Arlecchino
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 30, 2018, 04:53:42 pm » |
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Il professore non torna a mani vuote
I toni duri della vigilia facevano temere un rottura, sconosciuta nei palazzi europei, dove tutto si ricompone sempre.
Giuseppe Conte porta a casa un accordo sui migranti che nulla concede all'emergenza nazionale.
Carlo Marroni
L’accordo però fissa principi inediti e soprattutto apre un varco alla politica interna del governo Lega-M5S nell’approccio ai nuovi arrivi dall’Africa. La differenza la fanno i dettagli e, alla sua prima vera prova in un summit a 28, il professore non torna a casa a mani vuote. Il percorso che ha portato alla firma delle conclusioni è stato accidentato, fatto di bilaterali apparentemente molto positivi, di pre-vertici burrascosi e improduttivi, di un enorme lavoro degli sherpa. La minaccia di un veto se si fosse superata la “linea rossa”, rappresentata da un finora assente impegno comune sul tema degli sbarchi (“movimenti primari” in burocratese) è stata una tattica negoziale, ma in linea con l’approccio dell’esecutivo giallo-verde, che proprio nell’Europa della tecnocrazia vuole affermare lo scarto dal passato. Cosa è accaduto davvero all’ultimo piano dell’Europa Building nelle quattordici ore di negoziato, di cui otto sui migranti? La narrazione ha dato a Emmanuel Macron il merito di aver cercato e trovato un punto di caduta con Conte. In realtà è stata Angela Merkel a tirate le fila, assicurando a Conte un impegno all’inizio del vertice, in 40 minuti di faccia a faccia. Tanto che, saputo dell’incontro, anche il presidente francese lo ha sollecitato, ma non si è svolto. In gioco c’è il destino di milioni di persone in fuga da continenti in guerra e allo stremo, ma alla fine sono i leader che fanno e disfano, e questi hanno visto la strada da percorrere. La signora Merkel aveva bisogno di un accordo da portare ai bavaresi della Csu, e Macron non poteva permettersi una frattura in questa fase in cui rivendica per il sé il ruolo di Grande Riformatore. Ma entrambi non volevano concedere all’alleato della sponda Sud spazio che le rispettive politiche interne avrebbero condannato. Si arriva così alla “condivisione volontaria” che non è neppure un impegno. E lo stesso vale per la riforma di Dublino. Ma tant’è. Alla fine Macron ricorda che nulla cambia (Conte risponde per le rime, e tutto forse ricomincia da capo) e la signora Merkel annuncia che ha raggiunto accordi bilaterali con Spagna e Grecia sui migranti, due paesi mediterranei: tra Berlino e Madrid c’è un legame ventennale, e con Atene ha gioco facile andare ad accordi dopo il doloroso programma di aggiustamento economico. Cosa significa per Conte e per il governo tutto questo? L’accordo riconosce alcuni principi, ma l’Italia risulta un po' più isolata e alla quale oggettivamente mancano solidi punti di riferimento. Questo vertice ha messo in luce come l’esecutivo “del cambiamento” si sia dovuto misurare con dinamiche abbastanza diverse da quelle della politica interna, anche se sono le opinioni pubbliche nazionali a dettare le agende sui temi sensibili e oramai anche in quelli meno attraenti, come l'unione bancaria. Lo si è visto con i fallimenti bancari e le regole sul “common backstop”. Ma questo è un rischio difficile da calcolare: fare la voce grossa con giganti va bene per farsi rispettare quando serve, ma in questi contesti espone a reazioni che poggiano sulle stesse dinamiche di consenso interno. Così è stato con il professore non torna a mani vuote I toni duri della vigilia facevano temere un rottura, sconosciuta nei palazzi europei, dove tutto si ricompone sempre. Giuseppe Conte porta a casa un accordo sui migranti che nulla concede all’emergenza nazionale. Continua a pagina 2
Carlo Marroni Continua da pagina 1 L’accordo però fissa principi inediti e soprattutto apre un varco alla politica interna del governo Lega-M5S nell’approccio ai nuovi arrivi dall’Africa. La differenza la fanno i dettagli e, alla sua prima vera prova in un summit a 28, il professore non torna a casa a mani vuote. Il percorso che ha portato alla firma delle conclusioni è stato accidentato, fatto di bilaterali apparentemente molto positivi, di pre-vertici burrascosi e improduttivi, di un enorme lavoro degli sherpa. La minaccia di un veto se si fosse superata la “linea rossa”, rappresentata da un finora assente impegno comune sul tema degli sbarchi (“movimenti primari” in burocratese) è stata una tattica negoziale, ma in linea con l’approccio dell’esecutivo giallo-verde, che proprio nell’Europa della tecnocrazia vuole affermare lo scarto dal passato. Cosa è accaduto davvero all’ultimo piano dell’Europa Building nelle quattordici ore di negoziato, di cui otto sui migranti? La narrazione ha dato a Emmanuel Macron il merito di aver cercato e trovato un punto di caduta con Conte. In realtà è stata Angela Merkel a tirate le fila, assicurando a Conte un impegno all’inizio del vertice, in 40 minuti di faccia a faccia. Tanto che, saputo dell’incontro, anche il presidente francese lo ha sollecitato, ma non si è svolto. In gioco c’è il destino di milioni di persone in fuga da continenti in guerra e allo stremo, ma alla fine sono i leader che fanno e disfano, e questi hanno visto la strada da percorrere. La signora Merkel aveva bisogno di un accordo da portare ai bavaresi della Csu, e Macron non poteva permettersi una frattura in questa fase in cui rivendica per il sé il ruolo di Grande Riformatore. Ma entrambi non volevano concedere all’alleato della sponda Sud spazio che le rispettive politiche interne avrebbero condannato. Si arriva così alla “condivisione volontaria” che non è neppure un impegno. E lo stesso vale per la riforma di Dublino. Ma tant’è. Alla fine Macron ricorda che nulla cambia (Conte risponde per le rime, e tutto forse ricomincia da capo) e la signora Merkel annuncia che ha raggiunto accordi bilaterali con Spagna e Grecia sui migranti, due paesi mediterranei: tra Berlino e Madrid c’è un legame ventennale, e con Atene ha gioco facile andare ad accordi dopo il doloroso programma di aggiustamento economico. Cosa significa per Conte e per il governo tutto questo? L’accordo riconosce alcuni principi, ma l’Italia risulta un po' più isolata e alla quale oggettivamente mancano solidi punti di riferimento. Questo vertice ha messo in luce come l’esecutivo “del cambiamento” si sia dovuto misurare con dinamiche abbastanza diverse da quelle della politica interna, anche se sono le opinioni pubbliche nazionali a dettare le agende sui temi sensibili e oramai anche in quelli meno attraenti, come l'unione bancaria. Lo si è visto con i fallimenti bancari e le regole sul “common backstop”. Ma questo è un rischio difficile da calcolare: fare la voce grossa con giganti va bene per farsi rispettare quando serve, ma in questi contesti espone a reazioni che poggiano sulle stesse dinamiche di consenso interno. Così è stato con Macron, che per andare incontro al pensiero dominante della rive gauche si è messo alla testa della difesa mediatica dei diritti dei migranti sul caso Acquarius, senza per questo accogliere la nave in un porto francese o tantomeno cambiare la legge che ha dato una stretta proprio all’accoglienza. Un banco di prova per il governo Conte sarà la presidenza di turno austriaca: Salvini guarda al cancelliere Kurz come un modello di intransigenza con cui fare un asse (insieme al bavarese Seehofer) ma nelle stanze europee sono pronti a scommettere che il giovane leader austriaco cambierà molto i suoi toni. Forse è l’occasione per il governo per ridisegnare una politica di alleanze a più largo spettro, iniziando proprio da Bruxelles.
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Carlo Marroni Macron, che per andare incontro al pensiero dominante della rive gauche si è messo alla testa della difesa mediatica dei diritti dei migranti sul caso Acquarius, senza per questo accogliere la nave in un porto francese o tantomeno cambiare la legge che ha dato una stretta proprio all’accoglienza. Un banco di prova per il governo Conte sarà la presidenza di turno austriaca: Salvini guarda al cancelliere Kurz come un modello di intransigenza con cui fare un asse (insieme al bavarese Seehofer) ma nelle stanze europee sono pronti a scommettere che il giovane leader austriaco cambierà molto i suoi toni. Forse è l’occasione per il governo per ridisegnare una politica di alleanze a più largo spettro, iniziando proprio da Bruxelles.
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