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Autore Discussione: Romeo LUCIONI “IL SISTEMA RAPPRESENTAZIONALE”: ASPETTI EVOLUTIVI E ...  (Letto 1393 volte)
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« inserito:: Settembre 23, 2018, 04:34:59 pm »

“IL SISTEMA RAPPRESENTAZIONALE”: ASPETTI EVOLUTIVI E PSICOPATOLOGICI
 
Romeo Lucioni
 
Quando parliamo di “sistema rappresentazionale” è giocoforza delimitarne l’ambito e chiarirne il significato poiché di per sé la parola “rappresentazionale” non si trova nel vocabolario Treccani della lingua italiana. Il termine, però, è ampiamente usato dalla neurolinguistica ed è entrato in un uso abbastanza comune. Questo fa riferimento alle percezioni e tale delimitazione crea degli interrogativi. Una rappresentazione, per il Vocabolario Treccani, quando è riferita alla psicologia è “… ciò che la mente presenta a se stessa in sostituzione di qualcosa (oggetto, persona o evento) percepita in precedenza, e che costituisce il risultato di un processo percettivo e cognitivo caratterizzato da una relazione più o meno diretta o elaborata con lo stimolo percepito”. Se accettiamo la parola rappresentazionale non dobbiamo però in alcun modo stravolgere il significato di rappresentazione per non correre il rischio di non capirci più: non vogliamo creare una Babele dove tutti usano il loro “incomprensibile” linguaggio.
 
Il sistema delle percezioni non può essere assimilato al “rappresentazionale” a meno che si usi un “metro” assolutamente meccanicistico-organicista per il quale la rappresentazione non è altro che un insieme, più o meno complesso e intrecciato, di percezioni, cioè di semplici impulsi elettrici e/o biochimici. Per le scienze cognitive, il sistema rappresentazionale risponde al “principio di razionalità” ed è, quindi, un sistema di simboli, espressione e fondamento di conoscenza e di verità. Questo modello è utile per prevedere il comportamento di un qualsiasi “agente” e, in pratica, per classificare o, meglio, per diagnosticare. Un cognitivismo più aperto tiene conto di teorie, modelli, raffigurazioni, scene visive attuali e ricordate, tentativi, pericoli, ecc. che possono permettere all’osservatore di “estrarre conoscenza” sulla base di “nuove logiche non monotone”. Queste pongono delle domande: ”come evolverà questa situazione?”; “che accadrà se faccio questa azione?”; “riesco a fare questa cosa, o devo procurarmi altre informazioni?”; in altre parole il “sistema è logico e/o razionale” se risulta non solo analitico, ma anche deduttivo. Tale lettura è chiamata epistemologica perché consiste nel poter rappresentare il mondo in forma tale che la soluzione dei problemi deriva dalle rappresentazioni stesse. Si dice anche euristica se i problemi di conoscenza vengono risolti sulla base delle informazioni presenti e, quindi, con delle strategie efficienti per risolvere i problemi. Comunque sia, da un punto di vista strettamente cognitivo, una rappresentazione è epistemologicamente adeguata se può essere usata in forma pratica, cioè per esprimere una adeguatezza al mondo esteriore.
 
L’esperienza quotidiana ci dice e ci conferma che la rappresentazione non è mai solo somma di percepiti, perché è distorta, modificata, arricchita o impoverita, trasformata da quella che chiamiamo coscienza e autocoscienza.
Se teniamo conto di quanto abbiamo sviluppato nell’ambito della timologia (Scienza degli affetti), l’intelligenza, i meccanismi del conoscere, la coscienza, sono tutte funzioni psico-mentali strettamente connesse con le emozioni, i sentimenti e le capacità cognitive che, pur legate a strutture neurofunzionali ben differenziabili, agiscono e attuano in un “insieme”, in una “rete” che porta all’unicità e all’individualità del soggetto. Carattere, temperamento, personalità sono parole che traducono questa unicità che, di conseguenza, non può essere negata neppure per il nostro “sistema rappresentazionale”.  Le percezioni esterne e/o interne (cioè quelle derivate dagli organi di senso ed anche quelle che prendono l’avvio da processi intimi, profondi, inconsci) non possono essere separate, se non in forma del tutto artificiosa, dal mondo emotivo, da quello affettivo ed anche da quello cognitivo o razionale. Quando un bambino, interrogato sulla sua altezza in confronto con quella di un compagno, ci dice “… io sono alto 17 metri … lui, un metro e mezzo.. “ o quando un soggetto Alzheimer che si guarda nello specchio dice “… non sono io … non vedi come quello è vecchio!”, ci rendiamo conto dell’importanza e dell’inesorabilità del “vissuto intimo di sé” per determinare il senso ed il significato della percezione.
 
Senso e significato traducono una importante differenza in quanto ? ?il senso (da “sensazione”) si riferisce ad un “valore di lettura” determinato da dinamiche istintive, inconsce e precognitive (ci possiamo riferire ai due esempi ricordati sopra); ? ?il significato è legato ad una elaborazione più complessa, conscia, razionale, guidata dal sistema cognitvo analitico-deduttivo. In altre parole, le rappresentazioni rispecchiano tutta l’organizzazione psicomentale e sono condizionate dalle emozioni, dagli affetti e dalle conoscenze; quindi, dal complesso funzionamento che chiamiamo autocoscienza e autoidentificazione. Queste funzioni psico-mentali che condizionano l’Io e, di conseguenza, la strutturazione del Sé, fanno riferimento all’autostima e all’autovalorizzazione che compredono: - senso di esistere; - senso di essere; - senso di valere come individuo; - senso di insostituibilità; - senso di permanenza nel tempo; - senso di potere; - senso di avere un proprio ruolo; - senso di essere normale; - senso di essere accettati per quello che si è; - senso di essere accettati in quanto adeguati; - senso di essere capiti oltre che di capire.
 
Tutte queste funzioni hanno in sé una parte preconscia (libidica e istintiva) e un’altra cognitiva (razionale e conscia), ma anche rispondono al sistema degli affetti, a quella capacità funzionale che finisce di maturarsi con la “frontalizzazione”, cioè con l’organizzazione definitiva del lobo frontale e prefrontale (Antonio Damasio).
Queste considerazioni legano il “sistema rappresentazionale” alla relazione sia con il Sé, che con gli oggetti e, soprattutto, con l’Altro; in questo modo assumono un valore fondamentale le esperienze interpersonali e quelle auto-riferite al proprio Sé. È evidente anche che il sistema rappresentazionale è strettamente legato agli affetti e, come dice Pierre Daco, “… senza l’espressione del sentimento, le nostre sensazioni rimarrebbero vaghe e indifferenziate …”.
 
Il sistema rappresentazionale è l’insieme delle “rappresentazioni mentali” che l’individuo ha di Sé in rapporto con le situazioni relazionali con: - se stesso - la famiglia - gli oggetti - gli altri - il mondo - il tempo e riguarda:
 
SISTEMA RAPPRESENTAZIONALE
 
1 – SENSO DI SÉ ? ?non usa più il pensiero primario: onnipotenza, svalutazione ? ?riesce a contenere il fascino delle cose (il sé non si proietta più nelle cose) ? ?non usa più una sublimazione immatura (ipocondria; acting-out) ? ?controlla l’esplosività espressiva: non fa pagliacciate e/o chiassate ? ?non si disorganizza di fronte al senso di colpa ? ?controlla le reazioni di fronte a fallimenti-insuccessi-errori ? ?sa controllarsi di fronte a situazioni conflittive ? ?rinuncia ai desideri infantili di nutrimento
 
2 – SENSO DI VALERE ? ?sa difendersi dagli impulsi primitivi come; irritabilità, aggressività, distruttività, angoscia, panico ? ?tollera e contiene frustrazioni e rimproveri ? ?resiste al contagio del gruppo ? ?contiene l’eccitazione psicologica del collettivo ? ?difende il proprio parere e i contributi personali ? ?sente di meritare ciò che gli offrono
 
3 – SENSO DI POTERE = DIMENSIONE FALLICA – “”NOME DEL PADRE” ? ?riesce a posticipare la scarica degli impulsi ? ?riesce a modulare le emozioni (ansia, angoscia) ? ?non si ritira di fronte all’insicurezza o di fronte all’altro ? ?controlla l’ansia di fronte alla novità ? ?si mette costantemente in gioco ? ?sa regolare le proprie spinte aggressive
 
4 – SENSO DI APPARTENENZA = sentimento di sicurezza nella famiglia;                                                      appartenere a …; far parte di …  ? ?esprime rapporti validi, profondi e modulati
? ?sa usare positivamente i legami con le tradizioni ? ?stabilisce rapporti interpersonali validi ? ?utilizza come rifugio la relazione familiare ? ?dà valore al gruppo di appartenenza; ? ?nelle relazioni non ha bisogno di dipendenza
 
5 – SENSO DI VIVERE VALORI AFFETTIVI ? ?riesce a strutturare un modello affettivo-valorativo ? ?cura gli oggetti per finalità future ? ?accetta inaspettate gratificazioni ? ?ha aspettative di sé adeguate alle proprie capacità ? ?usa canali sublimatori evoluti come altruismo e umorismo
 
6 – SENSO DI AUTOSODDISFAZIONE ? ?ricorre ad immagini gratificanti già vissute ? ?riesce a sublimare le pulsioni interne ? ?si dimensiona nel senso del proprio diritto ? ?usa la coscienza per finalizzare il comportamento
 
7 – SENSO DI FUNZIONARE COGNITIVAMENTE ? ?utilizza la memoria dei fatti e delle persone (non nega più) ? ?trova efficienti controlli sostitutivi ? ?sa usare un adeguato realismo di fronte a regole ed orari ? ?riesce a dare un giusto valore al proprio tempo ? ?sa valutare la realtà sociale ? ?trae vantaggi dall’esperienza ? ?trae conclusioni dall’esperienza altrui ? ?sa programmare realisticamente ? ?sceglie gli strumenti adatti agli obiettivi ? ?usa l’intelletto senza intellettualizzare
 
 
Al di fuori di questo sistema funziona un sistema automatico-istintivo che è quello arcaico, libidico, onnipotente, megalomanico ed egocentrico che però va considerato “patologico”, già nel giovane, poiché è l’espressione di una mancata evoluzione dell’Io che così non può raggiungere lo stadio di Io-ideale o Sé. Questo ci porta anche a considerare come siano importanti gli stati mentali che sono “relazioni” tra: ? ?individui ? ?rappresentazioni mentali ? ?fantasmi.
 
Sono proprio i fantasmi l’espressione più autentica di un individuo; sono lo specchio delle cose segrete che non si possono far conoscere, delle nostalgie, dei sogni inespressi, dei desideri inconfessabili, delle esperienze rimosse. L’infinità dei fantasmi che popolano l’affettività riempie di “sensazioni” la mente dell’uomo e, di conseguenza, condizionano le sue “rappresentazioni”.
 
Nelle espressioni psicopatologiche dei disturbi dello sviluppo psico-mentale, il predominio affettivo precede il pensiero e le emozioni precludono le possibilità cognitive e condizionano, obbligano il comportamento a rispondere, prima di ogni analisi cognitiva.
 
Nell’autistico, dunque, non riscontriamo un processo di pensiero delirante perché non c’è pensiero simbolico; l’emozione sostituisce il pensiero poiché si concretizza nella risposta comportamentale e/o nell’espressione fenomenologica. L’inquietudine, lo smarrimento, la stupefazione, ma, soprattutto, l’obbligatorietà (risposta condizionata) precedono ogni incrinatura nevrotica o psicotica. Quando nell’autismo si parla di “forclusione del nome del padre” ci si riferisce proprio alla mancanza di quella “imposizione” che, come “Io-ausiliario”, confina l’obbligatorietà ed apre alle possibilità da un lato affettive (lo faccio perché me lo dici tu; perché così ti faccio piacere; la nonna dice …”non si fa”) e, successivamente, per un processo di comprensione e/o analitico-deduttivo. La rottura del sistema rappresentazionale condiviso e condivisibile è proprio il fulcro del comportamento autistico (kanneriano e/o ipercinetico) che risponde “violentemente” all’obbligatorietà e all’imposizione libidico-istintiva. Siamo di fronte alla risposta del tipo “tutto o nulla” che mette in atto il modello reattivo-comportamentale del serpente: specifico dell’attività libidica incontrollata. Dalla terapia si evince come il “rispetto del piacere dell’altro” diventa “valore” nel senso di “guida”, ma anche di obbligatorietà a rispondere secondo le regole dell’altro (forclusione del nome del padre) sopraffatto e annullato dall’onnipotenza distruttiva arcaica. Nel caso di Matteo-piccolo (2 anni e mezzo) si potrebbe trovare nell’allontanamento del padre (temporaneo, ma, per il bambino, ingiustificato e violento) la motivazione della risposta autistica (non guardo più negli occhi; faccio quello che voglio; non mi sottometto più; non gli voglio più bene) che diventa modello comportamentale per contenere l’angoscia della perdita e della castrazione. Matteo, Alessandro ed anche Luca possono migliorare il loro autismo solo quando trovano e riconoscono la “volontà ferrea” del “nuovo-nome del padre” che li controlla e, nel sorriso, li guida e li accompagna.
 
Quando Eugenio Borgna parla dell’imporsi di “modelli in-autentici di espressione” può essere inteso proprio come rottura della autenticità che è l’adeguamento ad una catena consequenziale di SIGNIFICANTI che derivano dal riconoscimento del “nome del padre” che, ricordiamolo, è prima di tutto senso di appartenenza, scoperta del proprio ambito relazionale, “nome e cognome”, ma anche adeguamento e inserimento nel “mondo della legge”, in un “sistema rappresentazionale” condivisibile oltre che condiviso. Questa lettura ci porta a definire le “radici emozionali del pensiero” che precludono, ma anche pre-annunciano il valore conoscitivo delle emozioni. Nell’autismo sono le emozioni la struttura portante del funzionamento psicomentale; è il “corpo” che determina la relazione, le forme espressive ed il comportamento; proprio per questo è solo attraverso il corpo, che è relazione (“rappresentazione di cosa”), che si può riprendere il cammino non solo evolutivo,
ma riabilitativo che presuppone il ripristino del “nome del padre” come “valore” e come modello rappresentazionale condiviso. Il sistema rappresentazionale è dominato dai vissuti, prima che dalle valutazioni cognitive, razionali e/o analitico-deduttive; proprio per questo nell’autismo possiamo parlare di “naufragio esistenziale” che, al di fuori di ogni incrinatura nevrotica e/o psicotica, struttura un processo che significa, usando le parole di E. Borgna, un “non senso della vita, oscurarsi di ogni orizzonte di speranza”, oppure “obbligatorietà distruttiva e fascinazione stregata che, creando il deserto autistico, annulla la morte dell’abbandono e della perdita”. L’obbligatorietà, la ripetitività, l’isolamento, la desertificazione di sentimenti (il dissolvimento dell’altro come valore da salvare) diventano “atti riparativi” e controfobici nel senso di compulsività che blocca il terrore del proprio essere in grado di crescere che è, in ultima analisi, distruggere: “… morte volontaria come ultimo orizzonte di senso nel deserto di ogni speranza e di ogni altra illusione” (E. Borgna). Ancora una volta è l’esperienza terapeutico-riabilitativa che giustifica e dà senso alla lettura teorico-deduttiva: l’ Io-ausiliario è sinonimo di dialogo infinito con l’altro e con il proprio sé; è disponibilità ad ascoltare, ma soprattutto a dare senso alle “parole” soggettive di quel Io-autistico-ritirato che nella relazione ritrova l’intenzione che lega la parte libidico-istintiva a quelle parti affettivo-relazionali che sciolgono le emozioni creando sentimenti, ma anche pensieri, deduzioni e ragionamenti. Si scopre, in questo modo, che tra malattia e non-malattia c’è lo stesso spazio e l’uguale destino che c’è tra chi cura e chi è curato, che non è più “diagnosi”, ma relazione, no è più comprensione, ma legame, ponte: “luogo” dove si stabilisce il dialogo (rappresentazione di parola) tra il sé ed il Nome del Padre, preannuncio della possibilità di intesa tra il sé e la realtà esterna interiorizzata come “vissutocondiviso”.
 
Per processo rappresentazionale si intende una catena di eventi che culmina nella fissazione in un sistema rappresentazionale che, quindi, è da intendere come uno “stato” dotato di contenuti, ossia di uno “stato” che ci dice “… che le cose stanno così e così” (Simone Gozzano). Un sistema rappresentazionale non può essere inteso come “uniforme”, cioè composto da parti del tutto omogenee; i contenuti sono basati sull’informazione e questa, partendo dagli stimoli, si moltiplica, poiché è filtrata da diversi “canali operativi”.  riconoscimento  (epistemologico)  referenziale (legato alla esperienza  e alla ripetitività della esposizione) sistema  emozionale (carica di energia rappresentazionale  libidico-istintiva)  affettiva (elaborazione relativa alla che quindi varia a Stimolo     percezione relazione sociale) seconda del mutare  conoscitiva = significato degli input  (relativa ai rapporti temporo-spaziali in entrata  e alla capacità deduttiva, rispetto  alle previsioni, alle concomitanze e  alle conseguenze) questa rappresentazione schematica ci dice come il sistema rappresentazionale non può essere legato solo a problemi concettuali, ma risponde a concezioni che possono essere, in termini astratti (da un punto di vista concettuale), vere o false, probabili o improbabili, significative o no, ma, soprattutto rispecchiano lo stato generale del qui e ora del soggetto, cioè dai suoi meccanismi psico-mentali o dal suo stato mentale.
 
Possiamo anche chiamare le concezioni con pensieri che, se determinati dai contenuti, hanno una origine percettiva, sono basati sull’informazione (sistema informazionale). Questa può: a) se dominata dalle emozioni, risultare un flusso istintivo, libidico e poco controllabile; b) se modulata dagli affetti, acquistare una funzione delimitata dai “valori” insiti nella relazione e nell’equilibrio tra il sé e l’Altro; c) se arricchita dalle deduzioni razionali, acquista prima di tutto uno spessore simbolico e, quindi, la possibilità di essere resa universale, confrontabile e condivisibile.
 
Se analizziamo il caso clinico di Ivano. Proprio per le caratteristiche delle sindrome autistica possiamo osservare: 1. incontra una persona (per es. educatore) con la quale ha sempre un comportamento aggressivo: la sua risposta inesorabilmente violenta, a volte riferita come “condizionata”. In realtà possiamo pensare ad una risposta messa in atto da un flusso percettivo “abituale” che suscita una “tensione emotiva incontrollata” che sottende alla risposta obbligata dell’abitudine, cioè dal “rituale” che se da un lato è stato utilizzato sempre dal bambini, per altro non è stato mai modificato dall’intervento terapeutico e/o educativo; 2. incontra chiunque, ma è tenuto per mano dal terapeuta. Si osserva (specie nelle prime tappe della terapia) una spinta all’aggressione che viene contenuta dalla “presenza dell’Altro” che funge da Io-ausiliario che equivale ad un flusso di informazioni “affettive” che modulano e controllano il comportamento; 3. incontra il terapeuta (ed ora anche altri membri dell’equipe di riabilitazione). Il bambino si atteggia a uscire dalla sedia che lo contiene, spesso sorride, a volte chiede di essere accompagnato al bagno, chiede la mano del terapeuta, inizia il percorso che lo porterà a scendere le scale (gesto ora compiuto correttamente) e ad iniziare la seduta.
 
Ogni giorno Ivano dimostra tutti questi atteggiamenti e comportamenti che indicano sistemi rappresentazionali diversi e sottesi a processi mentali ben individualizzabili. Per introdurre questo tema possiamo considerare le qualità disadattive che caratterizzano la debolezza dell’Io. Di fronte alla realtà, contraddittoria e conflittiva, l’Io non del tutto strutturato trova difficoltà che riguardano il suo costrutto emotivo (istintivo e libidico), affettivo (relazionale e sociale), cognitivo (razionale, elaborativo-deduttivo).
 DEBOLEZZA DELL'IO  o qualità disadattive
 
Difficoltà nell’ordine emotivo, libidico ed istintivo:
 
Non sa difendersi da impulsi primitivi come: irritabilità-aggressività-    distruttività-angoscia-panico Utilizza pensiero primario: onnipotenza-ideazione primaria-svalutazione Non riesce a posticipare la scarica di impulsi Tende alla sublimazione (dimentica subito o nega) Dimostra sublimazione immatura: ipocondria, acting-out Non cura gli oggetti per una finalità futura Non controlla l'ansia di fronte alla novità Non controlla l'espressività esplosiva: pagliacciate-manifestazioni chiassose Non riesce a sublimare pulsioni interne Incapace di rinunciare a desideri infantili di nutrimento Dimostra aspettative di se stesso eccessivamente alte Relazioni oggettuali intime con bisogno di dipendenza Onnipotenza nei confronti degli oggetti e degli altri che    può portare all'insuccesso dei meccanismi di rimozione.
 
Difficoltà nell'ordine affettivo, relativo al senso di sé ed al valore dell’Altro
 
Non sa modulare gli affetti per es. ansia, angoscia Non riesce a strutturare un modello affettivo valorativo Non tollera le frustrazioni e i rimproveri Di fronte all'insicurezza si ritira Non resiste a tentazione-fascino delle cose (proiezione del Sè nelle cose) Non resiste al contagio del gruppo Non contiene l'eccitazione psicologica del collettivo Di fronte all'Altro tende al ritiro Non riesce ad accettare inaspettate gratificazioni Non sa valutare la realtà sociale Ipercontrollo dell'affettività : atteggiamento inibitorio nei confronti     dell'aggressività Manca di canali sublimatori evoluti come: altruismo umorismo (razionalizzazione) - intellettualizzazione adeguamento alla tradizione Non riesce a stabilire rapporti interpersonali validi
 
Difficoltà nell'ordine cognitivo, deduttivo, comprensivo e razionale
 
Dipendenza non motivazionale ma normativa Tende ad evaporare il proprio parere ed i contributi personali Tende a disorganizzarsi di fronte al senso di colpa Non trova efficienti controlli sostitutivi Non ricorre ad immagini gratificanti già vissute Si mette costantemente in gioco Non sa usare un adeguato realismo di fronte e regole e orari Non riesce a dare un giusto valore al proprio tempo Non trae vantaggi dall'esperienza Non trae conclusioni dall'esperienza altrui Non controlla le reazioni di fronte a fallimenti-insuccessi-errori Sempre sente di non meritare ciò che gli offrono Non sa programmare realisticamente
Non sceglie gli strumenti adatti agli obiettivi Non sa controllarsi di fronte a situazioni conflittive Non sa difendersi dall'invasività del gruppo Non dimensiona in senso del proprio diritto Non usa la coscienza per finalizzare il comportamento
 
Nell’autistico tutte queste debolezze si trovano rappresentate ed il processo terapeutico-riabilitativo riesce a mettere in evidenza l’evoluzione positiva (sempre che si riesca a raggiungerla) proprio analizzando questi items. Interessante è la teoria di Gareth Evans, secondo la quale siamo dei recettori, trasmettitori ed accumulatori, visto che percepiamo, comunichiamo e memorizziamo (attività che compongono il nostro sistema informazionale). I disturbi del sistema rappresentazionale derivano, dunque, da un “incapsulamento informazionale” determinato da alterazioni degli stati mentali soggiacenti che condizionano “illusioni persistenti”. Secondo Peacocke il sistema rappresentazionale non è di tipo concettuale, ma risponde ad un contenuto di tipo spaziale e a questo corrispondono delle “assi” che definiscono uno “scenario”. Questo è centrato o posizionato sull’individuo, risponde cioè allo stato mentale che lo determina e lo delimita. Da qui si evince come funziona il meccanismo mentale di Ivano, secondo i vari scenari ricostruiti.
 
Il sistema rappresentazionale è, quindi, delimitato, come determinato da: - un legame informazionale che dipende da un sistema percipiente ed un sistema percettivo (“determinato da dipendenze casuali e controfattuali”; Stalmaker) - uno stato mentale e processi psicomentali condizionati - uno o più scenari posizionati - un orientamento comportamentale più o meno adeguato, ma che può essere dipendente o no da processi conoscitivi.
 
Il sistema rappresentazionale, concepito come mutevole e cambiante sotto le spinte percettive, affettive e cognitive, dovrebbe evolvere da non concettuale a concettuale e questo diventa anche il proposito terapeutico-riabilitativo. La teorizzazione dei diversi metodi riabilitativi (cognitivisti, comportamentali, psicoanalitici, relazionali) impongono scelte e modalità pratiche che risultano, a volte, contraddittorie proprio perché sottesi da teorizzazioni contrastanti e, proprio per questo, l’unico modo di dare una risposta alla questione sembra quella pragmatica della valutazione dei risultati, anche se dobbiamo riconoscere che tutte le scuole, le teorizzazioni e le pratiche attuative hanno contribuito a capire l’autismo ed, in ultima analisi, a poterlo affrontare, con risultati favorevoli, in forma multidisciplinare.
 
 
Il sistema rappresentazionale è sostenuto dall’articolarsi di motivazioni consce ed inconsce che spiegano certi comportamenti anomali, condotte problematiche, atteggiamenti masochistici, espressioni megalomaniche, ecc.
 
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