Admin
Utente non iscritto
|
|
« inserito:: Dicembre 04, 2007, 12:20:58 pm » |
|
Per fermare la mafia
Giancarlo Ferrero
Come non si può servire contemporaneamente Dio e Mammona, così non si può essere cittadini dello Stato e complici della mafia. Per troppo tempo se ne è accettata la convivenza sino a creare un intreccio difficilmente distinguibile ed apparentemente inestricabile. Nonostante le molte battaglie vinte ed il sangue versato, la guerra tra Stato e mafia è ancora in atto in tutta la sua virulenza e pericolosità. Certo la Piovra ha moltiplicato i suoi tentacoli e modificato l’aspetto, ma intatte restano la sua natura ed il suo scopo: l’illegalità e la ricchezza. Si è modernizzata attingendo alle più sofisticate tecniche che il mercato offre, ricorrendo ai «migliori» specialisti nei più diversi settori, estendendo la sua area di influenza ben oltre ai confini regionali e nazionali, creando complicità ed alleanze. Si serve ancora della forza scritta nel suo dna, per segnalare in modo più o meno clamoroso la sua presenza, per dimostrarne la potenza, imporre la supremazia con l’intimidazione, pretendere la soggezione.
Solo i complici o gli stolti possono ritenere che sia un fenomeno destinato alla decadenza, alla trasformazione ed assimilazione nella complessa realtà socio-economica del nostro tempo. In una società che sponsorizza persino gli orrori, l’omicidio e le devianze più turpi, in cui tutto si monetizza e si commercia, le organizzazioni criminali di stampo mafioso trovano l’«habitat» ideale per proliferare, insinuandosi in ogni settore di qualche interesse economico, traendo ovunque profitti considerevoli con una coordinata opera di corruzione e delegittimazione delle istituzioni. Ormai l’organizzazione di stampo mafioso ha raggiunto livelli imprenditoriali, muovendo ricchezze enormi, schiacciando le imprese sane con una concorrenza sleale e spregiudicata, dal bassissimo costo del lavoro per lo più in nero e sfruttato: si calcolano in quasi 400000 in 5 anni le imprese di cui la criminalità organizzata ha provocato la chiusura, in circa 100 mila miliardi il giro di affari della camorra, della 'ndrangheta e cosa nostra frutto di racket, usura, reati ecologici, evasione, rapine, abusivismo ecc ecc. Non c’è settore, dal traffico della droga a quello delle armi, dei diamanti, dei rifiuti, dell’edilizia che non sia stato e non sia fonte di ricchezza per le associazioni di stampo mafioso che ultimamente sono riuscite ad attuare l’operazione più disastrosa per uno Stato democratico: l’introduzione nella società del «sistema dell’illegalità» vissuta come costume generalizzato nel pubblico e nel privato.
Per questo l’episodio avvenuta alla Assindustria di Caltanisetta, con l’indisturbata scorribanda nei suoi locali dal forte significato anche simbolico assume una portata ed un valore eccezionali. Per questo l’intervento di Montezemolo va ben oltre ad un semplice grido di allarme ed assume i contenuti di una vera e propria denuncia, di una dichiarazione di guerra contro la mafia, di una diffida alle istituzioni statali sinora inadeguate e deboli.
Non potrebbe cadere in un momento più propizio il decreto voluto da Prodi e firmato pochi giorni orsono dal Capo dello Stato (in corso di registrazione) che istituisce finalmente il Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. Non è casuale la scelta come commissario di un magistrato di Cassazione, Antonio Maruccia, con il compito di procedere al monitoraggio dei beni confiscati (è indispensabile sapere esattamente quanti sono ed in quali condizioni si trovano), di assicurare il coordinamento operativo (sinora insufficiente) tra le diverse amministrazioni e gli enti interessati allo loro utilizzazione (ovviamente gratuita), di promuovere intese con le autorità giudiziarie competenti al fine di raccordare i procedimenti. Quest’ultimo punto è di fondamentale importanza perché ancora poche sono le richieste ben istruite di procedere ai sequestri ed alle successive confische dei beni mafiosi ed inaccettabile la lunghezza dei procedimenti giudiziari che finiscono in gran parte con il frustrare lo scopo delle leggi contro la criminalità organizzata e provocano notevoli danni economici all’erario.
Al momento il commissario potrà contare su di uno staff composto da un dirigente della Presidenza del Consiglio, da 15 tecnici e da tre esperti nel settore giuridico - amministrativo. Nessuno è così ingenuo da pensare che un organo istituzionale dalla breve vita di un anno e dal carattere «straordinario» possa colpire il cuore patrimoniale (la sua stessa ragione d’essere) della mafia e farlo entrare in fibrillazione, ma è pur sempre un importantissimo segnale e punto di partenza per avviare una vera ed efficace lotta dello Stato contro le potenti organizzazioni criminali. Al commissario competerà un compito non facile: creare praticamente dal nulla, valorizzando le precedenti esperienze similari, una organizzazione che costituisca non solo un’agile strumento di conoscenza approfondita del patrimonio mafioso, ma di stimolo ad una lotta mirata ed unitaria alle organizzazioni criminali nei loro vari aspetti economici, nonché di garanzia di presenza dello Stato in tutti i giudizi nei quali si tenta di ostacolare l’acquisizione dei beni malavitosi. Sul piano strettamente programmatico il commissario sarà tenuto a porre solide fondamenta per la costruzione di un edificio istituzionale stabile ed adeguato al gravoso impegno di combattere su più fronti la mafia, valorizzando al massimo l’apparato giudiziario ed amministrativo inquirente.
In un lasso di tempo breve il commissariato dovrà confluire e venire assorbito in un’agenzia od autorità indipendente ordinaria ed a tempo indeterminato, di grande autorevolezza e forza strutturale capaci di imporre la supremazia dello Stato e della sua legalità democratica su tutto il territorio nazionale e nel tessuto sociale pubblico e privato. Ciò significa creare una istituzione nuova di grande prestigio e specifica competenza in grado di compattare ed in parte sostituire tutte quelle strutture pubbliche che sinora hanno permesso alle associazioni mafiose di espandersi a dismisura, sottraendo spazio e credibilità allo Stato.
Un programma certamente ambizioso dalla cui realizzazione però dipende la sopravvivenza stessa della nostra Repubblica. Come è ovvio molti saranno gli ostacoli che si incontreranno, purtroppo anche interni alle istituzioni ed alle forze politiche spesso dispersive e più portate alla critica paralizzante che alla collaborazione costruttiva. Ma l’istinto della sopravvivenza sana, che è ormai in gioco, finirà con il far trovare allo Stato la forza necessaria e lo slancio per attuare le drastiche riforme che la grave situazione richiede. Sarà indispensabile procedere ad una rigorosa rivisitazione della gestione della cosa pubblica, precipitata in abissi di inefficienza e complicità attiva e passiva, rendendo effettivi i controlli e la trasparenza dei procedimenti amministrativi, degli appalti delle opere pubbliche, delle spese, delle modalità di intervento degli istituti finanziari (quanti mutui facilmente concessi senza adeguate istruttorie, quante ipoteche bancarie iscritte su beni confiscati ai mafiosi, quanto denaro sospetto in libera circolazione!)
Tra pochi giorni la Commissione Antimafia dovrebbe pubblicare la sua relazione: varrà la pena di leggerla attentamente, certamente apprenderemo cose nuove da una fonte che merita credibilità non solo per la dedizione del suo presidente, ma anche per l’unanimità o la forte maggioranza dei consensi che sorreggono la relazione stessa. Ad essa va aggiunto l’impegno programmatico del capo del Governo e di molti parlamentari che sanno perfettamente di dover rendere conto a tre esigenti interlocutori: gli onesti, i giovani che in massa reclamano il loro diritto ad una vita pulita, don Luigi Ciotti che instancabilmente da anni continua a seminare credendo nel raccolto futura a discapito del nostro colpevole, comodo scetticismo.
Pubblicato il: 03.12.07 Modificato il: 04.12.07 alle ore 9.04 © l'Unità.
|