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Autore Discussione: Roberto Rezzo - Monongah 1907, la strage dei mille morti in miniera  (Letto 2840 volte)
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« inserito:: Dicembre 08, 2007, 03:13:13 pm »

Monongah 1907, la strage dei mille morti in miniera

Roberto Rezzo


Un mesto anniversario. Monongah, una cittadina di duemila anime nella West Virginia che si fa fatica a trovare sulle carte geografiche. Tristemente famosa per essere stata teatro del più grave disastro minerario degli Stati Uniti. La mattina del 6 dicembre 1907 – narrano le cronache dell’epoca – alle 10 e 8 minuti, la terra trema scaraventando a terra uomini e cavalli. Una serie di esplosioni provenienti dal cuore della miniera copre il cielo con una gigantesca nube nera e semina il terrore. In questa valle, che ricorda Real de Catorce in Messico ma senza il deserto sacro dei peyote, in quegli anni opera la Consolidated Coal Company con un impianto considerato una meraviglia della modernità industriale.

L’energia elettrica alimenta i macchinari per tagliare il carbone, un sistema di rotaie con locomotive e carrelli provvede al trasporto. Le miniere sono collegate da un ponte d’acciaio sopra il fiume West Fork e sottoterra da un labirinto di tunnel. Una delle prime teleferiche sale lungo il pendio della montagna. Dopo il boato, sconvolti e sanguinanti, quattro minatori emergono da una crepa sul fianco della galleria numero sei. Non sono in grado di riferire cosa sia successo o sul destino dei loro compagni. Il bilancio ufficiale è di allora è di 362 morti, gli storici parlano di almeno 956 vittime.

La maggior parte sono italiani, perlomeno 171, emigrati da San Giovanni in Fiore, San Nicola dell’Alto, Falerna, Gizzeria, Civitella Roveto, Duronia, Civita d’Antino, Canistro, Torella del Sannio e altri paesi in Calabria, Abruzzo e Molise. Uno di loro, Giovanni Colarusso, aveva dieci anni, perché a scavare carbone in miniera scendevano anche i bambini. Sono storie come quella di Amerigo, cantata da Francesco Guccini: «E fu lavoro e sangue e fu fatica uguale mattina e sera, per anni da prigione, di birra e di puttane, di giorni duri, di negri ed irlandesi, polacchi ed italiani nella miniera, sudore d' antracite in Pennsylvania, Arkansas, Texas, Missouri». Storie queste finite in tragedia a Monongah.

Le ha ricordate giovedì il vice ministro degli Esteri Franco Danieli, giunto a Monongah insieme all’ambasciatore d’Italia Giovanni Castellaneta esattamente cento anni dopo . La regione Molise ha mandato in dono in una campana commemorativa. Oltre due milioni furono gli italiani arrivati negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso, spinti dalla fame e dalla disperazione. Gente senza istruzione che poteva offrire solo il lavoro delle proprie braccia. E di quelle dei propri figli.

Quel giorno maledetto ai soccorritori è immediatamente chiaro che chi fosse sopravvissuto all’esplosione sarebbe andato incontro a un’atroce morte per soffocamento. Gli impianti di ventilazione sono andati distrutti. La concentrazione di fumi e gas nei cunicoli e nelle gallerie è tale che i volontari – sprovvisti di maschere e respiratori - possono lavorare in turni di 15 minuti al massimo prima di essere costretti risalire in superficie. Questa elementare precauzione non impedisce malori, perdita di conoscenza e altri morti. Alle 4 del pomeriggio, in un tunnel secondario a 30 metri di profondità, viene trovato Peter Urban. È in stato di shock, rannicchiato accanto al cadavere del fratello Stanislao. È l’ultimo minatore a uscire vivo da quell’inferno.

Una folla composta soprattutto da donne e bambini insonne continua a sperare e a pregare. Gli sviluppi sono strazianti. Dalle viscere della terra vengono estratti resti umani orrendamente mutilati e carbonizzati. L’edificio ancora in costruzione della banca locale viene adibito a camera mortuaria e l’odore è ammorbante. Non esistono esami del Dna: gli effetti personali o un brandello di vestiario sono spesso l’unico modo per cercare d’identificare un cadavere. Molte salme rimangono senza nome, altre vengono rivendicate da più di una famiglia. Centinaia di bare allineate sulla Main Avenue, la strada principale, attendono sepoltura mentre a poca distanza si scavano le fosse nella terra gelata.

La causa scatenante dell’esplosione non è mai stata determinata con certezza. Forse il brillare d’una carica di dinamite al momento sbagliato, o la rottura di una lampada. Quel che è certo è che si è sviluppata una micidiale reazione a catena: l’ignizione di gas metano, e quindi dell’onnipresente polvere di carbone. Tredici giorni dopo l’incidente il governo federale pubblica il suo bravo rapporto. Il documento cita la «mancanza di normative minerarie adeguate e assenza di informazioni sul corretto uso degli esplosivi».

Il New York Times del 19 dicembre nota che gli incidenti minerari sono in aumento negli Stati Uniti, in controtendenza rispetto all’Europa, dove sono diminuiti proprio a seguito degli interventi governativi. È nel 1908 che le società minerarie americane iniziano a capire che la mancanza di sicurezza ha un costo. Nel 1909 un articolo comparso sul Engineering & Mining Journal mette per la prima volta in relazione incidenti e mancanza di efficienza. Migliorare l’efficienza significa aumentare la produttività e quindi investire nella sicurezza può tradursi anche in un ritorno economico. Le dotazioni di sicurezza ai minatori rimangono però su base assolutamente volontaria e molte compagnie seguitano del tutto a ignorarle.

Nel 1910 il Congresso americano, di fronte a migliaia di «fatalità in miniera», istituisce il Bureau of Mines, organismo governativo con il compito di studiare il problema della sicurezza e di ispezionare le miniere. Nonostante sia una divisione del dipartimento dell’Interno, ha poteri molto limitati perché società come la Consolidated Coal Company riescono ad affermare il principio dell’autoregolamentazione. Il fratello gemello dell’ultimo sopravvissuto a Monongah muore 19 anni dopo in un altro incidente minerario.

Bisogna aspettare sino al 1969, dopo l’esplosione di una miniera a Farmington, non lontano da Monongah, perché il Congresso vari la prima vera legislazione in materia di sicurezza: il Mine Health and Safety Act. La tragedia avvenuta nell’agosto di quest’anno in Utah, dove sei minatori sono rimasti sepolti vivi e tre soccorritori sono morti nel tentativo di salvarli, ha riacceso le polemiche sulle inadempienze del governo federale. Un ex rappresentante della lobby mineraria è l’attuale responsabile della sicurezza per l’amministrazione Bush.

Pubblicato il: 08.12.07
Modificato il: 08.12.07 alle ore 7.15   
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