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Autore Discussione: ALBERTO FORCHIELLI "I dazi Usa alla Cina? Così l’Italia potrà guadagnarci"  (Letto 1377 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Ottobre 01, 2018, 09:17:20 pm »

INTERVISTA ALBERTO FORCHIELLI
«I dazi Usa alla Cina? Così l’Italia potrà guadagnarci»

Con tariffe al 25% si aprono spazi negli Stati Uniti per ceramica, mobili e macchine
«È illusorio pensare che ci saranno vantaggi per le nostre imprese sul mercato cinese, ma se l’acrimonia commerciale tra Usa e Cina aumenterà forse potremo provare a tornare, almeno in alcuni settori, quello che eravamo: i cinesi d’Europa, specialmente nei confronti degli Usa e dell’area Nafta». È la prospettiva delineata da Alberto Forchielli, presidente del fondo Mandarin Capital Partners, che - anche pro domo sua - sta guardando con molta attenzione all’escalation della guerra commerciale in corso. Un contenzioso che ieri ha fatto segnare una nuova svolta, con l’entrata in vigore di dazi Usa del 10% (che dovrebbero salire al 25% entro fine anno) su import dalla Cina per 200 miliardi di dollari – oltre a quelli già in corso su 50 miliardi -, ai quali Pechino ha replicato con tariffe immediate su altri 60 miliardi di dollari di import dagli Usa (con sospensione di una prevista ripresa delle trattative e rilascio di un voluminoso «Libro Bianco» che accusa gli Usa di «unilateralismo, protezionismo, egemonismo»).
Lasciata la base di Hong Kong tre anni fa, Forchielli ora fa la spola tra Bangkok e Boston, dopo aver riposizionato il fondo verso il Sud-est asiatico e gli Stati Uniti. Proprio sui dazi ha fatto una sua scommessa. «La mia decisione di promuovere un polo italiano nella ceramica alto di gamma – spiega – si è basata sia sulla tutela del settore arrivata dai dazi europei sull’import cinese, che hanno contribuito a preservare Sassuolo e dintorni, sia sulla previsione di quanto sta effettivamente accadendo. Al 10% non cambierà molto, ma se i dazi statunitensi arriveranno al 25%, allora la ceramica italiana potrà riconquistare sensibili posizioni sul mercato americano, dove il 30% dell’import, ossia 60 milioni di mq, viene dalla Cina».
Una evoluzione potenzialmente estensibile ad altri comparti. «La tendenziale divaricazione delle catene del valore tra una “occidentale” e una asiatica – afferma Forchielli – potrebbe favorire anche il settore dei macchinari, dove l’insidia cinese si è fatta molto forte: qui potremo tenere le posizioni e magari recuperare qualcosa, così come in alcune fasce del settore abbigliamento-calzature o nei mobili-arredamento, che tanto hanno sofferto».
A suo parere, invece, è da scartare l’idea che per noi si possano creare vantaggi competitivi sul mercato cinese: «Anzitutto, le esportazioni americane in Cina riguardano categorie come l’aerospace, l’elettronica e le commodity agricole, dove non possiamo entrare in senso sostitutivo – osserva –. In secondo luogo, altri sono meglio attrezzati di noi. Le imprese italiane sono piccole e piccolo in Asia non è bello, quando finisci in concorrenza con coreani, giapponesi, indiani, taiwanesi. E soprattutto cinesi». Quest’ultima è una dinamica più recente ma è il fattore più importante: «L’attrattiva del mito del miliardo e 400 milioni di consumatori è un miraggio: i cinesi hanno imparato a produrre sempre meglio le cose che servono loro. Ne è una riprova il fatto che ormai non sollecitano più joint venture, cosa che una volta era all’ordine del giorno. La competitività sul mercato è diventata altissima. E che può fare una qualsiasi azienda di Occhiobello da pochi milioni di fatturato?».
Lo scetticismo di Forchielli si estende alle attività pubbliche di promozione o a «fantasiosi» grandi disegni. Secondo lui - e lo dice con un linguaggio ancora più colorito del solito - in Cina le visite istituzionali possono produrre ben poco, visto che «il driver del nostro export non è certo politico. Sono, per quanto possono, le Pmi»: se la partecipazione alle numerose fiere commerciali difficilmente può sboccare in risultati all’altezza delle aspettative, l’idea di un efficace inserimento italiano nella maxi-iniziativa Belt & Road sarebbe ancora più aleatoria.
Infine, per Forchielli sarà comunque impossibile, per noi e per altri, minare il surplus commerciale di una Cina che è riuscita a salire nelle catene del valore e che non si metterà - come alcuni insistono a sperare - a importare a più non posso: «Se mai i cinesi riusciranno a correggere gli aspetti di squilibrio legati alla loro avanzata commerciale, sarà a livello di bilancia dei pagamenti, grazie a una forte crescita del loro turismo all’estero».

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Stefano Carrer

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180925&startpage=1&displaypages=2
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