ultime sono la spiegazione del perché in alcuni paesi, pur esposti alle stesse dinamiche economiche e quindi allo stesso aumento dell’ineguaglianza dei redditi di mercato, i redditi disponibili hanno avuto un aumento molto meno marcato. L’autore fa l’esempio di USA e Germania. Nel primo caso le politiche pubbliche hanno assecondato il processo, nel secondo invece lo hanno contrastato, appiattendo la curva dell’ineguaglianza del reddito disponibile.

Ma l’aumento della ineguaglianza dei redditi non si è limitata ai paesi avanzati. In Cina essa è aumentata anche più che negli USA, praticamente raddoppiando. La Cina veniva sia da un livello praticamente zero dei tempi di Mao sia contemporaneamente ha visto i redditi complessivi aumentare di 40 volte. In Russia invece l’aumento della ineguaglianza sotto il governo Eltsin ha coinciso con il crollo dei redditi portando quindi la popolazione ad accettare il regime oligarchico di Putin.

Ma il grande paradosso dell’ineguaglianza è che mentre a livello nazionale l’ineguaglianza dei redditi è aumentata quasi ovunque, a livello globale risulta diminuita. Grazie all’entrata sui mercati mondiali, tramite la globalizzazione, dei grandi e popolosi paesi asiatici (Cina, India, Indonesia, Vietnam, ecc), sempre più persone hanno visto i loro redditi avvicinarsi al dato mediano (mediano, NON medio) della distribuzione dei redditi. E, piano piano, stanno colmando il gap con quelli, in diminuzione, della classe media occidentale.

Uno degli effetti della globalizzazione è stato quindi di avere vincitori e vinti. Fra i primi troviamo i lavoratori dei paesi in via di sviluppo, fra i secondi quelli dei paesi avanzati che si trovano per la prima volta in duecento anni in pieno conflitto di interesse con i primi.

Le ricadute politiche sono ovvie: il “disoccupato di Voghera” non vota a Shanghai, mentre Xi Jinping difficilmente avrà, almeno per un decennio, una manifestazione di Gilets Jaunes cinesi.

Che cosa fare quindi, si chiede Milanovic?

La risposta facile di invertire la globalizzazione appare intuitiva ma difficilmente risolutiva. La più grande economia del mondo, gli USA, negli anni ‘50 pesava per il 40% del PIL mondiale, oggi appena il 16% e difficilmente dazi e barriere potranno riportare indietro il calendario di 70 anni.

Finché i lavoratori dei paesi occidentali e quelli dei paesi in via di sviluppo avranno più o meno le stesse skill è ovvio che il lavoro passerà dai primi, che costano di più, ai secondi, che costano di meno. E la cosa succederà prima o poi pure alla Cina. Senza contare che c’è tutta l’Africa, con una popolazione lavorativa sottoutilizzata e disponibile.

Questo è il problema principale per Milanovic e due sono le soluzioni che propone. Una è quella di calibrare il sistema fiscale in modo da migliorare la redistribuzione dei redditi. Come? Con una tassazione maggiore su quelli più elevati per compensare maggiormente le ineguaglianze interne. La seconda è più strutturale: investire in educazione per migliorare le skill della forza lavoro, in modo che sia più competitiva e quindi in grado di competere per salari più alti.

E in Italia?
Come già scrivevo nel 2016 le riforme del lavoro degli ultimi 20 anni si sono concentrate più sulla flessibilità e sul suo costo invece che sulla qualificazione. E purtroppo gli effetti sul reddito degli italiani e sulla crescita del paese si sono tristemente visti. Invertire la direzione sarebbe quindi opportuno, invece che straparlare di sovranismo o incensare il made in Italy come soluzione taumaturgica.

Ma ciò comporterebbe andare a muovere un insieme di interessi e rapporti ormai cristallizzati nell’immobile società italiana.

Ci sarà mai una politica che ne avrà il coraggio?

Twitter @AleGuerani

Da - http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/12/17/paradosso-ineguaglianza/?uuid=96_PDd73BOE
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 07, 2019, 11:59:15 pm »

Domanismo perché abbiamo bisogno di tempo per capire che dobbiamo cambiare modo di pensare e agire diversamente da come abbiamo fatto sino ad ora.

Il nostro "Domani" non è un rinviare a dopo la soluzione dei problemi ma, al contrario, darsi molto da fare subito, per arrivare più presto possibile al “Nuovo Oggi”.

Il Domanismo è un luogo virtuale dove radunarsi per studiare come riuscire a cambiare modo di pensare per evolvere, senza negare, da un oggi che non è ancora per la gente e per il singolo Cittadino.

Nessuna negazione del passato o del presente cui siamo pervenuti ma soltanto un Progetto socio-politico da mettere a punto per governare il sorgere di una nuova Italia, perché si è cambiato il modo d’essere Italiani.

ggiannig
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 08, 2019, 11:45:00 pm »

Mezzogiorno.

Viene riproposto il saggio che Mario La Cava scrisse nel 1974 sull'occupazione delle terre a Casignana nel 1922: indagine economico-sociale ma anche tensione civile

Riscoprire la civiltà contadina

Se si prova a ragionare sulla nostra storia novecentesca, è sempre più evidente che il periodo d’oro per la comunità nazionale è stato quello che dal 25 luglio del 1943 alla fine degli anni Ottanta, e se dobbiamo trovare una data per questa fine è quella del delitto Moro – impresa dovuta più che a terroristi imbecilli ad accorti servizi e nell’interesse anche della politica d’altre nazioni – e della morte di Berlinguer, altro risultato della “strategia della tensione”. Ma non è di politica che si vuol qui parlare, bensì di una letteratura che, con gli anni della Liberazione, quando una assoluta minoranza di gente perbene (antifascista e repubblicana, partigiana e democratica) si trovò a causa di una guerra mondiale e di una guerra civile a dirigere le sorti del Paese, cui dette una Costituzione all’altezza delle speranze e dei bisogni di una nuova società.
È in quegli anni che fiorirono in Italia, lungamente preparati, una letteratura e un cinema di formidabile vitalità, profondità e varietà, e se quel cinema è oggi quasi dimenticato, nel disinteresse, con poche eccezioni, delle ultime generazioni per il nostro passato e per i suoi maestri, non diverso si avvia a essere il caso per la letteratura, che pure ha avuto una formidabile fioritura proprio in quei decenni, il cui ricordo è affidato oggi non all’interesse delle dozzine di giovani scrittori di effimero successo – che, come osservò un tempo Flaiano ma vale di più per oggi, «si fanno una cultura leggendo i propri articoli» – e neanche a quella di un’università sempre più lontana dai bisogni dell’epoca, ma piuttosto, ancora, a qualche animosa, infima minoranza di lettori esigenti e di editori a caccia dei “fuori diritti”. Alcune ri-letture recenti, occasionate da iniziative editoriali minoritarie e insolite e generose, ci hanno riportato a “minori” che, averne oggi di questa forza e solidità! poterono sembrar tali solo perché operavano negli anni di Morante e Gadda, di Pavese e Landolfi, di Bilenchi e Pratolini, di Brancati e Cassola, di Sciascia e Calvino, di Bassani e Pasolini, di Ortese e dei due Levi, di Cassola e Testori, di Manganelli e Arbasino, di Volponi e Consolo eccetera.
“Minori” Luigi Bartolini e Paola Masino, Jovine e Arpino? Averne, di minori così, o come i due scrittori che mi è stato possibile “riscoprire” di recente grazie a editori generosamente marginali, come il calabrese Rubbettino o il palermitano Palindromo, interessati anzitutto a tenere in vita la cultura delle proprie storia e società regionali. Del secondo ricordo l’azione compiuta per una piena rivalutazione di uno straordinario scrittore di Enna (quando la città ancora si chiamava Castrogiovanni), Nino Savarese, autore di una trilogia di imprevista modernità, Rossomanno, Storia di Petra e Il capopolo - i primi due sorta di “romanzi sintetici” a modo loro avanguardistici evocanti la storia secolare di un tipico feudo e di una tipica città siciliani e il terzo una rivolta popolare e metropolitana del Seicento - e del primo l’opera di Mario La Cava, che con i suoi Caratteri conquistò a suo tempo Vittorini, Calvino, Sciascia.
Ultima delle riproposte lacaviane è I fatti di Casignana, un libro piuttosto diverso dalle altre opere perché ricostruzione di una occupazione di terre avvenuta nel 1922 a Casignana, un paese che dà sullo Jonio e non è distante dalla Bovalino dell’autore, proprio nei giorni della “marcia su Roma”. Con abilità di storico e di sociologo, ma anche con la misura di un cronista classico o la passione totalizzante di un narratore dell’ ’800, La Cava scava in una realtà economica e politica che è rappresentativa, nella sua composizione di classe, di buona parte della realtà meridionale del tempo. Libro dimenticato, passato quasi sotto silenzio, per la pigrizia o banalità della critica, quando apparve in un 1974 pur socialmente coinvolto in forti conflitti sociali, I fatti di Casignana, accompagnato da una non eccelsa prefazione di chi qui scrive, è un piccolo capolavoro apprezzabile da più angolature, non solo da quella dell’alta qualità letteraria.
Di recente, le edizioni Hacca hanno pubblicato per merito di Giuseppe Lupo un altro grande romanzo di storia meridionale e nazionale, La masseria di Giuseppe Bufalari, sugli effetti dirompenti della riforma agraria in una zona interna e isolata della Lucania, formidabile per acume sociologico e antropologico e assolutamente non in linea con quella sconsiderata esaltazione del progresso, con la mitologia dello sviluppo e delle “magnifiche sorti e progressive” che sta portando il mondo allo sbando e che è stata ed è ancora una delle piaghe maggiori della cultura politica e giornalistica delle nostre servili classi dirigenti, a partire da quelle di sinistra. Altrettanto sconsiderata fu nondimeno la nostalgia per un passato visto come generoso idillio, idealizzato per esempio da Pasolini cui la Morante contrappose una ben diversa e pessimistica considerazione: non c’è stata un’età dell’oro, nello stato di necessità, del nostro ieri contadino e municipale, e siamo piuttosto passati da un purgatorio a un altro, o da una barbarie a un’altra, se pur di segno diverso.
Non idealizzavano la fame, la precarietà, le sopraffazioni di classe né Bufalari né Savarese né La Cava, autori complessi e diversi, originali ciascuno di una propria vocazione e qualità di scrittori; ma quanto avremmo tutti da imparare, oggi, di quella loro tensione non solo letteraria ma anche civile, e di una capacità di “leggere” la storia della propria comunità e insieme della comunità nazionale. Sì, è esistita una “civiltà contadina” con una sua specificità e bellezza, nonostante le denigrazioni che di essa sono state fatte nel tempo dalla cultura borghese e padronale. Essa era fatta di storia e diversità, di profondità del legame con la natura, bensì radicato e conflittuale allo stesso tempo, e della piena coscienza di una originalità forte e di una precisa condanna sociale. Riscoprire “minori” della forza di La Cava, di Bufalari, di Savarese, che sarebbero oggi degli assoluti maggiori, può aiutarci a comprender meglio cosa siamo stati, da dove veniamo, ed è dunque utile anche a ragionare su dove stiamo andando o dovremmo andare. Se ci fosse ancora qualcuno che osa porsi domande di questo genere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I Fatti di Casignana
Mario La Cava
Rubbettino, Soveria Mannelli,
pagg. 216, € 16; in libreria dal 10 gennaio
Goffredo Fofi

Da - https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&issue=20190106&edizione=SOLE&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 08, 2019, 11:56:57 pm »

Benessere

Blu e verde contro ansia e stress

«Rosso di rabbia, verde d’invidia, bianco dalla paura»: sono molte le espressioni che, nel linguaggio comune, collegano le emozioni a un determinato colore associato a una precisa simbologia. Così chi si arrabbia diventa rosso come il fuoco, chi è ottimista e positivo vede il mondo dipinto di rosa, l’invidioso si tinge di verde, il colore della putrefazione. E la fifa è blu come l’oscurità impenetrabile che spaventa. Essere bianco dalla paura vuol dire essere talmente terrorizzato da perdere ogni colore; così come per i pessimisti, che vedono nero, non c’è alcuna tinta che illumini il loro futuro.
Curarsi con i colori, una soluzione “alternativa”
E proprio sul rapporto tra colori ed emozioni si basa la cromoterapia, una disciplina alternativa che sfrutta le proprietà dei colori per trattare determinati disturbi secondo la teoria che i colori sono energia e parlano al nostro organismo. I colori sono costituiti da onde elettromagnetiche con una loro frequenza specifica all’interno dello spettro della luce bianca. E proprio attraverso le loro frequenze inviano messaggi che arrivano al nostro corpo e alla mente e sollecitano risposte sia a livello fisico sia a livello emozionale. Questa energia viene assorbita dal nostro organismo a livello fisico, chimico e psichico non solo attraverso la vista, ma anche la pelle e la calotta cranica.
Secondo alcune teorie, poi, i colori dilatano o restringono i vasi sanguigni, aumentano la produzione di globuli rossi, bianchi ed enzimi, rinforzano il sistema immunitario e i tessuti e favoriscono l’ossigenazione del sangue.
Test psicologico al centro diagnostico
Negli anni Cinquanta lo psicoterapeuta, sociologo e filosofo svizzero Max Lüscher ha inventato il “test dei colori”, un test psicologico che analizza lo stato d’animo di un soggetto in base alla sua preferenza, partendo dal presupposto che la scelta avviene in modo inconsapevole rivelando la reale personalità di un individuo e non come si percepisce o vuole essere percepito (si veda l’articolo a fianco). Questo test è utilizzato per la selezione del personale nella Marina Americana e ha ispirato il Centro Diagnostico Max Lüscher di Roma, un centro di psicologia specializzato nella diagnostica dei colori nato nel 2006 con l’autorizzazione concessa da Lüscher alla dottoressa Viviana Valente, psicologa, prima sua allieva e poi collaboratrice.
Il centro offre attività di consulenza e corsi di formazione incentrati sul test dei colori del professore svizzero applicato a: psicosomatica; psicologia clinica con diagnosi di personalità e definizione degli obiettivi dell’intervento psicologico; ambito socio-educativo con l’individuazione di situazioni di disagio e di condizioni a rischio; valutazione attitudinale per l’orientamento scolastico e professionale e la selezione del personale.
Un metodo anche per i bambini
Ma come funziona la cromoterapia? Questo metodo terapeutico sfrutta le vibrazioni cromatiche per ristabilire un equilibrio energetico alterato attraverso un’irradiazione colorata. È utile soprattutto in caso di disturbi psichici come ansia e depressione e trova applicazione anche in campo pediatrico contro iperattività, mal di testa, insonnia e disordini emotivi.
I “bagni” di colore avvengono in modi diversi: attraverso strumenti e apparecchi particolari per diffondere le radiazioni; il sole che irradia la pelle con la sua luce che racchiude l’intero spettro di colori; gli alimenti i cui colori entrano nell’organismo attraverso la loro assunzione; l’acqua ricca di irradiazioni luminose; e i vestiti.
Sono moltissime le Spa e i centri benessere che propongono docce di luce colorata, le cosiddette docce emozionali, con programmi specifici in base alle esigenze: tonificare, rilassare o energizzare. Luci colorate, spesso abbinate all’aromaterapia, si trovano anche in piscine, bagni turchi e sale dedicate.
Rosso, blu, verde e giallo:
un colore per ogni disturbo
Tra le tinte più utilizzate ci sono il rosso, simbolo del fuoco e portatore di energia, che aumenta i battiti cardiaci, frequenza respiratoria e pressione arteriosa, migliorando la circolazione del sangue e stimolando il sistema nervoso e ghiandolare, fegato e nervi sensitivi. Si usa anche contro bruciature ed eruzioni cutanee e sembra essere utile contro depressione, asma e tosse.
Il giallo, che simboleggia la parte intellettuale del cervello, favorisce la concentrazione e quindi lo studio; infonde felicità e gioia, migliora la digestione, purifica l’intestino e riduce il gonfiore addominale. Può essere utile agli sportivi perché aumenta il tono neuro-muscolare, la prontezza di riflessi. L’arancione invece regolarizza le funzioni di tiroide e milza.
Il verde, che simboleggia armonia e natura, riequilibra le funzioni del corpo e calma emicrania e patologie nervose nervi; mentre il blu, opposto al rosso, riduce pressione arteriosa, ritmo del cuore e della respirazione, perciò ha un effetto calmante, tranquillizzante e rinfrescante. Utile dunque in caso di stress, ansia e insonnia; ma anche di infiammazione. In particolare, l’indaco per la cataratta e il celeste per dare sollievo agli occhi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Marika Gervasio

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