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Autore Discussione: Antonella Sassone Il Camping River è (era) il “campo rom” dove si sono fatti...  (Letto 1576 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Agosto 01, 2018, 05:00:12 pm »

Antonella Sassone
Il Camping River è (era) il “campo rom” dove si sono fatti gli esperimenti.
Uno di tipo politico amministrativo e uno comunicativo.

Il primo è il cosiddetto Piano Rom che nelle intenzioni comunicate ai terzi, sarebbe dovuto essere uno strumento per “superare” i campi Rom. Già sul concetto di superare, abbiamo registrato in questi due anni di amministrazione del Comune di Roma, interpretazioni molto diverse che vanno dalla piena accoglienza e integrazione di coloro che vivono nei campi, a eliminiamo i campi con le ruspe (l’episodio della piccola sparata su Viale Palmiro Togliatti e dei commenti carichi di odio che hanno giustificato ed elogiato il gesto ignobile ne sono un esempio).
Con il River abbiamo capito che è stata scelta la seconda strada. Per la verità ci sono stati dei tentativi dell’amministrazione di ipotizzare delle soluzioni, che, come ci spiega Carlo Stasolla dell’Associazione 21 luglio (che- ricordiamo- è l’unica a non ricevere soldi pubblici per conservare la propria indipendenza) si sono concretizzate essenzialmente nella promessa di una somma di denaro come contributo al pagamento del canone di locazione, da erogarsi a contratto stipulato….non c’è stata la sperata corsa dei proprietari di casa a concludere un contratto di locazione a famiglie provenienti dal campo, con la speranza che in un futuro il Comune avrebbe erogato dei soldi a copertura di una quota del canone di locazione. Questa misura è stata fallimentare.
La seconda misura è stata il rimpatrio di Veltroniania memoria, che però interessa solo il 15% degli abitanti del River e, ci auguriamo, che finiti i soldi erogati dal Comune di Roma non rientrino in Italia com’è già successo in passato, ma queste persone siano in grado di crearsi delle condizioni di vita dignitosa nel paese di appartenenza. Questo uno dei cavalli di battaglia propagandati, salvo scoprire che si tratta di una misura stantia, in passato fallimentare e destinata a pochissimi sul totale degli abitanti del campo.
E tutti gli altri?
Sono state proposte soluzioni alloggiative alternative: la sistemazione delle donne con i figli minorenni nelle case famiglia e gli uomini e i figli maggiorenni per strada. Hanno rifiutato per non dividere i nuclei familiari e per impedire che i bambini frequentanti le scuole fossero sballottati da una zona di Roma all’altra. E allora è colpa dei rom che non si vogliono integrare!
Buon senso avrebbe voluto che, arrivati a questo punto, l’amministrazione si fosse messa in discussione, prendendo atto che qualcosa non aveva funzionato: quando si fa politica, quando si amministra, quando ci sia approccia a situazioni così complesse e delicate è facile sbagliare. Basta riconoscerlo e correre ai ripari, avendo ben presente l’unica cosa che non può essere soggetta ad alcun sacrificio, né in nome della politica né di altro: la dignità, i diritti inviolabili delle persone.
L’amministrazione ha scelto un’altra strada: portare all’esasperazione la situazione del campo per legittimare un atto di forza, senza fare alcuna autocritica del proprio operato. A giugno il Comune ha deciso di togliere l’acqua a decine di famiglie con bambini, neonati, disabili, anziani. Dopo un paio di settimane ha annunciato che nel Campo (a causa della mancanza d’acqua!) c’erano condizioni igienico sanitarie allarmanti e che quindi il campo andava sgomberato.
Alcuni abitanti del River, coadiuvati dall’Associazione 21 luglio hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo: l’intervento della Corte era già stato invocato in passato, quando Roma era guidata da altre amministrazioni, ma mai la Corte aveva ritenuto di dover intervenire.
Cosa c’è di diverso stavolta? C’è che il Comune si è precostituito le condizioni per poter invocare l’emergenza sanitaria e giustificare un’azione di forza, in mancanza di soluzioni alloggiative per quelle persone. Il Comune ha deciso che la dignità e i diritti fondamentali di centinaia di persone fossero sacrificabili per un’azione politica di propaganda, che alza pericolosamente il livello di intolleranza e di divisione sociale in questa città.
La Corte di giustizia ha per la prima volta sospeso lo sgombero di un campo, per verificare le violazioni dei diritti e l’agire dell’amministrazione. Con un atto di forza e in spregio a quanto deciso dalla Corte europea, il Comune di Roma, con il beneplacito del Ministro dell’Interno pro tempore, ha deciso di procedere allo sgombero, giustificandolo con l’emergenza igienico sanitaria (indotta dallo stesso Comune di Roma).
In attesa di conoscere le decisioni della Corte europea per la violazione della sospensiva sullo sgombero, prendiamo atto di un precedente unico che espone l’Italia a conseguenze politiche ed economiche. Come ne esce il nostro Paese da questa storia? Che credibilità, che autorevolezza possono vantare le nostre istituzioni in Europa all’indomani della violazione (condita di battute, post e risate da parte degli attori politici italiani) di un atto della Corte europea? Ricordiamo che l’Europa ha già stanziato (la parte più cospicua del Pon Metro sono finanziamenti comunitari, oltre agli altri fondi per l’integrazione) molti, ma molti soldi per l’integrazione delle popolazioni rom. Le ruberie nazionali ormai sono cronaca giudiziaria accertata. Riassumendo: prima l’Italia distrae, ruba, spreca i soldi comunitari per l’integrazione delle popolazioni rom. Poi Roma decide di fare un Piano Rom rivoluzionario, che però non dà i risultati sperati e a quel punto tira la corda e pazienza se a farne le spese sono i più fragili. La Corte europea intima lo stop alla Capitale e noi ce ne infischiamo. Che credibilità possiamo avere in Europa a queste condizioni?
Così, se il primo esperimento è fallito ed ha ceduto il passo ad un’azione di forza (le ruspe, che hanno distrutto i moduli abitativi costati alla collettività 20.000,00 euro l’uno), il secondo esperimento è stato un trionfo.
Un solo giornalista è stato ammesso a seguire da vicino le operazioni di sgombero e la narrazione fatta, accompagnata da post trionfalistici e video che trasudano soddisfazione per la legalità rispettata, sono stati un eccellente prodotto di marketing.
E’ appena il caso di ricordare che anche le leggi razziali erano perfettamente legali, anche l’apartheid lo era. Eppure la storia dovrebbe averci insegnato che non c’è legge che possa giustificare la violazione dei diritti fondamentali delle persone, la dignità delle persone.
MGA, sindacato forense, ha ben presente il concetto di uso strumentale del diritto e di abuso del diritto. Quando la politica, rinuncia a mettere al centro della propria azione la dignità delle persone e si abbandona alla sola ricerca del consenso e del potere attraverso operazioni di marketing, è evidente che ha rinunciato a perseguire la sua finalità più nobile: la ricerca del bene comune.
Esprimiamo solidarietà a tutte le persone illegittimamente cacciate dal River, e in particolar modo alle famiglie, ai bambini che hanno subito la violenza inaudita di vedere distrutte quelle che per loro erano le loro case, senza nessuna sicurezza per il proprio futuro.
Siamo altre-sì solidali con l’immenso lavoro che sta portando avanti l’Associazione 21 luglio per ristabilire la verità sulla vergogna del River. Un’altra pagina di vergogna per la Capitale.

M.G.A. - Sindacato nazionale forense Antonella Sassone per il CDN Con Cosimo D. Matteucci, Valentina Restaino, Paola Restaino, Francesca Pesce, Antonino Garifo, Rossella Lisabettini, Marilisa de Filpo, Luciano Vinci, Mirella Novello, Ilaria Crocco, Francesco Ricciardi, Camillo Rossi, Francesco Lione

Da Fb del 29 luglio 2018
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