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Autore Discussione: Dario Di Vico - Le libere minoranze  (Letto 2797 volte)
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« inserito:: Dicembre 08, 2007, 05:19:52 pm »

Le libere minoranze


di Dario Di Vico


Toccherà alle minoranze salvare l’Italia?

La domanda viene da Giuseppe De Rita e merita attenzione. Se non altro perché nel 2002 il sociologo pubblicò da Einaudi Il regno inerme, un pamphlet che giornali e politici ignorarono. Eppure descriveva con sapienza, e in anticipo, quello che sarebbe diventato negli anni immediatamente successivi il tratto distintivo della vicenda italiana: la crisi del bipolarismo. Stavolta dunque conviene starlo a sentire per tempo, anche se i suoi vaticini suonano altrettanto scomodi di allora.

Viviamo una fase in cui l’offerta politica si va ristrutturando con grande e inattesa velocità. Ha cominciato il centrosinistra con la nascita del Pd e di seguito tutti gli altri protagonisti hanno sottoposto a revisione (o lo stanno facendo) i loro contenitori. Persino quello che dai sondaggi appariva come il primo partito del Paese, Forza Italia, ha sentito la necessità di presentarsi all’opinione pubblica con un nuovo marchio. Ma a latitare sono i contenuti, l’offerta che viene rivolta al potenziale elettore non ha la densità tipica della cultura politica e attinge più che altro ai manuali di marketing.

Prendiamo il Pd. Una larga fetta dei gruppi dirigenti della Margherita e dei Ds è cosciente di dover lasciare i lidi del Novecento ma non ha la minima idea su dove approdare. Quanto ai riferimenti sociali la confusione è sovrana, si intuisce solo che tra i tassisti e i consumatori è più moderno tifare per i secondi. Anche la componente più genuinamente riformista stenta a trovare riferimenti: qualcuno è orfano di Tony Blair, in diversi applaudono il decisionismo di Nicolas Sarkozy e i più informati sono preoccupati dalla deriva protezionista che stanno prendendo i Clinton. Risultato: a un mese e mezzo dall’assemblea costituente di Milano non si è affermato ancora un contenuto che serva da test per capire in cosa consista la discontinuità con il passato.

Nel centrodestra si è aperta una dialettica mai conosciuta prima e i contenitori sono sottoposti amutamenti repentini. Il quotidiano ping pong che impegna i principali leader conosce toni aspri che non erano stati mai sfiorati, ma la revisione del background culturale e delle ricette non segnala passi in avanti. Chi si aspetta che da questo rivolgimento esca un polo conservatore e liberale capace di replicare in Italia «le rivoluzioni della destra», è destinato a restar deluso. Nell’uno e nell’altro schieramento il lavoro delle fondazioni e dei think tank resta confinato alla voce «presentazioni di libri, segue buffet». I partiti a vocazione maggioritaria, almeno per ora, non riescono a diventare dei produttori di contenuti, non riescono a mettere in campo idee che sappiano fare i conti con le contraddizioni della modernità e partorire soluzioni originali.

Per questa serie di motivi ha ragione De Rita nel riporre le sue speranze nell’azione delle minoranze. Chi non ha bisogno di esercitare il potere per esistere, chi vive e opera in unmondo aperto ha forse a questo punto la responsabilità di rimboccarsi le maniche e cercare di incidere sull’ «inerzia maggioritaria» che avviluppa il Paese. Il futuro non aspetta i pigri.

08 dicembre 2007

da corriere.it
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