LA-U dell'OLIVO
Marzo 29, 2024, 06:29:30 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: LAURA PUTTI. Gian Maria Volonté E' MORTO IN MONTAGNA COME UN PARTIGIANO.  (Letto 11624 volte)
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.754


Mostra profilo
« inserito:: Dicembre 07, 2018, 05:49:34 pm »

E' MORTO IN MONTAGNA COME UN PARTIGIANO

FLORINA - Mancano pochi minuti alle otto della sera quando un pullmino entra nello spiazzo davanti al piccolo ospedale di Florina. Per prime scendono tre donne, dolenti, vicine, straniate. Sono Angelica Ippolito, compagna di Gian Maria Volonté, la figlia dell’attrice avuta da una precedente unione e la scrittrice Armenia Balducci, per anni moglie dell’attore. Una piccola folla le segue, gente del luogo. Poi il produttore italiano Amedeo Silvani, la troupe, Theo Anghelopoulos, regista di ' Lo sguardo di Ulisse' , il film che l' attore non finirà mai. Angelica percorre da sola la stradina nel bosco che conduce alla piccola chiesa affrescata. Gli altoparlanti diffondono il ' Dies Irae' del Requiem di Mozart. Lei entra nella chiesa con la figlia, chiude la porta dietro di sé. Armenia Balducci resta fuori, appoggiata alla porta, la testa tra le mani. La gente attende composta. Angelica esce dopo cinque lunghissimi minuti. Ha il volto sereno, sebbene rigato dalle lacrime. "Grazie, è bellissimo, è bellissimo", non fa che ripetere a voce alta. "Sorride, c' ha fregati tutti, ancora una volta", dice serena. "E' venuto a morire qui, in mezzo alle montagne, come un partigiano, con gente forte, compagni come lui. Non ha voluto morire in Italia, non sopportava più il suo paese". Entra Armenia, anche lei resta sola con Volonté. Poi di seguito tutti gli altri, in mano una candela e un garofano rosso. C' è Anghelopoulos, sua moglie Phoebe, c' è Harvey Keitel e l’attrice Maya Morgensten, c' è il fonico Thanasis Arvanitis, da venticinque anni accanto al regista greco. "La sera prima che morisse", ricorda, "mi aveva detto: domani ceniamo nella taverna che piace tanto a Mastroianni. A volte non c' è più tempo per un domani". La piccola commossa processione termina e Angelica entra di nuovo. Di nuovo sola. Gli accarezza il viso, lo bacia sulle labbra, gli parla. Poi, come estremo saluto si sfila una sciarpa bianca e gliela pone accanto, delicatamente, senza smettere di sorridergli. Questa sera, insieme, torneranno in Italia. FLORINA è a metà strada tra Salonicco e Tirana, nord-ovest della Grecia al confine con il Kossovo, ex Jugoslavia. Incastonata tra le brulle montagne della Macedonia, a più di seicento metri di altitudine, diciassette mila abitanti, quasi alla stessa distanza con Atene e Sarajevo. Florina ha un' architettura più bulgara che greca, un centro che somiglia alla periferia di una qualunque delle nostre città. Florina ha un nome troppo gentile per un lutto così grande e l’albergo ' Lingos' , quartier generale di molti film di Anghelopoulos (da L' Apicoltore fino a quello che è finora l' ultimo Paesaggio nella nebbia, 1992, con Marcello Mastroianni) ha adesso una stanza sbarrata, la 206. La polizia ha messo sigilli di ceralacca che sembrano grumi di sangue scuro, e tutti coloro che vi passano davanti non guardano quella porta, o le danno una carezza veloce. La signora Marja, la cameriera che lunedì mattina ha trovato il corpo senza vita di Gian Maria Volonté, ha un viso senza espressione. "Ho cercato di entrare per rifare la stanza, ma la porta non si apriva" ricorda con lo sguardo fisso su mani giunte come in una preghiera. "Ho aperto e l’ho visto per terra, incastrato sulla soglia della stanza da bagno, ho avuto paura, ho capito subito, sono scesa a chiamare qualcuno". Gian Maria Volonté era già morto: attacco cardiaco, fibrillazione acuta al ventricolo sinistro, dice il referto del dottor Simos Mitras dopo l’autopsia di martedì. Un giornale locale titola "Volonté si è fermato a Florina", ma Eboli è lontana e chissà se Levi e la letteratura italiana qui sono conosciute come lo è il nostro cinema. I quotidiani pubblicano grandi articoli, con grandi foto; il telegiornale ha mandato in onda un lungo servizio con molte sequenze tratte dai film di Volonté. La Grecia aspettava il suo film, il secondo della coppia Anghelopoulos-Volonté, dopo Alessandro il Grande, Leone d' oro a Venezia nel 1980. E la sorte ripropone i suoi scherzi: allora, accanto a Volonté era Omero Antonutti, che si unirà alla troupe di Lo sguardo di Ulisse, perché il film possa essere terminato. Anghelopoulos sta cercando di creare un nuovo personaggio che non debba sostituire Volonté, ma che permetta al protagonista (Harvey Keitel) di continuare il suo viaggio alla scoperta dell’anima. L' atmosfera sul set è pesante. C' è una strana energia, un sentimento reattivo al dolore, una disperazione appena accennata. "Continuare a lavorare è il nostro omaggio a Gian Maria" dice Anghelopoulos, e saranno le uniche parole della giornata. Sua moglie Phoebe, che in questi giorni oltre ad occuparsi della produzione fa anche da ufficio stampa, da portavoce del regista, per soddisfare le decine di giornalisti arrivati qui da tutta la Grecia, dice che lui è teso, talmente rigido da potersi spezzare da un momento all' altro. Girerà comunque un piccolo film, una specie di trailer, che presenterà al prossimo festival di Cannes in omaggio a Volonté. Stamattina si prova la nebbia, cara ad Anghelopoulos. Decine di macchine sputano fumo bianco e, con il sole, il riverbero è accecante. Sul set tutti hanno qualcosa da dire sull' attore, ognuno ha un aneddoto, un ricordo. Volonté aveva raggiunto la produzione all’inizio della settimana scorsa. Avevano girato a Mostar, dormendo a Medjugorje, a diciassette ore di auto da qui. Avevano girato nella città dilaniata dalla guerra, pochi giorni dopo che la bomba aveva distrutto la chiesa cattolica. Phoebe Anghelopoulos ha un ricordo netto, preciso, che non riesce a raccontare senza commuoversi. "Giriamo questo film da mesi. Un prima tranche è andata da gennaio ad aprile; poi un’altra preproduzione, ed ora nuove riprese, le ultime quattro settimane. A Mostar eravamo disperati. Il contratto di Keitel stava per finire. E così i soldi. Theo voleva buttare tutto all' aria, uno sconforto tremendo. Allora Gian Maria mi ha preso le mani e mi ha detto: restiamo uniti, andiamo avanti, non possiamo mandare all' aria una storia così importante, sprecare questa nostra armonia. Ha voluto parlare con Theo, a mio marito è tornato il coraggio. Gian Maria aveva un modo quieto e fortissimo, un silenzio che riempiva tutti gli spazi. Era un grande uomo prima che un grande attore". Le fa eco Keitel, compagno di una sola settimana. "Aveva secoli segnati sul suo viso. Avremmo dovuto lavorare insieme ancora molto. Non vorrei dire cose banali sulla vita e sulla morte, ma sono molto toccato da quello che è accaduto". In Lo sguardo di Ulisse, Mostar è Sarajevo e Volonté il direttore della cineteca della città, un uomo che difende il cinema dalla fretta dei tempi, dai video, dalla televisione. Keitel è Ulisse: si è messo sulle tracce dei fratelli Manakias, pionieri di inizio secolo, fotografi e cineasti, registi interessati ai volti della gente, poco coinvolti nei problemi razziali e politici che già allora affliggevano i Balcani. Ulisse cerca tre "pizze" dei Manakias che nessuno ha mai visto. Sul suo cammino lungo di anni (l' Odissea?) incontrerà quattro donne (Nausicaa? Circe? Calipso? Penelope?) tutte interpretate da Maya Morgenstern. E' un’attrice rumena, avrà poco più di trent' anni, occhi che trafiggono, una magrezza armoniosa. Due anni fa a Berlino prese il Felix dalle mani di Volonté. Lui, nella giuria, l’aveva premiata come migliore attrice per La chene, la quercia, di Lucien Pintilie. "A Berlino, dopo la premiazione, Volonté mi si è avvicinato. Io, emozionatissima, mi sono presentata. So chi è lei, mi ha detto, l' ho premiata e volevo dirle che è bravissima. Sono scoppiata a piangere". Maya Morgenstern non resiste, le lacrime iniziano a scorrere: "Avevamo un rapporto tenero, profondo, lui era come mio padre. La scorsa settimana, appena arrivato, è venuto da me e mi ha detto: ti ricordi di me? a Berlino hai pianto sulla mia spalla. Non mi aveva dimenticato".

LAURA PUTTI
08 dicembre 1994

Da - https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/12/08/morto-in-montagna-come-un-partigiano.html
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!