LA-U dell'OLIVO
Novembre 24, 2024, 03:34:09 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: INTERVISTA OSCAR FARINETTI «No ai bollini sul cibo buono meglio educare a...  (Letto 1972 volte)
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« inserito:: Luglio 23, 2018, 01:55:13 pm »

ECONOMIA E IMPRESE

20 LUGLIO 2018
Il Sole 24 Ore

INTERVISTA OSCAR FARINETTI

«No ai bollini sul cibo buono meglio educare a mangiare»

Il fondatore di Eataly: «Su grassi e zuccheri sono basati prodotti straordinari»
Se associamo il buono alla morte, distruggiamo il senso profondo della vita
Sul valore dei prodotti della tradizione agroalimentare italiana, Eataly ha costruito il suo modello di business, esportando le eccellenze dei produttori nel mondo, con tutto il bagaglio culturale e territoriale che ogni singola eccellenza si porta dietro. Dunque, a questa nuova potenziale minaccia alla filiera produttiva italiana, che rischia di vedere “appioppati” i bollini rossi a prodotti come olio, formaggi, salumi e dolci, Oscar Farinetti non vuole credere. «L’Organizzazione mondiale della Sanità ha fatto un lavoro straordinario in questi anni sul tema della salute, contribuendo all’allungamento della vita, ma di fronte a questa prospettiva dovrebbero fare un gran respiro e fermarsi, non può passare la logica dei bollini». Con il paradosso, aggiunge, «che sulla Coca Cola dietetica non ci sarebbe il bollino rosso, sul parmigiano, sì».
Quindi se le chiedessero di mettere un bollino che avvisa il consumatore della presenza di grassi in una toma, come la prenderebbe?
Beh direi che allora servirebbero dei bollini neri su ogni bottiglia di plastica. Noi viviamo di grassi e zuccheri, che se presi in quantità eccessive fanno malissimo, il tema vero è la quantità che ingeriamo. Il punto non è dire che fa male il grasso o lo zucchero, ma che fa male mangiarne troppo. Senza dimenticare che al consumo del cibo è legato un gran piacere che garantisce la nostra sopravvivenza. Su grassi e zuccheri si sono costruiti prodotti straordinari, ma se associamo il buono alla morte, distruggiamo il senso più profondo della vita. Sarei d’accordo a indicare i limiti giornalieri, ma questa storia dei semafori deve finire.
La qualità, la tradizione, la cura, tutto quello che i prodotti italiani si portano dietro, rischierebbero di entrare in conflitto con indicatori quantitativi che possono distorcere la percezione dei consumatori, soprattutto all’estero...
Questo aspetto è evidente ad esempio per l’Italian Sounding, sento associazioni e produttori infuriati, ma questo tema lo risolviamo non facendo noi, imprenditori e produttori, i poliziotti, ma mettendo in condizione i clienti di tutto il mondo di riuscire a distinguere il parmigiano dal parmesan.
Ci sono eccellenze del Made in Italy che hanno ancora un problema di redditività, come si incide su questi fattori?
Facciamo fatica a convincere il consumatore a spendere per un olio extravergine di qualità. Dobbiamo risolvere il problema, con il vino ce l’abbiamo fatta, così come con certi salumi e formaggi, sull’olio dobbiamo lavorare per far accettare un prezzo giusto, in grado di remunerare la filiera. Questo problema si risolve con la narrazione, non con le proteste.
L’agroalimentare continua a crescere nell’export ma lei lo ha detto diverse volte, continuiamo ad essere provinciali, come si può fare di più?
Siamo partiti tardi. In Francia sono stati più rapidi di noi e grazie alla grande distribuzione hanno spinto la diffusione dei prodotti francesi nel mondo. Il tema è questo, la distribuzione, sono i mercanti a fare la differenza, a segnare il successo o l’insuccesso. Quando ho incontrato il fondatore di Alibaba, abbiamo parlato di Marco Polo. Sa cosa mi ha detto? «Lo abbiamo riempito di nostri prodotti e tradizione, peccato sia arrivato qui a mani vuote».
Eataly sta cambiando pelle, il passaggio generazionale è fatto, la società andrà in Borsa tra pochi mesi, dopo Fico si prepara a lanciare anche green Pea a Torino, cosa succederà?
Volevo tornare a fare il padre e non il capo dei miei figli, volevo che avessero un manager più bravo di me alla guida dell’azienda. Volevo avere tempo per nuovi progetti. Vogliamo che Eataly sia in ogni capitale del mondo, ce ne sono 198, non so quanto tempo sarà necessario ma lì dovremo arrivare. Quanto ai mercati, è tempo di guardare ad Oriente, siamo vicini ad aprire Eataly in Cina. Di questo ha parlato Andrea Guerra in occasione della presentazione del bilancio del 2017, stiamo cercando il partner migliore, in particolare stiamo trattando per aprire Fico in Cina in franchising con un socio cinese, non abbiamo ancora firmato ma il progetto è a buon punto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Filomena Greco

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180720&startpage=1&displaypages=2
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #1 inserito:: Luglio 23, 2018, 01:57:51 pm »

ECONOMIA E IMPRESE
20 LUGLIO 2018
Il Sole 24 Ore

Bertolli, 100 milioni per fare l’olio made in California

Bertolli, il brand che per oltre 150 anni è stato sinonimo di olio italiano nel mondo, “mette casa” negli Stati Uniti: per giugno 2019 è in programma l’apertura di uno stabilimento sulla East Coast, così da servire ancora meglio quello che, con una quota di assorbimento a volume del 15%, rappresenta il proprio principale mercato di sbocco.
Si tratta soltanto di uno dei tasselli del piano d’investimento da 100 milioni attraverso il quale il gruppo spagnolo Deoleo, titolare dei marchi Bertolli, Carapelli e Sasso, punta a consolidare la propria leadership mondiale nel settore e soprattutto a passare a un Ebitda da 90 milioni di euro, rispetto agli attuali 32 milioni. «Un piano senza dubbio ambizioso», secondo il ceo Pierluigi Tosato, manager italiano che un anno fa è stato scelto dall’azionista, il fondo inglese Cvc Partners, per risollevare le sorti del gruppo. «Perché si tratta di cambiare la filosofia dell’azienda, scommettendo sulla capacità della filiera di assecondare questo cambiamento. Fino a oggi l’olio è stato inteso come una commodity, noi vogliamo affermarne il valore di consumer good».
Deoleo, 700 milioni di fatturato per 600 dipendenti, in gran parte attivi negli stabilimenti di Tavernelle Val di Pesa e Alcolea in Andalusia, ha chiuso il bilancio dell’anno scorso con 18 milioni di perdite, in netto calo rispetto al rosso di 179 milioni del 2016. Il primo anno di Tosato è stato quello del risanamento, adesso si punta alla crescita, con il raggiungimento dell’utile nel 2021. «È una strada – sottolinea Tosato – che intendiamo percorrere seguendo innanzitutto una stella polare: la qualità. In Italia e all’estero».
In Italia il marchio Carapelli è stato il primo ad aderire alla Filiera Olivicola Olearia Italiana (Fooi) con l’extravergine premium “Il Nobile” 100% italiano, in scaffale da maggio. E in più, in collaborazione con Confagricoltura, Deoleo lavora a far crescere la percentuale di olio italiano nei blend. Sul fronte estero il cammino è molto più complesso: la partita si gioca soprattutto negli Stati Uniti, mercato dalle enormi potenzialità, dove già oggi Bertolli esercita lo stesso appeal che, per il segmento acque, ha il marchio Sanpellegrino. Ma è un mercato dominato dai produttori californiani, per giunta poco regolamentato in chiave qualità.
Adesso non ci sono dazi sull’olio extra Usa, ma ci sono sulle olive provenienti dall’estero. Deoleo ha intavolato una trattativa con i produttori californiani per stabilire un codice di regole comuni per tutto il mercato. «Loro – spiega Tosato – mettono al primo posto la freschezza del prodotto, noi siamo legati a un concetto di qualità che ruota intorno a tre principi: timing del raccolto, temperatura e tempi di processo, numero di varietà utilizzate». Incrociando queste due diverse visioni, si potrebbe arrivare a regole condivise sulla qualità «e la chiave di volta – secondo il manager – dovrebbero essere le PPP, ossia le pirofeofitine». Individuare parametri comuni su questo marker, dovrebbe finalmente portare a regole condivise. La scommessa di Deoleo sull’America è molto intrigante: tra gli investimenti del piano da 20 milioni l’anno per cinque anni, c’è la realizzazione di uno stabilimento Bertolli sulla East Coast, da localizzare tra Georgia, New Jersey e North Carolina.
Un progetto da 7 milioni di dollari che dovrebbe giungere a compimento per giugno 2019. Il processo di crescita di Deoleo, sul fronte interno dell’Unione europea, invece punta alla difesa dei panel test, i test organolettici di qualità: «Non vanno eliminati – spiega Tosato – ma migliorati, incrociandoli con l’esame dei composti volatili che ci aiuterebbe a individuare eventuali difetti». Il fine è sempre lo stesso: difendere la qualità per far crescere il valore del prodotto. L’America sta qua.


© RIPRODUZIONE RISERVATA
Francesco Prisco

Da - ilsole24ore.it
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!