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Autore Discussione: Regole innovatrici nel lavoro high-tech  (Letto 1458 volte)
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« inserito:: Luglio 23, 2018, 01:48:27 pm »

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18 Luglio 2018 - Il Sole 24 Ore

Regole innovatrici nel lavoro high-tech

Come ben sappiamo, molte cose sono cambiate negli ultimi tempi. Eppure lo Statuto dei lavoratori, approvato dal Parlamento nel maggio 1970, continua tuttora a far testo, per più di un aspetto, in materia di diritto del lavoro e di relazioni industriali. Per capire i motivi in base ai quali quel lontano provvedimento legislativo ha conservato un forte ascendente, occorre innanzitutto tener presente il fatto che esso fu il risultato della carica combattiva di un nuovo protagonista emerso nel corso dell’“autunno caldo” del 1969, come l’“operaio massa”, così definito in quanto impersonato da un sempre maggior numero di addetti alle catene di montaggio e ad altre attività complementari che non richiedevano particolari specializzazioni.
A costituire il nerbo di questa manodopera erano per lo più degli immigrati dal Mezzogiorno, provenienti dalle fila dei braccianti, dei manovali e di tanti giovani disoccupati. Anche perché alle prese col rincaro dei prezzi e con l’insufficienza di abitazioni e servizi sociali nelle aree urbane d’arrivo del Nord, essi assunsero un ruolo di punta nella formazione dei “collettivi operai”, dei delegati di reparto e di altri rappresentanti delle maestranze eletti dalle assemblee di fabbrica.
Di qui l’avvento del cosiddetto “sindacato dei Consigli”, in quanto Cgil, Cisl e Uil adottarono una strategia meno verticistica e centralista, assai più attenta alle rivendicazioni espresse “dal basso”, fra cui spiccavano quelle per un sostanziale alleggerimento dei procedimenti lavorativi di stampo fordista e il riconoscimento di condizioni normative egualitarie a protezione delle diverse fasce di lavoratori.
Di fatto furono queste le circostanze da cui scaturì lo Statuto dei lavoratori, che stabilì, insieme alla messa al bando (sacrosanta) di ogni forma di autoritarismo e discriminazione politica nelle fabbriche, l’acquisizione per tutti i dipendenti di 150 ore da destinare ad attività formative e l’eliminazione delle “gabbie salariali” (ossia delle differenze territoriali nei salari minimi contrattuali fra i lavoratori operanti nel Meridione, fino ad allora meno retribuiti, quelli attivi nelle regioni settentrionali).
Queste conquiste sindacali concorsero, da un lato, a ridurre la forbice fra la crescente dinamica della produttività e quella dei salari nei maggiori complessi industriali; e, dall’altro; a sancire i diritti di cittadinanza sociale dei lavoratori, in linea con i princìpi costituzionali. Si spiega perciò l’importanza di una svolta emblematica, in quanto essa diede luogo a un quadro di riferimento normativo di carattere generale.
Senonché nel corso del tempo vennero emergendo nel mondo del lavoro importanti mutamenti di scenario e di prospettiva, in seguito sia alla transizione post-fordista manifestatasi nell’ambito della grande industria e all’irruzione in campo di una moltitudine di piccole imprese, sia all’ampliamento del settore terziario privato. Si profilò così, rispetto a una parte di lavoratori stabili e garantiti dall’azione sindacale, un esercito ibrido e poliedrico di lavoratori atipici, dalle prestazioni fluttuanti e occasionali.
Frattanto continuarono a essere oggetto di aspri contenziosi alcune clausole dello Statuto dei lavoratori: come quelle che irrigidivano la mobilità della manodopera all’interno delle aziende o che riguardavano la “giusta causa” di licenziamento. La loro soluzione finiva infatti sovente per dipendere dalla magistratura, a cui un sindacato o un gruppo di lavoratori faceva ricorso per contestare i licenziamenti decisi dalle imprese per motivi economici o certi contratti aziendali “al ribasso” stipulati da nuovi organismi sindacali, ma pure perché fossero stabiliti in sede giudiziaria determinati principi in materia di condizioni di lavoro. Col risultato che veniva così a crearsi una normativa senza una certezza di assoluta validità, in quanto ogni magistrato avrebbe potuto dare una risposta diversa allo stesso genere di problemi. Di qui l’impegno profuso da fior di giuslavoristi per porre le premesse di un nuovo ordinamento equo ed efficace in materia di tutele individuali e collettive nei luoghi di lavoro.
Sta di fatto che ai giorni nostri è del tutto evidente l’impatto della quarta rivoluzione industriale che sta modificando radicalmente i modi di produrre e lavorare e quindi imponendo, insieme a una formazione permanente delle maestranze in base ad adeguati profili professionali, l’esigenza di elaborare regole innovatrici e condivise dalle parti sociali in tema di diritto e politiche pubbliche del lavoro. E ciò al fine di coniugare la crescita di un’occupazione qualificata con quella della produttività.

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Valerio Castronovo

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180718&startpage=1&displaypages=2
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