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Autore Discussione: Si rischia di chiudere per legge l’orizzonte delle imprese  (Letto 1705 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Luglio 12, 2018, 07:49:56 pm »

POLITICA ECONOMICA
11 Luglio 2018
Il Sole 24 Ore

L’ANALISI

Si rischia di chiudere per legge l’orizzonte delle imprese

Se ne parla quasi fosse una sorta di assassinio dell’occupazione nazionale, ma è vero solo in certi casi. Come di fronte a un’ipotesi di reato, anche per la delocalizzazione bisogna valutare le motivazioni e le circostanze. Alcuni esempi. La Harley Davidson ha annunciato di spostare fuori dagli Usa parte della produzione per aggirare i dazi imposti dalla Ue quale ritorsione a quelli di Trump. Verranno probabilmente spostate le fasi finali di assemblaggio. Tecnicamente è una delocalizzazione verticale, cioè solo di una fase produttiva. È la storia che si ripete. A partire da fine Ottocento molte delocalizzazioni sono state operate per continuare ad esportare prodotti intermedi, completando la lavorazione all’estero, evitando così i dazi ad valorem imposti improvvisamente sui prodotti finiti. Anche in passato ci fu chi temeva una riduzione dell’occupazione nazionale, ma i fatti dimostrarono il contrario. Come risulta anche oggi quando si analizzano, in media, le ricadute degli Investimenti Diretti all’Estero. Eppure, ciò che gli americani potranno continuare a fare, nonostante le ire del loro presidente, destreggiandosi nella guerra commerciale che lui stesso ha innescato, a noi sarà precluso. Per decreto. Un altro esempio. Mettiamo di operare nella catena del valore automotive. Il nostro principale cliente, una nota multinazionale delle quattro ruote, ci chiede di realizzare un impianto in Brasile, in prossimità di una sua catena di assemblaggio. Serve per migliorare le sinergie di fornitura. È un prendere o lasciare. Nel senso che, se non si accetta, il cliente si rivolgerà a un altro fornitore e i suoi acquisti presso di noi inevitabilmente scemeranno. Ovviamente, converrebbe investire anche all’estero, piuttosto che dover disinvestire solo in patria per carenza di domanda. Ultimo esempio. Siete titolari di un brevetto per realizzare un prodotto innovativo, apprezzato sul mercato nazionale, ma che ha un basso rapporto valore/peso. Come solitamente avviene nel beverage, o nelle malte cementizie. Gli affari vanno bene e si pone il problema di entrare in qualche mercato lontano, molto competitivo ma redditizio, come gli Usa, o la Cina. Produrre in Italia e trasportare colà il prodotto bell’e fatto significherebbe dover caricare un elevato onere aggiuntivo sul prezzo di vendita. La soluzione non può che essere la produzione in prossimità del mercato di sbocco, realizzando un nuovo insediamento greenfield. Come nel caso precedente, cioè, stiamo parlando di produzione aggiuntiva e non sostitutiva. In tutti i casi considerati le circostanze dipendono dal mercato e il movente sta nella difesa della propria posizione competitiva. Penalizzare ogni tipo di delocalizzazione, come sembra di capire leggendo il Decreto Dignità, è come mettere sullo stesso piano la legittima difesa e l’assassinio vero e proprio. Non solo: dare vita a una norma senza i necessari distinguo lascia covare il dubbio che ogni decisione imprenditoriale possa essere sottoposta a qualche penalizzazione ex post, anche a distanza di molti anni (cinque), quando le condizioni di mercato sono già cambiate nuovamente. Ciò rischia di spingere le imprese ad arretrare, anziché fare passi avanti. Proprio quando avremmo più bisogno di crescere, d’investire, sia sul fronte domestico, sia su quello estero. Senza dimenticare che per un Paese come il nostro, con un forte fabbisogno di materie prime, l’internazionalizzazione è una strada obbligata, sia essa leggera, fatta solo di esportazioni, sia di quella pesante, fatta anche di Investimenti Diretti all’Estero. È da questa sfida che dipende l’occupazione. Non dalla chiusura, per legge, dei nostri orizzonti.

Michele Tronconi è Consigliere Simest Spa

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Michele Tronconi

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180711&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 12, 2018, 07:51:39 pm »

POLITICA ECONOMICA
11 Luglio 2018
Il Sole 24 Ore

«Subito investimenti, serve l’unione politica»
Più forza alla Bce «A Francoforte pieni poteri sul cambio e come prestatore di ultima istanza. Chiederò un incontro a Draghi»
L’audizione di Savona «Prepariamoci a tutto, anche a uscire dall’euro qualora fosse qualcun altro a chiederlo. Così andava letto il piano B»
Nessun “piano B” per l’uscita dall’euro (ma potrebbero essere altri a deciderla), questione che gli costò la poltrona di ministro dell’Economia in quota Lega, nessuna concessione a spese per finanziare il reddito di cittadinanza ma soprattutto nessuna tentazione verso il «sovranismo». Semmai: rilanciare gli investimenti per far crescere il Pil, modificare lo statuto Bce con poteri pieni sui cambi e prestatore di ultima istanza, procedere speditamente verso l’unione politica. Insomma, è un Paolo Savona che confessa il suo «spirito europeo» («non europeista che è diventata un’ideologia») quello che ieri, davanti alle commissioni riunite delle Politiche Ue di Camera e Senato, elenca per la prima volta le linee d’azione del suo dicastero. E annuncia: dopo la legittimazione del Parlamento incontrerò Mario Draghi per chiedere la modifica dello statuto Bce. Qualcosa di simile a un «Giano bifronte» come lo definirà, alla fine dell’audizione, Alessia Rotta, vicepresidente vicaria dei deputati Pd.
«Mi sento cittadino europeo» esordisce Savona per poi dire di «non essere un sovranista» ma un «trattativista». Ma il punto al quale tiene di più è la governance Bce. «Occorre – afferma - attribuire alla Bce uno statuto simile a quello delle principali banche centrali dove gli obiettivi di stabilità e di crescita si integrino e gli strumenti siano i più ampi possibile». Questo vuol dire assegnare alla Bce poteri pieni sul cambio perché «ogni azione esterna all’eurozona si riflette sull’euro senza che l’Unione europea abbia gli strumenti per condurre un’azione diretta di contrasto». Alla Bce, inoltre, deve essere affidato, secondo Savona, «pieno e autonomo esercizio di prestatore di ultima istanza. È una lacuna che si riflette nello spread». E alla fine l’annuncio: «Mi recherò da Draghi appena terminato questo incontro. Prima volevo che la mia azione godesse della legittimazione democratica».
Un’altra questione essenziale per ridare forza all’economia europea, secondo Savona, passa dal rilancio degli investimenti, unico vero strumento per una crescita del Pil. Un obiettivo «tecnicamente possibile» e il «prestigio» del governo si gioca sul fatto che si riesca a rilanciare gli investimenti anche tenendo conto del fatto che esiste «un risparmio interno inutilizzato». Non sono mancate tuttavia riflessioni sull’euro. «Mi dicono – precisa - tu vuoi uscire dall’euro? Badate che potremmo trovarci in situazioni in cui sono altri a decidere. La mia posizione è di essere pronti a ogni evenienza. Una delle mie case, Banca d’Italia, mi ha insegnato a essere pronti non ad affrontare la normalità ma il cigno nero, lo choc straordinario».
Quanto alla spesa pubblica e al rispetto delle regole Ue secondo il ministro «le dichiarazioni rese ai massimi livelli che l’Italia non intende uscire dall’euro e rispettare gli impegni fiscali hanno rasserenato il mercato, ma lo spread non scende perché il nostro debito pubblico resta esposto ad attacchi speculativi». Lo spread, per Savona «resta elevato perché gli operatori attendono di conoscere come il Governo intende realizzare i provvedimenti promessi all’elettorato, soprattutto reddito di cittadinanza, flat tax e revisione della legge Fornero. La preoccupazione del mercato è che la spesa relativa causi un aumento del disavanzo di bilancio, ma giusto o sbagliato che sia, la politica del Governo ne deve tenere conto». Per evitarlo, subito gli investimenti, mentre altre parti del programma di governo che possono aumentare il debito, dovranno attendere gli effetti degli investimenti sulla crescita. E infine l’ideale per l’Europa a giudizio di Savona «è muovere verso l’unione politica».
In una nota i componenti M5S alla Camera passano sotto silenzio i caveat del ministro sulla spesa pubblica (e quindi sul reddito di cittadinanza) soffermandosi sulla visione politica che «mira a consolidare le istituzioni europee in un quadro di maggiore partecipazione economica e popolare». Le preoccupazioni di Savona per il rispetto di vincoli di bilancio sono sottolineate dal forzista Mario Siclari mentre Alessia Rotta del Pd non comprende «se Savona sia stato audito in veste di professore o di ministro e, in quest’ultimo caso, di quale governo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gerardo Pelosi

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