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Autore Discussione: Carlo Alberto Viano - Il potere e gli impostori  (Letto 2884 volte)
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« inserito:: Dicembre 08, 2007, 03:17:30 pm »

Il potere e gli impostori

Carlo Alberto Viano


La parola “impostura” è quasi del tutto scomparsa dalla pubblicistica come dalla letteratura dotta, e al massimo viene usata nella conversazione privata, per indicare chi millanta capacità e posizioni fittizie allo scopo di ricavarne qualche vantaggio. Eppure quella parola è stata largamente presente in scritti che hanno contribuito a trasformare i nostri modi di pensare e di essere, usata da intellettuali si erano proposti di smascherare imposture collettive, prese sul serio nella vita pubblica. Fin dall’antichità storici come Erodoto o scrittori come Luciano di Samosata avevano svelato i trucchi, simili a quelli dei prestigiatori da fiera, di personaggi che esibivano poteri eccezionali. Perfino un moderato come Cicerone parlava degli inganni degli indovini, figure ufficiali della società antica, un po’ come i ministri delle religioni moderne. E Tito Livio, pur tutto preso dalla restaurazione augustea, mostrava come gli indovini manipolassero il sacro per adattarlo alle decisioni pubbliche più opportune. Machiavelli, che vedeva in Livio una buona guida per capire come nascono e funzionano le società, sosteneva che per metter su uno Stato bisogna ricorrere a imposture religiose.

Erano stati alcuni filosofi arabi a dire che la fede rivelata va bene per i semplici, mentre ai dotti bastano le verità razionali; e Maometto non aveva certamente parlato ai dotti. Finché il sospetto di aver forgiato una religione a fini politici toccava Maometto, la cosa andava bene ai cristiani; ma il contagio poteva diffondersi. Come soltanto con Romolo, senza le imposture religiose di Numa Pompilio, i romani non si sarebbero trasformati da banda di briganti a popolo civile, non si poteva dire che anche Mosè aveva escogitato credenze e pratiche religiose necessarie per costruire l’unità politica degli ebrei?

E Gesù? E se, quando si litiga sulle radici cristiane dell’Europa, la cosa più pratica fosse riconoscere in Gesù l’equivalente di Mosè, anche lui un grande impostore, le cui trovate potrebbero dare un’anima comune ai paesi europei? Non sarebbe neppure una novità, perché nella cultura europea ha circolato l’idea dei tre grandi impostori, Mosè appunto, Gesù e Maometto, i fondatori di quelle che oggi vengono chiamate, con una certa albagia, le religioni monoteistiche. (...)

Eppure storici e filosofi si affrettano a dichiarare che non è il caso di andare a discutere della reale possibilità degli eventi miracolosi, come se fosse disdicevole perfino rifiutarsi di credere che le case si spostino nei cieli. Ma non è un po’ ridicolo che chi fa la storia del miracolo di Loreto dica di non voler discutere se sia davvero avvenuto, come se una casa che vola nei cieli fosse un evento sul quale è prudente astenersi?

Recentemente si è parlato sui giornali e in trasmissioni televisive di Padre Pio, un personaggio che la stessa Chiesa aveva guardato con ostilità o sospetto; si è detto che ci sono prove che acquistasse di nascosto una sostanza urticante, ma si è subito sentito dire che non c’erano prove che la usasse per procurarsi le stimmate. I papi continuano a proclamare santi, riconoscendo un numero enorme di miracoli, e i giornali, anche quelli che pretendono di avere dignità culturale, ne danno notizia come se si trattasse di eventi accertati. Anzi ogni tanto viene annunciato che questo o quel personaggio, da Giovanni Paolo II a Teresa di Calcutta, ha fatto il miracolo, quasi sempre una guarigione, senza che nessuno batta ciglio, come se si trattasse di un normale fatto di cronaca. Il massimo che si senta a proposito delle imposture religiose è una posizione di tipo agnostico: per essere prudenti, rispettosi e di buon gusto bisognerebbe dire che non si è obbligati a credere nei miracoli come non si è obbligati a credere in Dio, ma non si può neppure escludere che i miracoli avvengano o che un essere divino esista. Oggi l’agnosticismo teologico incomincia ad apparire come una forma di reticenza, sostenuta da una filosofia piuttosto rozza, mentre l’ateismo sta riconquistando prestigio; e non c’è ragione di essere reticenti sui prodotti derivati delle credenze religiose, quali sono appunto le imposture.

Ma tant’è. Quando, alla fine del secolo scorso, le ideologie ottocentesche e novecentesche che avevano tenuto viva la critica illuministica alle imposture sono entrate in crisi, i movimenti che si rifacevano a quelle ideologie hanno dovuto andare in cerca del consenso senza fare affidamento sul valore intrinseco delle proprie idee, e ciò li ha spinti a cercare l’appoggio delle istituzioni religiose: la fine della critica religiosa è stato il prezzo che hanno dovuto pagare. Ho fatto una piccola ricerca personale, che vale quello che vale, sulle ricorrenze della parola “impostura” nel dibattito contemporaneo: non soltanto ho constatato che la si usa pochissimo, ma ho visto che le sue rare comparse sono molto istruttive. Come c’era da aspettarsi, è del tutto assente negli scritti di conservatori e tradizionalisti, mentre compare qualche volta in interventi assegnabili alla sinistra. La “grande impostura” è la ricostruzione ufficiale dell’attentato dell’11 settembre e della distruzione delle torri gemelle a New York. Imposture sono le teorie economiche di carattere matematico, messe sempre insieme ai programmi liberistici e attribuite sempre alla scuola di Chicago.

Non c’è nulla di male nel mettere in dubbio la ricostruzione ufficiale di un evento, ché anzi si dovrebbe sempre vigilare sugli atti pubblici di un paese; ma allo stato delle conoscenze è difficile dire che quella ricostruzione sia una impostura o che lo sia più delle ricostruzioni alternative, tutte ispirate a posizioni ideologiche. E il mettere indiscriminatamente insieme scuola di Chicago, teorie economiche matematiche e liberismo è piuttosto imprudente; e comunque quelle teorie e quei programmi adducono ragioni che nessuno pretende di sottrarre alla discussione pubblica. Ma è significativo che negli ambienti nei quali pudicamente si tace sulle imposture religiose si consideri l’economia neoclassica come una religione (e il termine assume un senso negativo solo in questo caso) e come un insieme di imposture. Anche Hobsbawm, che nel Secolo breve si intrattiene assai poco sulle religioni storiche del ventesimo secolo, bolla l’economia matematica contemporanea come una vera e propria teologia e condanna i suoi cultori come adepti di una setta.

Che l’economia matematica sia una disciplina scientifica e che, come tale, possa essere discussa e criticata con gli strumenti propri della ricerca scientifica e, in particolare, con quegli stessi strumenti che essa adopera, non viene mai preso in considerazione, né si tien conto del fatto che invece le imposture religiose e politiche pretendano di giustificarsi con strumenti straordinari, diversi da quelli dei quali si avvale qualsiasi accertamento scientifico. In conclusione le vere imposture sarebbero creature del capitalismo americano. Le superstizioni diffuse e gli stregoni che le sostengono possono stare tranquilli: non sta bene escludere guarigioni miracolose, stimmate e case che volano, perché bisogna essere rispettosi e poi non si sa mai; ma Chicago e New York, questi sono i luoghi delle imposture. (...)

La cultura contemporanea si è trovata così disarmata di fronte alle imposture, indotta a tacere sulle loro falsità. Si può capire benissimo che preti e politici abbiano bisogno di imposture, che debbano promettere ciò che non possono fare e tacere su ciò che effettivamente fanno. Si capisce anche che manipolatori di idee e produttori di convinzioni li aiutino; ma qualcuno potrebbe pur dire che certe cose sono false, anche se si invoca il rispetto dovuto a istituzioni e credenze religiose per far tacere chiunque dica che i libri sacri sono pieni di imposture, che i preti sono anche impostori, che quello di san Gennaro è un imbroglio. Ma la verità non è rispettosa, e le imposture non sono faccende complicate, di quelle per le quali viene da dire "chissà dove sta la verità?". Sono banali falsità: sospendere il giudizio su risurrezione dei morti o case che volano è soltanto ridicolo. I filosofi teneri con le imposture invocano l’incertezza delle nostre conoscenze, il carattere soggettivo delle stesse conoscenze scientifiche, la non corrispondenza tra discorsi veri e realtà, magari invocano Gödel per liberarsi dal vecchio adagio che la matematica non è un’opinione e non smettono di proclamare che le parole vengono prima delle cose. Il telescopio per guardarsi i piedi: per difendere le imposture va messo in campo un bagaglio onerosissimo, mentre per confutarle basta pochissimo. La Verità chissà dov’è, ma ci sono alcune cose vere e alcun false: tanto basta per mettere a nudo le imposture, almeno quelle diffuse e grossolane.


Pubblicato il: 08.12.07
Modificato il: 08.12.07 alle ore 7.14   
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