CULTURE
23/01/2018 17:13 CET | Aggiornato 23/01/2018 17:14 CET
"Sono un minimalista e ho rinunciato a tutto. La mia ricchezza è nel fare a meno delle cose"
La storia di Michele ad Huffpost: "Il vero minimalista non lo fa per moda ma perché ci crede davvero. La ricetta del capitalismo non fa la felicità"
By Renato Paone
Facebook/Michele Di Stefano
"Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno". Così scriveva Henry David Thoreau nel suo libro "Walden ovvero Vita nei boschi". E lo scriveva nel 1854. Oggi, questa massima, che ha più di 150 anni, è ancora viva e vegeta, ed è praticata da tante persone sparse nel mondo che la società odierna definisce "minimalisti". Un termine utilizzato e applicato dal giapponese Fumio Sasaki, che per primo, in epoca contemporanea, ha parlato dei benefici che si ricavano dal distacco dagli oggetti inutili o superflui.
Il minimalismo è uno stile di vita seguito da molte persone nel mondo, anche in Italia. E HuffPost ha deciso di raccontare le storie di chi ha adottato questo modo di vivere. Tra questi c'è Michele, 38 anni, genovese, che ci ha raccontato la sua esperienza. Vive viaggiando per il mondo e ha stabilito la sua "base" sull'isola di Koh Phangan, in Thailandia. Scrive dei suoi viaggi e della sua vita sul blog "Karma e colori", in cui tratta temi quali spiritualità, yoga e, appunto, minimalismo.
Una filosofia di vita che si fonda sull'essenziale, in qualunque campo dell'attività umana: dalla più banale e scontata a quella più importante. Una controtendenza rispetto a quanto siamo abituati a vedere per strada, dove compaiono enormi cartelloni pubblicitari, negozi e centri commerciali che ci invitano a spendere i nostri risparmi e ad accumulare sempre più "cose" nelle nostre case. Inviti a cui cediamo spesso e volentieri, poiché già educati a dovere da riviste patinate, da spot commerciali e dal marketing più sfrenato.
"Tutti vogliamo sentirci appagati, sicuri, amati. È insito nella natura umana", ha spiegato Michele. "Purtroppo, seguendo i dettami di questa società, invece di cercare la realizzazione nella semplicità e nella propria evoluzione personale, andiamo a rincorrere modelli sbagliati che si basano sull'idea che la felicità arrivi dall'esterno: un lavoro da 50 ore a settimana dove guadagnare tanti soldi che userò per comprare un'auto prestigiosa, una grande casa da riempire di oggetti e tanti vestiti che mi facciano sentire apprezzato. E poi un grande televisore con la pay tv, lo smartphone ultimo modello, una bella moglie da esibire e tante persone che mi dicano quanto sono bravo. Siamo come criceti che corrono nella ruota. Esiste però una soluzione e si chiama Minimalismo".
Per Michele, minimalismo "è la rinuncia a possedere, non intesa come privazione, ma come scelta di libertà": "È il ritorno all'essenziale in ogni ambito, a ciò che apporta un vero valore aggiunto alla mia vita, siano i pochi oggetti indispensabili che mi sono rimasti, le persone di cui veramente voglio circondarmi, le attività che mi arricchiscono. Si inizia solitamente liberandosi degli oggetti superflui, quelli per cui lavoriamo come schiavi per comprare e mantenere. Ogni oggetto ha infatti un costo e mi piace raffigurarlo mentalmente non in euro, ma in ore. 'Quante ore di lavoro ho passato ad una scrivania davanti ad un monitor per comprarlo?', 'Mi ha portato una vera utilità o solo un'effimera gratificazione temporanea?', 'Mi aiuta a realizzare i miei sogni o ruba il mio tempo?'. Il minimalismo è mettere me stesso al centro, la mia felicità, tornare a ciò di cui ho veramente bisogno e che veramente amo".
Michele è diventato minimalista tre anni fa. Una scelta di vita messa in pratica dopo aver iniziato "a dare ascolto a tutte quelle vocine che mi sussurravano nella testa dicendomi che stavo sprecando la mia vita e i miei anni migliori in un presente monotono. Aspettavo un futuro di sogni che mai sarebbe arrivato".
La sua vita, come lui stesso ha ammesso, poteva considerarsi "perfetta" secondo i canoni della società: un buon lavoro, casa di proprietà piena di cose e bei vestiti. E poi shopping e aperitivi. "Sembrava che avessi tutto, ma in realtà il tempo passava inesorabile e non capivo più quale fosse il vero senso della vita. Mi sentivo vuoto, infelice". "Il tempo e la salute - ha proseguito Michele - sono le uniche cose che non possono essere acquistate e io dovevo assolutamente fare qualcosa, altrimenti me ne sarei pentito per sempre. Ho deciso così di fare un cambio radicale: ho lasciato il mio lavoro da informatico, l'auto aziendale, ho messo in vendita la mia casa e tutto il suo contenuto. Infine, anche se quest'ultimo passo non era in programma, mi sono separato da mia moglie, mia compagna di vita da undici anni. Fatto ciò, ho comprato un biglietto aereo di sola andata per la Thailandia e sono partito".
C'è, però, un momento preciso che ha segnato una svolta nella vita di Michele: "Il mio percorso è curiosamente iniziato nel momento in cui mi sono liberato della televisione, il peggiore tra tutti gli oggetti che rubavano spazio nella mia vita. Da lì è iniziato un'evoluzione inarrestabile, lenta all'inizio, ma progressivamente sempre più veloce. Sono diventato vegetariano, ho venduto tutto ciò che avevo, iniziato a comprare solo ed esclusivamente ciò che realmente mi serviva, cerando di fare scelte lungimiranti. Ho tagliato le relazioni tossiche e iniziato a divorare libri. Tutto il resto è venuto da solo. Perché quando il meccanismo si aziona, è impossibile fermarlo. Ora, dopo tre anni, mi sento ancora 'work in progress': apprezzo ogni secondo della mia vita presente, cerco di imparare più possibile e sono eccitatissimo per ciò che il domani mi riserverà".
E la vita presente di Michele è costituita solo e unicamente dall'essenziale: "Tutto ciò che possiedo - ha raccontato - viaggia con me in uno zaino da 60 litri. Ciò mi permette l'estrema libertà di poter andare dove mi pare nel mondo. E non ho bisogno di lavorare 40-50 ore a settimana perché i pochi soldi che necessito per vivere li spendo in esperienze, un bungalow nella natura e cibo salutare, non per comprare costosi oggetti che non mi servono. Va da sé che, oltre ad avere più soldi in tasca e potermi concedere più sfizi, ho tanto tempo libero da dedicare a ciò che più mi piace, come natura, studio, yoga e amici veri. Il minimalismo mi ha riportato all'essenziale: a concentrarmi su me stesso, sulle mie vere necessità, su ciò che è veramente importante e che mi rende felice".
"Quando vedo su Youtube video di personaggi che si definiscono minimalisti perché hanno solo due magliette e un paio di short mi viene da ridere", ha aggiunto. "Sembra - ha sottolineato - che sia in corso una competizione a chi dimostra di possedere il minor numero di oggetti o è in grado di stipare tutto in uno zainetto che andrebbe bene al massimo per un picnic. Il minimalismo non è quello. Non è un metodo per coltivare il proprio ego, ma l'esatto contrario. Col minimalismo ci si libera della propria identificazione con questo e quello, del giudizio degli altri, della voglia di mettersi in mostra".
Michele ha poi spiegato quello che è un punto fondamentale dello stile di vita scelto dai minimalisti: "Minimalismo non significa 'non comprare', ma farlo in modo intelligente. Significa, paradossalmente, diventare in qualche modo un esperto di shopping. Vorrei anche introdurre il concetto dei consumi 'on-demand' o di quelli condivisi: se ho bisogno di uno scooter per un determinato periodo, lo posso affittare invece di comprarlo, così come l'attrezzatura da sci se vado a sciare sporadicamente. Discorso simile per un trapano o un tagliaerba per fare i lavori di casa. Posso noleggiarli o pensare di acquistarli in condivisione con il resto del condominio. Invece di avere innumerevoli trapani a prender polvere in ogni casa, ne avremmo uno che usiamo tutti. Ciò significa meno soldi spesi, meno inquinamento, meno spazio vitale occupato".
"Il possedere qualcosa - nell'idea di Michele - non solo implica aver speso del tempo per comprarla e tempo per la sua manutenzione (mi basta pensare a quanto tempo passavo dietro la cura maniacale della mia automobile), ma ogni oggetto superfluo è come una palla di piombo legata alla caviglia che limita gli spostamenti, le decisioni, la libertà. Disfarsene non deve essere inteso come una rinuncia, ma come un passo verso la libertà. E comunque esistono siti e mercatini per vendere l'usato: si possono recuperare soldi e dare una nuova vita a qualcosa che per noi non ha nessuna importanza, ma magari lo ha per altri. Così facendo si evita anche di alimentare il ciclo del consumismo e della crescita a tutti i costi. Quello che non riescono a cogliere i 'non-minimalisti' è che il minimalismo è qualcosa che si applica ad ogni sfera della vita e non solo agli oggetti materiali. E che, comunque, ogni oggetto inutile è una barra in più della nostra prigione".
Per Michele, materialismo e consumismo, termini avversi a un'esperienza minimalista, "esprimono il concetto di come questa società, basata sulla crescita continua, sia profondamente malata": "Basti pensare al fatto che, quando investi in borsa in una società, il tuo profitto non si basa su livello di salute della stessa, ma sul fatto che sia in grado di produrre e vendere sempre di più. E questo è il paradigma della società: sempre di più, più grande, più veloce, più consumi. È un modello insostenibile dal punto di vista ambientale (vedi riscaldamento globale) e sociale: la società occidentale, e non solo, è alienata, senza valori, depressa, incapace di creare relazioni umane vere. Il capitalismo ha fallito e non ce ne vogliamo rendere conto. Si cerca in ogni modo di tenere in vita il malato terminale in nome del profitto. E allora, forse è meglio ripensare il sistema. Del resto, i concetti di minimalismo e decrescita (dei consumi e degli stimoli esterni) vanno a braccetto".
"Certo, il minimalismo può sembrare inizialmente un concetto estremo - ha detto Michele - specialmente se visto da fuori, da chi vive una vita inquadrata nella società occidentale, ma si tratta di fare tabula rasa della 'programmazione capitalista' che la società ci impone fin da bambini (famiglia, scuola, amici, lavoro, media): questo è giusto, questo sbagliato, devi vivere così, devi sposarti, fare figli, comprare, consumare, morire. La ricetta del capitalismo produce felicità? Non penso proprio. Statistiche e articoli dicono il contrario e la mia esperienza personale pure. Il vero minimalista non lo fa per moda, per dimostrare qualcosa, ma perché ha capito che è l'unica strada possibile e ci crede veramente".
"Quello che però mi rende speranzoso - ha concluso Michele - è che è in atto un cambiamento epocale. Sempre più persone stanno capendo che il modello della nostra società è fallimentare, che nella vita c'è altro oltre al consumismo. Sempre più persone diventano minimaliste, vegetariane e sentono il bisogno di spiritualità per colmare quel vuoto interiore che gli oggetti non possono riempire".
Da -
https://www.huffingtonpost.it/2018/01/23/sono-un-minimalista-e-ho-rinunciato-a-tutto-la-mia-ricchezza-e-nel-fare-a-meno-delle-cose_a_23341113/