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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 317933 volte)
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« Risposta #495 inserito:: Marzo 31, 2014, 10:52:28 am »

Yes we can, ma Gesù prese anche il bastone

di EUGENIO SCALFARI
30 marzo 2014
   
IL GOVERNATORE della Banca d’Italia, ricordando Guido Carli alla Luiss, ha citato una delle frasi che ripeteva più spesso: «Dobbiamo liberarci dai lacci e lacciuoli che rallentano lo sviluppo dell’economia italiana».

Fui molto amico di Carli e la ricordo anch’io quella frase; i lacci e lacciuoli designavano gli strumenti di cui si servivano le corporazioni, le confraternite del potere, le lobby, gli interessi particolari che spesso avevano la meglio sull’interesse generale e che sussistevano in Italia anche dopo la nascita del mercato comune europeo. L’economia del nostro Paese era in gran parte configurata dall’esistenza di un sistema oligopolistico che creava una serie di ostacoli alla libera concorrenza, al centro del quale chi dava le carte erano la Fiat e l’industria elettrica. Con l’inizio del centrosinistra la vera e anzi unica novità voluta dai socialisti e soprattutto dal leader della sinistra Riccardo Lombardi fu la nazionalizzazione dell’industria elettrica spezzando in questo modo il monopolio più importante mentre l’Europa si apriva anche al mercato internazionale.

Il sindacato operaio di quell’epoca non rientrava affatto nell’elenco delle lobby; rappresentava la classe operaia, i suoi interessi e i suoi valori, ma essi non erano affatto contrari a quelli dello Stato. Luciano Lama nei momenti di difficoltà economica gestiva una politica di moderazione salariale e la stessa politica fu anche quella di Berlinguer e di Giorgio Amendola. La moderazione salariale dei sindacati fu riconosciuta più volte nelle relazioni dei governatori della Banca d’Italia, a cominciare addirittura da Menichella e poi da Carli, da Baffi e da Ciampi.

I lacci e lacciuoli di oggi esistono in un mondo la cui struttura economica e sociale è profondamente cambiata: la popolazione è invecchiata, i giovani tra i 16 e i 29 anni rappresentano meno di un terzo della popolazione, le imprese di grandi dimensioni sono quasi tutte scomparse, le medie imprese devono affrontare mercati dove il costo del lavoro è decisamente più basso che da noi, la delocalizzazione è diventata una prassi, le imprese piccole soffrono di un credito in continua diminuzione e con elevati tassi di interesse, gli imprenditori da trent’anni investono sempre di meno impiegando capitale e dividendi soprattutto nella finanza e sempre meno nell’industria; per conseguenza la base occupazionale si è ristretta e la produttività è fortemente diminuita, il sindacato rappresenta soprattutto i pensionati, la classe operaia come aristocrazia del lavoro non esiste più perché i contratti sono diventati individuali o di piccole categorie diverse tra loro.

Queste sono le condizioni con le quali i lacci e lacciuoli dell’epoca di Carli non esistono più ed hanno cambiato natura. Forse Ignazio Visco avrebbe dovuto spiegarlo alla platea che lo ascoltava.

I lacci e lacciuoli di oggi sono soprattutto la mescolanza tra finanza privata e politica, la carenza di innovazioni nelle manifatture, la scarsità del credito, la corruzione e l’evasione e infine, non ultimo, le mafie.

I contratti aziendali sono una forma idonea per risvegliare le manifatture e le imprese medio-piccole, ma al sindacato resta comunque un compito essenziale: vigilare sui diritti dei lavoratori che non debbono essere lesi ma semmai rafforzati e allargati anche nelle imprese medio-piccole. E al sindacato resta anche il compito e il ruolo di controparte per quanto riguarda il nuovo “welfare” e i nuovi ammortizzatori sociali.

Il governo sembra indirizzato a realizzare questi obiettivi ma non riconosce al sindacato il ruolo decisivo che abbiamo ora indicato. È un grave errore e basterebbe guardare alla funzione dei sindacati in Germania per rendersene conto.

«Yes we can» ha detto Renzi nel suo recente incontro con Obama facendo proprio lo slogan con il quale il senatore di Chicago vinse la sua battaglia per diventare presidente degli Stati Uniti. «Yes we can», ma che cosa esattamente? Adesso si applicherà il decreto di Enrico Letta sul tetto da porre alle retribuzioni dei dirigenti di imprese pubbliche. Sull’occupazione giovanile la legge di Letta ha già prodotto nuovi posti di lavoro per 14 mila giovani e nel 2015 la proiezione statistica prevede un risultato che arriverà ai 60-90 mila. Renzi non lo dice, ma finora i risultati concreti provengono dalle iniziative del suo predecessore. Ora aspettiamo le iniziative che Renzi promette che sono buone e concrete. Do you can? Vi guarderemo con attenzione, ma dovremo aspettare un bel po’ perché la bacchetta magica neanche Renzi ce l’ha.
***
Tuttavia, anche se ho cominciato dal “We can” renziano, non è questo il tema principale di questo articolo. Il tema è Gesù che prende il bastone e bastona cacciando dal tempio gli scribi e i farisei che interpretano malissimo la legge di Dio e i corrotti che hanno gestito i loro sporchi commerci addirittura nei luoghi sacri del popolo di Israele.

Gesù che bastona è stato riportato d’attualità alle sette del mattino del giorno in cui Obama è arrivato a Roma per la sua breve ma intensa visita in Vaticano, al Quirinale e a Villa Madama con Renzi. Alle sette del mattino Papa Francesco aveva convocato a messa in San Pietro 500 membri del Parlamento e tutti i ministri del governo e li ha bistrattati di santa ragione. Non li ha abbracciati, non li ha perdonati, non li ha salutati. Li ha soltanto bastonati.

Il circuito mediatico giornalistico e televisivo, con l’eccezione di pochissimi giornali e di Enrico Mentana, ha sottovalutato quella messa molto particolare di Papa Francesco. Il motivo credo sia quello che le parole del Papa potevano esser ritenute simili agli slogan di Grillo, ma non è così. Grillo straparla contro la casta ma ne fa sostanzialmente parte specie quando si impegna ad abolire la libertà di mandato dei parlamentari per meglio tenerli in pugno impedendo proprio a loro la libertà d’opinione. Il Papa invece parlava ai politici italiani di una battaglia che Lui a sua volta sta combattendo in Vaticano contro tutte le forme di temporalismo.

Il potere temporale, così pensa il Papa, ha deturpato la Chiesa per secoli e secoli se non addirittura per oltre un millennio.

Francesco ritiene che la Chiesa non debba essere sporcata e deformata da questo peccato capitale. Ecco la rivoluzione che da un anno sta conducendo e che dovrebbe avvenire anche nel Paese che è la sede del Papato. Di qui la sua invettiva di giovedì scorso. I media hanno privilegiato Obama ma hanno sbagliato. Il presidente Usa è stato a Roma poco più di 36 ore, ha visto a lungo Napolitano, a lungo Papa Francesco, un po’ meno lungamente il presidente del Consiglio, ha visto il Colosseo e sul predellino dell’aereo il sindaco Marino con tanto di fascia tricolore.

Ma Francesco resta qui, per nostra fortuna. È dolce e mite come il suo Gesù Cristo, ma come Lui quando è necessario impugna il bastone e bastona. Lo fa in Vaticano, lo fa in San Pietro, lo fa con la Curia e lo fa con il Parlamento del paese nella città di cui è il Vescovo; ma il bastone che impugna riguarda il peccato del mondo, il solo vero peccato che mette il mondo fuori dalla grazia e dal bene.

Questo è il suo insegnamento e questa è la sua rivoluzione.

***
Ho incontrato papa Francesco qualche giorno fa, era il 18 marzo scorso, gli avevo chiesto quell’incontro come già accaduto altre volte, non per scriverne raccontando quel che c’eravamo detti, ma per proseguire il dialogo tra Lui e un non credente come io sono. Poi ho scritto raccontando quel dialogo, ma soltanto per me, per ricordare a me i pensieri che ci siamo scambiati. Ma uno di quei pensieri lo voglio qui riferire perché è strettamente pertinente con quello che ha detto alla messa di giovedì scorso. Ha detto: «In tutte le decisioni che ciascuna persona prende esiste il rischio che le sue convenienze personali e di gruppo prevalgano su considerazioni più alte. Ricordo questi versi di Dante: “Ahi Costantin di quanto mal fu matre...” Quei versi ricordano l’editto dell’imperatore Costantino che nel 313 d. C. fece una donazione alla Chiesa e ne autorizzò il culto, anzi lo fece proprio inserendo la croce sui suoi vessilli. Il peccato del mondo è l’ingiustizia e la prevaricazione. Io la chiamo concupiscenza, cupidigia del potere, desiderio di possesso. Questo è il peccato del mondo che noi combattiamo da due diverse sponde».

Questo pensiero è il medesimo che ha ispirato il Papa nell’allocuzione fatta in San Pietro ai membri del Parlamento italiano e probabilmente ad Obama che ha incontrato poche ore dopo. Obama lo sa anche lui che nel suo paese ha combattuto e combatte questa battaglia.

Se tutti i detentori del potere lo usassero per realizzare questa finalità, il mondo affronterebbe quella che Berlinguer chiamò la questione morale. Due domeniche fa, rievocando Berlinguer, scrissi che tra lui e Francesco esistono molti punti in comune ed è vero.

Pensateci, pensateci a lungo e non scordatevene voi che avete il potere. È vero, «You can», ma Gesù a volte prende il bastone. Anche chi non crede, questa verità la conosce, la condivide e non se la scorda.
© Riproduzione riservata 30 marzo 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/03/30/news/yes_we_can_ma_ges_prese_anche_il_bastone-82275650/?ref=HRER2-1
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« Risposta #496 inserito:: Aprile 11, 2014, 11:35:41 pm »

Eugenio Scalfari
Vetro soffiato

Nei romanzi è nascosto il segreto dell’io
Giudicare se stessi in modo oggettivo è un’arte difficile da mettere in pratica.
Ma può venirci in soccorso la grande letteratura
   
Mantengo l’appuntamento che avevo dato in questa pagina due settimane fa; allora avevo scritto alcuni miei pensieri sul viaggio che ciascuno di noi compie nel mondo che ci circonda. Oggi racconto il viaggio che ho effettuato dentro me stesso. Non c’è ovviamente niente di eccezionale in queste due dimensioni della propria vita e nel raccontarne lo svolgimento; coincidono con la vita di ciascuno, quella vita terrena che tutti sappiamo essere un transito con un inizio e una fine.

Quello che avviene nel mondo che ci circonda ciascuno in qualche modo se lo ricorda; l’altro, quello dentro di sé, non tutti sono consapevoli di farlo e quindi non tutti se lo ricordano e pochi lo mettono sotto esame. Lo fanno, ma spesso senza saperlo e quindi senza ricordarlo se non in alcuni tratti principali: il rapporto con i genitori, con i fratelli e le sorelle, gli amici più vicini e più fedeli, il primo amore e quelli successivi, i propri figli, i propri nipoti, ma per quello che sono non per quello che hanno significato per noi.

È questo il viaggio dentro di noi?  Non esattamente. Diciamo che queste ne sono le premesse, ma la vera essenza consiste nel capire come e perché questi eventi ci hanno cambiati.

All’inizio dei suoi “Essais” Montaigne avverte i lettori che in quel libro parlerà soltanto di se stesso. Perciò li avverte: se quest’argomento non vi interessa è inutile che proseguiate la lettura, chiudete il libro e basta così. Ma se invece il tema vi incuriosisce sappiate che io non vi racconterò la mia storia ma piuttosto un passaggio perché ciascuno di noi cambia continuamente, non è mai lo stesso di prima e anche la memoria cambia, il mondo del nostro passato ci appare col trascorrere del tempo in modo diverso da come lo ricordavamo qualche anno prima. Questo è il passaggio di cui parla Montaigne.

Vogliamo dire un nome che meglio orienti chi si sofferma su questi problemi? Diciamo psicanalisi e facciamo il nome di Freud e della sua scuola che è stata al tempo stesso una terapia che cura alcuni disturbi mentali e una filosofia che serve a mettere in luce quel passaggio del quale scrive Montaigne.

La psicanalisi presuppone il confronto tra due persone: l’analista e l’analizzato. Ma è possibile l’autoanalisi? È possibile che una persona analizzi se stessa? Il viaggio dentro di sé è appunto un’autoanalisi ma è evidente che questo procedimento solitario presenta notevoli rischi il primo dei quali è il giustificazionismo. Noi tendiamo, ma naturalmente senza saperlo, a giustificare noi stessi, a non cogliere i nostri difetti, a rimuovere le nostre cattive azioni verso il prossimo privilegiando invece le nostre virtù o chiamando tali quelle che un altro giudicherebbe invece debolezze, vizi o addirittura malvagità.

Insomma un giudizio presuppone un giudice. L’analisi è fatta, come sappiamo, da due persone. La confessione, che è un sacramento cristiano, si svolge anch’essa tra un penitente ed un confessore. L’autoanalisi la fa una sola persona che riassume in sé l’imputato e il giudice, il paziente e il medico, il penitente e il confessore.

Il rischio l’abbiamo già detto, è la tendenza a rimuovere gli aspetti sgraditi o a giustificarli adducendo circostanze interpretate secondo la propria convenienza. Il tutto - non dimentichiamolo - avviene inconsapevolmente perché è la nostra natura che guida e anche la verità è relativa.
Qual è il rimedio per evitare un’eccessiva distorsione della verità e recuperare nella misura del possibile l’oggettività dell’analisi?

Il rimedio è quello di pensare noi stessi come oggetto, il che significa usare il pensiero come strumento spassionato di indagine su noi stessi. Distaccare la mente dall’io e mettere l’io sotto esame. È possibile?

Teoricamente sì, è possibile. Come tutti sappiamo, ciò che distingue la specie umana dalle altre specie animali è proprio il pensiero, la psiche, la mente riflessiva, la consapevolezza di avere un io. Questo fu l’“homo sapiens” quando l’evoluzione rese possibile all’uomo di alzarsi in piedi e di guardare le stelle e poi di scoprire che esiste il tempo, che il tempo trascorre attimo per attimo, che il nostro corpo invecchia e invecchiano le cellule che lo compongono, e infine che noi moriremo perché tutte le cose che hanno un inizio hanno anche una fine.

Lo strumento per l’autoanalisi è dunque questo: la mente che teoricamente è in grado di distaccarsi dall’io e di sottoporlo ad un esame né malevolo né benevolo ma oggettivo.

Si fa presto a dirlo, assai più difficile farlo. Che cosa può aiutarci? Spero non si stupiscano i lettori se dico ci può aiutare la letteratura, il romanzo, il racconto. La ragione è semplice: l’autore d’un romanzo crea i personaggi e li fa agire. Accadono fatti, si accendono sentimenti, si scatenano passioni d’amore, di odio, di potere, si descrivono concupiscenze, crimini, carità, solidarietà. Tutte queste vicende nascono nella mente dell’autore e dal talento che ha nel raccontare, ma è evidente che l’autore trae da se stesso, dalla propria esperienza, dal proprio vissuto la guida per muovere i suo personaggi.

La grande letteratura è questo, i grandi scrittori sono questo: testimonianze, spesso anch’esse inconsapevoli, del proprio se stesso calato in personaggi creati, inesistenti, ma quanto mai significativi. I “Promessi sposi”, la “Recherche du temps perdu”, “Anna Karenina”, “Delitto e castigo” e tantissimi altri non sono che una sorta di autoanalisi che l’autore mette a disposizione dei suoi lettori.
La cultura nasce dalla vita e a sua volta aiuta a vivere.
31 marzo 2014 © Riproduzione riservata

Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2014/03/26/news/nei-romanzi-e-nascosto-il-segreto-dell-io-1.158593
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« Risposta #497 inserito:: Aprile 21, 2014, 11:18:44 pm »

Questa volta il premier mi piace ma...
di EUGENIO SCALFARI
20 aprile 2014
   
Oggi è Pasqua. Per i cristiani è il giorno dedicato alla Resurrezione, ma il Resurrexit riguarda tutti perché ciascun individuo, ciascun popolo, ciascuna generazione attraversano nel corso della loro vita momenti di pena, di abbattimento, di disperazione e di smarrimento della speranza per il futuro.

Gran parte del mondo, l'Europa e l'Italia in particolare, stanno vivendo un momento di crisi profonda e per questo il Resurrexit, incitando a risorgere, rappresenta uno stimolo che va accolto e seguito.

Papa Francesco l'ha ricordato ed in molte occasioni ne ha anche indicato gli aspetti morali che riassumo con le sue parole da me direttamente ascoltate: "Ama il prossimo tuo più di te stesso". Questa è l'indicazione, valida per i credenti e per i non credenti. Valida, anzi obbligatoria soprattutto per i Governi, per le istituzioni e per tutti quelli che operano per realizzare una visione del bene comune. Ama il prossimo tuo più di te stesso significa, in politica, aiutare i deboli, i poveri, gli esclusi, i vecchi che trascinano la vita che gli resta e i giovani che debbono costruirla apprendendo e facendo crescere i loro talenti.

Mai come oggi abbiamo bisogno di risorgere e di conquistarci un futuro. Questo è il metro per capire e obiettivamente giudicare quanto avviene nel nostro Paese che è al tempo stesso l'Italia e l'Europa.

****
Il Resurrexit dell'altro ieri nella politica italiana ed anche europea ha il nome di Matteo Renzi. A me di solito non piace e l'ho scritto e detto molte volte.

Riconosco le sue doti di comunicatore e di seduttore; da questo punto di vista è il figlio buono di Berlusconi come anche il capo di Forza Italia ha riconosciuto più volte. Buono perché è molto più giovane di lui e soprattutto perché non ha gli scheletri nell'armadio che abbondano invece in quello dell'ex Cavaliere di Arcore.

Ha coraggio ed ama il rischio, ma politicamente improvvisa e spesso le sue improvvisazioni sono fragili, pericolose e preoccupanti.
La sua operazione di taglio del cuneo fiscale è preoccupante: appartiene a quel tipo d'intervento, specie per quanto riguarda le coperture, gran parte delle quali scricchiolano, cartoni appiccicati l'uno all'altro con le spille che spesso saltano via; sicché non è affatto sicuro che convinceranno le autorità europee a dare via libera e concedergli di rinviare a due anni il rientro nel limite del 3 per cento del rapporto tra il Pil e il deficit del debito pubblico.

E poi: la tassa sulle banche è retroattiva e comunque è una una tantum non ripetibile, i tagli della Difesa sono rinviati ma non aboliti; il maggior incasso dell'Iva è un anticipo d'un anno e ce lo troveremo sul gobbo nel 2015; il pagamento dei debiti alle aziende creditrici, che doveva essere almeno di 17 miliardi, è stato ridotto a 7. Infine gli incapienti con redditi inferiori agli 8 mila euro annui e quindi esentati dal pagamento dell'Irpef avrebbero dovuto precedere per evidenti ragioni di equità il bonus in busta paga che premia i redditi superiori. Senza dire dei contributi da parte dei Comuni il cui pagamento però può essere accompagnato dall'aumento delle imposte comunali che potrebbero vanificare o ridurre fortemente il bonus di 80 euro in chi in quei Comuni risiede.

Questi aspetti negativi sono stati ampiamente segnalati nei loro articoli di ieri dai colleghi Boeri, Fubini, Bei, De Marchis, Conte, sul nostro giornale e da Dario Di Vico sul Corriere della Sera, dando un bilancio nettamente negativo dell'operazione.

Eppure a me questi vari e sconnessi cartoni appiccicati con le spille piacciono. Insolitamente lo trovo soddisfacente nonostante le numerose insufficienze che ho appena segnalato.

La ragione è semplice da segnalare: è una sveglia, uno squillo di tromba in un disperato silenzio di sfiducia e di indifferenza. Probabilmente sposterà voti nelle prossime consultazioni europee pescando nell'elettorato dei non votanti, degli indecisi, dei grilli scontenti, dei berlusconiani delusi e tratterrà in favore del Pd tutti gli elettori incerti e critici di una leadership accentratrice e assai poco sensibile ad un lavoro di squadra che non sia ristretta al cerchio magico degli yes man che restano intorno al giovane fiorentino.

Si è detto da molte parti che l'operazione del bonus in busta paga non è un programma organico ma uno spot elettoralistico. È esattamente così e venerdì sera nella trasmissione Otto e mezzo l'ha ammesso lo stesso sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, che del cerchio magico è indiscutibilmente il capo. Concordo con lui: è uno spot elettorale che forse, speriamolo, diventerà un programma pensato e strutturato nel 2015.

Ma se, come i sondaggi indicano, il risultato elettorale del 25 maggio vedrà il Pd al primo posto, largamente davanti a Forza Italia e a Grillo, quel risultato non sarà soltanto un effimero successo di Renzi che certamente soddisferà il suo amor proprio; ma cambierà anche i rapporti di forza nella politica italiana e la posizione del nostro paese nella politica europea; aumenterà il nostro prestigio all'interno del Partito socialista europeo; rafforzerà la posizione di Schulz che corre proprio in quei giorni per conquistare la poltrona di presidente della Commissione di Bruxelles; rafforzerà il baluardo contro i populismi anti-europei o euroscettici opponendo ad essi un altro tipo di populismo che in questo caso è costruttivo; relegherà i berluscones ad un ruolo marginale incoraggiando uno schieramento liberal-moderato attorno al centrodestra di Alfano, Lupi, Cicchitto, Quagliariello.

Se vogliamo dire tutto dobbiamo anche aggiungere che il percorso di cui Renzi si è servito per costruire il suo spot era già stato avviato e in molti settori anche portato a termine e contabilizzato in appositi atti legislativi dal governo di Enrico Letta. Di questo ci si scorda spesso ed è un grave errore perché Letta è stato e rimane una delle figure importanti della politica italiana ed europea. Gli si può rimproverare di non aver fatto squillare la tromba per risvegliare i dormienti, ma la ragione c'è: Letta non è un uomo da spot. Preparava un programma che, se fosse rimasto in sella, avrebbe trovato piena applicazione durante il semestre di presidenza europea assegnato all'Italia, anche se alcuni segnali di ripresa si erano già verificati con l'aumento della produzione industriale e la diminuzione del fabbisogno di bilancio di 5 miliardi rispetto all'anno precedente. Del resto è stato proprio Delrio a dirci che lo spot renziano diventerà un programma strutturato nel 2015. Le date oltreché i contenuti coincidono con quelli di Letta, ma la sveglia non ha squillato. La differenza è questa, determinata dalle diversità caratteriali di quelle due personalità.

C'è un terzo uomo che in qualche modo le riassume tutte e due nei loro aspetti positivi ed è Walter Veltroni. E ce n'è un quarto che non va dimenticato e si chiama Romano Prodi. Un quartetto niente male per risvegliare gli animi del Bel Paese, specie se troveranno tra loro un modus vivendi che eviti esiziali lotte intestine.
****
Penso d'aver spiegato finora le prime quattro righe del titolo di quest'articolo; resta però il "ma" dell'ultima riga ed è quello che ora debbo chiarire ai miei lettori. Quel "ma" riguarda le riforme istituzionali e in particolare quella del Senato. Ne ho già parlato domenica scorsa ma ritengo opportuno tornarci di nuovo poiché tra pochi giorni dovrà essere votata in prima lettura al Senato e la sua importanza è essenziale.
Quella del Senato non è un riforma importante ma limitata ad un settore specifico della vita sociale. Quella del Senato riguarda l'architettura costituzionale che sorregge lo Stato di diritto e cioè il rapporto e la separata autonomia dei poteri costituzionali: il Legislativo, l'Esecutivo, il Giudiziario. La Corte costituzionale tutela il principio sul quale si fonda lo Stato di diritto e la Costituzione che lo accoglie nei suoi principi e ne articola gli effetti. Il Legislativo approva le leggi proposte dal Governo o dai propri membri o direttamente dall'iniziativa dei cittadini ed è l'espressione del popolo sovrano; controlla l'efficienza e il coretto esercizio del potere Esecutivo. Il potere Giudiziario dirime sulle basi della legislazione esistente i conflitti tra i cittadini ed anche tra essi e la pubblica amministrazione. Il Capo dello Stato non fa parte di alcun potere ma valuta nel momento della promulgazione da lui firmata la conformità delle leggi alla Costituzione e coordina la leale collaborazione tra governo e Parlamento, fermo restando il potere definitivo della Corte.

Queste sono le premesse che fanno del Senato uno degli organi del potere Legislativo previsto dalla Costituzione del 1947 ma esistente anche nello Statuto Albertino, composto da senatori a vita di nomina regia.

La Costituzione repubblicana che prevede un Senato eletto dal popolo, con in più i presidenti della Repubblica che hanno terminato il loro mandato e cinque senatori a vita nominati dal Capo dello Stato sulla base di meriti culturali da lui valutati, può certamente esser modificato nelle sue attuali competenze, ma non credo possa essere abolito o privato di competenze che di fatto equivalgano all'abolizione. Una decisione del genere sulla base dell'articolo 38 metterebbe infatti in crisi l'intera architettura costituzionale e dovrebbe essere quindi accompagnata da una serie di contrappesi tali da modificare l'intera struttura su cui poggia la Repubblica.

Il progetto Renzi-Berlusconi prevede in realtà proprio questo: la riduzione del Senato ad organo competente soltanto ad intervenire sui poteri, gli interessi e la legislazione degli Enti locali. Il rapporto tra tali Enti e lo Stato sono invece rimessi alle Conferenze Stato-Regioni e Stato-Comuni per cui un'eventuale competenza del Senato nella sua nuova configurazione sarebbe soltanto un inutile duplicato.

Come se non bastasse a questa diminutio, un'altra se ne aggiunge: i membri del Senato, ridotti di numero come opportunamente dovrebbe avvenire anche per la Camera dei deputati, sarebbero composti dai governatori di alcune Regioni e dai sindaci di alcuni Comuni nonché dai presidenti dei Consigli regionali e comunali, conservando le loro cariche originarie e assumendo anche la nuova senza alcun compenso aggiuntivo. Ma con un effetto politico rilevante: poiché attualmente Regioni e Comuni sono in larghissima prevalenza guidati dal Pd, il nuovo Senato sarebbe di fatto dominato dal Pd e una formazione politica che allo stato attuale non ha nessun governatore e quasi nessun sindaco, e cioè il Movimento 5 Stelle che raccolse nelle ultime elezioni politiche dello scorso febbraio il 29 per cento dei voti e che i sondaggi attuali per le Europee collocano al secondo posto dopo il Pd, risulterebbe escluso dal futuro Senato. Non sarebbe una gran perdita, visto che si tratta di una scatoletta vuota, ma comunque non sopportabile e probabilmente incostituzionale perché modificherebbe totalmente il criterio della rappresentanza che è un requisito di pari importanza (se non addirittura superiore) a quello della governabilità.

Siamo tutti d'accordo di modificare il Bicameralismo perfetto, riservando alla sola Camera dei deputati il potere di accordare o togliere la fiducia parlamentare ai Governi. Ma non siamo per niente d'accordo di ridurre il Senato a una scatola semivuota, tanto più in una fase in cui si parla di instaurare un "premierato" che accresca fortemente i poteri dell'Esecutivo. Ipotesi a mio avviso valida ma che ha bisogno di veder rafforzati i poteri di controllo del Legislativo e in particolare del Senato proprio perché questa Camera alta debitamente eletta dal popolo sovrano non dà la fiducia al Governo e quindi è la più idonea a controllare la pubblica amministrazione.

La senatrice a vita Elena Cattaneo ha già presentato uno studio molto accurato e ricco di proposte in merito. Andrebbe esaminato, eventualmente integrato con altri suggerimenti e messo in discussione nell'imminente esame dello stesso Senato sul disegno di legge Renzi-Berlusconi che personalmente mi permetto di definire una "porcata" così come la Corte costituzionale definì la legge elettorale di Calderoli finalmente abolita.

Il Presidente della Repubblica di solito non interviene in questioni di leggi elettorali, salvo quando si tratta di riformarle per non lasciare il Parlamento in una situazione anomala. Personalmente credo che sia competente ad esprimere le sue idee su una vera e propria decapitazione del Senato, organo sostanziale nell'architettura costituzionale e credo anche che possa e debba intervenire sul modo di reclutamento dei senatori. Già si espresse evidenziando la necessità di modificare il Bicameralismo perfetto ma nulla ha ancora detto sulla scatola vuota e sull'elezione di secondo grado inflitte alla Camera alta che diventerà non bassa ma bassissima e duplicata dalla Conferenza tra Stato ed Enti locali. Una sua opinione sarebbe di essenziale importanza.

© Riproduzione riservata 20 aprile 2014
Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/04/20/news/questa_volta_il_premier_mi_piace_ma_-84053027/?ref=HREA-1
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« Risposta #498 inserito:: Aprile 25, 2014, 06:22:57 pm »

Caro Padoan, facciamo gli scongiuri
Tutto riposa sulla presunzione che gli 80 euro in busta paga aumenteranno la domanda, cioè i consumi.
Una presunzione non è però certezza

di EUGENIO SCALFARI

Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, mi ringrazia per averlo esortato a chiarire più diffusamente la politica economica da lui adottata per ridare speranza agli italiani modificando positivamente le loro aspettative ad un futuro meno buio del loro disagiato presente e per recuperare un'equità fin qui decisamente trascurata. A mia volta lo ringrazio per averci esposto la sostanza, il metodo e gli obiettivi che egli si propone di realizzare e che daranno frutti tra due o tre anni sostituendosi allo "spot" degli 80 euro nelle buste paga dei lavoratori dipendenti con redditi superiori agli 8 mila euro annui, fino ad un tetto di 24-26 mila euro.

Ciò premesso c'è un paio di questioni che desidero qui richiamare e che il ministro ha accennato sorvolandole un po' alla lontana. Mi sembra invece che occorra tenerle ben presenti e sottolinearle.

La prima riguarda appunto l'equità. Lo spot degli 80 euro ha trascurato i non capienti sotto gli 8 mila euro di reddito, i pensionati con modestissime pensioni, le partite Iva dei cosiddetti autonomi. C'è un buco non colmato che forse lo sarà nel 2015 senza però che ve ne sia certezza, così come non v'è certezza d'una riforma degli ammortizzatori sociali, cioè del nuovo welfare che dovrà sostituire l'antico spandendosi su una platea molto più vasta dell'attuale Cig. Padoan ammette che l'attuale taglio del cuneo fiscale è stato realizzato con coperture in larga misura posticce che saranno trasformate in un vero e proprio programma che lui ha già in mente ma sul quale è stato giustamente sobrio di notizie. Siamo tutti speranzosi e fiduciosi che sarà un buon programma. Perciò crepi il lupo e grideremo evviva a lui e al premier Matteo Renzi.

Quanto alla maggior flessibilità dell'Europa verso una politica di crescita, Padoan ne è certo. L'Italia lo chiede fin d'ora e il ministro ci informa che i presupposti ci sono già per quanto riguarda gli investimenti motivati dal lungo ciclo di depressione economica che non dipende da noi ma dall'intero mondo occidentale. L'Italia può sforare il bilancio perché quegli investimenti sono da tempo autorizzati dal trattato in vigore e non intaccano il paletto del 3 per cento rispetto al quale resteremo al di sotto.

Questa affermazione non è del tutto esatta e lo conferma il fatto che, con apposito voto del nostro Parlamento, il governo è stato autorizzato ad informare la Commissione europea degli investimenti che si accinge ad effettuare per rilanciare nei limiti del possibile la crescita e l'occupazione giovanile.

Saremo senz'altro autorizzati sempre che la Commissione ne approvi la quantità e le modalità nonché riforme che aumentino la competitività e semplifichino opportunamente le istituzioni.

Qualora però l'esistenza di queste condizioni non fosse ravveduta dalla Commissione non credo che il governo possa prenderle senza subirne alcune sanzioni. Se così non fosse non si vede il perché dell'informazione che l'Italia ha trasmesso alla Ue. Perciò aspetteremo e anche qui crepi il lupo poiché se non crepa lui qualcun altro creperebbe in sua vece e non sarebbe un bel vedere.

La seconda questione riguarda invece il pagamento di 20 miliardi dei debiti dello Stato, dei quali 8 alle aziende e gli altri ai Comuni e Regioni debitrici. È un flusso di liquidità preziosa per l'economia italiana, cui si aggiunge l'impegno che d'ora in avanti Stato ed Enti locali dovranno saldare i nuovi debiti a 60 giorni dalle relative fatture, non ricadendo nell'accumulo di altri pregressi.

Benissimo, ma dove prenderanno i soldi i debitori per rispettare quel limite di tempo? Questo Padoan non lo dice e resta un sospetto tutt'altro che marginale.

Ma c'è un altro punto sul quale il sorvolo non mi sembra giusto: le banche sconteranno i debiti certificati pagando le aziende in soldi contanti. Benissimo. Ma a loro volta le banche vanteranno un credito nei confronti del Tesoro. È un debito fuori bilancio e non intacca il paletto del 3 per cento, questo lo sappiamo, ma è pur sempre un debito dello Stato e nasconderlo sotto il tappeto non serve a nulla, il debito c'è e prima o poi dovrà essere onorato, non è vero?

Infine: tutto riposa sulla presunzione che gli 80 euro in busta paga aumenteranno la domanda, cioè i consumi. Una presunzione non è pero una certezza. Molti beneficiari potrebbero invece di spendere risparmiarli quei soldi investendoli in impieghi monetari o tenendoli in contanti sotto il materasso per spese straordinarie che si presentassero in futuro. E se fossero molti di quei 10 milioni di beneficiati? Se fossero la maggioranza? I consumi aumenterebbero molto poco. Qui non si tratta di far crepare il lupo, se a settembre i consumi non avranno registrato aumenti sensibili il governo dovrà andarsene a casa e sarebbe un vero guaio per tutti. Speriamo fortemente di no. I sondaggi dicono positivo, ma i sondaggi non sono un fatto, sono la scommessa che un fatto avverrà.

Caro Padoan, facciamo i debiti scongiuri e intanto diciamo insieme evviva la Roma che però sarà seconda. Noi speravamo di più ma non è accaduto.

(24 aprile 2014) © Riproduzione riservata

Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/04/24/news/scalfari_padoan-84310301/?ref=HRER1-1
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« Risposta #499 inserito:: Aprile 25, 2014, 06:24:20 pm »

Eugenio Scalfari
Vetro soffiato

Noi strane creature tra angeli e bestie
Siamo l’unico animale capace di osservarsi dall’esterno, grazie alla facoltà di pensare. Ma la mente umana è un mistero indecifrabile e oscilla sempre dalle aspirazioni spirituali agli istinti più bassi
   
Da tempo sostengo che noi umani siamo un animale assai strano, l’unico dotato d’un pensiero capace di guardare da fuori di sé in ogni attimo della vita e di cogliere i mutamenti che il passare del tempo produce nella tua persona: crescere, invecchiare, morire, ma anche amare, odiare, sfidare, vincere, perdere.

È certamente così e quando ne diventi consapevole credi d’aver raggiunto un risultato, una certezza, una verità. Ma se rifletti ancora un poco ti accorgi che non c’è alcuna certezza e alcuna verità che possano rassicurarti e darti quiete. Perciò il viaggio dentro di te deve continuare oppure chiudersi sapendo che ciò che credevi d’aver scoperto non ha alcun significato. A me sta accadendo questo. E me ne sono chiesto la ragione.

La risposta che mi sono dato deriva dal mutamento della mente con la quale mi osservo dal di fuori. L’osservazione avrebbe un senso se l’osservatore - cioè la mente - non fosse soggetta anch’essa al mutamento. Un orologio segna il tempo e il suo corso; la colonna di mercurio d’un termometro registra la febbre di un corpo. Si presume che questi strumenti siano inalterabili. Possono guastarsi ma vengono riparati oppure il guasto è irreparabile e allora si gettano via e sono sostituiti da altri che adempiono alla stessa funzione.

Ma il caso della mente non è questo. In realtà la mente di una persona non può esser sostituita. Se si guasta, ti guarda da fuori in altro modo o addirittura perde il suo ruolo. Si tratta in questi casi di malattie, transitorie o permanenti, disturbi mentali leggeri o gravissimi, nevrosi, depressioni, ubriachezza molesta, dipendenza da droghe o addirittura follia.

Se solo di questo si trattasse, esistono cure, disintossicanti oppure luoghi di ricovero che mettono quella persona fuori gioco.

Drammi e a volte tragedie, ma non è di queste anormalità, ben note da tempo, che mi sono impegnato a riflettere.

La mia riflessione riguarda una mente che non soffre di alcun disturbo eppure cambia. È un ordigno che ad un certo punto autodecide di registrare il tempo con una velocità diversa da quella del corpo e con una diversa sensibilità. La mente cioè ha una sua autonomia comportamentale perché anch’essa cresce ed invecchia come gli altri organi del corpo, ma non necessariamente in sintonia con essi.

Se la mente resta giovane e gli altri organi invecchiano, lei ti guarda con occhi diversi e viceversa se invecchia più velocemente degli altri organi. Non è ammalata ma cambia con autonomia così come autonomamente avviene il mutamento del resto di te.

Ho visto di recente un film che racconta di un uomo innamorato di una voce che esce da un computer. Lui sa bene che si tratta di uno strumento elettronico e non di una persona. Lo sa, ma quella voce che è stata programmata proprio per sedurre un uomo, è talmente perfetta per portare a termine il suo compito che lui se ne innamora con passione. S’innamora di un computer. La voce, cioè il computer, possiede anche una propria autonoma capacità sentimentale capace di innamorarsi anche lei dell’uomo e in uno slancio di sincerità gli confessa di essersi innamorata e ricambiata da altri 400 uomini con i quali parla contemporaneamente.

Ho citato questo film (intitolato “Lei”) perché rappresenta una simulazione molto efficace della mente delle persone, in grado di soddisfare sentimenti, desideri plurimi e simultanei.

La mente umana è dunque uno dei misteri del quale dobbiamo tener conto quando viaggiamo dentro di noi. Siamo un animale pensante a mezza strada tra la bestia e l’Angelo. Non ritorneremo mai più allo stadio animalesco e selvaggio e non raggiungeremo mai quello angelico. La nostra identità è in continua oscillazione e il pendolo non può fermarsi se non nel momento in cui la persona diventa una spoglia inanimata.
16 aprile 2014 © Riproduzione riservata

DA - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2014/04/09/news/noi-strane-creature-tra-angeli-e-bestie-1.160527
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« Risposta #500 inserito:: Aprile 28, 2014, 06:16:39 pm »

Guardiamo la fregata sul mare che sfavilla
Se i consumi restassero al palo la manovra di rilancio sarebbe fallita. Quand'anche riprendessero la nuova occupazione tarderà a venire

Di EUGENIO SCALFARI
27 aprile 2014

I versi del titolo che avete appena letto fanno parte della poesia "L'incontro de li Sovrani" che è tra i più divertenti componimenti di Trilussa e bene si attaglia ai temi che l'attualità politica ci presenta.

Il decreto che taglia di dieci miliardi il cuneo fiscale e li destina a dieci milioni di italiani lavoratori dipendenti sotto forma di bonus in busta paga nella misura di 80 euro al mese è già stato approvato dal Parlamento e pubblicato dalla "Gazzetta Ufficiale". Dunque è ormai legge dello Stato. Avrà esecuzione a partire dal primo maggio e gli 80 euro saranno pagati nelle buste paga del 27 di quel mese e così fino al 31 dicembre di quest'anno. Otto mesi, 640 euro in totale, destinati a chi è al lavoro almeno dal primo gennaio del presente anno.

Il beneficio è riservato ai percettori di un reddito superiore a 8mila euro annui fino ad un tetto di 24mila. Poi, da 24 a 26mila gli 80 euro diminuiscono nettamente e dopo quel tetto cessano del tutto.

Se tuttavia l'occupazione del lavoratore ha avuto inizio dopo il primo gennaio del 2014 gli 80 euro per ogni mese di mancato lavoro diminuiscono. La media reale della somma percepita dai lavoratori interessati a quel beneficio non è dunque di 80 ma soltanto di 53, come ha calcolato Gianluigi Pellegrino sulla scorta dei dati esistenti. Il beneficio cioè viene corrisposto per otto mesi purché ne siano stati lavorati dodici. Non si tratta di una truffa ma di una esplicita condizione nascosta da un numero inesatto: non 80 ma 53. La differenza non è poca. Poi ci sono altre provvidenze che riguardano una diminuzione dell'Irap e alcuni interventi per l'occupazione dei giovani.

Seguono: il restauro di scuole malandate e il pagamento di cinque miliardi di debiti pregressi della pubblica amministrazione, grazie al quale, quando sarà il momento, il Tesoro incasserà l'Iva.

Le coperture sono alquanto raffazzonate e alcune di incerta realizzazione nel corso dell'anno. Ne abbiamo già dato conto nei giorni scorsi concludendo che l'intervento è piuttosto uno "spot" che un vero e strutturato programma. Quest'ultimo è allo studio del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e dovrebbe esser pronto e varato entro il gennaio del 2015, valido fino a tutto il 2016. Questa è la manovra, questa è la speranza di crescita del Pil derivata da un tangibile aumento dei consumi. Andrà così?

Noi tutti lo speriamo e ne avremo un primo segnale nel prossimo autunno. Ma se quel segnale non ci fosse e i consumi restassero al palo dove già sono da anni, la manovra di rilancio sarebbe fallita, senza dire che quand'anche i consumi recuperassero quella dinamica che da tempo hanno perduto, nessun nuovo posto di lavoro ne deriverebbe poiché le imprese hanno ampi margini di produzione inutilizzati e disponibili a soddisfare nuova domanda senza bisogno di accrescere l'attuale base occupazionale. La nuova occupazione tarderà dunque a venire, salvo che siano messi in moto nuovi investimenti di carattere pubblico, soprattutto nell'edilizia e soprattutto in cantieri locali e nazionalmente diffusi; ma qui subentra un benestare europeo che è quasi certo ci sia riconosciuto a condizione che siano state avviate nuove riforme destinate ad accrescere la competitività, a semplificare l'amministrazione e a modificare l'architettura costituzionale in senso conforme alla nuova politica economica.

Riforme che riguardano i contratti di lavoro, l'innovazione imprenditoriale, il superamento del bicameralismo perfetto. E quindi la riforma del Senato, che è un punto chiave di tutto il sistema.

Questo è il quadro della nostra politica nei prossimi due anni, già previsto e avviato dal governo di Enrico Letta e dal suo cronoprogramma che aveva come termine la fine del semestre europeo a presidenza italiana alla fine dell'anno in corso. Poi, secondo Letta, elezioni politiche nella primavera 2015.

Il cronoprogramma di Renzi punta invece alla fine naturale della legislatura, nella primavera del 2018, sempre che le imminenti elezioni europee del prossimo 25 maggio non diano risultati tali da modificare gli attuali equilibri politici.

In che modo e con quali prospettive?

* * *

Berlusconi non starà fermo e l'ha già cominciato a dimostrare nella recente uscita alla trasmissione di "Porta a Porta" di tre giorni fa. Poi comincerà (è già in corso) una sua vera e propria occupazione televisiva da campagna elettorale, ad Agorà, a Mediaset, da Santoro, da Mentana, forse anche dalla Gruber e forse a Ballarò, più comizi nei teatri e messaggi ai vari club a lui intestati. Ma qui, prima di esaminare le sue posizioni politiche, una premessa è necessaria.

Non voglio manifestare odio persecutorio nei confronti d'un personaggio che sfiora ormai gli 80 anni e che da vent'anni è il leader d'un partito che ha governato per dodici anni ma ha dominato il panorama italiano anche quando era all'opposizione. Voglio però manifestare un sentimento che spero non sia soltanto mio ed è una grande vergogna che provo per il mio Paese e per me stesso che ne faccio parte. Berlusconi ha alimentato i comportamenti e i sentimenti peggiori di quella parte del popolo italiano disponibile a farsi sedurre dalla demagogia o raccolto in clientele lobbistiche o addirittura para-mafiose. Il suo conflitto d'interessi sarebbe stato condannato in qualsiasi Paese democratico e invece perdura tuttora. I suoi comportamenti privati hanno leso l'obbligo costituzionale di onorare con la propria presenza adeguata le cariche pubbliche di cui si è titolari.

Infine sono stati accertati o sono in corso di accertamento reati gravi, alcuni dei quali sono stati da lui resi leciti con apposite leggi "ad personam", altri prescritti per la lunghezza imposta ai relativi processi. Alcuni però sono in corso e hanno già dato i primi risultati con pesanti condanne in primo grado ed anche in appello. Altri hanno da poco registrato il rinvio a giudizio. Uno infine ha condotto ad una sentenza definitiva per frode fiscale ai danni dello Stato, con quattro anni di condanna, dei quali tre coperti da indulto, e interdizione di due anni dai pubblici uffici.

Tale sentenza è stata promulgata un anno fa, è stata materializzata in affidamento a servizi sociali ed è stata qualificata da una lunga e dettagliata ordinanza del giudice di sorveglianza della Corte d'Appello di Milano. Nel seguente modo: andrà per quattro ore alla settimana in un ospizio di vecchi e disabili, sarà libero di muoversi in tutti i giorni seguenti entro un tassativo orario dalle 23 della sera alle 6 del mattino nel quale orario dovrà risiedere nella casa dove ha scelto di domiciliare. Potrà andare in televisione, alla radio o in qualunque altro luogo per occuparsi di politica con piena libertà di parola e di contatti con i suoi collaboratori. Gli è stato sequestrato il passaporto affinché non sia tentato di abbandonare il Paese. Questo è il modo con il quale sarà eseguita una sentenza che prevede quattro anni di prigione domiciliare.

Ebbene, io provo vergogna per il mio Paese, per me che ne faccio parte ed anche per una magistratura che consente quanto sopra esposto. Mi piace dire che ne ho parlato qualche sera fa con la signora Severino, avvocato, docente universitaria ed ex ministro della Giustizia nel governo Monti, autrice della legge sulla corruzione. La Severino manifestava i miei stessi sentimenti, cosa che mi ha dato molto conforto pur avendo, la Severino, idee politiche alquanto diverse dalle mie. Le persone perbene la pensano egualmente sui problemi dell'etica pubblica. Purtroppo non sono molte numerose.

* * *

Ed ora veniamo all'attuale posizione di Berlusconi già in piena campagna elettorale. I sondaggi danno il suo partito in sostanziale declino, ma ancora attorno al 20 per cento di chi è disponibile a votare (non più del 60 per cento degli elettori).

Il leader, indiscusso perché privo di successori, di Forza Italia ha una tattica ed una strategia elettorali. La tattica è quella che abbiamo già visto da Vespa: rinnega la riforma del Senato preparata da Renzi, critica le modalità del taglio del cuneo fiscale, si dice perplesso sulle altre riforme e ostenta una posizione euroscettica di fronte all'Europa. Ma subito dopo conferma la sua alleanza con Renzi, critica le toghe rosse e la sinistra e fa i complimenti al leader del Pd che non ha niente a che vedere con la sinistra e insulta Napolitano (tanto per cambiare). Non mancano gli apprezzamenti verso Travaglio e Santoro e qualche strizzata d'occhio agli alfaniani e ai centristi.

Una tattica di galleggiamento che ha l'obiettivo di recuperare gli astenuti che vengono dal suo Pdl, attrarre gli incerti, prendere qualche distacco non tanto da Renzi quanto dal Pd. E riguadagnare voti senza parlare di prossime elezioni politiche.

Ma la strategia è alquanto diversa. Lui sa che se passa la cosiddetta legge elettorale Italicum con tutta probabilità sarà Grillo ad affrontare Renzi al ballottaggio. In realtà la legge elettorale che più gli conviene non è quella che punta esclusivamente sulla governabilità riducendo a carta straccia la rappresentanza e eliminando di fatto il Senato. Questo assetto sembrerebbe preparato apposta per lui se fosse ancora il primo come per vent'anni è stato nella classifica elettorale; ma se sarà come è probabile il terzo la legge che preferisce è la proporzionale e il criterio della rappresentanza come elemento principale. In questo modo il Parlamento sarebbe parcellizzato e non ci sarebbe altra soluzione che di perpetuare le "larghe intese".

Questa è la strategia, alla quale la legge residuale lasciata dall'abolizione del "Porcellum" offre piena soddisfazione. Perciò si voti presto, non oltre il 2015. E intanto tiene Grillo sotto osservazione. Con Grillo non sarà mai alleato ma oggettivamente i loro populismi convergono, è un caso tipico del marciare separati per colpire uniti. Anche nei confronti dell'Europa. Dell'Europa sia Grillo che Berlusconi se ne fregano.

* * *

Di fronte a questo scenario il centrosinistra, il riformismo radicale del Pd forgiato dall'Ulivo di Prodi e messo a punto da Veltroni col programma del Lingotto, sarebbe la sola risposta seria. Purtroppo non è quella di Renzi. L'attuale presidente del Consiglio è, come più volte ho detto, il figlio buono di Berlusconi, il principe di seduttori; i programmi vincolati alla coerenza non sono il suo forte. Il seduttore vive di annunci e aspira alle conquiste. È un dongiovanni come Berlusconi: non si innamora ma vuole sedurre. Se la seduzione non funziona, cambia obiettivo e sposta il tiro. La sua donna Elvira è la Boschi, come la Gelmini lo è per il Berlusca. Il suo Leporello è Delrio come per l'altro è stato Dell'Utri.

Bastano forse questi nomi per comprendere che la qualità di Renzi è cento volte maggiore di quella dell'ex cavaliere. Ma si tratta pur sempre di due dongiovanni, con una differenza di fondo: Berlusconi finirà nell'abbraccio d'un Convitato di pietra che metterà la parola fine alle sue imprese. Renzi troverà invece un Figaro che venda per lui una "pomata fina" di ottima qualità. Ormai Renzi fa parte dei quadri della politica ed ha le qualità e la grinta per rimanerci. Potrà essere un eccellente primo violino; un direttore d'orchestra no. Sebbene nello strano Paese che è il nostro tutto possa accadere.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/04/27/news/fregata_sul_mare-84561368/?ref=HRER2-1
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« Risposta #501 inserito:: Maggio 05, 2014, 11:30:17 pm »

Forse Renzi sta creando l'alternativa a se stesso

Di EUGENIO SCALFARI
   
Il tema di questo mio "domenicale" prende spunto dall'articolo da noi pubblicato in cultura il Primo maggio scorso di Michael Walzer con il titolo L'Occidente salvato dalla lotta di classe.

Walzer è un filosofo americano molto apprezzato, si occupa di filosofia politica e morale, insegna a Princeton e solleva problemi di notevole importanza tra i quali la distinzione tra diritti dell'uomo e diritti del cittadino.

Detta così può anche sembrare una tautologia, invece contiene questioni la cui origine e natura sono profondamente diverse e spesso opposte tra loro; descrivono un aspetto della crisi di fine d'epoca che il mondo intero sta attraversando e della quale Walzer coglie i nessi e ipotizza le possibili soluzioni.

Vedremo in seguito il loro svolgimento. Ma intanto mi sembrano necessarie due premesse.

La prima riguarda la decisione di Marina Berlusconi (cioè di suo padre Silvio) di entrare in politica alla guida di Forza Italia. Non siamo più alla monarchia ma addirittura alla discendenza dinastica. Così Berlusconi avrà il suo cognome in testa alla lista in tutte le circoscrizioni elettorali il 25 maggio e poi alle elezioni politiche quando ci saranno. La sua decadenza da senatore non avrà dunque alcun effetto pratico così come non l'ha avuto la sentenza che l'aveva condannato a quattro anni di reclusione.

La seconda premessa è più complessa e riguarda Matteo Renzi e le sue più recenti decisioni. Una soprattutto: la riforma del Senato e della legge elettorale e l'altra, annunciata mercoledì scorso, sulla pubblica amministrazione.

Queste due mosse mi inducono a pensare che il nostro presidente del Consiglio, messo alla prova con la realtà ed energicamente consigliato dalla "moral suasion" di Giorgio Napolitano, sia profondamente cambiato. Detto da me che non sono un renziano e che finora sono stato severamente critico del suo modo di concepire la politica, è un attestato del quale mi sembra opportuno spiegare le ragioni.

Ricordo la telefonata di auguri che mi fece la mattina del 6 aprile. Era il giorno del mio novantesimo compleanno e ne ricevetti molte, di telefonate e messaggi. È normale che avvenga, ma la sua fu cronologicamente la prima e la meno prevista. Mi disse che era stato molto in dubbio se farla, visto che io "lo bastonavo, sia pure civilmente, in ogni mio intervento", ma poi aveva deciso che l'augurio non si lesina a nessuno. Aggiunse che io incitavo le persone politicamente impegnate nel Pd a preparare un'alternativa senza la quale avremmo dovuto avercelo chissà per quanto tempo. Lo ringraziai confermandogli la mia posizione e lui aggiunse: "Ma se io decidessi d'essere l'alternativa del me stesso che lei critica?". Risposi che quell'ipotesi mi pareva assai difficile, ma se si fosse verificata anche la mia posizione sarebbe cambiata. Su questo ci salutammo.

Ebbene, ho la sensazione che quell'ipotesi alquanto paradossale abbia un inizio di realizzazione. Ancora è presto per un giudizio definitivo, ma qualche spiraglio s'è aperto e va preso in considerazione.

Per quanto riguarda la riforma del Senato segnalo tre fatti nuovi: l'elezione diretta di senatori scelti insieme ai consiglieri regionali e comunali. Se così avverrà, il tema dell'elezione di secondo grado sarebbe superato e penso che anche Chiti sarebbe d'accordo. Si parla inoltre di mansioni aggiuntive ai poteri del Senato oltre quelli riguardanti gli Enti locali e si parla anche dell'abolizione delle Conferenze Stato-Enti locali per evitare un inutile doppione.

Il compromesso è dunque avviato e la data di soluzione è stata rinviata dal 23 maggio al 10 giugno; gli ultimatum dunque sono stati sostituiti da costruttivi confronti ed anche questa è una novità positiva.

Quanto alla legge elettorale la discussione è in corso per ridurre le soglie troppo alte consentendo una maggiore rappresentanza senza indebolire la governabilità.

Questo per quanto attiene al Senato e alla legge elettorale. Poi c'è la riforma della pubblica amministrazione, annunciata con concrete statuizioni e sottoposta al confronto con le parti sociali ed interessati per un periodo di 40 giorni, trascorsi i quali il governo deciderà.

Il vero tema è di rendere "neutrale" una burocrazia che col passare del tempo si è trasformata in una casta autoconservatrice che in quanto tale merita di essere rottamata.

Una pubblica amministrazione capace di custodire la legalità di fronte all'alternanza dei governi fu il vero merito della destra storica, da Quintino Sella a Minghetti, a Silvio Spaventa e a Benedetto Croce e - se vogliamo avvicinarci di più all'attualità - da Guido Calogero, Ugo La Malfa, Antonio Giolitti e Riccardo Lombardi.

Il passare del tempo logorò questo disegno trasformando la neutralità in autoconservazione. Questa è la gramigna da estirpare. Se gli annunci saranno realizzati un'opera di notevole importanza sarà stata compita.

Certo Renzi resta un seduttore con tutti i difetti che questo tipo di carattere comporta. Ma queste riforme - se attuate - mitigano la seduzione a vantaggio di programmi selettivi. Aspettiamo dunque con qualche speranza in più, soprattutto se gli errori fin qui commessi saranno riconosciuti ed emendati. Io me lo auguro.

* * *

Vengo al tema introdotto da Michael Walzer: i diritti dell'uomo e quelli del cittadino. Quelli dell'uomo dovrebbero essere estesi e attribuiti a tutti, specie in un'epoca di migranti che vagano in cerca di fortuna per sfuggire a una morte civile e spesso fisica nei loro miseri paesi d'origine.

Questi diritti furono riconosciuti agli inizi della Rivoluzione francese dell'Ottantanove, ma affiancati dai diritti di cittadinanza che spettano appunto ai cittadini di quella nazione. Così nacque la democrazia e le nazioni cessarono di essere proprietà dei sovrani assoluti. Così nacquero l'eguaglianza di fronte alla legge, il popolo sovrano, il patto costituzionale e la divisione dei poteri. Questo fu il lascito dell'Illuminismo, deturpato ma anche arricchito nel corso del XIX e del XX secolo.

Così nacquero il liberalismo, il socialismo, il liberal-socialismo; ma anche e purtroppo il fascismo, il nazismo, il comunismo leninista e stalinista.

Walzer vede una discrasia tra i diritti dell'uomo e quelli del cittadino in un fine d'epoca che mette i nazionalismi in discussione trasformandoli in una regressione populista che nega ogni ipotesi di costruire una patria europea. Il rischio di questo regresso è molto grave ed è la causa del contrasto tra i diritti dell'uomo e quelli del cittadino; il populismo usa infatti i secondi come barriera contro i primi, combatte la società globale anziché correggerne gli errori e il predominio che oggi hanno le grandi banche d'affari e le multinazionali.

Questa è la tesi che sostiene Walzer ed io penso che abbia piena ragione. In un certo senso il filosofo americano mi ricorda il Giuseppe Mazzini dei diritti e dei doveri, che sosteneva al tempo stesso la nascita delle nazioni democratiche e la fratellanza europea al di là e al di sopra dei confini. Mazzini era nazionalista e internazionalista al tempo stesso e lottò per quegli ideali che oggi in Europa sono in serio pericolo.

Questo è il tema delle imminenti elezioni europee, questo è il tema del semestre europeo di presidenza italiana e questo infine è il tema che Napolitano ha infinite volte sollecitato nella speranza che la classe dirigente del nostro paese sia all'altezza di affrontarlo.

Il passato storico che abbiamo qui ricordato ha un senso per orientarci nel presente e per risvegliare la speranza del futuro. La nostra patria italiana dev'essere intensamente vissuta e la nostra patria europea dev'essere decisamente costruita. Sottrarsi a questi compiti non è tradimento ma stupidità, che è un malanno ancora peggiore.

© Riproduzione riservata 04 maggio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/05/04/news/forse_fenzi_sta_creando_l_alternativa_a_se_stesso-85179305/?ref=HREC1-6
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« Risposta #502 inserito:: Maggio 10, 2014, 06:48:51 pm »

Eugenio Scalfari
Vetro soffiato

Perché andiamo a caccia di potere
La volontà di dominio sugli altri prevale su tutti i sentimenti che possiedono la nostra anima.
Anche su amore e amicizia. Non solo riesce a darci un piacere unico, ma risponde anche all’istinto fondamentale: la sopravvivenza
   
Da molti anni sono affascinato dallo studio degli istinti che animano gli umani, uomini o donne che siano nelle diverse età della loro vita. Ho letto molti libri che si occupano di questo problema, ho parlato con persone che operano professionalmente per curare disturbi mentali che con gli istinti sono strettamente connessi: psichiatri, psicoanalisti e con altri che hanno attraversato drammi o addirittura tragedie che ne hanno sconvolto l’anima. Infine ho usato me stesso come documentazione diretta e insostituibile, esperienza tutt’altro che facile poiché richiede un’oggettività e quindi un distacco dalla propria mente, dal sé e dall’io che non sempre si riesce a realizzare: è infatti molto forte il sentimento di giustificazione delle proprie azioni e dei propri sentimenti, guardando ciò che accade nell’anima nostra e nei nostri comportamenti con benevolenza; a volte anche con malevolenza masochista e così deformando la validità documentale del nostro viaggio interiore.

Fatte queste doverose premesse, l’ultimo tratto del suddetto viaggio del quale c’è ampia traccia nei miei libri, riguarda gli istinti che dominano le nostre persone. Quali sono? Qual è la radice che caratterizza la nostra specie?

Non v'è dubbio che la radice primaria sia l’istinto di sopravvivenza, ma esso è presente in tutti gli esseri viventi, dai vegetali agli animali e quindi anche a noi uomini che animali siamo, anche se con caratteristiche che ci distinguono dalle altre specie.

Sono arrivato a concludere che gli istinti dominanti della nostra psiche sono tre: l’amore, l’amicizia, il potere.
La vita di tutte le persone è guidata da questi tre connotati e il loro carattere è da essi plasmato fin dall’infanzia e si perfeziona durante gli anni dell’adolescenza, quando diventa addirittura la visione che abbiamo della vita. Perfino il talento ne è influenzato e la letteratura, l’arte, la poesia, la musica ne dimostrano la presenza. Amore, amicizia, potere.

I primi due sono simili, le analogie tra di essi sono numerose: entrambi riflettono un affetto verso gli altri, un voler bene, un’identificazione verso altre persone, un desiderio d’accompagnarsi ad esse, di scambiarsi idee, progetti, reciproco aiuto. Non sono la stessa cosa, l’amore e l’amicizia, se non altro perché l’amore può anche comportare un’attrazione fisica che è invece assente nell’amicizia. Ma il voler bene è presente in tutti e due quei sentimenti.

Il potere è invece tutt’altra cosa e i sentimenti che quell’istinto genera e attraverso i quali si manifesta e si esprime sono il successo e il possesso.

Di solito diamo al potere un significato politico o economico ed è vero che spesso il successo e il possesso caratterizzano l’economia e la politica. I potenti è in quei due campi che operano: successo, possesso. Ma non soltanto. Il potere infatti si fa sentire anche in campi del tutto diversi dalla ricchezza e dal governo delle istituzioni pubbliche. Si fa sentire per esempio nella gestione della famiglia, nel rapporto tra padre e figli, tra fratelli e sorelle, tra il padre e la madre. Ed è spesso il potere cosiddetto temporale che ispira i sacerdoti ministri della religione in genere e di quelle monoteistiche in particolare.

Infine il successo e il possesso danno spesso il piacere erotico e quindi quegli amori nei quali l’erotismo è presente e determinante. Successo e possesso, quindi conquista, non è anche questa una frequente forma d’amore?

La conclusione di questo esame dimostra che tra amore, amicizia e potere è quest’ultimo ad avere la prevalenza rispetto agli altri due, è presente anche nelle altre specie animali per la semplice ragione che è il prodotto più diretto della sopravvivenza che come abbiamo già detto è la radice stessa della vita.

28 aprile 2014 © Riproduzione riservata

DA - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2014/04/23/news/perche-andiamo-a-caccia-di-potere-1.162494
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« Risposta #503 inserito:: Maggio 12, 2014, 05:54:36 pm »

Se vogliono rottamare il Senato ci vuole la Costituente

di EUGENIO SCALFARI

11 maggio 2014
   
DA TRE giorni le notizie sulla “cupola” del malaffare che domina gli appalti dell’Expo, gli arresti ordinati dal tribunale di Milano e l’arresto di Scajola accusato di associazione per delinquere, sono state ampiamente diffuse e commentate. Ha sorpreso soprattutto il riemergere delle stesse persone che già furono giudicate e punite ai tempi di Tangentopoli e che tuttora sono al centro del sistema del malaffare pubblico e privato. Gli stessi imprenditori, gli stessi affaristi, gli stessi metodi e le stesse protezioni.

Com’è possibile a distanza di 22 anni una così nefasta e ricorrente potenza della corruzione sulla legalità? E quali saranno le ripercussioni politiche d’uno “tsunami” morale di questa gravità? E infine: il paese è stato ferito e sente di esserlo?

Quest’ultima, a mio avviso, è la domanda più importante e mi suggerisce una risposta: il paese è indifferente e questo è il suo modo di protestare. Gli ultimi sondaggi ci dicono che il partito degli indifferenti, quelli che non andranno a votare alle prossime elezioni europee o sono indecisi e tendenzialmente orientati all’astensione, rappresenta oltre il 40 per cento del corpo elettorale.

L’alternativa all’astensione è il voto a Grillo, che non è né di destra né di sinistra o d’alcun altro colore politico. È antipolitica pura che si concentra su un programma distruttivo. Non ha proposte da fare di nessun genere, né per l’Italia né per l’Europa, tranne una: distruggere tutto ciò che esiste, tutti i partiti, tutte le istituzioni e tutte le persone che le rappresentano. Non ce n’è una sola che sia risparmiata, da Napolitano a Santanché, da Renzi a Berlusconi, dalla Merkel alla Le Pen, da Putin a Vendola.

Tutto va azzerato. I Parlamenti debbono essere ridotti a uffici che diano forma di legge alle decisioni indicate dai referendum. Democrazia diretta. Il governo composto da funzionari che restano in carica per un periodo breve e poi se ne tornano a casa. Per quel pochissimo che conteranno, i parlamentari dovranno rispettare il vincolo di mandato, cioè le decisioni che i partiti hanno scelto nei loro programmi e che il popolo ha in diversa misura approvato.

Ha un senso votare per un programma del genere che, nella fattispecie del Movimento 5 Stelle dà a Grillo tutto il potere trasformando la democrazia, con tutti i suoi vizi e difetti, nella tirannide d’un comico? Infatti, non ha alcun senso e la gente lo vota come protesta. Il voto a Grillo equivale al non voto, ma è molto più pericoloso e il perché è evidente. Per fortuna i sondaggi danno al Pd di Renzi 10 o 11 punti di maggioranza rispetto a Grillo, il quale a sua volta supera Forza Italia di molte lunghezze.

Gli indifferenti, sommando chi non vota e chi voterà Grillo, viaggiano verso il 65 per cento, ma due terzi di questi antipolitici si asterranno e quindi non incideranno sulla composizione politica degli eletti al Parlamento europeo. Il danno avverrà a Strasburgo, non a Roma. Ma può preannunciare ciò che avverrà in Italia quando ci saranno le elezioni politiche. E quindi è di questo che ora dobbiamo parlare.

* * *

Domenica scorsa ho scritto che forse Matteo Renzi stava diventando l’alternativa di se stesso per quanto riguardava la riforma del Senato che rappresenta il tema centrale del suo programma insieme alla politica del lavoro. Sembrava infatti che si stesse convincendo che la sola, vera e necessaria riforma del Senato fosse quella di riservare soltanto alla Camera dei deputati il compito di dare o negare la fiducia al governo, modificando in questo modo quel bicameralismo perfetto che da sessant’anni è una palla al piede della nostra democrazia parlamentare. Per il resto il Senato sarebbe rimasto quello che era, non ridotto ad una scatola vuota, ma direttamente eletto dai cittadini e dotato di nuove e altrettanto penetranti funzioni.

Ebbene mi sbagliavo. Renzi non ha alcuna intenzione di cambiare il bicameralismo eliminando utilmente la sua “perfezione”. Di fatto vuole eliminare totalmente il bicameralismo assegnando al Senato — eletto in secondo grado dalle Regioni e dai Comuni — il compito di rappresentare gli interessi degli Enti locali e al tempo stesso di controllare i poteri che essi detengono e di dirimere i loro eventuali confitti con lo Stato centrale. Altri eventuali poteri di questo Senato delle autonomie (come vorrebbero chiamarlo) sarebbero quelli di partecipare al “plenum” del Parlamento quando esso si riunisce per eleggere il capo dello Stato o i giudici costituzionali e per ratificare i trattati dell’Unione europea; poteri sostanzialmente irrilevanti e che il Senato in gran parte già possiede. Questa posizione ha un solo evidente significato: abolire il Senato. È questo che volete? Ditelo e presentate al Parlamento un disegno di legge di riforma costituzionale. Se sarà approvato avremo in Italia un sistema monocamerale e la rappresentanza degli Enti locali nei loro rapporti con lo Stato sarà gestita, come già avviene, dalle Conferenze che le Regioni e i Comuni hanno con lo Stato centrale.

Certo un regime monocamerale accresce i rischi d’un potere esecutivo non più soltanto autorevole ma tendenzialmente autoritario, tanto più se si trasformasse il governo in una sorta di cancellierato.

Per evitare che il rischio divenga realtà bisognerebbe a questo punto riscrivere la Costituzione e trovare nuovi equilibri, sapendo che non si può certo farlo utilizzando l’articolo 138 della Costituzione, ma convocando una nuova Assemblea costituente. È questo che avete in mente? Non credo. Voi avete in mente di far mangiare la minestra o far saltare dalla finestra chi non la mangia. Ma questo può concepirlo un Berlusconi o un Grillo, ma non il Partito democratico.

Perciò pensate bene a quel che farete; la fretta è sempre cattiva consigliera.

C’è ancora una considerazione da aggiungere sulla riforma del Senato che sarà discussa il 10 giugno, cioè dopo le elezioni europee. Nel disegno di legge che il governo ha in mente ma le cui linee sono già state ufficialmente anticipate, è previsto che i membri del Senato siano eletti dai consigli regionali e comunali. Tuttavia il risultante Senato delle autonomie dovrebbe anche avere il ruolo di “vigilante” sulla gestione degli Enti locali e sulla legislazione di loro spettanza. Cioè: i senatori eletti dagli Enti locali debbono vigilare su quelli che li hanno eletti. Ma chi li scrive questi testi? Del Rio? La Boschi?

Il potere giudiziario che ha il ruolo di giudicare i reati e tutelare la legalità, è reclutato con concorsi e non è eletto da chi dovrebbe poi vigilare. Un Senato delle autonomie non può dunque essere eletto dalle medesime autonomie se deve non solo coordinarle ma vigilare sul loro operato legislativo e finanziario. Per la contraddizione che non lo consente. A me sembra elementare, e a lei, onorevole Renzi?

* * *

I sondaggi elettorali prevedono per il Pd il 34 per cento, per Grillo il 23, a Berlusconi il 18, ad Alfano il 7, alla Lega il 6.

Se i risultati rispecchieranno a grandi linee questi dati, quando si voterà per le politiche al ballottaggio tra i primi due Berlusconi non ci sarà e questo lo impensierisce molto. Ma fino a quando il Parlamento rimarrà quello di adesso, la cui scadenza naturale è nel febbraio del 2018, Forza Italia ed i suoi alleati sono ancora nel gruppo di testa insieme a Grillo e al Pd. Alla Camera il Pd ha la maggioranza assoluta ma al Senato ha una maggioranza risicata con Alfano. Ne consegue che Alfano ha l’ultima parola.

Ma qualora su qualche punto importante Alfano dissentisse da Renzi l’ultima parola l’avrebbe Berlusconi. Questa situazione non è molto tranquillizzante e potrebbe durare fino al 2018: una maggioranza di governo risicata dove i pochi seggi di Alfano hanno un peso marginale determinante e dove l’intero programma di riforme è in mano a Berlusconi. Durare fino al 2018 oppure far saltare dalla finestra Renzi appena possibile: per esempio nell’autunno di quest’anno, proprio mentre è ancora in corso il semestre europeo con presidenza italiana; oppure nella primavera del 2015.

E se la nuova legge elettorale non fosse stata ancora approvata? Se Berlusconi riuscisse a provocare nuove elezioni con la legge elettorale vigente, residuale della sentenza della Corte costituzionale che ha abolito il “Porcellum” e che ha lasciato in piedi una legge elettorale proporzionale?

Il rischio c’è. Se Berlusconi scavalcato da Grillo non potesse neppure partecipare al ballottaggio con Renzi, forse gli converrebbe puntare su elezioni nel tempo più breve possibile, con il sistema proporzionale. Avremmo in tal caso un’unica maggioranza: le larghe intese tra il Pd e Forza Italia. L’ex Cavaliere di Arcore resterebbe sicuramente un padre della Patria e resterebbe al governo per questa e per la futura legislatura.

Debbo dire che non è un bel vedere restare alleati per i prossimi nove anni con un partito fondato e guidato da due pregiudicati. Per lottare contro la corruzione non è certo questa alleanza lo strumento più idoneo.

* * *

C’è ancora un tema che l’attualità ci impone e questo è — finalmente — positivo: l’impegno assunto da Mario Draghi di intervenire a giugno sui mercati europei con una decisa azione anticiclica che avrà lo scopo di combattere i sintomi di deflazione che si stanno manifestando in Europa e allo stesso tempo tentare una riduzione del tasso di cambio dell’euro nei confronti del dollaro. Attualmente quel tasso di cambio oscilla tra l’1,35 e l’1,40 dollari per un euro. Questo mortifica fortemente le esportazioni europee (e quelle italiane in particolare) verso l’area del dollaro, mentre un ribasso verso l’1,20 sarebbe salutare per rilanciare la domanda e quindi investimenti e occupazione.

Draghi è uno dei pochi personaggi che sta lavorando con una coerenza senza alcuna crepa per un rilancio europeo che passa attraverso l’unificazione bancaria da lui voluta e verso la nascita degli Stati Uniti d’Europa che dovrebbe essere per le persone responsabili e consapevoli l’obiettivo numero uno di questi anni.

Poiché di Draghi sono amico da molto tempo qualche giorno fa gli ho chiesto se esistesse una sua aspirazione a sostituire Giorgio Napolitano al Quirinale quando il nostro attuale presidente della Repubblica deciderà di lasciare il suo posto (spero il più tardi possibile). Draghi sembra a molti adattissimo a succedergli e gliel’ho detto, ma mi ha risposto con un diniego totale. Non certo perché consideri irrilevante quella carica prestigiosa e faticosa, ma perché il suo obiettivo e quello che considera il suo compito è l’Europa.

Penso che abbia ragione e penso che questo sia un bene anche per noi perché tutti i paesi dell’Eurozona e di tutta l’Unione europea, senza gli Stati Uniti del nostro continente, diventerebbero irrilevanti, senza storia, dopo esserne stati i protagonisti per secoli e addirittura per millenni.

Questo è il bivio di fondo con il quale dobbiamo tutti misurarci. Draghi ne è pienamente consapevole e si comporterà con la sua abituale coerenza.
© Riproduzione riservata 11 maggio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/05/11/news/se_vogliono_rottamare_il_senato_ci_vuole_la_costituente-85808317/?ref=HRER2-1
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« Risposta #504 inserito:: Maggio 18, 2014, 05:34:15 pm »

Il 25 maggio bisogna votare per Renzi e per Schulz

Di EUGENIO SCALFARI
18 maggio 2014
   
Da molte settimane, esattamente da quando all'improvviso mise in crisi il governo Letta con un voto quasi unanime della direzione del Pd di cui era (ed è tuttora) il segretario politico, io ho criticato il governo Renzi e soprattutto lui medesimo che accentra nelle sue mani tutto il potere, con una minoranza di sinistra che di fatto si è messa il silenziatore per disturbarlo il meno possibile.

Le ragioni delle mie critiche sono note. Riguardano la legge sul lavoro, la rottura con le organizzazioni sindacali, la legge elettorale, la riforma (di fatto l'abolizione) del Senato e la rivalutazione di Berlusconi. Quest'ultima era forse inevitabile per mandare avanti il programma di riforme, ma in tutte le cose e specialmente in politica c'è modo e modo di ottenere un risultato senza intestarlo con inutile enfasi ad un uomo che per vent'anni ha sgovernato il Paese e - dopo decine di leggi ad personam - è stato finalmente condannato con sentenza definitiva. Un pregiudicato insomma e non un padre della Patria.

Ma la critica maggiore che ho sempre ripetuto al simpaticissimo Matteo Renzi - che sa vendere i suoi "articoli" mirabilmente - è stata quella che, lungi dal risolvere uno per ogni mese a cominciare da subito, i problemi che affliggono il Paese da trent'anni, non avrebbe potuto fare altro che proseguire il programma già impostato da Monti e poi aggiornato e avviato da Letta con i tempi e i passaggi da lui previsti e addirittura, per la sua parte maggiore, già contenuto nella legge di stabilità scritta da Letta con la preziosa collaborazione dell'allora ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni e approvata in via definitiva dal Parlamento.

In effetti le cose sono andate ed andranno così. Ormai a dirlo non è più soltanto il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, ma lo stesso Renzi: "Per vedere i risultati ci vorranno un paio d'anni". Noi lo sapevamo, tutti quelli che si occupano dei problemi attuali lo sapevano e Renzi stesso, che è persona di indubbia intelligenza anche se finora la sua sola e breve esperienza politica è stata quella di sindaco, lo sapeva. Ma voleva quel posto subito e perciò ha detto il contrario della verità e il suo partito gli ha creduto. Poi, adesso, la verità è chiara a tutti.

I lettori mi perdoneranno questa lunga ma indispensabile premessa. Indispensabile perché ora debbo infatti dire agli elettori che rappresentano la parte responsabile del Paese e che mi auguro siano una cospicua maggioranza del corpo elettorale, che debbono a mio avviso votare per il Pd e quindi per Matteo Renzi che ne è il leader. Naturalmente il mestiere che faccio mi impone di dimostrare il perché di questa esortazione ed è quanto ora mi accingo a fare.

***

Tra sette giorni da oggi gli europei e quindi anche gli italiani andranno a votare per eleggere i deputati al Parlamento di Strasburgo. La legge con la quale si voterà è proporzionale con una soglia di sbarramento del 4 per cento; chi non la supera resta fuori.

Gli ultimi sondaggi consentiti dalla legge davano Forza Italia in rapida e inarrestabile discesa: rischia un risultato per loro catastrofico.

Grillo è in salita. E molti prevedono che lo scandalo dell'Expo possa farlo ancora crescere: potrebbe avvicinarsi pericolosamente al Pd di Renzi. Le ripercussioni in Europa saranno di una certa gravità ma non catastrofiche. Male che vada i partiti antieuropeisti o euroscettici e contrari all'euro non dovrebbero superare il 30 per cento, anzi le previsioni europee più attendibili li danno più vicini al 20 che al 30.

Si profila come possibile un'alleanza a Strasburgo dei popolari con i socialdemocratici, già più volte avvenuta. Da questo punto di vista dunque non ci dovrebbero essere temibili ribaltoni salvo un punto tutt'altro che trascurabile: questa volta la nomina del presidente della Commissione europea (che è poi l'organo di governo della Ue) spetta al Parlamento e non più al Consiglio dei primi ministri dell'Unione. Si tratta di un passo avanti estremamente importante nella faticosa (e troppo lenta) costruzione dell'Europa federale. Se i popolari prevalessero sia pur di poco sui socialdemocratici, il presidente non sarebbe il socialdemocratico Schulz ma un altro scelto dai popolari che non ne hanno ancora detto il nome. Forse non un tedesco (Schulz invece è tedesco ma non gradito alla Merkel e alla Cdu-Csu) ma un democristiano. È pur vero che a Berlino c'è ora un governo di grandi intese tra democristiani e socialdemocratici, ma il Cancelliere con i poteri del cancellierato è Angela Merkel.

Insomma, l'esito delle elezioni europee e quindi la scelta del nuovo presidente della Commissione Ue, dipende dal voto del 25 maggio. Di tutti i partiti italiani in lizza il solo che ha assicurato di votare Schulz è il Pd di Renzi. Non ci fossero altri motivi (e ci sono e li vedremo tra poco) gli italiani responsabili che vogliono veder progredire l'Unione Europea verso uno Stato federale non hanno altra scelta che votare per il Pd.

***

Prima di lasciare il tema europeo ci sono tuttavia altre importanti considerazioni da aggiungere. Ne ha già parlato con dovizia di notizia di argomenti Bernardo Valli nel suo articolo di venerdì scorso. Ne ho parlato anch'io nell'ultimo numero dell'Espresso recensendo un pregevole libro del germanista Angelo Bolaffi dal titolo Cuore tedesco. Ma vale la pena di parlarne ancora sia pur brevemente.

Che la Germania, dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione dell'Est con l'Ovest, sia di nuovo diventata la potenza egemone al centro dell'Europa è fuori di ogni dubbio e chiudere gli occhi a questa realtà sarebbe comportarsi peggio di uno struzzo.

Ma è la stessa Germania ad essere piena di incertezze e profondamente divisa al proprio interno sulle iniziative da prendere. Direi che ogni tedesco, ogni famiglia, ogni ceto ed ogni azienda tedeschi sono diversi dentro di loro e lo è altrettanto la stessa Merkel.

La conseguenza (deleteria) è che l'incertezza tedesca si riflette inevitabilmente sulle istituzioni europee. Esse sono e si sentono dominate dalla Germania la quale le guida per interposte persone. I tedeschi occupano nell'Unione una serie di strutture operative ma nei posti di vertice appaiono assai poco. Dominano le strutture ma non le rappresentano verso l'esterno.

Si aggiunga a questa situazione le posizioni della Gran Bretagna, che è fuori dall'euro ed euroscettica, della Polonia anch'essa fuori dall'euro e della Francia che è un caso a parte.

La Francia è l'altra grande potenza europea e la Comunità europea prima e l'Unione poi sono nate perché Francia e Germania decisero 60 anni fa di scrivere la parola fine sui loro contrasti secolari e imboccare la via non della tregua ma della pace. La Francia però, finora, si è trincerata dietro la sua storica ma non più attuale, grandeur e non contempla finora un'Europa veramente federale. Vuole che l'Ue resti una confederazione di Stati sovrani con qualche sobria cessione di sovranità. In questa fase tuttavia sta attraversando una crisi economica non molto dissimile dalla nostra. Se continuerà così avrà bisogno che la Germania allenti le briglie dell'austerity e la Germania, di fronte ad una richiesta proveniente da Parigi, non potrà rifiutarsi.

Non potrebbe neppure rifiutarsi se i movimenti anti-europei e anti-euro diventassero una forte minoranza al Parlamento di Strasburgo e nella stessa Germania.

Infine c'è ed opera con coerente fermezza la Bce guidata da Draghi, la sola istituzione finora che sia realmente sovranazionale rispetto alla confederazione degli Stati europei.

Se in questa situazione così complessa e fragile fosse Schulz a guidare la Commissione di Bruxelles, l'Europa potrebbe compiere un passo avanti decisivo e forse la Germania uscirebbe dalla sua incertezza. Schulz alla guida della Commissione sarebbe il primo tedesco al governo dell'Europa ed è il più dichiaratamente europeista ed interventista, politicamente ed economicamente, dei tedeschi. Questo è dunque il significato del 25 maggio. Tenetelo ben presente quando andremo alle urne.

***

Infine c'è il significato di politica interna delle elezioni imminenti. Se il Pd riuscisse ad ottenere almeno 5 punti sopra il movimento grillino, l'affermazione di quest'ultimo sarà stata certamente notevole ma quella del Pd altrettanto. In una situazione di quel genere Renzi avrà interesse a governare fino alla scadenza naturale della legislatura puntando sul rafforzamento del suo governo (che oggi forte non è) e facendo il possibile perché il partito di Alfano faccia breccia nel fronte moderato. Quanto al Pd dovrà essere un perno centrale tra una destra moderata ed europeista e la sinistra di Vendola ma anche, con gli opportuni distinguo, dei Zagrebelsky e dei Rodotà.

Un grande partito democratico deve avere una sua destra e una sua sinistra ed alcune neutralità possibilmente amichevoli di forze sociali che sono anche canali di consenso.

Si porrà anche, ad un certo punto, il problema del Quirinale già preannunciato da Giorgio Napolitano. Ci sono vari possibili e validi candidati anche se sarà difficile che sappiano emulare il Presidente uscente. Personalmente ho un'idea chiara in proposito ma dirla ora significherebbe soltanto bruciarla. C'è ancora tempo ma a quel punto è sperabile che la candidatura quale che sia venga accettata dalle Camere rapidamente. Il Quirinale è la più alta magistratura e personifica lo Stato. Gli italiani amano poco lo Stato ed esso ha fatto complessivamente assai poco per essere amato. Questo sarà il compito del futuro: uno Stato amato, un'Europa federale che sia competitiva sui grandi temi nella società globale. L'Europa è stata la culla dell'Occidente; i diritti dell'uomo e del cittadino sono nati qui e mai come oggi il mondo ha bisogno di conoscerli e di applicarli.

Buona vita e buona fortuna.

© Riproduzione riservata 18 maggio 2014

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-europee2014/2014/05/18/news/votare_per_renzi_e_schulz-86440210/?ref=HRER2-1
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« Risposta #505 inserito:: Giugno 01, 2014, 04:30:27 pm »

Per fortuna Renzi ha vinto ma ci sono altri esami da superare

Di EUGENIO SCALFARI
01 giugno 2014
   
SPERAVO che Renzi vincesse le elezioni europee ed anche le amministrative abbinate ad esse in due Regioni e in migliaia di Comuni sparsi in tutta Italia. Lo speravo e l’ho scritto nelle ultime due domeniche suscitando una certa sorpresa in molti miei amici e lettori che conoscevano la mia diffidenza nei suoi confronti. Ho spiegato le ragioni di quella scelta: il pericolo per la democrazia italiana e per l’Europa era Grillo e Renzi era il solo che potesse batterlo; i sondaggi li davano testa a testa e i più ottimisti tra noi avrebbero sottoscritto a due mani una sua vittoria anche con quattro o cinque punti di vantaggio, ma nessuno, neanche lui, credeva che lo scarto sarebbe stato di venti punti, esattamente il doppio. Impensabile: il Pd al 41 per cento dei votanti, il più forte partito europeo eletto col sistema proporzionale senza un premio di maggioranza che rafforzasse il vincitore.

Sono stato e sono contento. A parte la Democrazia cristiana di De Gasperi e di Fanfani, nessuno era arrivato a quel livello. Se guardiamo alle cifre assolute anziché alle percentuali, il Pd alla sua prima uscita elettorale guidato da Veltroni aveva avuto anche più voti di domenica scorsa: con il 34 per cento aveva incassato 12 milioni di voti, Renzi ne ha avuti 11 milioni. Ma Berlusconi ne prese allora molti di più. Queste comunque sono le cifre e bisogna rifletterci sopra studiando i flussi che hanno prodotto questo risultato.

Dunque: tutti i partiti hanno perso voti sia in rapporto agli elettori con diritto di voto sia agli elettori andati alle urne, facendo il paragone con le politiche dello scorso febbraio.

Tutti hanno perso voti tranne il Pd. Ma da che parte sono venuti i consensi che hanno determinato il successo? Da Forza Italia non più di 300mila; da 5 Stelle 400mila. Poca roba. Dai residui del centrismo montiano circa un milione. Ma due milioni sono arrivati da ex democratici che alle elezioni di febbraio si erano rifugiati nell’astensione perché non credevano più nel loro partito allora guidato da Bersani. Domenica scorsa hanno capito la gravità della situazione e sono tornati a casa. Succede di rado e il merito di Renzi è stato questo, ha recuperato i democratici scoraggiati e arrabbiati. È difficile capire se fossero democratici moderati o di sinistra. Probabilmente dell’uno e dell’altro colore, è un partito plurale e questa è la sua forza.

Luciana Castellina sul Manifesto di qualche giorno fa ha scritto che il Pd somiglia molto al partito democratico americano dove la sinistra “liberal” convive con molti gruppi decisamente conservatori specie negli Stati del sud. Ha ragione, anche se il Pd americano ha un’impronta decisamente innovatrice e progressista. Del resto un’analoga convivenza di segno opposto avviene nel partito repubblicano.

Un’altra caratteristica di quei partiti è che si identificano in un leader carismatico che, in caso di vittoria, diventa presidente e leader di tutto il paese.

Sullo stesso Manifesto un personaggio di sinistra come Alberto Asor Rosa aveva dichiarato il suo favore a votare Renzi. Un altro esponente della sinistra storica del Pci, Alfredo Reichlin, ha scritto ad elezioni avvenute che la vittoria di Renzi è un fatto positivo e l’ha incitato a fare del Pd il partito della Nazione e dell’Europa; Renzi lo ha citato nelle prime righe della relazione letta alla direzione del partito dopo la vittoria.

Cito alcuni di questi interventi perché rappresentano la complessità della situazione. Siamo uno dei paesi europei che la crisi in corso ormai da sei anni ha devastato economicamente e socialmente suscitando negli italiani e specialmente nei giovani frustrazione e rabbia. Potevano incanalarsi verso una disperazione distruttiva oppure verso una speranza costruttiva. Hanno scelto la seconda. Per questo oggi siamo contenti. Una notevole massa di italiani si è dimostrata all’altezza della situazione. Ma il bello, anzi il difficile, viene adesso. Per Renzi, per l’Italia, per l’Europa. Ed anche per noi che di mestiere siamo testimoni del tempo che passa.

* * *
Un difetto di quelli che aspirano alla leadership (di un partito, di un’azienda, di un paese) spesso è l’arroganza. Un altro possibile difetto è la demagogia. Sono difetti abbastanza diffusi in chi ricava soddisfazione dal guidare gli altri e Narciso è il personaggio mitologico che meglio li rappresenta.

I leader di questa fatta sarebbe meglio evitarli, ma è frequente il caso, specie nella storia d’Italia, che siano proprio loro i preferiti. Sanno sedurre e noi siamo un popolo che ama esser sedotto. Talvolta ne ricava anche qualche vantaggio personale perché ci sono molti furbi tra noi. Molti furbi e poco intelligenti nel senso dell’intelligere.

Renzi una dose di narcisismo ce l’ha. Anche Grillo. Berlusconi non ne parliamo. Renzi però ha anche un innato senso della politica, cioè una visione del bene comune. Se quella prevale, Narciso viene richiuso da qualche parte e fa meno danni. Ogni tanto emerge, ma questo è normale ed è anche utile entro certi limiti. Se tutti riuscissimo ad anteporre il bene comune all’amore verso noi stessi che peraltro è legittimo, il mondo andrebbe di colpo assai meglio. Purtroppo non è così e siamo quasi tutti i giorni alla prova in questo difficilissimo confronto.

Anche Renzi e il suo partito sono alla prova. Direi su due punti. Il primo è l’essenza stessa del partito, nato come riformista ed erede della sinistra democratica. Renzi oltre che presidente del Consiglio è anche segretario del partito, ma ha bisogno per ovvie ragioni di delegare a qualcuno il compito di accudire il partito. Con quale obiettivo? Che non sia – come invece si sta profilando – un partito personale di Matteo Renzi. Forza Italia è un partito personale, i 5 Stelle sono un partito personale anche se qualche fremito per liberarsi dalla servitù al binomio Grillo-Casaleggio si avverte, ma è provocato da una sconfitta. Molto più difficile che ciò avvenga dopo una vittoria di inconsuete proporzioni. Eppure è necessario, altrimenti ci sarà un mutamento antropologico e non più una sinistra democratica.

Ho letto ieri sulla Stampa un’intervista che Renzi ha dato ad un gruppo di giornalisti. Ha detto varie cose di comune buonsenso già note al pubblico italiano, ma ne ha detta una che mi ha colpito: «Vorrei lasciare a mia figlia che sarà maggiorenne tra dieci anni un paese tranquillo e felice». Tra dieci anni? Due legislature? Ha ragione di augurarselo, Renzi, se avrà a sostenerlo un partito che lo giudichi per quel che fa o non fa, se lo fa bene o lo fa male; lo premi se il giudizio è positivo e lo sostituisca se è negativo.

Quindi deve delegare a qualcuno il compito di restituire il partito a se stesso. Di questo qualcuno si deve poter fidare, ma non può essere qualcuno dei suoi pulcini di antica o di recente covata. Deve fidarsi della sua onestà politica e intellettuale purché non sia della covata, altrimenti sarebbe del tutto inutile.

* * *
L’altra questione, di cui ho già più volte parlato, è la riforma del Senato. Ne riparlo dopo aver letto i contributi al seminario cui furono invitati dallo stesso Renzi: Elena Cattaneo, senatrice a vita, Gustavo Zagrebelsky e Alessandro Pace. Ho letto anche nel frattempo la legge che istituì il Bundesrat che è il Senato dei Lander della Germania e quella che rimodernò da cima a fondo la Camera dei Lords, varata nel 1999 da Tony Blair allora premier del Regno Unito.

Ne ho tratto le seguenti conclusioni. Il Senato delle autonomie voluto da Renzi con apposita legge costituzionale che dovrebbe andare tra pochi giorni in discussione all’attuale Senato è a mio avviso una riforma profondamente sbagliata. In Germania i Lander hanno una radice storica, sono di fatto gli antichi regni della Germania confederata: la Renania, la Vestfalia, le città Anseatiche, la Sassonia, il Brandeburgo, la Baviera. I Lander hanno una storia secolare e spetta al Bundesrat controllarli e al tempo stesso rappresentarli.

In Italia questo problema è di tutt’altra forma. Le nostre Regioni sono istituzioni amministrative e la loro autonomia è amministrativa. I Comuni, quelli sì, hanno una storia e rivalità tuttora molto accese tra loro e più vicini sono più le rivalità aumentano.

Un Senato che si occupi di questi Enti locali, ne controlli l’efficienza e le modalità con cui operano e ne arbitri i conflitti tra loro e con lo Stato e adempia soltanto a questa funzione e a pochissime altre (la nomina di due giudici costituzionali e l’intervento al plenum che elegge il Capo dello Stato) equivale all’instaurazione di un potere legislativo monocamerale. Ciò comporterebbe una serie di riforme costituzionali, per ripristinare un equilibrio democratico, che non possono essere effettuate con l’articolo 138 della Costituzione. Richiederebbe, secondo me, una Assemblea costituente. Vi sembra possibile nei tempi attuali un fatto del genere? La Camera dei Lords è tutt’altra cosa. I Lords sono nominati a vita dalla Corona su proposta del premier. Non ha molti poteri. Anzi, quasi nessuno. La Camera dei Comuni le trasmette le leggi affinché le valuti, le approvi, le modifichi o le respinga. Di solito le approva. Se le modifica, di solito i Comuni accettano. Se le respinge, i Comuni le mantengono in vita e l’approvano con votazione definitiva. Ma la Camera dei Lords emette pareri su qualunque argomento che ritenga importante ed affronti problemi delicati e attuali sui quali governo e Comuni dovrebbero intervenire. I Lords sono nominati perché rappresentano delle vere e proprie “eccellenze” nei campi della cultura, medicina, scienza, tecnologia, musica, arte, urbanistica. Insomma. la società civile al suo massimo livello. I suoi pareri sono molto ascoltati e assai spesso Governi, Comuni e organizzazioni private intervengono come i Lords hanno auspicato. Questo tipo di Camera alta va considerata con molta attenzione.

Sarebbe nominata nel caso nostro dal Capo dello Stato e basata su rose di nomi proposte da Accademie, Università, parti sociali variamente scelte e indicate da una legge di riforma dell’attuale Senato della Repubblica che comunque dovrebbe continuare a chiamarsi così. Insomma, e per concludere, o si abolisce il Senato e si crea un organo che si occupi degli Enti locali, o si riforma la Camera alta lasciando che alta rimanga, partecipe delle funzioni del potere legislativo salvo quello di dare la fiducia al governo e di votare la legge di bilancio.
Vedremo Renzi alla prova, ma fretta non c’è perché per parecchi mesi avrà molto da fare in Italia e in Europa e lui lo sa. Deve puntare sul lavoro e la creazione di nuova occupazione, e deve puntare su un’Europa che consenta maggiore flessibilità finanziaria ai paesi che ne hanno bisogno e in prospettiva divenga uno Stato federale.

Per ora il Senato se lo tenga com’è e si limiti a togliergli il potere di fiducia al governo e basta così.
© Riproduzione riservata 01 giugno 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/06/01/news/per_fortuna_renzi_ha_vinto_ma_ci_sono_altri_esami_da_superare-87784285/?ref=HRER2-1
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« Risposta #506 inserito:: Giugno 04, 2014, 07:20:51 pm »

Eugenio Scalfari: "Matteo Renzi non faccia il Narciso e riformi il Pd.
Lo affidi a uno come Fabrizio Barca"

L'Huffington Post

Pubblicato: 01/06/2014 15:18 CEST Aggiornato: 01/06/2014 15:33 CEST
EUGENIO SCALFARI

Per Matteo Renzi, ora, una delle sfide più importanti è la riforma del Partito Democratico. Ne è convinto Eugenio Scalfari, che in un’intervista a In Mezz’Ora su RaiTre riflette sul successo elettorale del presidente del Consiglio e sulle sue conseguenze sulla vita democratica del paese. Il rischio, secondo il fondatore di Repubblica, è di far cadere il Pd nel solco dei partiti leaderistici – come Forza Italia, che è sempre stato il partito di Berlusconi, e il Movimento Cinque Stelle, che si è formato come il partito di Beppe Grillo. “Se oggi si dice che il Partito Democratico è il partito di Renzi, si commette un errore enorme”, spiega Scalfari.

Il consiglio a Renzi, dunque, è di far prevalere il senso del “bene comune” su quel “Narciso” che in una certa misura è presente in ogni leader politico. In che modo? “Se non vuole cedere il posto di segretario – riflette Scalfari – può nominare un presidente o un delegato, una persona che si occupi del partito e che faccia in modo che il partito si riappropri di se stesso. Non necessariamente uno della vecchia guardia, anche una persona giovane, ma esperta…”.

“Tanto per fare un nome a caso – aggiunge l’editorialista – uno come Fabrizio Barca. Abbastanza giovane sì, ma con la solidità e l’esperienza necessarie […] Sempre che Renzi la voglia, una figura come questa. Bisogna invece vedere se preferisce mandare un pulcino della sua covata”. Anche in questo caso, Scalfari non si risparmia i nomi. Il suo prototipo di “pulcino”? “La governatrice del Friuli Venezia Giulia (Debora Serracchiani, ndr) “che è una che parla, ma solo perché Renzi le dice quello che deve dire”.

Secondo Scalfari, il Pd ha la fortuna di aver canalizzato la rabbia del paese in un filone di speranza, invece che nel ‘distruggiamo tutto e tutti’ di Beppe Grillo. “Il buon senso ha coinciso con il senso comune – spiega il fondatore di Repubblica – e quando questo accade è una dinamite, è un elemento propulsivo. Se Renzi lo capisce, sa che la rinascita del partito è una priorità fondamentale. Deve trovare la forza intellettuale per capire che così non va bene. La sinistra democratica e riformatrice deve essere rappresentata da un partito plurale e forte”.

Il presidente del Consiglio - aggiunge Scalfari - deve anche riconoscere che alcuni cambiamenti "erano già sulla rampa di lancio del governo Letta". "Renzi ha il merito di aver acceso i motori, che non è cosa da poco. In un certo senso, il suo successo è il successo della linea di Napolitano". Attenzione, insomma, a non specchiarsi troppo nella propria immagine riflessa: Narciso, lo ricordiamo tutti, ha fatto una brutta fine.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/06/01/eugenio-scalfari-matteo-renzi-non-faccia-il-narciso_n_5426875.html?utm_hp_ref=mostpopular,italia-politica
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« Risposta #507 inserito:: Giugno 10, 2014, 11:22:30 am »

"La corruzione è un peccato del mondo" mi ha detto Francesco

Quando lo scandalo del malaffare emerge il reato è già stato consumato.
Il lavoro preventivo può evitare che sia commesso


Di EUGENIO SCALFARI
   
In un colloquio che avemmo lo scorso mese di marzo, parlando del peccato Papa Francesco mi disse la frase che qui riferisco letteralmente: "I peccati del mondo sono l'ingiustizia e la prevaricazione. Io li chiamo concupiscenza, cupidigia di potere, desiderio di possesso. Questi sono i peccati del mondo e dobbiamo combatterli con tutte le forze di cui disponiamo".

Questi peccati indicati da Papa Francesco si servono di alcuni strumenti per esser commessi, il principale dei quali si chiama corruzione. Si tratta certamente di peccati del mondo ma in Italia sono più diffusi che altrove, anche se non sempre vengono a galla.

Vent'anni fa scoppiò lo scandalo che fu chiamato Tangentopoli. Sembrava che fosse riuscito a bonificare la palude della corruttela pubblica, i suoi miasmi e il malaffare che ne derivava. I partiti più implicati e gli imprenditori più compromessi furono travolti. Tutto era cominciato nel 1992 e fu sull'onda del malcontento popolare abilmente cavalcato che ebbe inizio il berlusconismo. Certo non volevano questo i magistrati che avevano sperato d'aver liquidato il malaffare, ma sta di fatto che il frutto che uscì da Tangentopoli era ancor più velenoso di quelli che c'erano stati prima.

La differenza - se questa parola vogliamo usarla - consiste nel fatto che all'epoca di Tangentopoli lo scandalo consisteva almeno per il 70 per cento in denari trafugati per finanziare i partiti e solo il 30 (e forse anche meno) finiva nelle tasche dei mediatori.

Col berlusconismo le cose cambiarono e la refurtiva finì interamente in tasche private. Moralmente si tratta di una differenza assai poco percettibile ma comunque oggi è peggio di ieri. Quelli che allora erano i mediatori, gli affaristi, gli intermediari in tasca ai quali finivano gli spiccioli adesso lavorano in proprio col potente di turno. Si sono formate lobby delinquenziali, mafie d'alto bordo e le abbiamo viste al lavoro nella (mancata) ricostruzione de L'Aquila, nella scandalosa gestione della Protezione Civile di Bertolaso e soci, negli appalti all'isola della Maddalena, nell'Expo di Milano e infine, proprio in questi giorni, nella più bella e più pestilenziale laguna del mondo. Lo scandalo del Mose è probabilmente il più eclatante, non tanto per l'ammontare delle cifre che pur sono assai consistenti, ma sicuramente per la quantità e la qualità delle persone coinvolte. Ci sono, come hanno scritto nei giorni scorsi i nostri inviati, squali, piranha e pesci piccoli. Sono compromessi il sindaco della città, gli azionisti del consorzio Venezia Nuova che è l'unico concessionario dell'opera, il direttore generale del predetto consorzio, un generale che fu comandante della Guardia di Finanza e perfino - perfino - il magistrato della Corte dei Conti distaccato in quella città. Il partito più rappresentato in questa schiera di corrotti-corruttori è, ovviamente, Forza Italia e Galan che fu tra i fondatori scelto per il Veneto - vedi caso - da Dell'Utri; ma anche il Pd è nel novero perché il sindaco non è un iscritto al partito ma la sua lista fu sponsorizzata dai democratici. Era molto stimato dal Patriarca che infatti lo aveva insignito del titolo onorifico di Procuratore di San Marco. Che volete di più?

****

La corruzione in quanto reato si combatte in tre modi e in tre momenti distinti: la prevenzione, l'inchiesta, la punizione dei colpevoli, esattamente come si combattono tutte le malattie. L'altra sera l'ex procuratore di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, ha lamentato, nel corso della trasmissione "Otto e mezzo" l'assoluta mancanza di prevenzione. Non esiste ancora una vera ed efficace legge contro la corruzione, sono state anzi varate in questi anni le turpi leggi ad personam che sono uno dei frutti devastanti del berlusconismo ed hanno abolito il reato di falso in bilancio, ridotto il periodo di prescrizione, non istituito il reato di riciclaggio e via numerando; leggi che non solo non contrastano ma facilitano e incentivano la corruzione. Massimo Giannini, su questo giornale di giovedì scorso, ha esaminato dettagliatamente la mancanza di prevenzione e le cause imperdonabili del ritardo dei governi; berlusconiani prima e post-berlusconiani poi, ma pur sempre condizionati dalle "larghe intese" e perfino dalle "piccole intese" succedute (o affiancate) alle precedenti. Evidentemente non è chiaro l'ordine di priorità dei provvedimenti dei quali il nostro paese ha maggior bisogno. Sono: la creazione di nuovi posti lavoro, l'incentivazione di nuovi investimenti, un moderno sistema di ammortizzatori sociali, la prevenzione della corruzione.

Tutto il resto viene dopo perché non serve né a rilanciare la crescita né ad attutire la rabbia sociale. Quando lo scandalo del malaffare emerge i fatti ovviamente sono già avvenuti, le Procure e i giudici operano quando il reato è già stato consumato. È il lavoro preventivo che può evitare che sia commesso, un deterrente ben studiato e ben formulato in norme di legge. Qualche tentativo fu fatto ma venne stravolto in Parlamento e i governi non seppero impedirlo perché i sabotatori erano inseriti nei posti di comando e impedivano che i motori venissero accesi come si sarebbe dovuto fare.

Urge che un intervento decisivo venga immediatamente effettuato con priorità assoluta se non si vuole resuscitare un grillismo mettendo di nuovo in gioco la democrazia che è uscita rafforzata dalle recenti elezioni europee.

****

Se le cose vanno in questo modo forse è necessario allargare un poco il nostro quadro mentale; forse non basta parlare di governi e di parlamenti insidiati da contrasti interni e di insufficiente o addirittura mancante lavoro di prevenzione; forse bisogna parlare del cosiddetto popolo sovrano.

Quasi il 40 per cento del nostro popolo sovrano si è astenuto dal voto nelle ultime elezioni. Il 20 o anche il 30 per cento di astensione è fisiologico, ma al di là di questo limite no, saremmo e siamo davanti a un evento che va guardato con attenzione.

Se poi osserviamo i votanti che scelgono movimenti e partiti e leader populisti, cioè demagoghi che promettono e non mantengono o addirittura fanno il contrario di ciò che a parole hanno promesso, allora è segno che quel popolo sovrano ha abdicato dalle sue funzioni. Del resto nella terminologia dell'economichese anche il debito pubblico si chiama sovrano. Popolo sovrano, debito sovrano: non vi sembra un gioco da bambini in cerca di sciarade?

Purtroppo è una dura e cruda verità. Questa mattina a Napoli dove mi trovo al festival della Repubblica delle Idee, discuterò anche di queste questioni con Roberto Benigni. Francamente non potrei trovare un interlocutore più adatto: Benigni è un comico di eccezionale cultura, che mette la sua comicità a servizio della conoscenza e proprio per questo avrò (e avranno quelli che lo ascolteranno) molto da imparare da lui.

Lo anticipo con dei versi d'un poeta - Trilussa - che anche lui metteva il cosiddetto popolo sovrano allo specchio affinché si guardasse e si emendasse se possibile. Di questi versi avevo già parlato tempo fa, ma ora trascrivo il brano finale della poesia (romanesca) intitolata "L'incontro tra li sovrani". Mi sembra quanto mai attuale. Leggete, divertitevi ed emendatevi se c'è bisogno di farlo.

"Stai bene? Grazzie. E te?
e la Reggina? Allatta.
E er Principino? Succhia.
E er popolo? Se gratta.
E er resto? Va da sé...
Benissimo! Benone!
La Patria sta stranquilla;
annamo a colazzione...
E er popolo lontano,
rimasto su la riva,
magna le nocchie e strilla:
Evviva, evviva, evviva...
E guarda la fregata
sur mare che sfavilla".

© Riproduzione riservata 08 giugno 2014

DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/06/08/news/corruzione_peccato_del_mondo-88358884/?ref=HREA-1
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« Risposta #508 inserito:: Giugno 15, 2014, 07:37:17 pm »

Il pifferaio magico fa miracoli e prende cantonate
Di EUGENIO SCALFARI

15 giugno 2014
   
Il pifferaio magico di Hamelin è il protagonista di una celebre favola tedesca, anzi per l'esattezza transilvana, immortalata dai fratelli Grimm. Quando aveva scelto chi desiderava che lo amasse e lo seguisse suonava il suo piffero e le turbe affascinate, ammaliate e stregate gli andavano appresso. A volte lo faceva con buone intenzioni come quando i cittadini di Hamelin gli chiesero di stanare i topi che infestavano la città e lui suonò il suo magico strumento e li condusse fin dentro a un fiume dove i topi annegarono tutti. Altre volte invece le intenzioni erano a suo profitto: portò tutti i bambini di Hamelin in una caverna e disse alle famiglie di quel paese di pagargli il riscatto per liberarli. Forse i bambini si divertivano con lui ma i genitori li volevano indietro e li riebbero dopo averlo pagato.

Di pifferai magici l'Italia ne ha avuti più d'uno. Siamo un Paese che è molto sensibile al pifferaio e dove ci sono molti topi da stanare e tanti bambini da sequestrare. Adesso di pifferai ne abbiamo contemporaneamente tre: uno è piuttosto avanti con gli anni e il suo piffero è alquanto stonato; un altro lo strumento non ce l'ha e lo sostituisce con le urla e gli insulti contro il governo di Hamelin; i bambini si divertono a sentirlo urlare e parecchi gli vanno dietro anche se da qualche mese danno segnali di noia alle continue urla che li rintronano.

Il terzo è perfetto, suona meravigliosamente bene, diverte, interessa, piace. È arrivato da poco ma era molto atteso non solo dai bambini ma anche da molti adulti. Perfino l'Europa ce lo invidia.

Pensate che piace perfino alla Merkel e addirittura all'inglese Cameron e al francese Hollande. Evidentemente suona il suo piffero anche a Bruxelles ma lì la faccenda è più complicata. Lui comunque ci prova. E poiché ha una grande fiducia in sé è andato a suonare perfino a Mosca e a Pechino.

In sua assenza però sono accadute alcune perturbazioni ad Hamelin: qualche giorno fa una cinquantina di parlamentari ha votato contro nel segreto delle urne; l'indomani un rompiscatole di professione senatore, ha inscenato una protesta a cielo aperto con altri 13 colleghi. Tutti e due sono brutti segnali e il pifferaio è rientrato in tutta fretta dalla Cina. Stavolta però non ha preso il piffero ma un nodoso bastone. Nei prossimi giorni si vedrà come andrà a finire. La favola dei fratelli Grimm termina qui.

***

Personalmente i pifferai mi piacciono poco ma talvolta servono e lavorano a fin di bene; se ne può avere molto bisogno se mancano alternative migliori.

Nel caso dei 50 franchi tiratori Matteo Renzi ha pienamente ragione. Si votava nell'aula della Camera una legge di riforma della giustizia e c'era un emendamento del partito di Berlusconi che voleva instaurare la responsabilità civile personale dei magistrati per gli errori che possono commettere emanando sentenze o ordinanze esecutive. L'imputato o il condannato che si sente innocente e quindi ingiustamente sospettato o punito può, secondo l'emendamento in discussione, chiamare il magistrato a risponderne dinanzi a un altro. Dunque un processo contro il processo: logica eminentemente berlusconiana.

La legge in vigore non prevede questa ipotesi: la persona che sia convinta della propria innocenza non può attaccare direttamente il magistrato ma può rivalersi nei confronti dello Stato. Spetterà poi allo Stato, cioè al ministro della Giustizia, rivalersi sul magistrato se avrà indizi di colpevolezza. Naturalmente passando attraverso un comitato di disciplina che delibera in proposito.

La motivazione di questa norma che pone lo Stato come intercapedine tra il cittadino e il magistrato è pienamente condivisibile: se non ci fosse quell'intercapedine i processi diretti tra cittadini e magistrati sarebbero continui e influirebbero sulla giurisdizione intimidendo la magistratura e violando la Costituzione che ne riconosce la totale indipendenza. Quindi chi ha sostenuto e votato contro quell'indipendenza ha sbagliato e in particolare hanno sbagliato i franchi tiratori del Pd. Resta comunque il fatto che il Senato correggerà quell'errore. Renzi si dice sicuro che questo avvenga. Speriamo che sia così ma osserviamo, come molti commentatori hanno già fatto prima di noi, che l'errore della Camera sarà corretto dal Senato che però lo stesso Renzi vuole abolire. Dove è la logica? Non c'è. Se e quando il Senato fosse abolito e la Camera sbagliasse, nessun altro organo potrebbe emendare l'errore. È evidente che così non va bene.

***

L'altro caso che ha come protagonista Corradino Mineo e altri 13 senatori del Pd che si sono autosospesi dal partito e tra i quali si annoverano nomi illustri come Chiti e Mucchetti, è del tutto diverso dal precedente. Riguarda la riforma del Senato, di fatto la sua abolizione come seconda Camera del potere legislativo.
Nel progetto Renzi il Senato dovrebbe occuparsi soltanto degli Enti territoriali, della legislazione di loro competenza e degli eventuali conflitti dei suddetti Enti nei confronti dello Stato centrale. La loro elezione non avverrebbe direttamente ma in secondo grado, avendo come elettori i Consigli delle Regioni e dei Comuni. Di fatto si instaurerebbe un sistema monocamerale opportunamente rafforzato per quanto riguarda il potere esecutivo (cioè il governo) e notevolmente indebolito per quanto riguarda il potere legislativo.

Qualche cosa di simile avviene con il Cancellierato tedesco e la premiership inglese con la differenza - non da poco - che le leggi elettorali in quei Paesi sono basate in gran parte in Germania e totalmente in Gran Bretagna su collegi uninominali.

Si sostiene da parte governativa che la Camera dei deputati avrebbe una solida maggioranza e controllerebbe a vista l'operato del governo al quale, in qualunque momento, potrebbe togliere la fiducia. Ma - a parte che in quel caso si dovrebbe inevitabilmente andare a nuove elezioni con tutte le difficoltà che ciò comporta - si ritorna alla presenza di un pifferaio d'eccezionale bravura, sicché non è il governo a dipendere dalla Camera ma esattamente il contrario. Il governo pertanto sarebbe sicuramente autorevole e altrettanto sicuramente autoritario. Ne deduco, nell'interesse della democrazia parlamentare, che in questo caso dalla parte della ragione ci sono i 14 senatori autosospesi i quali hanno anche dalla loro l'articolo della Costituzione che esonera ogni membro del Parlamento dal vincolo di mandato. Certo un partito può espellere chiunque - parlamentare o no - si renda colpevole di scorrettezze etico-politiche, ma certo non chi si avvale di un diritto sancito dalla Costituzione. Il capogruppo del Senato Luigi Zanda, queste cose le sa. Lo conosco e lo stimo da almeno 35 anni e sarei stupito e deluso se questi diritti non fossero tutelati.

Nel frattempo l'Assemblea del Pd, su proposta di Renzi, ha eletto presidente del partito Matteo Orfini, capo della piccola corrente chiamata dei Giovani Turchi. Zingaretti, che sembrava in "pole position" per quella carica, se ne è scartato avendo capito che per lui non c'era spazio. Ma chi erano storicamente i Giovani Turchi? Erano giovani ufficiali che appoggiavano il laicismo di Ataturk contro l'islamismo dei califfi e dei sultani. Francamente non vedo somiglianze tra i giovani ufficiali di Ataturk e i seguaci di Orfini, ma posso sbagliare, chissà quante sorprese positive ci darà Orfini. Prima di lui c'era la Bindi e lei sì, qualche buona sorpresa ce la dette. Poi fu rottamata.

Plaudo invece di gran cuore a Renzi quando ha esortato il partito a tirar fuori tutti gli scheletri che possono esserci negli armadi del Nazareno. Su questo tema il pifferaio ha suonato molto bene e speriamo sia seguito.

***

Poche parole sull'Europa e le nomine che si debbono fare: la nuova Commissione, i commissari, cioè il governo dell'Unione, e il presidente europeo, attualmente Van Rompuy che dovrà esser sostituito nella carica che dura una legislatura.

Ho letto l'altro ieri il discorso di Cameron contro la candidatura di Juncker proposto come presidente della Commissione dal Ppe che ha superato di qualche voto il Pse che aveva Schulz come candidato.

Cameron non sceglie tra l'uno e l'altro e tantomeno indica altri nomi, ma contesta interamente la sovranità del Parlamento europeo. Non la riconosce. La sovranità, secondo il premier inglese, sta soltanto nei governi dell'Unione. Il Parlamento è per Cameron un organo figurativo che collabora con pareri ma senza poteri alla Confederazione europea. Non si può trasformare in un potere legislativo vero e proprio; soltanto i governi di comune e unanime parere, potrebbero riconoscergli questa sovranità.

Da questo punto di vista i conservatori inglesi guidati da Cameron sono su posizioni quasi identiche a quelle della Le Pen e della Lega Nord di Salvini. Questa concezione è aberrante e dovrebbe essere denunciata dagli europeisti e dai governi che a quegli ideali si ispirano, tra i quali da sempre c'è il governo italiano. Tuttavia una parola di Renzi in proposito non si è sentita. È vero che è in tutt'altre faccende europee affaccendato e giustamente: la crescita, la flessibilità economica, gli investimenti europei. Ma è vero anche che pochi giorni fa il Pd ha stipulato un accordo con la Lega per una revisione del Capitolo V della Costituzione in senso leghista e quindi esattamente il contrario del progetto iniziale di riforma fin qui annunciato.

Berlusconi sarà felice: nell'accordo sulle riforme finora c'erano il Pd, Forza Italia, Alfano. Adesso c'è anche Salvini con la Lega. Ma non è Salvini che si è mosso verso gli altri, sono gli altri cioè il Pd, che si è mosso verso di lui.

"Ça je l'aurais jamais cru", dice la Piaf nella canzone "Milord". Se ne vedono di belle e di brutte in questo Paese ma spesso le brutte sono molto più numerose.
 
© Riproduzione riservata 15 giugno 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/06/15/news/il_pifferaio_magico_fa_miracoli_e_prende_cantonate-88993587/?ref=HREC1-1
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« Risposta #509 inserito:: Giugno 22, 2014, 05:46:19 pm »

Tre domande al premier sull'Europa, l'Italia e la riforma

Di EUGENIO SCALFARI
22 giugno 2014
   
COMINCIO con una citazione di papa Francesco dal discorso da lui pronunciato nella chiesa di Santa Maria in Trastevere dinanzi a diecimila persone radunate nella basilica e nella piazza antistante alla Comunità di Sant’Egidio.

Sembrerà una bizzarria tirare in ballo il Papa come “incipit” di un articolo dedicato alla politica italiana ed europea; invece è pertinente a quanto accade nel nostro Paese.

Il Papa, dopo aver a lungo esaminato i problemi della pace, compromessa in molte parti del mondo, ha parlato dei vecchi e dei giovani e ha detto (cito letteralmente perché l’ho scritto mentre Francesco parlava): «I vecchi hanno memoria di quanto è accaduto durante la loro vita ed esperienza di quanto hanno personalmente vissuto. Quella memoria e quella esperienza debbono essere trasmesse alle generazioni di giovani venute dopo di loro. Se quella trasmissione non avviene, i giovani non saranno creativi. Ci sarà qualche genio che potrà farne a meno ma questo non basta a far proseguire la storia d’un Paese e del mondo».

Non è un programma politico ma un esempio prezioso; non predica l’immobilità della storia, al contrario ne indica la mobilità essenziale affinché la storia si svolga creando nuove situazioni che però non possono essere inventate da marziani sbarcati da altri mondi nel nostro. I vecchi debbono raccontare, i giovani debbono aggiornare e perfino rivoluzionare se fosse necessario, ma partendo dal racconto del passato, senza il quale non c’è futuro, non c’è vista lunga e si rimane schiacciati sul presente del giorno per giorno.

Questo Papa è molto saggio ed anche molto audace, non solo per la sua Chiesa ma per tutti gli uomini di buona volontà, consapevoli di non essere angeli ma neppure animali.

* * *
Il racconto di queste settimane, visto da un italo-europeo quale sento di essere, ha ancora una volta Matteo Renzi come protagonista. Lo è dal marzo scorso e ne ha fatta di strada nel bene e nel male.

L’ho incontrato il 7 giugno scorso a Napoli al Festival delle Idee promosso ogni anno dal nostro giornale. Era in programma quella mattina un dialogo tra lui ed Ezio Mauro al teatro San Carlo, gremito in ogni ordine di posti e lui con il direttore di Repubblica aspettavano in una stanza vicino al proscenio che si facesse l’ora per cominciare.

Sapendo che anch’io ero in sala mi fece chiamare e li raggiunsi. Abbiamo fatto chiacchiera per una ventina di minuti, poi io sono tornato in sala e loro sul palcoscenico hanno scambiato idee e affrontato i temi d’attualità per oltre un’ora e mezzo.

Racconto questi particolari di scarsa importanza solo per dire che ora lo conosco più di prima e mi è apparso in più giusta luce. Abbiamo anche deciso di darci del tu e chiamarci per nome. Quel pomeriggio scrissi l’articolo pubblicato domenica scorsa e intitolato “Il pifferaio magico di Hamelin”; il pifferaio naturalmente era lui, Matteo. Capace col suono del suo strumento di farsi seguire da chi è stregato dal suo piffero. Talvolta quel corteo di gente affascinata produce risultati ottimi o buoni, talaltra mediocri o cattivi.

Così è la vita, al di là delle intenzioni. Ma un punto voglio qui notare: bisognava nominare il presidente del Partito democratico e dopo rapidi pensamenti Renzi ha suggerito e la direzione unanime approvato Matteo Orfini.

Tutto si può dire di quest’altro Matteo salvo che sia un vecchio che trasmette memoria ed esperienza al Matteo segretario del partito e presidente del Consiglio. Stavolta il pifferaio ha sbagliato e di grosso.

* * *

L’Europa deve rinnovare tutte le cariche in scadenza: il presidente della Confederazione (chissà perché si chiama Unione); il presidente della politica comune verso l’Estero (che non conta nulla perché non c’è stata alcuna cessione di sovranità da parte dei governi nazionali); la Commissione europea a cominciare dal suo presidente; il presidente del Consiglio europeo (che conta poco o niente perché si limita ad emettere qualche parere); il presidente del nuovo Parlamento eletto lo scorso 25 maggio, dove il Partito popolare europeo ha avuto, pur arretrando rispetto a cinque anni fa, la maggioranza relativa: quindi spetta a loro designare il candidato alla presidenza della Commissione che di fatto è il governo dell’Unione sempre che, oltre alla fiducia del Parlamento, abbia quella ben più determinante del Consiglio dei primi ministri membri della Ue.

Juncker era ed è il candidato a quest’ultima carica sempre che abbia la maggioranza assoluta del Parlamento che gli può venire solo da un accordo con il Partito socialista e il «veni mecum» dei governi confederati. Avrà (ormai è certo) sia l’uno che l’altro con l’appoggio risolutivo di Angela Merkel e quello controvoglia dell’inglese Cameron che sembrava deciso a mettere l’ultimatum contro Juncker minacciando l’uscita dall’Unione. Ora pare ci abbia ripensato ottenendo qualche compenso politico e qualche carica ambita nella Commissione.

Il candidato socialista per la presidenza della Commissione era Schulz, ma ha fatto buon viso restando presidente del Parlamento. Si deve ancora trovare il nome del presidente della Ue al posto di Van Rompuy; al Consiglio d’Europa, su proposta del nostro Renzi, andrà una dinamica finlandese. I nomi dei membri della Commissione sono ancora tutti da fare. Uno spetta certamente all’Italia ma non si sa quale e chi sarà.

Ma lo sceglieranno i governi o il Parlamento? Questo ora è il breve tema che bisognerebbe discutere; ma in realtà nessuno ha voglia di farlo salvo forse Schulz.

Eppure è un tema fondamentale: il Parlamento, eletto dai cittadini europei, ha una sua sovranità, sia pure mediata con i governi degli
Stati membri, oppure è un simulacro i cui sì o no contano come il due di picche? Cameron ovviamente non vuole un Parlamento sovrano. Idem la Francia e così gran parte dei paesi confederati. E l’Italia? Vuole o no perseguire, sia pure gradualmente, le cessioni di sovranità politiche oltreché economiche? E la Germania?

La Germania è consapevole che, fin quando l’Europa non sarà uno Stato federale, i suoi staterelli — Germania compresa — saranno politicamente e quindi anche economicamente irrilevanti. Ma ha bisogno di tempo e di gradualità. L’ostacolo inglese è insormontabile. Quello francese anche, almeno per ora.

Ma l’Europa così com’è non ha destino. Cito ancora papa Francesco di domenica scorsa: «L’Europa è stanca, bisogna che i suoi cittadini tornino a sperare».

Giusto, ma i suoi cittadini non contano niente e il Parlamento che hanno eletto conta assai poco. Quindi emergono a Strasburgo minoranze tutt’altro che irrilevanti di xenofobi, reazionari e ultranazionalisti.

L’Italia, attraverso la clamorosa vittoria del nostro Pd il 25 maggio, ha nettamente aumentato il suo peso sia nel Partito socialista europeo sia nel concerto dei governi confederati. Dunque mi chiedo (e lo chiedo a Renzi se avrà l’amabilità di rispondermi): l’Italia che avvenire vuole per l’Europa e come intende perseguirlo?

Sappiamo che cosa vuole oggi Renzi, questo sì. Vuole che la Merkel sia una sua tifosa e questo l’ha ottenuto. Vuole che dia al suo governo maggiore flessibilità per favorire la crescita e l’occupazione. Anche questo obiettivo l’ha ottenuto ma «nel rispetto degli impegni europei». Quindi poca roba. Vuole che la Merkel non stia con gli occhi puntati sul nostro debito sovrano. E va bene, non ci starà. Però ci starà il Fondo monetario internazionale e anche Juncker e i suoi commissari.

Insomma a giudicare da lontano, non sembra ci sia molta trippa per gatti.

Siamo stati denunciati per infrazione perché paghiamo i debiti nuovi a 90-120 giorni dalle fatture anziché a 30-60 come previsto. Intanto i Comuni e le Regioni aumentano le sovrattasse di loro pertinenza. Ci sono — è vero — segnali di ripresa della produzione; nei consumi ancora no. Aspetta e spera, ma fino a quando?

Comunque il nostro Matteo a Bruxelles sta facendo il possibile. Forse è in Italia che sbaglia.

* * *
Breve premessa. Le leggi di riforma costituzionale dovrebbero essere presentate dal Parlamento e non dal governo perché la competenza in questa caso spetta al potere legislativo e non all’esecutivo il quale, appunto, esegue e non può cambiare le regole. Questa osservazione è attendibile ma non unanime. È invece unanime che su una legge di riforma costituzionale non possa essere chiesta la fiducia del governo. Questo no, è implicitamente esplicito nell’ordinamento costituzionale. Fine della premessa.

Il Senato, secondo gli accordi ormai definitivi tra Renzi, Berlusconi, Alfano e Lega, si dovrebbe comporre di 74 membri eletti dai Consigli regionali, 21 assegnati ai Comuni ma sempre eletti dai Consigli regionali e 5 nominati dal presidente della Repubblica (norma già esistente).

Il Senato dunque rappresenta gli Enti locali negli eventuali conflitti con lo Stato; vigila sui poteri dei suddetti enti e sulla loro efficienza; partecipa — come già avviene — al plenum del Parlamento per le nomine che gli spettano; alla ratifica dei trattati internazionali e alle riforme costituzionali.

Se un terzo del Senato, composto da cento membri, chiede di discutere una legge ordinaria entro dieci giorni dalla sua approvazione alla Camera, la partecipazione è accordata purché entro trenta giorni si arrivi all’approvazione definitiva, altrimenti resterà invariato il testo approvato dalla Camera.

Quest’ultima disposizione è un gioco del pifferaio perché non ha alcun valore pratico. Quanto al resto il Senato della Repubblica cessa di esistere e si instaura un regime monocamerale.

Niente di grave, il monocamerale esiste in molti paesi europei a cominciare da Francia, Gran Bretagna, Germania, dove il cancellierato o la premiership non aboliscono la democrazia. Ma il cancellierato (e il monocamerale altro non è perché i deputati della maggioranza seguono sempre il pifferaio di turno) comporta una riscrittura della Costituzione.

Tanto più quando, con altro provvedimento, il governo legifera sulla messa a riposo anticipata dei magistrati e di conseguenza all’elezione di un altro Csm.

Tutto fa prevedere insomma che i poteri dell’esecutivo aumenteranno; la magistratura e il suo organo di autogoverno ringiovaniranno e l’esperienza dei vecchi sarà anche qui messa in soffitta o in cantina.

Caro Matteo, tu sei bravo e seducente. A volte ottieni risultati utili al Paese, a volte fai errori o persegui il rafforzamento del tuo potere.

Riconosco la bravura, il potere di seduzione, le buone intenzioni. Ma un governo autoritario francamente non lo voglio. Non lo vogliamo.

Quanto al fatto che un Senato vero farebbe perdere tempo prezioso, si tratta d’una totale bugia. Dai dati ufficiali dell’Ufficio del Senato risulta che l’approvazione d’una legge ordinaria avviene mediatamente in 53 giorni (meno di due mesi), la decretazione di urgenza è convertita in legge in 46 giorni e le leggi finanziarie in 88 giorni (meno di tre mesi). Non sono colpe del bicameralismo ma della burocrazia ministeriale i ritardi ed è lì che bisognerebbe colpire. Finora non si è fatto. Il bicameralismo funziona a dovere e i ritardi non provengono affatto da lì.
© Riproduzione riservata 22 giugno 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/06/22/news/tre_domande_al_premier_sull_europa_l_italia_e_la_riforma-89682893/?ref=HRER2-1
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