POLITICA
17/03/2018 20:21 CET | Aggiornato 20/03/2018 16:22 CET
L'intellighenzia di sinistra che spinge il Pd nelle braccia del M5S
Cacciari, Zagrebelsky, Settis e altri: costituzionalisti e politologi non vedono altra via per la salvezza del Pd
By Claudio Paudice
Huffpost
Se sia un'ubriacatura tanto frettolosa quanto improvvida o l'unica strategia possibile di fronte al collasso della sinistra nelle fasce d'elettorato di cui la sinistra sarebbe, in teoria, espressione, è argomento frequente di dibattito in questi giorni di stallo politico con due vincitori e zero possibilità di formare maggioranze parlamentari. Ma è certo che un fronte unico nell'intellighenzia di sinistra si sia mosso a favore di un accordo tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, attraverso cui il primo si consegni - in ragione della sua sconfitta - al secondo - in virtù della sua vittoria - senza grandi pretese ma ad ogni costo pur di scongiurare un'Italia a trazione leghista.
Da Zagrebelsky a Cacciari a Pasquino, espressioni diverse di una sinistra in cerca di rappresentanza, travolta dalla ruspa del renzismo: tanti intellettuali non hanno esitato nel prospettare "l'unica strada" che resta da percorrere al Partito Democratico per non scomparire "definitivamente", quella di un via libera in Parlamento a un governo M5S. Ipotesi che i vertici del Pd senza Renzi, ma fedele alla linea impartita da Renzi, negano con cadenza quotidiana, mostrandosi tanto sicuri sulla scena pubblica quanto smarriti dietro le quinte. "Incompatibili con i 5 Stelle", "Governi chi ha vinto", "Gli elettori ci hanno voluto all'opposizione". E ad ogni rifiuto, per contro aumentano gli inviti di costituzionalisti, scrittori e giornalisti a un ripensamento della linea politica adottata, che pare oscillare tra il risentimento malcelato e un orgoglioso isolamento. Linea che, ad oggi, nessuno sa se sia un azzardo o lucida lungimiranza ma che viene motivata con la impossibilità di colmare le profonde differenze politiche, ideologiche e culturali tra Pd e M5S. Salvo, ovviamente, dovesse giungere un appello dal Colle. In quel caso le carte in tavola saranno rimescolate.
Eppure, le differenze potrebbero non essere così profonde se è vero che il grosso dei delusi del Pd si è voltato compatto verso il Movimento 5 Stelle, come ormai appurato da diverse analisi sui flussi elettorali. Massimo Cacciari, che ha proposto un via libera dei democratici a un monocolore M5S, ha detto: "Se il Pd sostiene i grillini non perderebbe consensi: basta vedere i flussi elettorali, gran parte dei voti persi dal Pd è andata proprio al Movimento 5 Stelle". Dello stesso avviso il politologo Piero Ignazi che su Repubblica ha scritto come "il M5S ha cambiato pelle, e i flussi di voto dimostrano come i due partiti hanno elettori affini". Come ha precisato sul Corriere, però, il suo non è un endorsement filo-grillino quanto una constatazione ormai "ampiamente condivisa".
Diverso il discorso di Paolo Flores d'Arcais, più nefasto: per il direttore di Micromega, se il Pd dovesse rifiutare un governo dei Cinque Stelle che abbia come cornice la legalità e l'uguaglianza e sia guidato da una grande personalità, "nelle inevitabili elezioni che sarebbero convocate a breve andrebbe sotto al dieci per cento". La proposta è stata denominata la "mossa del cavallo", destinata con ogni probabilità - stando alle dichiarazioni politiche di questi giorni - a restare lettera morta, anche per indisponibilità dei grillini a cedere su premier e ministri: il M5S si dovrebbe far carico di proporre un governo sui propri elementi di programma essenziali, ma presieduto da una personalità come Zagrebelsky o Montanari e con ministri al di fuori dei partiti. In questo caso, scrive lo stesso Montanari, tra gli intellettuali favorevoli all'accordo M5S-Pd, "è perfettamente legittimo che il Pd decida di rigettare questa proposta, ma è davvero impossibile condividere le considerazioni di ordine politico, e addirittura morale, che vengono in queste ore avanzate per giustificare un simile diniego".
Anche Gustavo Zagrebelsky, in una intervista al Fatto, ha suggerito al Pd e alla sinistra di sostenere un governo con i 5 Stelle. "Ma ci vorranno tempi lunghi". Per l'ex presidente della Consulta la "distruzione della sinistra e del Partito democratico" non va intestata solo a un uomo, non va fatto di Renzi "un solitario capro espiatorio". Il voto del 4 marzo è stato "non una rivoluzione, piuttosto una ribellione o, se si preferisce, una rivolta contro la politica oligarchica", si è trattato di una "ribellione di massa contro la cristallizzazione e l'autoreferenzialità di un potere chiuso, lontano".
Se un tempo la sinistra era ammaliata dalla terza via, ora c'è "l'unica via" da imboccare, sostengono quindi, un asse tra ciò che resta del Pd e il primo partito capace di canalizzare il senso di esclusione di una parte della società italiana dai grandi disegni della politica. Senza avere tornaconti immediati in termini di consenso, come sostiene per esempio il politologo Gianfranco Pasquino, secondo il quale "bisogna mettersi a disposizione per i superiori interessi del Paese, chi ha votato PD lo ha votato perché vuole che si rispetti la democrazia parlamentare, quindi non ha senso dire di tirarsi fuori". Per Pasquino, come ha detto all'HuffPost, "tra i 5 stelle e il Pd c'è una compatibilità programmatica di fondo, entrambi dovranno rinunciare a qualcosa del proprio programma, ma è una strada che si può percorrere".
Anche Salvatore Settis, già presidente del Consiglio superiore dei beni culturali e direttore della Normale di Pisa, in una intervista a La Stampa si è schierato a favore di una convergenza di governo tra Pd e M5S: "Guardando i numeri di questo Parlamento, un esperimento di alleanza di questo tipo mi pare comunque preferibile a ogni altro". "L'elaborazione programmatica di entrambi è insufficiente. Questa debolezza può diventare un punto di forza - ha aggiunto Settis - se si avrà il coraggio di costituire un tavolo di discussione in cui tener conto non solo di quel che dicono i partiti, ma del confronto fra l'Italia e gli altri Paesi nonché delle istanze che nascono 'dal basso'".
Ipotesi caldeggiata da molti, ma senza farsi tante illusioni: "Se nel centrosinistra fosse rimasto un briciolo di intelligenza politica oggi i dirigenti correrebbero a fare un'alleanza di governo con Di Maio e compagni", ha sostenuto Curzio Maltese. "Ma non ne è rimasto nemmeno tanto e infatti il partito accetta che Renzi rimanga giusto il tempo per completare l'opera e spargere il sale sulle macerie del Pd". Successivamente Maltese ha specificato che la sua è "semplicemente un'analisi, non un auspicio. Non ho fatto, né intendo fare alcun appello al Pd, come dichiaro esplicitamente in un articolo su Micromega".
Per diversi intellettuali, quindi, l'unica via di salvezza è quella che porta a un sostegno, diretto o indiretto, ai Cinque Stelle. Perché, a ben vedere, le alternative non sono poi così allettanti: partecipare a un governo con dentro tutti, tanto per cambiare; od occupare il ruolo dell'opposizione, "costruttiva" ma pur sempre opposizione. In attesa e nella speranza che ai vincitori qualcosa vada storto.
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Claudio Paudice
Giornalista politico, L'HuffPost
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