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Autore Discussione: La destra populista rompe gli equilibri del modello svedese  (Letto 1284 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2018, 05:15:02 pm »

Elezioni in Svezia.

Domenica i Democratici potrebbero diventare il secondo partito grazie a una campagna anti-immigrati

La destra populista rompe gli equilibri del modello svedese

Le elezioni politiche che domenica chiameranno alle urne oltre sette milioni di svedesi non saranno forse il terremoto politico che qualcuno ipotizza. Segneranno però una nuova puntata nell’avanzata della destra populista in Europa, a pochi mesi dalla grande resa dei conti delle elezioni europee. Rendendo complessa, a Stoccolma, la formazione di un nuovo governo.
La destra radicale è rappresentata qui dai Democratici svedesi e ha il volto di Jimmie Åkesson, il leader non ancora 40enne che ne ha preso la guida nel 2005, sfrondando il partito – con radici neonaziste – dagli elementi più estremisti e garantendogli nel 2010 l’ingresso in Parlamento (e nel 2014 quasi il 13%). Oggi la maggior parte dei sondaggi accredita Sverigedemokraterna (Sd) di percentuali tra il 18 e il 20%, alle spalle di un Partito socialdemocratico fortemente ridimensionato (attorno al 25%) e davanti ai Moderati (17%). Ma il partito, cavalcando un tema anche qui caldissimo come la crisi migratoria, potrebbe fare anche meglio: un sondaggio di ieri di YouGov, controverso per il campione utilizzato, gli assegna addirittura il primo posto con il 24,8% dei consensi.
«Il problema è che i Democratici svedesi, come già nel 2014, sono sottorappresentati in alcuni sondaggi», spiega Ann-Cathrine Jungar, professore alla Södertörn University di Stoccolma e studiosa della destra radicale in Europa. In ogni caso - continua - «il panorama politico è cambiato. Non ci sono più solo due grandi partiti, i socialdemocratici e i conservatori, ce n’è un terzo che otterrà un po’ di più o di meno del 20%: e questo è un cambiamento drastico, che impatterà più di prima sulla formazione del governo».
Con l’economia che, fatta eccezione per i timori sul surriscaldamento del settore immobiliare e le tensioni sulla corona, appare in buona salute (crescita stabilmente sopra il 2% negli ultimi anni, conti pubblici perfettamente in ordine, con il debito attorno al 40% del Pil), il vero punto di forza di Åkesson e dei suoi è stato imporre l’agenda politica, o almeno i temi della campagna elettorale, incentrata su immigrazione e criminalità (più sullo sfondo è rimasto l’altro cavallo di battaglia di Sd: l’uscita di Stoccolma dalla Ue). «Dal 2014 - sottolinea Jungar - dominano i temi “core” dell’agenda dei partiti nazionalisti radicali: immigrazione, integrazione, ordine pubblico, sicurezza dei quartieri. E i Democratici svedesi ne traggono beneficio». Sostenuti, a dire il vero, da una cronaca che ha visto negli ultimi mesi un’esplosione di episodi di violenza urbana: sparatorie, attacchi con granate, incendi di auto; in particolare nelle periferie ad alta concentrazione di immigrati dei centri più grossi, come Stoccolma, Malmö e soprattutto Göteborg, dove nella settimana di Ferragosto sono stati denunciati un centinaio di incendi di auto ad opera di gang di giovani mascherati.
«Negli anni seguiti all’ingresso in Parlamento di Sd - nota ancora Ann-Cathrin Jungar - gli altri partiti erano riluttanti a parlare dell’immigrazione e di ciò che accadeva in alcuni quartieri, perché c’era una sorta di percezione che questo avrebbe avvantaggiato i Democratici svedesi. Una svolta è stata la crisi dei rifugiati del 2015 (anno in cui la Svezia ricevette ben 163mila richieste di asilo, ndr). Da allora sono emerse posizioni critiche sull’integrazione anche nei partiti principali, il governo ha introdotto controlli alla frontiera e i permessi residenziali da permanenti sono diventati temporanei. In definitiva, gli altri partiti hanno cominciato a parlare degli stessi temi di Sd e questo, senza impedire la crescita elettorale dei Democratici svedesi, ne ha legittimato la posizione». Parte rilevante della strategia vincente di Sd è, poi, secondo la studiosa «dipingere l’immagine di una società in dissoluzione, con i suoi valori e i suoi modelli», a cominciare dal tanto decantato sistema di Welfare, per effetto di un’immigrazione che diventa «unica spiegazione di tutti i problemi della Svezia». Un manifesto elettorale del 2010, targato Sd, raffigurava un’anziana che, mentre si dirigeva verso un’insegna che prospettava aumenti della pensione, veniva accerchiata da donne in niqab che spingevano passeggini.
Il generoso sistema di Welfare svedese vive in effetti una fase di difficoltà e tensioni, soprattutto in settori chiave come la scuola e la sanità. E, d’altro canto, sono innegabili alcuni problemi di integrazione dell’ultima ondata di immigrati, come rivelano anche le statistiche sul lavoro, che mostrano un netto gap tra nativi svedesi e stranieri. Ma il sistema è davvero in crisi? «Non credo che si possa parlare di crisi - osserva Jungar -. Naturalmente il 2015 ha prodotto uno shock, il sistema è sottoposto a stress ma non si è sgretolato: questa è un’immagine che Sd vuole veicolare. La Svezia è un Paese di immigrazione, il nostro Welfare e le nostre industrie ne hanno storicamente beneficiato; naturalmente oggi ci sono questioni importanti relative a integrazione più rapida, accesso al mercato del lavoro, formazione linguistica, ma d’altro canto in alcuni centri più piccoli i rifugiati hanno contribuito alla sopravvivenza di scuole e negozi. Il quadro è dunque misto e più complesso. E lo stesso si può dire delle statistiche sul crimine: è più una questione culturale o sociale?».
Una fetta ormai rilevante dell’elettorato svedese condivide tuttavia la visione di Sd. E lo scenario post voto si presenta ricco di incognite. Se destra e sinistra manterranno il “cordone sanitario” che finora ha tenuto fuori dalla stanza dei bottoni il partito di Åkesson, l’unica opzione appare un fragile governo di minoranza: o una riedizione di quello attuale, guidato dai Socialdemocratici di Löfven e dai Verdi (eventualmente allargato alla Sinistra), oppure un esecutivo guidato dall’Alleanza di centrodestra. Entrambe le coalizioni viaggiano appena sopra o sotto il 40%. E i Democratici svedesi - anche se manterranno la loro vocazione di partito anti-sistema e non seguiranno le orme di altri movimenti nordici, che hanno finito per sostenere governi di centrodestra - sempre più appaiono destinati al ruolo di kingmaker.

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Michele Pignatelli

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180906&startpage=1&displaypages=2
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