Pd, il ritiro di Minniti.
Renzi: "Non faccio il piccolo burattinaio al congresso"
L'ex ministro dell'Interno spiega a Repubblica le ragioni della rinuncia.
L'ipotesi di un'uscita dell'ex premier scuote i dem.
Delrio: "Difendo l'unità".
Di CARMINE SAVIANO
06 dicembre 2018
ROMA - Un gesto d'amore verso il partito. Così l'ex ministro Marco Minniti, in un’intervista a Repubblica, spiega il ritiro della sua candidatura alla segreteria del Pd: “Resto convinto in modo irrinunciabile che il congresso ci debba consegnare una leadership forte e legittimata dalle primarie. Ho però constatato che tutto questo, con così tanti candidati, potrebbe non accadere”.
Il convitato di pietra del caso Minniti si fa sentire con n un post su Facebook. Non chiarisce se se ne andrà, e quando, dando comunque appuntamento a stasera alle 18 per una diretta Facebook, ma mette i puntini sulle i: “Oggi i media parlano di nuovo delle divisioni del Pd. E naturalmente c’è sempre qualche fonte anonima che dà la colpa a Renzi. Strano. Mettiamo le cose in fila. Dopo le elezioni io mi sono dimesso. Ho spiegato in un lungo discorso all’assemblea nazionale ciò che secondo me ho sbagliato e ciò che abbiamo fatto bene. Ma mi sono assunto io la responsabilità per tutti. Da quel momento ho fatto la mia battaglia da senatore dell’opposizione. Continuerò a farlo, ovunque”.
Ma, aggiunge Renzi, “da mesi non mi preoccupo della Ditta Pd: mi preoccupo del Paese. Che è più importante anche del Pd. Non farò mai il capo di una corrente. Faccio una battaglia sulle idee, non per due poltrone interne. Per me le correnti sono la rovina del Pd. Le correnti potevano andar bene nei partiti del Novecento: nella Dc o nel Pci”.
Quanto al congresso, scrive l’ex premier, “chi vincerà avrà il mio rispetto. Quello stesso rispetto che non ho avuto quando - dopo aver vinto due volte col 70% - sono stato attaccato dal fuoco amico dal giorno dopo. Quello stesso rispetto che non ho avuto quando - vittima ancora oggi di una campagna social vergognosa - la mia famiglia è stata trascinata in un fiume di fango su cui pochissimi nel gruppo dirigente hanno avuto il coraggio di esporsi”.
Le altre reazioni
Matteo Ricci, il sindaco di Pesaro che ha sostenuto Minniti, si muove subito per scongiurare l'ennesimo "divorzio". E lancia su Twitter l'hashtag #iostonelPD: "I sindaci vogliono un partito unito, aperto e riformista. No a nuovi partiti e a scissioni. 550 primi cittadini avevano chiesto l’impegno di #minniti per questo. I sindaci sono l’energia locale del pdnetwork e vogliono unità".
Il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, il renziano schierato con Maurizio Martina, invoca a sua volta unità: "Chiunque si candida per arricchire il dibattito del Pd, bene. Chi divide non fa un buon servizio, né al Paese, né all’opposizione. Abbiamo tanti militanti, tanti amministratori, tante persone che ci chiedono più unità. Abbiamo fatto piazza del Popolo e vogliono più unità. E noi continueremo a difendere questa unità". Subito dopo, ospite di Agorà, l’ex ministro dei Trasporti ammette che se Renzi lasciasse i dem “sarebbe certamente una grave frattura sentimentale perché Matteo è stato un pezzo importante del Pd in questi anni e credo pure della storia di questo Paese... Credo che non si possa cancellare ciò che Renzi ha fatto. E, di sicuro, la sua uscita non sarebbe indolore per noi”.
Carlo Calenda, rispondendo su Twitter a chi gli chiede della scissione, afferma che l’eventuale nuovo partito di Renzi è “l’effetto di tante differenti forze. Insipienza del Pd, volontà di Renzi (legittima) di rimanere protagonista sulla scena politica, leadership alternative deboli, agende personali forti”. L’ex ministro dello Sviluppo economico non ha dubbi sulla natura “personale” del soggetto renziano: “Si tratterebbe del partito di Renzi. Nel bene e nel male è l’unica dimensione in cui riesce a operare. Non fa per me. Ma se avrà successo meglio per il Paese”. Non manca una critica pesante all’intero centrosinistra: “È diventato un asilo d’infanzia all’ora di ricreazione dove tutto è personale e puerile. E se questa è l’eredità politica di questo cinque anni siamo stati un vero disastro”. Quindi Calenda si rivolge direttamente all’ex premier: “Matteorenzi cosa vuoi fare?”.
Il parlamentare e costituzionalista Stefano Ceccanti, denunciando la crisi del partito e contestando le piattaforme dei “candidati residui alla segreteria”, chiede invece di trovare al più presto un nuovo candidato che sia davvero riformista “e renda sul serio i profili di contenuto che abbiamo elaborato, tra gli altri, nelle recenti Tesi di Libertà Eguale”.
Dario Corallo, uno dei candidati alle primarie, scommette su uno scenario ben diverso: “Continuo a profetizzare che quasi tutti i candidati alle primarie si ritireranno. Mi è capitato di dover lavorare per molti di loro e ne ho vista di acqua sotto i ponti. Ogni volta è sempre la stessa storia: la candidatura è tattica, non per rappresentare qualcuno. A questi dirigenti non importa più niente del Pd, della comunità”.
Interviene sulle traversie dem anche il leader leghista Matteo Salvini: “Spiace che non ci sia un’opposizione in Parlamento. A casa del Pd ogni giorno ne succede una. Spiace per il Pd e per gli italiani che in una sinistra seria credevano e magari ci credono ancora, spero escano presto da questo buio”.
E le primarie continuano ad essere analizzate dai sondaggisti: secondo EMG Acqua Nicola Zingaretti è in testa alle preferenze degli intenzionati a partecipare alle primarie con il 42%, secondo Minniti con il 26%, in calo di due punti rispetto a settimana scorsa, in terza posizione Martina che guadagna tre punti e sale al 22%. Seguono Damiano con il 4%, Boccia con il 3%, Saladino con il 2%, Dario Corallo è all'1%.
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06 dicembre 2018
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