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Autore Discussione: Andrea Di Consoli - Come sembrano russi questi «Indifferenti»!  (Letto 2703 volte)
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« inserito:: Dicembre 05, 2007, 10:56:01 pm »

Come sembrano russi questi «Indifferenti»!

Andrea Di Consoli


Daniela Marcheschi, italianista, esperta di letterature scandinave e traduttrice di Karin Boye, August Strindberg, Edith Sodergran, Brigitta Trotzig, curatrice dei Meridiani Mondadori di Giuseppe Pontiggia e Carlo Collodi, ha al suo attivo un’attività saggistica di livello internazionale. Ha pubblicato, tra le altre cose, Una luce del nord. Scritti scandinavi (1979-2000) per Le Lettere, e Sandro Penna per Avagliano.

Lei parla di tradizioni letterarie in contrapposizione a tradizione. Cosa significa esattamente?
«Puntare alle tradizioni vuol dire cogliere la pluralità delle esperienze letterarie e artistiche, delle estetiche, poetiche, filosofie, dei generi, degli stili, delle forme».

«Significa cogliere e avvicinarsi alla complessità stessa delle esperienze letterarie e artistiche; e anche - aggiunge Daniela Marcheschi - verificare i modelli storiografici che tendiamo a confondere con la storia stessa della letteratura. Da questo deriva oggi una critica povera, perché vista come rassegna dell’esistente non inserita nel quadro più problematico delle tensioni della storia. Sta prevalendo una critica scissa dalla storia, e una storiografia scissa dalla critica. Stiamo facendo critica e storia della letteratura ingabbiate su visioni storiografiche ereditate dalle generazioni precedenti».

Lei insiste spesso sull’isolamento dell’Italia, sul suo provincialismo. Come ci si apre al mondo, in che modo può avvenire quest’apertura?
«Se siamo consapevoli che si conosce “per tradizioni” siamo poi anche in grado di leggere la trama delle varie tradizioni europee. Dobbiamo cominciare a individuare gli autori europei di lingua italiana, non gli scrittori italiani e basta. Come diceva Vincenzo Gioberti, travisato da certe letture fasciste, e come dice Amedeo Anelli (direttore della rivista Kamen’, n.d.r.), bisogna ragionare su quali siano gli scrittori europei di lingua italiana, perché gli scrittori italiani sono meno necessari».

Mi faccia alcuni esempi novecenteschi di scrittori europei, e provi a spiegare cosa significa essere uno scrittore europeo.
«Uno scrittore europeo di lingua italiana, per il lavoro sui contenuti, sul romanzo, sullo stile, è stato Giuseppe Pontiggia. Basta leggere quello che la critica europea ha scritto sui suoi libri. Uno scrittore è europeo nel momento in cui è capace di porsi problemi che interessano le culture internazionali, quando è profondamente italiano ma sa lanciare problematiche di interesse non locale. Scrittori europei di lingua italiana, per esempio, sono stati Italo Svevo e Luigi Pirandello».

E Alberto Moravia?
«Moravia è uno scrittore di grande mestiere, di grande abilità, ma è uno scrittore sempre dentro l’attualità, e in ciò è debitore del naturalismo. Moravia è il prototipo degli opinionisti di oggi, di questa cultura dominante della chiacchiera mediatica. Naturalmente aveva intelligenza da vendere. Moravia non è uno scrittore che ha allargato più di tanto le “barriere del naturalismo”, come invece diceva Barilli in un saggio del 1964. La sua letteratura è fortemente radicata nella letteratura russa, come ormai tutti sanno. Ha amato molto Dostoevskij ma, di fatto, i modelli russi di Moravia sono principalmente altri».

A quali modelli si riferisce?
«Glielo spiego partendo da Dino Terra (1903-1995), uno degli scrittori più importanti fra la fine degli ’20 e la fine degli anni ’40. Aveva fondato l’Immaginismo, un movimento letterario e artistico per unificare tutte le ricerche d’avanguardia, intesa questa come metodo, come arte sperimentale. Autore di vaste frequentazioni internazionali, Terra fece conoscere la psicoanalisi alla sua cerchia (Moravia, Bontempelli, i Bragaglia, Pirandello, Marinetti, Ungaretti, Chiaromonte, De Libero, Gallian). Tra quei giovani aveva fatto molto effetto il romanzo La famiglia Golovlioff di Michail Saltykov-Scedrin, pubblicato in Italia da Carabba in due volumi nell’aprile del 1918, con la prefazione di Federico Verdinois. In due interviste inedite allo storico Paolo Buchignani nel 1993, Dino Terra diceva che quel romanzo era stato decisivo per alcuni di loro».

Questo cosa significa?
«Questa testimonianza non è un’inezia, ma mette lo storico e il critico della letteratura sulle tracce di un testo che ha a lungo influenzato l’opera di Moravia, all’epoca molto amico di Terra. Se noi prendiamo La famiglia Golovlioff, a parte la coincidenza del nome di Saltykov con Michele de Gli Indifferenti, dobbiamo constatare che tutta quanta la costruzione del romanzo, dei personaggi e del loro carattere morale, le atmosfere, addirittura lo stile, hanno forti analogie, se non palesi “copiature”, con il romanzo d’esordio del giovane Moravia».

Quali sono gli elementi che supportano questo sospetto di copiatura?

«Anche ne La famiglia Golovlioff i personaggi principali sono cinque. Una madre, Irene, che, per insensibilità e vuoto interiore, per i suoi modi grotteschi, somiglia alla madre di Carla e Michele. Sua nipote, Annin’ka, è il personaggio più lucido del romanzo di Saltykov e quello in cui si riscontrano analogie non casuali con Carla. Anche Annin’ka cerca letteralmente una “vita nuova, vera”, e pur di averla si dà a un riccone, ma capirà il vuoto e l’illusorietà di una simile aspirazione. Allo stesso modo Carla, ne Gli Indifferenti, nel desiderio di una “vita nuova”, si getta tra le braccia di Leo pur non amandolo, e di fatto gli si dà per avere un benessere, proprio come fa Annin’ka. Colpisce il fatto che Leo abbia in parte il carattere di Porfìrij, detto piccolo Giuda, che agisce solo per interesse e lussuria. Porfìrij, come Leo, è cinico, ipocrita, interessato, vive un erotismo puramente utilitaristico, senza profondi sentimenti, pronto a rovinare i suoi famigliari pur di accumulare ricchezze e impadronirsi di una villa. Poi ci sono gli atri due fratelli, Stepàn e Pavel, i quali vivono nell’indifferenza, nella finzione, nell’incapacità di qualsiasi applicazione, in una “nebbia di parole” che è la nebbia del vaniloquio e dell’impossibilità di sentire e volere».

Lei coincidenze sono solo di contenuto?
«Colpiscono anche le coincidenze formali. Ad esempio ne La famiglia Golovlioff, proprio come nel romanzo di Moravia, ci sono il vaniloquio e un grande uso del discorso indiretto libero, che abbonda soprattutto nell’ultima parte. Michele ne Gli Indifferenti immagina l’ipotetico processo che seguirebbe l’uccisione di Leo, ma in realtà questo non avviene, perché Michele non uccide Leo. Tale processo, invece, nel romanzo russo c’è davvero. Ma le corrispondenze non finiscono qui, ve ne sono in grande quantità».

La letteratura nasce sempre dalla letteratura, di questo lei è consapevole. Quindi immagino che la sua riflessione vada più nella direzione della ricerca storica, che non nella direzione di una provocatoria polemica.
«Che i libri nascano anche dai libri è cosa nota, ma è forse meno noto quanto questo romanzo russo abbia significato concretamente per quel gruppo di giovani scrittori romani. Per esempio, il carattere stesso de L’avaro di Moravia richiama ancora una volta un tratto molto caratteristico di Porfìrij, incapace di amare e assumersi qualsiasi responsabilità che non sia quella di accaparrarsi beni materiali. Ne L’amore coniugale il confluire di norme morali e convenzioni sociali è un tema che richiama un altro tema del ricco romanzo di Saltykov. Negli stessi Racconti romani il vizio della pignoleria, portato all’estremo grado, rimanda ancora a un motivo di Saltykov. La famiglia Golovlioff ha personaggi a tutto tondo che incarnano, nello svolgersi delle vicende, tutta una serie di vizi e carenze morali assai suggestive per l’opera di Moravia. Così si riconferma ancora una volta il radicamento di Moravia nel dibattito culturale degli anni ’20 e ’30, che dovrebbe essere studiato di più. Il libro di Saltykov aveva già influenzato Terra, basti pensare a un romanzo sperimentale come Ioni, del 1929, considerato l’anti-Indifferenti».

Dal suo discorso si profila addirittura uno «scontro» in sede di canone tra Moravia e Dino Terra. O forse è più esatto dire che lei auspica una maggiore attenzione sui cruciali anni ’20.
«Andrebbero studiati meglio l’ambiente delle riviste degli anni ’20 (La bilancia, La ruota dentata, Interplanetario, Occidente, Caratteri, riviste in cui spesso si ritrovavano fascisti rivoluzionari, giovani comunisti, socialisti, anarchici, apolitici, tutti legati dalla volontà di costruire una nuova letteratura), la narrativa degli anni ’20, il movimento dell’Immaginismo, la Roma di sostanza internazione ed europea diquegli anni. All’interno di questo quadro si gettano le basi per un realismo nuovo, in cui ha uno spazio il meraviglioso, basti pensare proprio a Riflessi di Dino Terra. Quindi siamo di fronte a una pluralità di tradizioni che la prevalenza di una storiografia ingessata e arretrata ha spesso cancellato, mentre ha lasciato tracce di vitalità nella narrativa italiana almeno fino agli ’70 (si pensi agli autori di favole per adulti: Zavattini, Guareschi, Terra). Se noi paragoniamo Ioni a Gli Indifferenti, pubblicati entrambi da Alpes nel 1929, ci rendiamo conto della novità sperimentale di Ioni, costruito per micro e macro sequenze, per pluralità di voci, per molteplicità dei punti di vista. Moravia legge attentamente Saltykov e ne ricalca la tecnica romanzesca. Terra, invece, cerca di rinnovarla ulteriormente. A questo punto possiamo capire perché Dino Terra fosse considerato, in quel tempo, uno degli scrittori più importanti. Meno persuasivo, invece, è ritenere Moravia una delle punte di diamante della letteratura del ’900».


Pubblicato il: 05.12.07
Modificato il: 05.12.07 alle ore 8.10   
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