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Autore Discussione: Maria Grazia Gregori - Una «Tempesta» che scoppia di parole  (Letto 2537 volte)
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« inserito:: Dicembre 06, 2007, 10:55:27 pm »

Una «Tempesta» che scoppia di parole

Maria Grazia Gregori


Il mare della mitica Tempesta di Shakespeare, andata in scena in un ormai lontano 1978 con il sigillo di Giorgio Strehler, era di seta azzurra: antillusionistico, come sarebbe piaciuto al Brecht «cinese», mosso da sotto da invisibili mimi fra i quali un giovanissimo Paolo Rossi. Lampi nel cielo segnavano il crescere della tempesta che avrebbe spezzato l’albero della nave che portava i potenti a casa dopo un matrimonio, facendone naufragare i superstiti su di un’isola misteriosa. Il candore della scena (di Luciano Damiani) - una pedana che si alzava e si abbassava - era abbagliante, come del resto il sole che illuminava tutto il palcoscenico, pronto a trasformarsi nella notte più scura e nel giorno più luminoso (le magiche, inimitabili luci strehleriane). In palcoscenico c’erano spiriti e personaggi buoni o cattivi, conchiglie che rimandavano bisbigli, un’aura magica rotta talvolta da una canzoncina cantata con voce infantile («in fondo al mare, giace tuo padre…»), vecchi e giovani contrapposti nell’eterno contrasto delle generazioni così tipico di Shakespeare e così caro a Strehler, per raccontarci la storia di un naufragio che poi si rivelava quella di un tradimento del fratello contro il fratello.

In quell’isola abitata da strane presenze dove governava Prospero ex duca di Milano - un mago che poteva provocare con la sua bacchetta magica tempeste e arcobaleni, avere per attori gli elementi della natura, lì approdato in cerca di salvezza -, si tessevano magie, ci si amava, ci si ubriacava, ci si odiava, si sognava la libertà, perché quello era sì un palcoscenico ma un palcoscenico-mondo come diceva Shakespeare e anche un palcoscenico dell’illusione come piaceva a Strehler dove i sogni però erano destinati svanire, lasciandoci più adulti, più malinconici. Ecco allora che dall’alto della soffitta scendeva Ariel, lo spirito dell’aria, fluttuante e leggero, vestito di veli bianchi e con una candida calottina in testa: un’area, indimenticabile Giulia Lazzarini, pronta a mutarsi però, per incantesimo, in una crudele arpia. Il suo volo era leggero, quasi invisibile il filo, mosso a mano dall’alto, dopo infinite prove, dai tecnici quasi lei fosse una meravigliosa marionetta e rispondesse ai comandi di Prospero (una delle interpretazioni più alte di Tino Carraro) che le aveva promesso la libertà… Per raccontare questa storia dolce e amara scritta da uno Shakespeare ormai vecchio, senza illusioni che sembrava scegliere il teatro degli inganni, delle apparizioni, Strehler mise in campo una spettacolare macchina barocca. Come sapeva fare lui: nell’apparente leggerezza e semplicità era un’incredibile, complessa costruzione non tecnologica ma artigianalmente poetica. Un teatro delle meraviglie più che un semplice contenitore non solo per personaggi ma anche per incantesimi, passioni, intrighi. Per il regista un libro vivente nel quale racchiudere il sentimento, l’emozione ma anche la tecnica, la costruzione rigorosa del suo modo di fare teatro e di pensarlo. Un teatro mai fine a se stesso ma messo al servizio del dramma perché - come gli piaceva ripetere - «tutto è nel testo».

Ci spinge a ricordare tutto questo, quasi trent’anni dopo, un libro appena uscito per i tipi di Donzelli (La tempesta a cura di Rosy Colombo) che raccoglie la corrispondenza fra Agostino Lombardo - che della Tempesta del Piccolo Teatro non è stato solo lo straordinario traduttore, ma anche un compagno di strada, un partner formidabile - e Giorgio Strehler: un confronto continuo dove a volte vinceva l’uno e a volte l’altro. Due personalità diversissime unite dall’amore per Shakespeare ma anche dalla stima reciproca che hanno lavorato insieme come in un’autentica «officina creativa» dove il risultato finale non era un oggetto e nemmeno uno spettacolo, ma la restituzione della parola dell’autore. Una parola in grado di assumere un corpo, di lasciare la pagina scritta e diventare voce, gesto, suono, tempo, spazio… Teatro. Ancora oggi, attraverso le pagine di questo libro, ma anche attraverso la memoria, grazie a un ponte ideale fra passato e presente, questi due uomini che non ci sono più, si parlano e ci parlano da così lontano, da così vicino.

Pubblicato il: 06.12.07
Modificato il: 06.12.07 alle ore 9.07   
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