LE MISURE DEL VIMINALE
Decreto migranti, ecco tutti i reati che escludono il permesso ai rifugiati
Dalla violenza sessuale alla resistenza a pubblico ufficiale, allungata la lista
ROMA
Violenza sessuale, rapina ed estorsione, traffico e detenzione di stupefacenti anche senza aggravanti. Ma anche violenza, minaccia o resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi e gravissime, mutilazione degli organi genitali femminili, furto - anche quello in abitazione - aggravati dal porto d’armi e narcotici. Matteo Salvini allunga la lista dei reati per revocare o negare il permesso di rifugiato nella bozza del decreto legge sull’immigrazione ormai in dirittura d’arrivo. A giorni è previsto un pre-consiglio dei ministri e l’idea del Viminale è di portare il provvedimento all’approvazione a palazzo Chigi nel giro di una decina di giorni. Il pacchetto già annunciato a Ferragosto si sdoppia: è in fase di definizione già avanzata anche un altro decreto legge in materia di sicurezza pubblica. Ma le norme sull’immigrazione faranno più rumore delle altre. Ora dovranno passare al cosiddetto “concerto” con gli altri dicasteri, a cominciare da quello della Giustizia, prima dell’approdo al Consiglio dei ministri. Restano le norme già anticipate dal Sole 24 Ore del 23 agosto. Come il raddoppio del tempo di trattenimento dei migranti irregolari nei centri di rimpatri da tre a sei mesi. Si è aggiunta tuttavia una novità di non poco conto: un migrante in attesa di un provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera può essere destinato non solo in uno dei Cpr (centri per i rimpatri) - finora scarsi e con pochi posti - ma anche in strutture nella disponibilità delle questure. La decisione è adottata dal giudice di pace su richiesta del questore. Alcuni addetti ai lavori ritengono questa norma incostituzionale ma il Viminale si rifà alla direttiva 2008/115/CE che non escluderebbe altri luoghi oltre i Cpr.
Si conferma l’abrogazione della cosiddetta protezione umanitaria, arrivano tre tipi di permessi speciali: per cure mediche, se il migrante si trova in condizioni gravi di salute e durano per il tempo attestato dalla certificazione sanitaria; se il Paese di provenienza è in uno stato di grave calamità naturale, hanno durata di sei mesi ma non sono prorogabili o convertibili in un permesso di lavoro; nasce, infine, il permesso rilasciato per valore civile, su proposta del prefetto.
C’è una seconda grande novità rispetto alla bozza di agosto ormai consolidata: un intervento restrittivo sulla cittadinanza. Si fonda, secondo il Viminale, sulla minaccia del terrorismo fondamentalista tuttora in atto. Il decreto così introduce la revoca della cittadinanza agli stranieri considerati una minaccia per la sicurezza nazionale perché hanno riportato condanne per gravi reati con finalità di terrorismo o eversione.
Si amplia così lo scenario d’azione delle espulsioni per terrorismo, meccanismo tipico dell’Italia e finora uno degli strumenti più usati. Inutilizzabile però, com’è ovvio, se lo straniero è cittadino italiano. La revoca della cittadinanza è prevista nell’attuale stesura per i reati con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, per i reati di assistenza ad appartenenti ad associazioni sovversive e con finalità di terrorismo e di sottrazione di beni sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento di condotte con finalità di terrorismo. La revoca è adottata con un decreto del Presidente della Repubblica su proposta del ministro dell’Interno. Le domande di cittadinanza sono in aumento: all’esame degli uffici sono circa 300mila con 4.500 ricorsi pendenti. Ma cresce anche il numero di quelle respinte: nel primo semestre 2018 sono già il 60% del totale dell’anno scorso.
Restano poi le altre norme già annunciate. Come il contrasto alle domande reiterate di protezione internazionale e la cessazione dello status di rifugiato se il migrante fa un viaggio per rientrare nel paese d’origine. Il permesso di soggiorno per richiesta di asilo, inoltre, non comporterà più l’iscrizione all’anagrafe dei residenti ma resterà documento di riconoscimento e non pregiudicherà l’accesso al servizio sanitario, l’accesso al lavoro, l’iscrizione scolastica dei figli, le misure di accoglienza. Al di là delle modifiche nella discussione interministeriale, i tecnici delle associazioni umanitarie sono già al lavoro per contestare in più punti il testo e premere in Parlamento.
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Marco Ludovico
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