Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #465 inserito:: Novembre 30, 2013, 05:27:33 pm » |
|
Eugenio Scalfari Vetro soffiato C’è un po’ di Bergoglio in quel Tolstoj Per il grande scrittore russo il senso della vita è Dio. Per il papa pure. Ma occorre anche sporcarsi le mani nell’aldiquà La casa editrice L’Epos di Palermo e la fondazione Amici di Tolstoj hanno pubblicato poco tempo fa un libro di notevole interesse e l’hanno intitolato “Perché vivo”. Il sottotitolo è: “Riflessioni sullo scopo e il significato dell’esistenza”. Si tratta di saggi e diari scritti da Tolstoj in una fase della sua vita quando l’ispirazione narrativa gli sembrava del tutto inaridita mentre urgeva dentro di lui una vocazione fin lì sconosciuta a predicare il bene e a educare quella che chiamava «la plebe», i lavoratori, i poveri, gli esclusi, i servi della gleba, quelli che Gogol avrebbe poi chiamato le anime morte. Aveva cinquant’anni l’autore di “Guerra e Pace” e della “Karenina” e durò trent’anni questa sua predicazione scritta in brevi note diffuse in tutta Europa e anche in Asia. Fino ai suoi 82 anni, quando fuggì dalla sua casa e andò a morire nella casa di un ferroviere dove era arrivato vagando senza meta nelle campagne russe. “Perché vivo” contiene alcuni di questi saggi, credo i più significativi. Ne parlo oggi perché la loro attualità è sconvolgente. Non so se Papa Francesco li ha letti, ma quelle di Tolstoj sembrano parole sue quando si confronta con la cultura moderna e dialoga con i non credenti. Tolstoj scrisse questi saggi tra il 1880 e il 1910; l’argentino Jorge Bergoglio diventa Capo della Chiesa cattolica nel 2013 e si esprime con pensieri e parole modernissime ma scritte un secolo prima da un russo. Non è sorprendente? Il tema di fondo lo troviamo nei titoli di alcuni dei saggi tolstojani, il primo dei quali è intitolato “Di che cosa soprattutto ha bisogno la gente?” E poi: “Come e perché vivere”. E ancora: “Perché io vivo?”. E segue: “Credete in voi stessi. Appello ai giovani”. E infine: “Il senso della vita”. Tolstoj coglie una contraddizione di fondo insita negli individui della nostra specie: siamo animali animati da istinti animali, ma siamo al tempo stesso esseri pensanti e consapevoli di invecchiare e di morire. Questa è la contraddizione, riguarda l’istinto di sopravvivenza e la coscienza della nostra mortalità. QUESTO PROBLEMA mi è molto familiare e a esso ho dedicato sei libri, l’ultimo dei quali uscito pochi giorni fa si pone il medesimo problema. La conclusione cui arriva Tolstoj è la fede in Dio che a me sembra invece un’ipotesi puramente consolatoria. Ma per far meglio conoscere ai lettori la contraddizione tra chi ipotizza un aldilà e chi cerca il senso soltanto nell’aldiquà, alcune citazioni del libro tolstojano saranno assai utili. «L’uomo che ripone la sua vita nei godimenti non sarà mai tranquillo perché tornerà sempre nella sua mente la morte e morirà disperato. Proprio per questo si può vivere soltanto per compiere la volontà di Dio». «Dio è quella forza che mi ha fatto così come sono. Se fossi un animale vivrei come vivono gli animali, senza sapere di vivere e senza chiedermi che cosa mi succederà dopo. Ma poiché so che morirò, io non posso non sapere che nella mia natura animalesca è stato posto qualcosa di non animalesco. Perciò io sono un miscuglio di animalità e spiritualità e mi ha inviato in questo mondo proprio quell’Essere che io chiamo Dio». «Ogni uomo, appena si desta in lui la ragione, ha la consapevolezza di racchiudere in sé un essere separato: l’uomo considera se stesso separato da tutti gli altri e vuole il bene solo per sé; ma quando si rende conto dell’ineluttabilità della morte considererà la sua separazione priva di senso. La vita d’un essere separato non è vita, ma soltanto apparenza di vita. La vita si manifesta solo quando ci si rende conto di quell’essere nuovo che è nato dall’animale ed è dotato di ragione. Se manca questa conclusione si commette lo stesso errore di una farfalla che, uscita dalla crisalide, continuasse a ritenere di essere quella crisalide dalla quale è ormai venuta fuori». E INFINE: «Per salvarsi, non essere infelici, non soffrire, bisogna dimenticarsi di se stessi e l’unico modo di dimenticarsi di sé è amare. L’attività più importante della vita, anzi la sola importante, rimasta segreta agli uomini, consiste nel far accrescere l’amore in se stessi e negli altri. Possiamo guardare nella vita futura da due diverse finestre. L’una è in basso a livello animale e attraverso di essa non vediamo che uno spazio buio e questo ci fa paura; l’altra finestra è posta più in alto, a livello della vita spirituale e attraverso di essa scorgiamo la luce e la gioia. Che Dio esista o no, che esista o no la vita futura, in tutti i casi la cosa migliore che io possa fare è far aumentare in me l’amore perché l’accrescimento dell’amore accresce senza indugi la felicità. Per trovare la felicità devi amare la felicità degli altri. Il solo modo di servire se stessi è quello di servire gli altri e tu riceverai in cambio la più grande felicità del mondo: il loro amore». Queste cose pensava e scriveva Tolstoj. Il mio commento è: ha snidato Narciso che, amando gli altri, ottiene che gli altri amino lui, cioè te. Del resto, che cos’altro predica Bergoglio se non ricordarci il motto evangelico «ama il prossimo tuo come te stesso»? Purtroppo accade sempre più di rado. Questo miracolo Dio non l’ha fatto forse perché i miracoli non esistono al di fuori di noi. Solo ciascuno di noi può farlo nell’aldiquà, illuminando quel buio della finestra bassa di cui parla Lev Nikolaevic quando cerca il senso della vita. 28 novembre 2013 © Riproduzione riserva Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2013/11/21/news/tityre-tu-patulae-recubans-tegmine-1.142096
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #466 inserito:: Dicembre 01, 2013, 11:42:27 am » |
|
Che accadrà di tutti noi senza più il caimano? Berlusconi è caduto ma il berlusconismo affliggerà ancora per qualche tempo la nostra società. Per alcuni la fine è più apparente che reale. Per altri si è chiusa una brutta pagina di storia di EUGENIO SCALFARI 01 dicembre 2013 QUELLA domanda se la fanno in molti e molte e discordanti sono le risposte secondo l'appartenenza politica e il ruolo che ciascuno degli interlocutori ha avuto in passato e conta di avere nel prossimo futuro. Alcuni mettono in dubbio che il caimano sia veramente uscito di scena e pensano che, anche se già decaduto dal Parlamento, rimane ancora in campo, conserva una piena leadership sui suoi seguaci e la manterrà per molto tempo ancora. Del resto anche Grillo è fuori dal Parlamento, anche Vendola, anche Renzi, eppure contano, eccome. È vero che Berlusconi è condannato per frode fiscale e gli altri no, ma questa differenza incide poco finché potrà mantenere il consenso di molti italiani come i sondaggi di opinione registrano. Chi ha dedicato la propria passione politica al suo sostegno pensa addirittura che sarà ancora più forte di prima, più rispondente alla sua vocazione di lotta, e ne gode. Il tanto peggio tanto meglio risveglia la sua energia e quella dei berluscones, manderà all'inferno chi l'ha tradito e sconfiggerà le sinistre di ogni risma che ancora infettano la cara Italia e perciò: Forza Italia, la vittoria è a portata di mano e questa volta con l'esperienza del passato sarà definitiva. Chi invece è dalla parte opposta ha una diversa valutazione dei fatti e delle loro conseguenze. Alcuni pensano, come i loro avversari, che la "caduta" sia più apparente che reale e temono che le previsioni di Forza Italia non siano purtroppo prive di fondamento. Altri invece estendono l'anatema contro il caimano a quanti da sinistra l'hanno coperto collaborando col diavolo e quindi dannandosi con lui. Per costoro la prossima battaglia dovrà dunque esser diretta mettendo definitivamente fuori gioco le finte sinistre corresponsabili della decadenza del Paese. Ma molti infine sono convinti che una bruttissima pagina di storia sia stata finalmente chiusa e si apra il campo al riformismo democratico. Questi sono i variegati scenari che dividono l'opinione pubblica, le forze politiche (e antipolitiche), i media, la business community e le parti sociali. * * * * Quanto a noi, il dissenso nei confronti di Berlusconi e del berlusconismo è stato uno degli "asset" del nostro giornale molto prima del suo ingresso in politica nel 1994. Cominciò fin dall'87, quando apparve chiaro il connubio di affari tra lui, i dorotei della Dc e soprattutto i socialisti di Craxi. Nell'89 diventò uno scontro diretto con quella che allora fu denominata la guerra di Segrate, la conquista della Mondadori da parte della Fininvest e quello che ne derivò. La nascita di Forza Italia portò al culmine quella guerra che non fu più soltanto un contrasto aziendale ma un fenomeno devastante della vita pubblica italiana. È durata vent'anni, ora Berlusconi è fuori gioco ma il berlusconismo no, è ancora in forze nel Paese. Non è un fatto occasionale, non è un fenomeno eccezionale mai visto prima, purtroppo è ricorrente nel nostro passato, recente ma anche più antico. Ricordo a chi l'avesse dimenticato la polemica non solo politica ma culturale che si ebbe nel 1945 tra Benedetto Croce e Ferruccio Parri sul fascismo. Croce sosteneva che la dittatura di Mussolini era stato un deplorevole incidente di percorso della nostra storia, che aveva certamente avuto conseguenze terribili ma non si era mai verificato prima, sicché una volta terminato dopo una guerra perduta e un paese pieno di rovine, il corso della nostra storia sarebbe ripreso e la libertà avrebbe di nuovo avuto la sua pienezza. Personalmente credo che Parri avesse ragione e Croce sbagliasse. Demagogia, qualunquismo, assenza di senso dello Stato sono altrettanti elementi che restano nascosti per lungo tempo ma non scompaiono dall'animo di molti e di tanto in tanto emergono in superficie. Un fiume carsico che crea situazioni diverse tra loro ma legate da profonde analogie che hanno reso tardiva la nostra unità nazionale e fragile la nostra democrazia. Berlusconi è caduto, il caimano tra un paio di mesi non ci sarà più e tanto varrebbe disinteressarsene, lasciando agli storici l'analisi e la collocazione; ma il berlusconismo non è finito e il problema affliggerà ancora per qualche tempo la nostra società, alimentato dagli altri populismi di diversa specie ma di analoga natura. Perciò la vigilanza è un dovere civico per tutte le persone e per le forze politiche consapevoli. * * * * Il governo Letta si presenterà in Parlamento dopo l'8 dicembre per ottenere la fiducia poiché la nascita, anzi la rinascita di Forza Italia da un lato e del nuovo centrodestra dall'altro hanno modificato la maggioranza parlamentare e quindi la natura stessa del governo. È a mio avviso auspicabile che non vi siano rimpasti se i ministri di provenienza del Pdl confermeranno la loro scelta "alfaniana". Il governo ha problemi ben più importanti da affrontare e Letta li ha da tempo individuati: accentuare, nell'ambito delle risorse esistenti, l'obiettivo della crescita economica e la ricerca delle coperture necessarie; le riforme istituzionali e costituzionali da effettuare; la produttività e la competitività da accrescere; la legge elettorale da modificare; l'evasione fiscale da perseguire. Ma soprattutto la politica europea e la struttura stessa dell'Europa da avviare verso un vero e proprio Stato federale. Quest'ultimo obiettivo è della massima importanza e noi ne siamo uno dei primi attori. Letta ha già iniziato il confronto con le autorità europee e con gli Stati membri dell'Unione, una politica che toccherà il culmine col semestre di presidenza italiana. C'è chi sostiene che l'importanza di quella presidenza sia retoricamente sopravvalutata, ma non è così, non solo perché l'Italia è tra i fondatori della Ue ma per un'altra e ben più consistente ragione. L'ho già scritto domenica scorsa ma penso sia utile ripeterlo ricordandolo alla memoria corta di molti concittadini: abbiamo il debito pubblico più pesante d'Europa se non addirittura del mondo. È la nostra debolezza, ma paradossalmente la nostra forza. I default della Grecia o del Portogallo o perfino della Spagna, semmai dovessero verificarsi (ovviamente speriamo e pensiamo che non avverranno), sarebbero certamente sgradevoli ma sopportabili dall'Europa. Un default dell'Italia invece no, sconquasserebbe l'Europa intera con conseguenze negative non trascurabili perfino in Usa; il sistema bancario europeo (e non soltanto) ne sarebbe devastato. Una catastrofe che non avverrà, ma è questa spada di Brenno che Letta può gettare sul tavolo della discussione con gli altri membri dell'Unione a cominciare dalla Germania. Fin da subito, ma il culmine di questo confronto ci sarà durante la nostra presidenza europea poiché i governi dei Paesi membri se lo troveranno di fronte istituzionalmente, visto che fissare l'ordine dei lavori spetta al presidente di turno. Letta non sarà senza alleati. La Francia e la Spagna sono fin d'ora impegnate su questo terreno e perfino l'Olanda. La Bce mira anch'essa a quell'obiettivo del quale l'unione bancaria rappresenta uno dei capitoli principali. La Merkel tentenna, ma dopo la nascita della coalizione con l'Spd la situazione è cambiata. I socialdemocratici hanno lasciato nelle mani della Cancelliera la politica europea, ma hanno ottenuto l'aumento del salario minimo garantito, una politica di incentivi ai consumi e di forme nuove di sostegno sociale. Queste misure dovrebbero far aumentare la domanda interna e sono appunto gli obiettivi che la Bce persegue per migliorare l'equilibrio degli interessi bancari tra i paesi europei. Le imminenti elezioni europee non avranno molto peso sull'evoluzione eventuale ed auspicabile della struttura istituzionale dell'Europa, ma possono avere ripercussioni negative sulla politica interna di alcuni Stati nazionali e soprattutto nel nostro e in quello francese dove il Front National per i francesi e i Cinque Stelle e Forza Italia potrebbero registrare i consensi dell'antipolitica. Ecco un altro appuntamento che impone a Letta di accelerare il passo e al Pd di dargli il necessario consenso per renderlo concretamente efficace. * * * * Per chiudere questa rassegna di questioni attuali, ne segnalo ancora un paio. Si parla con insistenza di un'imminente sentenza della Corte Costituzionale sulla vigente legge elettorale. Accoglierà il ricorso della Cassazione che chiede lumi sulla costituzionalità del Porcellum oppure si dichiarerà incompetente trattandosi di un tema esclusivamente parlamentare? I giuristi sono discordi. Alcuni ritengono che la Corte si dichiarerà incompetente. Per quel che vale, concordo con questa tesi. La Corte non può stabilire quale debba essere lo strumento corretto con il quale si registra la volontà del popolo sovrano poiché manca un appiglio scritto nella Costituzione. Tanto meno può ledere le prerogative del Parlamento. Spetta ai cittadini eletti (sia pure sulla base di una legge abnorme) correggerla, cambiarla, farne una nuova, non alla Corte. Con Forza Italia nel governo ogni correzione sarebbe stata ed è stata respinta, ma una rappresentanza parlamentare diversa come l'attuale può riuscire in questa impresa. Il governo da parte sua può facilitare l'accordo presentando per l'approvazione parlamentare un suo disegno di legge. Il secondo tema è stato sollevato dalla Corte dei conti, che chiede anch'essa l'intervento della Consulta. Riguarda le varie leggi che, dopo il referendum negativo sul finanziamento pubblico dei partiti, lo reintrodussero camuffandolo come rimborso ai gruppi parlamentari delle loro spese elettorali. Il governo Letta ha già cancellato questo stato di cose abolendo con due anni di transizione l'erogazione di denaro pubblico e affidando il finanziamento dei partiti al sostegno privato, ma la Corte dei conti mette in causa il passato e si rivolge alla Consulta. Sembra assai dubitabile che la Consulta risponda positivamente a questa chiamata in causa. Se alcuni gruppi parlamentari, o anche consigli regionali, hanno usato quei fondi per scopi privati e dunque illegittimi (ed è purtroppo ampiamente avvenuto) si tratta di reati di competenza della magistratura ordinaria. Ma la Consulta non sembra possa cassare leggi votate dal Parlamento ancorché sostanzialmente violino il risultato referendario il quale a sua volta abolì il finanziamento ai partiti ma non lo sostituì con un nuovo sistema. I referendum in Italia non hanno poteri positivi ma soltanto di abolizione. Dopodiché resta un vuoto che spetta al Parlamento colmare anche se spesso lo colma poco e male. In conclusione c'è molta strada da fare. Speriamo che gli italiani brava gente - come un tempo si diceva con autoironia spesso giustificata - dimostrino ora d'esser brava gente sul serio e ogni volta che spetti a loro di decidere lo facciano facendo funzionare la testa e non la pancia. Berlusconismo e grillismo in questa vocazione della pancia si somigliano moltissimo. Noi privilegiamo la testa e speriamo di essere ascoltati. © Riproduzione riservata 01 dicembre 2013 Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/12/01/news/senza_il_caimano-72385973/?ref=HRER1-1
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #467 inserito:: Dicembre 13, 2013, 05:36:48 pm » |
|
Eugenio Scalfari Vetro soffiato Francesco e il libero arbitrio Ho chiesto al papa chi ha creato il male. Mi ha risposto: Dio si interessa soltanto del bene, è l’uomo che sbaglia. Perché può scegliere. Ecco allora che tocca alla società frenare la tendenza insita nell’animo umano Pochi giorni fa ho ricevuto una lettera da Papa Francesco che rispondeva a una mia precedente. Credo di non commettere alcuna indiscrezione se riferisco qui una frase del Santo Padre che mi onora della sua amicizia ancorché sappia della mia posizione di non credente. Nella mia lettera mi permettevo di comunicare al Papa un tema che avrei desiderato approfondire con lui quando avesse «voluto e potuto» incontrarci di nuovo e portare avanti il nostro dialogo. Il tema si riassume in una domanda: chi ha creato il male? Sua Santità nella prima parte della sua risposta scrive che anche lui desidererebbe proseguire il nostro dialogo «se la Provvidenza gli darà il tempo libero necessario». Quanto alla domanda da me posta risponde letteralmente così: «Il tema da lei proposto è molto importante. Dio crea soltanto il bene. Quanto alla sua domanda ne modifico soltanto il verbo: chi ha causato il male? L’uomo dovrebbe seguire il bene ma è libero e può scegliere. Se sceglie il male ne è lui la causa». Detto dal Papa, che è il Vicario di Cristo in terra, questa risposta non fa una grinza ma apre un dibattito estremamente interessante. Anche perché io non credo in Dio e quindi la mia domanda, come Papa Francesco ha certamente capito, non era provocatoria. Se il Papa avesse risposto che non è Dio ad avere creato il male, io avrei dal canto mio obiettato che non credo in Dio ma neppure nel diavolo. L’uomo è libero e libero è stato creato. Quindi il male non può che essere lui, l’uomo, a causarlo. Sono quindi d’accordo su questo punto con il Papa. La mia domanda infatti voleva appunto proporre un argomento centrale per un nostro eventuale dialogo se ci sarà come vivamente spero, sul male: come e perché è presente nell’animo di tutte le creature umane e che cosa si può fare, che cosa può fare la società, per attenuarne gli effetti e ridurne la quantità e l’intensità. È una sorta di missione che riguarda allo stesso modo e con la stessa responsabilità sia i credenti di qualunque religione e in particolare i cristiani che credono soprattutto nell’amore verso il prossimo, sia i non credenti. Questo è dunque il tema e a me sembra affascinante e pieno di implicazioni: religiose, sociali, scientifiche, terapeutiche, legislative e quindi perfino politiche. A mio parere, il male si può raccontare, e infatti è il tema principale della letteratura, dei romanzi, del teatro; nella tragedia si racconta il male, nei romanzi il nucleo portante è il male, il dramma, la trasgressione. Si racconta naturalmente anche il bene, ma in che modo? Come lotta e possibile superamento del male. I due concetti sono strettamente legati tra loro, ma senza l’uno non ci sarebbe neppure l’altro con lo stesso rapporto che passa tra le tenebre e la luce. Bisognerebbe a questo punto definire con esattezza che cosa si intende con quelle due parole, che cosa è il male e che cosa è il bene. L’impresa non è affatto semplice: come mai i concetti di bene e di male non riguardano nessuna delle altre specie viventi? La risposta è facile. Ovviamente i vegetali, che sono anch’essi esseri viventi, ma anche gli animali, tutti gli animali, non hanno coscienza di sé, non hanno l’io e quindi seguono solo i loro istinti che in realtà sono un unico istinto, quello di sopravvivenza, il quale detta i loro comportamenti concreti. L’uomo è la sola specie vivente che ha coscienza di sé e questo, tra le altre numerose implicazioni, comporta il suo rapporto con gli altri, le regole che disciplinano questo rapporto, le eventuali trasgressioni, la creazione continua di nuove regole, la nascita di concetti come “ideali”, “principi”, “valori”. L’uomo conosce la colpa e ragiona su di essa. E qui probabilmente i religiosi in genere e i cristiani in particolare, differiscono dalle opinioni dei non credenti. Insomma, carissimo e da me molto amato Papa Francesco, a me sembra importante discutere insieme questi argomenti, sempre che la Provvidenza glielo permetta. 09 dicembre 2013 © Riproduzione riservata Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2013/12/04/news/francesco-e-il-libero-arbitrio-1.144297
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #468 inserito:: Dicembre 16, 2013, 05:29:18 pm » |
|
Un paese che perde il senso delle parole di EUGENIO SCALFARI IL VANGELO di Giovanni comincia in un modo che neppure un non credente può dimenticarlo. Dice: "All'inizio c'è la Parola e la Parola è presso Dio, la Parola è Dio e tutte le cose che esistono è la Parola ad averle create". Nel mondo di oggi c'è grande confusione perché siamo al passaggio di un'epoca e la Parola ha smarrito il senso e gli uomini hanno smarrito il senso, il senso del limite, dei diritti, dei doveri. Alcuni lottano per recuperarli, altri per distruggerli dalle fondamenta. Nel Gargantua di Rabelais le parole si erano intirizzite dal freddo ma appena l'uomo ne afferrava una subito si scioglieva e nella mano gli restava soltanto una goccia d'acqua. Piaccia o no, noi siamo a questo punto. Perciò dobbiamo rieducarci e capire. Ha scritto ieri in questo giornale Giovanni Valentini, citando dal libro Una generazione in panchina di Andrea Scanzi, "prima di rottamare gli altri ognuno dovrebbe fare un esame di coscienza per riparare i propri errori". Sono pienamente d'accordo, vale per me, vale per te, vale per tutti. *** I problemi sul tavolo sono molti. Direi che il primo riguarda la cosiddetta rivolta di piazza dei forconi, dove per fortuna i forconi sono soltanto un simbolo. La rivolta però c'è, coinvolge studenti, contadini, pensionati, ambulanti, camionisti. Salvo pochissimi, non vogliono trattare, vogliono abolire i partiti, il Parlamento, il governo, i sindacati. In molte cose ricalcano il programma di Grillo ma neanche con lui vogliono avere rapporti. Vorrebbero insediare un governo provvisorio ma non sanno come fare e chi metterci. Hanno una vaga ispirazione fascista e infatti sono visti con simpatia da Casapound e da Forza Nuova; alcuni hanno anche sentimenti razzisti e antiebraici ma sono pochi. Nel frattempo ingombrano strade e città con centinaia di Tir. Gli spostamenti dei Tir sono costosi ma non si sa chi siano i finanziatori. Questa è la situazione. Grillo comunque li osserva con interesse e Berlusconi con simpatia. Li avrebbe volentieri ricevuti ma poi l'incontro non c'è stato. I Tir sono comunque il centro di queste manifestazioni. Ricordiamoci che fu la loro rivolta in Cile a mettere in ginocchio Allende aprendo la strada alla dittatura militare di Pinochet. Da quanto par di capire oggi sembra però che i Tir siano disposti a trattare con il governo, anche se i capi della rivolta negano ogni possibilità di negoziato. Quanto ai disoccupati, i pensionati, i precari, si può fare ben poco finché la situazione economica non presenti miglioramenti sostanziali il che dovrebbe avvenire entro il prossimo semestre del 2014. Intanto c'è un punto fermo e certificato: la recessione è finita. Il Pil negativo è aumentato di mezzo punto nello scorso trimestre e di un altro mezzo punto in questo, tornando in positivo; la produzione industriale è anch'essa in aumento. Il lavoro e i consumi non ancora. L'esportazione è largamente attiva. In altri tempi queste notizie avrebbero avuto ampia menzione nei telegiornali e sulla stampa, oggi sono ridotte al minimo e le cattive notizie hanno la meglio. Lo spread è a un minino di 226 e le aste dei titoli di Stato hanno rendimenti da minimo storico, ma nessuno se ne accorge. *** Le elezioni europee di primavera sono un appuntamento inquietante non solo per l'Italia ma per l'Europa intera, Germania compresa. I movimenti populisti, come quelli guidati dalla Le Pen, da Grillo e dalla Lega, sono presenti anche in Germania, in Grecia, in Irlanda, in Olanda, in Austria. Alcuni puntano su un nazionalismo vecchio stampo, naturalmente da loro guidato; altri su un Parlamento europeo ridotto all'impotenza dalla loro presenza minoritaria ma paralizzante; quasi tutti all'uscita dall'euro e al ritorno alla moneta nazionale. Su quest'ultimo punto i 5Stelle sono in testa a tutti gli altri. In un paese normale basterebbe essere consapevoli di che cosa avverrebbe di una lira fuori dall'euro per far sì che il Movimento 5Stelle scomparisse dalla scena politica; invece viaggia tra il 21 e il 22 per cento con tendenza al rialzo. Come si spiega? Si spiega così: molti italiani pensano che le elezioni europee non contino niente e quindi possono servire a sfogare la rabbia che hanno in corpo e, siccome di rabbia ce n'è molta, sono molti quelli che voteranno Grillo. La controprova sembra paradossale ma non lo è: molti elettori del Pd con sentimenti di sinistra non se la sono sentita di votare per Grillo e sapete che cosa hanno fatto? Hanno votato Renzi. Il maggior numero di votanti alle primarie che hanno scelto il sindaco di Firenze sono di sinistra. Questo governo non gli piace, Alfano non gli piace, il Nuovo centrodestra non gli piace. Vogliono un monocolore Pd e se necessario si tratti con Grillo; quanto ad Alfano, cammini a pecorone. Ora parliamoci chiaro: Alfano non è certo Orlando a Roncisvalle e Renzi ha ragione quando contrappone i trecento deputati Pd ai trenta del Ncd, ma forse ignora che cosa sia l'utilità marginale. I trenta di Alfano rappresentano appunto l'utilità marginale. Se escono dall'alleanza la maggioranza non c'è più. E allora, caro neosegretario, che facciamo? Mi piacerebbe conoscere la risposta. So bene che molti non amano la parola "stabilità" applicata al governo. Vogliono che il governo faccia, non che sia stabile. Rabelais aveva proprio ragione quando diceva che le parole si squagliano nelle mani di chi le prende e diventano gocce d'acqua. La parola stabilità è preliminare, solo se si è stabili si fa, se non si è stabili si cade per terra. Possibile che questo mi tocchi spiegarlo? È umiliante per chi lo spiega e soprattutto per chi da solo non ci arriva. *** Il rapporto Letta-Renzi è già evidente da quanto fin qui ho scritto e soprattutto da quanto vediamo da tempo e in particolare dalle primarie in poi. Oggi Renzi si presenta all'Assemblea del Pd per l'investitura ufficiale. Parlerà. Ascolteremo. Lui sa bene che il padre guardiano di Letta è Napolitano, a parte il fatto che Letta può fare anche a meno di padri guardiani. La vera battaglia dell'Italia in questo momento è in Europa e per l'Europa e nessuno meglio di Letta può condurla. Renzi nel frattempo dovrebbe occuparsi del partito. Se posso dargli un consiglio disinteressato si consulti con Fabrizio Barca. Una nuova generazione alla guida del partito è necessaria ma bisogna educarla. Non riesco a vedere nessuno adatto a questo compito. Renzi di partiti ne sa poco, ha talento ma poca esperienza. Comunque la fortuna aiuta gli audaci. Intanto il fuoco dei cannoni da strapazzo si concentra su Napolitano. Spara Grillo, spara Travaglio, spara perfino Barbara Spinelli. Quest'ultimo nome mi addolora profondamente. Sento da tempo un profondo affetto per Barbara e stima per la sua conoscenza dei classici, della filosofia, delle scritture d'ogni tempo e luogo. Ma conosce poco o nulla la storia d'Italia quando pensa e scrive che la decadenza cominciò negli anni Settanta del secolo scorso e perdura tuttora. Questo, cara Barbara, è un Paese dove parte del popolo è incline e succube di demagoghi di ogni risma. Cominciò - pensa un po' - da Cola di Rienzo; ha sempre odiato lo Stato e le istituzioni; Mussolini non fu un incidente della nostra storia come pensava Croce, ma un fenomeno con caratteristiche antropologiche prima ancora che politiche, come disse Ferruccio Parri. Ho letto nel tuo ultimo articolo che forse il grillismo potrebbe essere sperimentato. E ho anche ascoltato l'altro giorno i tuoi appunti su Napolitano affidati alla "recitazione" di Travaglio. Ti assicuro che da questo momento in poi cancello dalla mia memoria quanto ho ora ricordato. Voglio solo pensare il meglio di te a cominciare dal fatto che sei la figlia di Altiero Spinelli. Ricordalo sempre anche tu e sarà il tuo maggior bene. © Riproduzione riservata 15 dicembre 2013 Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/12/15/news/un_paese_che_perde_il_senso_delle_parole-73622928/?ref=HRER2-1
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #469 inserito:: Dicembre 22, 2013, 07:57:10 pm » |
|
Un dittatore è una sciagura, un vero leader è una fortuna di EUGENIO SCALFARI Oppressa dai sacrifici e dalla disperazione, la gente ha perso ogni fiducia nel futuro ed è dominata dalla rabbia o schiacciata dall'indifferenza. Nel 2012 questi sentimenti erano appena avvertiti ma quest'anno e specie dall'inizio dell'autunno sono esplosi con un'intensità che aumenta ogni giorno. Siamo ancora lontani dal culmine ma indifferenza, disperazione e rabbia non sono più sentimenti individuali; sono diventati fenomeni sociali, atteggiamenti collettivi che sboccano nel bisogno di un Capo. Un Capo carismatico, un uomo della Provvidenza capace di capire, di imporsi, di guidare verso la salvezza di ciascuno e di tutti. Ha bisogno di fiducia? Sono pronti a dargliela. Chiede obbedienza? L'avrà, piena e assoluta. L'uomo della Provvidenza non ha bisogno di conquistare il potere poiché nel momento stesso in cui viene individuato, il potere è già nelle sue mani. Carisma e potere, fiducia e potere, obbedienza e potere: questo è lo sbocco naturale che non solo domina la gente orientando le sue emozioni, ma sta diventando anche l'obiettivo che molti intellettuali vagheggiano come la sola soluzione razionale da perseguire. Non importa che la loro cultura sia stata finora di destra o di sinistra. L'uomo della Provvidenza supera questa classificazione, la gente che lo segue l'ha già abbandonata da un pezzo e gli intellettuali "à la page" se ne fanno un vanto. Destra o sinistra sono diventati valori arcaici da mettere in soffitta o nelle cantine, materiale semmai di studio, ammesso che ne valga la pena. L'epoca moderna che ne fece i suoi valori dominanti è finita, il linguaggio è cambiato, il pensiero è cambiato o è del tutto assente. Questa è al tempo stesso la diagnosi di quanto sta accadendo e la terapia risolutiva. L'ha scritto, ma non è né il solo né il primo, Ernesto Galli Della Loggia sul "Corriere della Sera" dello scorso martedì 17 con il titolo "Puntare tutto su una persona". Ne cito il passo dominante: "Non inganni il mare di discorsi sulla presunta ondata di antipolitica. È vero l'opposto: diviene ancora più forte la richiesta d'una politica nuova, sotto forma di una leadership che sappia indicare soluzioni concrete... La leadership in questione però - ecco il punto - dev'essere garantita solo da una persona, da un individuo, non da una maggioranza parlamentare o da un'anonima organizzazione di partito. Nei momenti critici delle decisioni alternative è unicamente una persona, sono le sue parole, i suoi gesti, il suo volto che hanno il potere di dare sicurezza, slancio, speranza. Nei momenti in cui tutto dipende da una scelta, allora solo la persona conta. Dietro l'ascesa di Matteo Renzi c'è un tale sentimento. Così forte tuttavia che alla più piccola smentita da parte dei fatti essa rischia di tramutarsi in un attimo nella più grande delusione e nel più totale rigetto". Io non so se Renzi sia e voglia essere il personaggio qui così analizzato ma so con assoluta esattezza e per personale esperienza che Della Loggia ha descritto con estrema precisione Benito Mussolini e il fascismo. Non un leader, ma un dittatore del quale Bettino Craxi fu soltanto una lontana e breve copia fantasmatica e Berlusconi una farsa comica durata tuttavia vent'anni come il suo lontano predecessore. Io ho conosciuto bene che cosa fu la dittatura mussoliniana. Nacqui che Mussolini era al potere già da due anni, studiai nelle scuole fasciste e fui educato nelle organizzazioni giovanili del Regime, dai Balilla fino ai Fascisti universitari. Il liberalismo e il socialismo risorgimentali ci furono raccontati come una pianta ormai morta per sempre; i comunisti come terroristi che volevano distruggere a suon di bombe lo Stato nazionale. Nel gennaio 1943 fui espulso dal Partito dal segretario nazionale Scorsa per un articolo che avevo scritto su "Roma Fascista", il settimanale universitario. Cominciò così il mio lungo viaggio nella ricerca d'una democrazia che fosse diversa da quella pre-fascista ed ebbi come compagni e guide in quel viaggio i libri di Francesco De Sanctis, Giustino Fortunato, Benedetto Croce, Omodeo, Chabod, Eugenio Montale. So di che cosa si tratta; so che in Italia molti italiani sono succubi al fascino della demagogia d'ogni risma e pronti a evocare e obbedire all'uomo della Provvidenza. Caro Ernesto, ti conosco bene e apprezzo la tua curiosità politica. Ma questa volta l'errore che hai compiuto evocando l'uomo della Provvidenza è madornale. Il leader non è l'uomo solo che decide da solo col rischio che i fatti gli diano torto. Quando questo avvenisse - ed è sempre avvenuto - le rovine avevano già distrutto non solo il dittatore ma il Paese da lui soggiogato. Il leader non è un dittatore. È un uomo intelligente e carismatico, certamente ambizioso, attorniato da uno stuolo di collaboratori che non sono cortigiani né "clientes" o lobbisti; ma il quadro dirigente con una sua visione del bene comune che si misura ogni giorno con il leader. Il Pci lo chiamò centralismo democratico e tutti i segretari di quel partito, dal primo all'ultimo, si confrontarono e agirono in quel quadro. Togliatti era il capo riconosciuto, Enrico Berlinguer altrettanto, ma il confronto con pareri difformi era costante e quasi quotidiano, con Amendola, Ingrao, Secchia, Macaluso, Pajetta, Napolitano, Reichlin, Terracini, Alicata, Tortorella. La formula nella Dc era diversa ma il quadro analogo, da De Gasperi a Scelba a Fanfani a Moro a Bisaglia a De Mita. E poi c'erano anche i socialisti di Pietro Nenni e c'era Ugo La Malfa che impersonava gli ideali di Giustizia e Libertà, del Partito d'Azione, di Piero Gobetti e dei fratelli Rosselli. I leader riassumevano il quadro ed erano loro ad esporlo e ad esporsi, ma prima il confronto era avvenuto e la soluzione non era affatto d'un uomo solo ma di un gruppo dirigente che comprendeva anche personalità rappresentative della società, economisti, operatori della "business community", sindacalisti (ricordate Di Vittorio, Trentin, Lama, Carniti e prima ancora Bruno Buozzi che fu ucciso a La Storta?). Questo fu il Paese capace di affrontare gli anni difficili. Caro Ernesto, il tuo ritratto del Paese di oggi è purtroppo esatto, ma la soluzione non è quella che tu indichi e fai propria, anzi è l'opposto e non credo sia necessario che io la ripeta qui, l'ho fatto già troppe volte. Dico soltanto che la rabbia sociale c'è, è motivata, va lenita con tutti i mezzi disponibili, ma va anche affrontata sul campo che le è proprio e questo campo è soprattutto l'Europa. Molti che si fingono esperti e non lo sono affatto sostengono che l'Europa non conta niente e che - soprattutto - l'Italia non conta niente. Sbagliano. L'Europa è ancora il continente più ricco del mondo e se quel continente fosse uno Stato federale, il suo peso di ricchezza, di tecnologia, di popolazione, di cultura, avrebbe il peso mondiale che gli compete. Quanto all'Italia, a parte il fatto che è uno dei sei Paesi fondatori dai quali la Comunità europea cominciò il suo cammino, essa trascina sulle sue (nostre) spalle il debito pubblico più grande del mondo. Questo è il nostro più terribile "handicap" che ci distingue da tutti gli altri ma è, al tempo stesso, un elemento di forza enorme perché se l'Europa non ci consente di adottare una politica di crescita, di lavoro, di equità, l'Italia rischia il fallimento economico e il dilagare della rabbia sociale. Ma se questo dovesse avvenire, salterebbe l'intera economia europea insieme con noi. L'Italia non è la Grecia né il Portogallo né l'Irlanda né l'Olanda e neppure la Spagna. Italia ed Europa si salvano insieme o insieme cadranno. Questo Letta deve dire e batta anche il pugno sul tavolo perché questo è il momento di farlo. Lo batta sul tavolo europeo ed anche su quello italiano. E non tralasci nulla, né a Roma né a Bruxelles, che ci dia fin d'ora respiro e speranza. Faccia pagare i ricchi e gli agiati (tra i quali mi metto) e dia sollievo ai poveri, ai deboli, agli esclusi. Non si tratta di aumentare il carico fiscale; si tratta di distribuirlo. Questo è il compito dello Stato. Ma finora - bisogna dirlo - chi chiede a Letta di alleviare il malcontento, si guarda bene di indicargli le coperture, le risorse immediatamente disponibili. Ho grande stima di Enrico Letta e gli sono amico, ma è adesso che deve parlare e non dica che non può fare miracoli che solo i malpensanti gli chiedono. I benpensanti - che vuol dire la gente consapevole - gli chiedono di fare subito quel che può essere fatto subito. Tra l'altro, proprio in questi giorni, è stato raggiunto un accordo di grandissima importanza sull'unione bancaria: in buona parte è merito di Letta e soprattutto di Mario Draghi. Tassare ricchi e agiati si può. Dare una stretta all'evasione e al sommerso si può. Votare a maggio non si può. Parlare di legge elettorale con Verdini e Brunetta non si può. Debbo spiegare perché? Ma lo sapete tutti il perché. Quando Alessandro per vincere contro eserciti cinque volte più potenti del suo, schierava i suoi uomini a falange, c'erano soltanto i macedoni a maneggiare lancia e scudo. Brunetta e Verdini e Grillo non sono arruolabili nella falange. Strano che Renzi non lo sappia o se lo dimentichi. Può essere un buon leader e forse vincente al giusto momento, ma di errori ne fa un po' troppi e sarebbe bene che smettesse di farli. È giovane, si prepari per il futuro e intanto crei uno staff preparato, non di ragazzi che debbono ancora imparare a camminare. Una parola tanto per concludere al capo di Confindustria, che dice di capire i forconi. È un fatto positivo che Squinzi capisca i forconi e sono positive le richieste che fa per l'economia italiana. Ma le imprese che rappresenta che cosa hanno fatto finora e da trent'anni a questa parte? Il "made in Italy" ha fatto, ma è una piccola parte dell'imprenditoria italiana che comunque merita d'esser segnalata e appoggiata. Ma il resto? Non ha fatto nulla. Ha tolto denari alle aziende abbandonando il valore reale per dedicarsi all'economia finanziaria. Ha ristretto le basi occupazionali; ha distratto i dividendi; spesso ha evaso; spesso ha delocalizzato. Non ha inventato nuovi prodotti e ha usato i nuovi processi produttivi per diminuire gli occupati. A me piacerebbe sapere da Squinzi che cosa ha fatto dagli anni Ottanta il nostro sistema. Poi ha tutte le ragioni per chiedere, ma prima ci documenti su che cosa i suoi associati hanno dato. Così almeno il conto tornerà in pari. Quanto al sindacato, vale quasi lo stesso discorso. Il sindacato rappresentava una classe che da tempo non c'è più. Adesso rappresenta i pensionati. Va benissimo, i pensionati hanno diritto ad essere rappresentati e tutelati, ma poi ci sono i lavoratori, gli anziani e i giovani, gli stabili e i precari. A me non sembra che il sindacato se ne dia carico come si deve. Ripete le stesse cose; dovrebbe cercare il nuovo. Si sforzi, amica Camusso. Questa è l'ora e il treno, questo treno, passa solo una volta. © Riproduzione riservata 22 dicembre 2013 DA - http://www.repubblica.it/politica/2013/12/22/news/dittatore_vero_leader-74248179/?ref=HREC1-7
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #470 inserito:: Dicembre 30, 2013, 06:01:16 pm » |
|
La rivoluzione di Francesco ha abolito il peccato di EUGENIO SCALFARI SI CERCANO con insistenza le novità e le innovazioni con le quali papa Francesco sta modificando la Chiesa. Alcuni sostengono che le novità sono di pura fantasia e le innovazioni del tutto inesistenti; altri al contrario sottolineano le innovazioni organizzative che non turbano tuttavia la tradizione teologica e dottrinaria; altri ancora definiscono Francesco, Vescovo di Roma come egli ama soprattutto definirsi, un Pontefice rivoluzionario. Personalmente mi annovero tra questi ultimi. È rivoluzionario per tanti aspetti del suo ancor breve pontificato, ma soprattutto su un punto fondamentale: di fatto ha abolito il peccato. Un Papa che abbia modificato la Chiesa, anzi la gerarchia della Chiesa, su una questione di questa radicalità, non si era mai visto, almeno dal terzo secolo in poi della storia del cristianesimo e l'ha fatto operando contemporaneamente sulla teologia, sulla dottrina, sulla liturgia, sull'organizzazione. Soprattutto sulla teologia. I critici di papa Francesco sottovalutano le sue capacità e inclinazioni teologiche, ma commettono un grossolano errore. Il peccato è un concetto eminentemente teologico, è la trasgressione di un divieto. Quindi è una colpa. La legge mosaica condensata nei dieci comandamenti ordina e impone divieti. Non contempla diritti, non prevede libertà. Il Dio mosaico descrive anzitutto se stesso: "Onora il tuo Dio, non nominare il nome di Dio invano, non avrai altro Dio fuori di me". Poi, per analogia, ordina di onorare il padre e la madre. Infine si apre il capitolo dei divieti, dei peccati e delle colpe che quelle trasgressioni comportano: "Non rubare, non commettere atti impuri, non desiderare la donna d'altri (attenzione: il divieto è imposto al maschio non alla femmina perché la femmina è più vicina alla natura animale e perciò la legge mosaica riguarda gli uomini)". Il Dio mosaico è un giudice e al tempo stesso un esecutore della giustizia. Almeno da questo punto di vista non somiglia affatto all'ebreo Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe della stirpe di David. Non contempla alcun Figlio il Dio mosaico; non esiste neppure il più vago accenno alla Trinità. Il Messia - che ancora non è arrivato per gli ebrei - non è il Figlio ma un Messaggero che verrà a preannunciare il regno dei giusti. Né esistono sacramenti né i sacerdoti che li amministrano. Quel Dio è unico, è giudice, è vendicatore ed è anche, ma assai raramente, misericordioso, ammesso che si possa definire chi premia l'uomo suo servo se e quando ha eseguito la sua legge. È Creatore e padrone delle cose create. Nulla è mai esistito prima di lui e quindi da quando esiste comincia la creazione. Questo Dio i cristiani l'hanno ereditato trasformandolo fortemente nella sua essenza ma facendone propri alcuni aspetti importanti: il divieto e quindi il peccato e la colpa. Adamo ed Eva peccarono e furono puniti, Caino peccò e fu punito, e anche i suoi discendenti peccarono e furono puniti. L'umanità intera peccò e fu punita dal diluvio universale. Questo è il Dio di Abramo, il Dio della cattività egizia e babilonese, di Assiria, di Babele, di Sodoma e Gomorra. Nella sostanza è il Dio ebraico o molto gli somiglia salvo che nella predicazione di alcuni profeti e poi soprattutto in quella evangelica di Gesù. Nei secoli che seguirono, fino all'editto di Costantino che riconobbe l'ufficialità del culto cristiano, il popolo che aveva seguito Gesù offrì martiri alla verità della fede, fondò comunità, predicò amore verso Dio e soprattutto verso Cristo che trasferì quell'amore alle creature umane affinché lo scambiassero con il loro prossimo. Nacquero così l'agape, la carità e l'esortazione evangelica "ama il tuo prossimo come te stesso". Questo è il Dio che predicò Gesù e che troviamo nei Vangeli e negli Atti degli apostoli. Un Dio estremamente misericordioso che si manifestò con l'amore e il perdono. Nella dottrina dei Concili e dei Papi restano tuttavia le categorie del Dio giudice, del Dio esecutore di giustizia, del Dio che ha edificato una Chiesa e man mano l'ha distaccata dal popolo dei fedeli. Dall'editto di Costantino sono passati 1700 anni, ci sono stati scismi, eresie, crociate, inquisizioni, potere temporale. Novità e innovazioni continue su tutti i piani, teologia, liturgia, filosofia, metafisica. Ma un Papa che abolisse il peccato ancora non si era visto. Un Papa che facesse della predicazione evangelica il solo punto fermo della sua rivoluzione ancora non era comparso nella storia del cristianesimo. Questa è la rivoluzione di Francesco e questa va esaminata a fondo, specie dopo la pubblicazione dell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, dove l'abolizione del peccato è la parte più sconvolgente di tutto quel recentissimo documento. *** Francesco abolisce il peccato servendosi di due strumenti: identificando il Dio cristiano rivelato da Cristo con l'amore, la misericordia e il perdono. E poi attribuendo alla persona umana piena libertà di coscienza. L'uomo è libero e tale fu creato, afferma Francesco. Qual è il sottinteso di questa affermazione? Se l'uomo non fosse libero sarebbe soltanto un servo di Dio e la scelta del Bene sarebbe automatica per tutti i fedeli. Solo i non credenti sarebbero liberi e la loro scelta del Bene sarebbe un merito immenso. Ma Francesco non dice questo. Per lui l'uomo è libero, la sua anima è libera anche se contiene un tocco della grazia elargita dal Signore a tutte le anime. Quella scheggia di grazia è una vocazione al Bene ma non un obbligo. L'anima può anche ignorarla, ripudiarla, calpestarla e scegliere il Male; ma qui subentrano la misericordia e il perdono che sono una costante eterna, stando alla predicazione evangelica così come la interpreta il Papa. Purché, sia pure nell'attimo che precede la morte, quell'anima accetti la misericordia. Ma se non l'accetta? Se ha scelto il Male e non revoca quella scelta, non avrà la misericordia e allora che cosa sarà di lui? Per rivoluzionario che sia, un Papa cattolico non può andare oltre. Può abolire l'Inferno, ma ancora non l'ha fatto anche se l'esistenza teologica dell'Inferno è discussa ormai da secoli. Può affidare al Purgatorio una funzione "post mortem" di ravvedimento, ma si entrerebbe allora nel giudizio sull'entità della colpa e anche questo è un tema da tempo discusso. Papa Francesco indulge talvolta a ricordare ai fedeli la dottrina tradizionale anche se il suo dialogo con i non credenti è costante e rappresenta una delle novità di questo pontificato che ha trovato i suoi antecedenti in papa Giovanni e nel Vaticano II. Francesco non mette in discussione i dogmi e ne parla il meno possibile. Qualche volta li contraddice addirittura. È accaduto almeno due volte nel dialogo che abbiamo avuto e che spero continuerà. Una volta mi disse, di sua iniziativa e senza che io l'avessi sollecitato con una domanda: "Dio non è cattolico". E spiegò: Dio è lo Spirito del mondo. Ci sono molte letture di Dio, quante sono le anime di chi lo pensa per accettarlo a suo modo o a suo modo per rifiutarne l'esistenza. Ma Dio è al di sopra di queste letture e per questo dico che non è cattolico ma universale. Alla mia domanda successiva a quelle sue affermazioni sconvolgenti, papa Francesco precisò: "Noi cristiani concepiamo Dio come Cristo ce l'ha rivelato nella sua predicazione. Ma Dio è di tutti e ciascuno lo legge a suo modo. Per questo dico che non è cattolico perché è universale". Infine ci fu in quell'incontro un'altra domanda: che cosa sarebbe accaduto quando la nostra specie fosse estinta e non ci sarà più sulla Terra una mente capace di pensare Dio? La risposta fu questa: "La divinità sarà in tutte le anime e tutto sarà in tutti". A me sembrò un arduo passaggio dalla trascendenza all'immanenza, ma qui entriamo nella filosofia e vengono in mente Spinoza e Kant: "Deus sive Natura" e "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me". "Tutto sarà tutto in tutti". A me, l'ho già detto, è sembrata una classica immanenza ma se tutti hanno tutto dentro di sé potrebbe essere concepita anche come una gloriosa trascendenza. Resta comunque assodato che per Francesco Dio è misericordia e amore per gli altri e che l'uomo è dotato di libera coscienza di sé, di ciò che considera Bene e di ciò che considera Male. Ma qui si pone un'altra e fondamentale domanda: che cos'è il Bene e che cosa è il Male? Credo sia impossibile dare una definizione a questi due concetti. Una soltanto è possibile: sono necessari l'uno all'altro per poter reciprocamente esistere di fronte ad un essere vivente che ha conoscenza di sé. Gli animali non hanno il problema del Male e del Bene perché non possiedono una mente che si guarda e si giudica. Noi sì, quella mente l'abbiamo. Se ci fosse solo il Bene, come definirlo? Ma se c'è anche il Male l'esistenza di uno fa la differenza dell'altro come accade tra la luce e il buio, tra la salute e la malattia, e se volete, tra esistenza e inesistenza. Il nulla non è definibile né pensabile perché privo di alternativa. *** Evangelii Gaudium non parla soltanto di teologia. Anzi parla molto più a lungo di altre cose, concrete, organizzative, rivoluzionarie anch'esse. Parla del ruolo positivo e creativo delle donne nella Chiesa. Parla dell'importanza dei Sinodi dei quali il Papa fa parte in quanto Vescovo di Roma, "primus inter pares". Parla dell'autonomia delle Conferenze episcopali. Parla dell'importanza delle parrocchie e degli oratori sul territorio. Parla perfino di politica, non certo nel senso del politichese, ma della politica come visione del bene comune e della libertà per chiunque di utilizzare lo spazio pubblico per diffondere e confrontarsi con le idee altrui. Parla delle diseguaglianze che vanno diminuite. "Io non ce l'ho con i ricchi, ma vorrei che i ricchi si dessero direttamente carico dei poveri, degli esclusi, dei deboli". Così papa Francesco. E parla infine della Chiesa missionaria che rappresenta il punto centrale della sua rivoluzione. La Chiesa missionaria non cerca proselitismo ma cerca ascolto, confronto, dialogo. Concludo con una frase che dice tutto su questo Papa, gesuita al punto d'aver canonizzato pochi giorni fa il primo compagno di Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia più nobile e più discussa tra gli Ordini della Chiesa e contemporaneamente d'aver assunto il nome di Francesco che nessun Pontefice prima di lui aveva mai usato. I gesuiti mettono al servizio della Chiesa la loro proverbiale e non sempre apprezzabile flessibilità. Francesco d'Assisi era invece integrale nella sua visione d'un Ordine mendicante e itinerante. L'Ordine francescano fu rivoluzionario ma la sua potenza fu molto limitata; la Compagnia di Gesù al contrario fu potentissima e molto flessibile. Questo Papa riunisce in sé le potenzialità degli uni e degli altri e conclude con due righe che rappresentano la sintesi di questo storico connubio: "È necessaria una conversione del Papato perché sia più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli. Non bisogna aver paura di abbandonare consuetudini della Chiesa non strettamente legate al Vangelo. Bisogna essere audaci e creativi abbandonando una volta per tutte il comodo proverbio "Si è sempre fatto così". Bisogna non più chiudere le porte della Chiesa per isolarci, ma aprirle per incontrare tutti e prepararci al dialogo con altri idiomi, altri ceti sociali, altre culture. Questo è il mio sogno e questo intendo fare". Questo dialogo riguarda anche e forse soprattutto i non credenti, la predicazione di Gesù ci riguarda, l'amore per il prossimo ci riguarda, le diseguaglianze intollerabili ci riguardano. Un Papa rivoluzionario ci riguarda e il relativismo di aprirsi al dialogo con altre culture ci riguarda. Questa è la nostra vocazione al Bene che dobbiamo perseguire con costante proposito. © Riproduzione riservata 29 dicembre 2013 Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/12/29/news/la_rivoluzione_di_francesco_ha_abolito_il_peccato-74697884/?ref=HRER2-1
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #471 inserito:: Dicembre 31, 2013, 12:49:59 pm » |
|
Il Papa, il peccato e una risposta a padre Lombardi 30 dicembre 2013 di EUGENIO SCALFARI Padre Lombardi ha rilasciato alla Radio Vaticana una lunga dichiarazione sul mio articolo uscito ieri su Repubblica e ne segnala l'importanza come l'espressione da parte del mondo laico non credente su come Papa Francesco sta modificando la struttura stessa della Chiesa. Lo ringrazio per l'attenzione che pone al mio lavoro e al mio pensiero. C'è però nella sua dichiarazione alla Radio Vaticana una netta smentita all'ipotesi da me formulata che il Papa abbia abolito il peccato. Questa ipotesi è ovviamente una mia interpretazione la quale tuttavia è da me accompagnata da una constatazione che qui trascrivo: "L'uomo è libero e tale fu creato, afferma Francesco. Qual è il sottinteso di questa affermazione? Se l'uomo non fosse libero sarebbe soltanto un servo di Dio e la scelta del Bene sarebbe automatica per tutti i fedeli. Solo i non credenti sarebbero liberi e la loro scelta del Bene sarebbe un merito immenso. Ma Francesco non dice questo. Per lui l'uomo è libero, la sua anima è libera anche se contiene un tocco della grazia elargita dal Signore a tutte le anime. Quella scheggia di grazia è una vocazione al Bene ma non un obbligo. L'anima può anche ignorarla, ripudiarla, calpestarla e scegliere il Male; ma qui subentrano la misericordia e il perdono che sono una costante eterna, stando alla predicazione evangelica così come la interpreta il Papa. Purché, sia pure nell'attimo che precede la morte, quell'anima accetti la misericordia. Ma se non l'accetta? Se ha scelto il Male e non revoca quella scelta, non avrà la misericordia e allora che cosa sarà di lui? Per rivoluzionario che sia, un Papa cattolico non può andare oltre". Da questa citazione di quanto ho scritto risulta evidente che il Papa non abolisce il peccato se la persona umana, sia pure in punto di morte, non si pente e la mia conclusione, come già citato sopra, è appunto quella che "un Papa cattolico non può andare oltre". Da questo punto di vista Padre Lombardi ed io la pensiamo allo stesso modo. Perché tuttavia io penso che Papa Francesco abbia abolito di fatto il peccato? Ho cercato di spiegarlo subito dopo sottolineando che nel momento stesso in cui il Papa pone come condizione alla conquista della grazia il pentimento, riafferma tuttavia la libertà di coscienza e cioè il libero arbitrio che Dio riconosce all'uomo. Se, a differenza di tutte le altre creature viventi, la nostra specie è consapevole della propria libertà, è il Creatore che gliel'ha consentita. La libertà di coscienza fa dunque parte integrante del disegno divino. Il Dio mosaico punisce chi esercita la sua libertà. Punisce Adamo ed Eva cacciandoli dal Paradiso terrestre, punisce Caino e i suoi discendenti, punisce l'umanità intera con il diluvio universale. Quanto a Gesù (che sia figlio di Dio o figlio dell'uomo) è comunque incarnato e sente dentro di sé le virtù, i dolori e le tentazioni della carne, altrimenti non si misurerebbe col demonio nei quaranta giorni che passa nel deserto per respingerle. Ma soprattutto non accetterebbe il martirio e la crocifissione assumendosi tutte le colpe degli uomini per ripristinare l'alleanza con Dio. Il Papa cattolico ha come limite tradizionale la punizione di chi non si pente ma a mio avviso la supera nel momento in cui l'uomo esercita la sua libertà di coscienza. La libertà di coscienza fa parte dunque del disegno divino. Sua Santità ha rivendicato come suo autore preferito il Dostoevskij dei Fratelli Karamazov. Padre Lombardi certamente ben conosce le pagine sul Grande Inquisitore e certamente le conosce Papa Francesco. Il rapporto tra il Bene e il Male è dunque molto aperto in chi discute con i non credenti. Mi permetto tuttavia di segnalare a Padre Lombardi la chiusura del mio articolo di ieri che qui desidero riportare testualmente: "La predicazione di Gesù ci riguarda, l'amore per il prossimo ci riguarda, le diseguaglianze intollerabili ci riguardano. Un Papa rivoluzionario ci riguarda e il relativismo di aprirsi al dialogo con altre culture ci riguarda. Questa è la nostra vocazione al Bene che dobbiamo perseguire con costante proposito". © Riproduzione riservata 30 dicembre 2013 Da - http://www.repubblica.it/esteri/2013/12/30/news/lombardi-scalfari-74804027/?ref=HRER2-1
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #472 inserito:: Gennaio 05, 2014, 06:00:38 pm » |
|
Il Dio che affanna e che consola di EUGENIO SCALFARI La curiosità dei vecchi o svanisce o aumenta sensibilmente. I motivi di questa differenza sono stati profondamente studiati dalla neurobiologia, dalla psichiatria, dalla psicanalisi ma anche dalla filosofia, dalla letteratura e dall'arte. Personalmente appartengo alla categoria dei curiosi e finché dura mi ci trovo bene specie in un'epoca come quella in cui viviamo, dove i temi e le persone che destano curiosità sono numerosi e configurano un panorama molto frastagliato. Volessi farne l'elenco lo aprirei con papa Francesco e poi, a seguire, Giorgio Napolitano, Angela Merkel, Barack Obama, Enrico Letta, Matteo Renzi, la generazione dei giovani nati tra gli anni Ottanta e Novanta, la generazione dei bambini nati dopo il 2000 e che ora hanno almeno cinque anni. Ci metterei anche il mutamento climatico, l'economia globale, le nuove tecnologie della comunicazione, le masse di migranti che vagano nel mondo spinti dal bisogno, spesso rischiando la morte pur di conquistarsi una nuova vita. Mi rendo conto che l'elenco è incompleto, ma questi sono comunque i temi e i personaggi che interessano me e, spero, anche i lettori di questo giornale. Ne sfiorerò alcuni e mi toglierò anche qualche sassolino dalle scarpe, alla mia età se ne ha il diritto e a volte perfino l'obbligo per fare maggior chiarezza sui propri pensieri e su quelli altrui. Comincio da papa Francesco. Ne ho scritto già più volte, ma ogni giorno ci reca una nuova sorpresa e anche nuove polemiche, dentro e fuori dalla Chiesa. Io penso, e non sono certo il solo, che sia un Papa rivoluzionario, come non si erano mai visti da secoli. Ma questo non piace a molti e se ne capisce il perché. Riformista, sì, tutti i Papi hanno introdotto novità e aggiornato la Chiesa con il correre del tempo; ma rivoluzionario no, disturba, preoccupa, rompe tradizioni codificate, interessi esistenti, equilibri consolidati. Qual è dunque la verità? Francesco l'ha ripetuta più volte e da ultimo proprio nei discorsi di questi giorni: la Chiesa non può chiudersi su se stessa, si isolerebbe, morirebbe. Deve invece aprirsi e il Papato deve convertirsi ad una Chiesa missionaria che non cerchi proselitismo ma ascolto, confronto, dialogo con le altre culture. "Non colpite col bastone, ma predicando il bene con la dolcezza": questo e molte altre cose ha detto all'assemblea dove si è confrontato in Santa Maria Maggiore con i capi degli ordini religiosi maschili e l'ha ridetto nell'incontro di venerdì scorso nella Chiesa del Gesù con i suoi fratelli gesuiti. È nata una polemica sul tema del peccato e, a detta di alcuni miei critici, io avrei sostenuto che il Papa lo ha di fatto abolito. Io non ho detto questo: un Papa cattolico non può abolire il peccato, può estendere a tutte le anime la misericordia divina fino all'ultimo attimo d'una vita di peccati gravi e ripetuti; ma in quell'attimo finale il peccatore si penta e sarà perdonato. Dunque il peccato c'è e richiede pentimento. Fin qui siamo nel pieno rispetto della dottrina, del canone e anche del Dio mosaico dei Comandamenti. Ma - questa è la novità di Francesco - il Papa ricorda che l'uomo è stato creato libero. È lui che decide i suoi comportamenti ed è Dio che l'ha creato in questo modo. Qual è la verità rivoluzionaria di questo riconoscimento? Non che l'uomo sceglie il male perché in tal caso muore dannato; bensì che l'uomo sceglie il bene così come lui se lo raffigura. C'è dunque un canone etico in questa scelta. L'etica primeggia in ogni religione, in ogni civiltà, in ogni epoca; ma l'etica è il requisito più mutevole da uomo a uomo, da società a società, da tempo e da luogo. Se la coscienza è libera e se l'uomo non sceglie il male ma sceglie il bene così come lui lo configura, allora il peccato di fatto scompare e con esso la punizione. Non è una rivoluzione? Come volete chiamarla? Francesco, tra i vari autori da lui preferiti, indica il Manzoni. Ebbene, rileggete la poesia in morte di Napoleone che l'autore così conclude rivolgendosi ai suoi lettori: "Tu dalle stanche ceneri / sperdi ogni ria parola. / Il Dio che atterra e suscita / che affanna e che consola / sulla deserta coltrice / accanto a lui posò". Napoleone di peccati ne aveva commessi e non piccoli, né risulta si fosse pentito, ma la misericordia divina, secondo il Manzoni, comunque non l'abbandona. Concludo su questo punto capitale: la misericordia va oltre il pentimento per chi crede fermamente in Dio che secondo il Papa fu creato libero. Io, da non credente, posso scegliere la predicazione evangelica di Gesù figlio dell'uomo. Il mio peccato di non avere fede dovrebbe essere punito, ma a me non pare che Francesco pensi questo. Forse i miei critici fanno qualche errore di ragionamento, ma neanche loro, di certo, saranno puniti. * * * Lasciamo il Papa rivoluzionario e apriamo un altro scenario dove troviamo tre protagonisti in posizioni reciprocamente dialettiche: Enrico Letta, presidente del Consiglio, Angelino Alfano, vicepresidente e leader del Nuovo centro-destra, Matteo Renzi, segretario del Pd e sindaco di Firenze. I giornali di ieri hanno dato la notizia che lo spread è sceso a quota 197, il che vuol dire che i Buoni del Tesoro poliennali a dieci anni hanno un valore elevato e un tasso di interesse molto basso. Nel 2014 questo valore procurerà all'Erario un risparmio di circa 5-6 miliardi di euro che dovrebbero avere come destinazione un sostanzioso ribasso del cuneo fiscale con vantaggi sia per le imprese sia per i consumatori. Letta rivendica questo risultato come l'esito d'una politica di sacrifici che finalmente potranno essere gradualmente attenuati specie se saranno accompagnati da un taglio delle spese correnti non necessarie e da una costante pressione contro l'evasione fiscale. L'importanza della notizia non è solo questa ma è la crescita del prestigio europeo del nostro presidente del Consiglio e dei risultati che da ciò possono derivare nell'atteggiamento della Germania nei nostro confronti. Per delineare il programma di governo fino alla primavera del 2015 Letta si appresta a formularne i capitoli entro il prossimo 15 gennaio con i suoi due interlocutori, Alfano e Renzi. Quest'ultimo a sua volta sta mettendo a punto il programma del Pd per lo stesso periodo di tempo e si già capito che, fermo il suo impegno con il presidente Napolitano a sostenere per tutto l'anno prossimo il governo Letta, il neo-segretario del Pd tenderà a render la vita difficile ad Alfano. E nel frattempo, ieri, gli è scoppiata in mano la grana di Fassina. L'obiettivo di Renzi è evidente: lui non può rompere con Letta, ma cerca di provocare la rottura da parte di Alfano. I diritti delle coppie di fatto sono soltanto una di quelle punture, ma di spillo poiché non è su quel punto che Alfano romperà. Le riforme, questo è l'aspetto più arduo e quindi: il cambiamento dei contratti di lavoro, degli ammortizzatori sociali, l'eventuale rimpasto di governo, la legge elettorale, gli esodati. Materia ce n'è, l'obiettivo che Renzi coltiva è un governo monocolore del nuovo Pd. Alfano ci stia come voto aggiuntivo ma non determinante. Dunque elezioni a maggio? Mai dire mai, specie se fosse Alfano a rompere. Personalmente credo che buona parte dei giovani del Pd coltivino il progetto d'un monocolore del proprio partito e quindi elezioni anticipate. Ma la domanda da porsi è un'altra: un progetto del genere giova all'interesse nazionale oppure no? La mia risposta è no, non giova. Il paese ha da molti anni a questa parte una destra sovversiva, populista, demagogica. Forza Italia è questo, Grillo è questo, la Lega è questo. Alfano ha rotto con Forza Italia e con la Lega; Grillo non parla con nessuno e - ove mai - sarebbe Berlusconi a parlare con lui. La sinistra riformista italiana ha interesse a consentire ed anzi ad aiutare per quanto possibile la nascita e il consolidamento d'un centro-destra repubblicano ed europeo. Molti si chiedono quale sia il vero compito della sinistra riformista italiana. Ebbene, è appunto questo: aiutare il centro-destra repubblicano a rappresentare il secondo attore dell'alternanza democratica. Il programma di Renzi è l'opposto: ributtare un Alfano impotente nelle braccia di Berlusconi. Se questo è l'obiettivo del sindaco di Firenze, a me sembra pessimo. Spero soltanto che né Letta né lo stesso Alfano entrino in questa trappola. La ricerca del compromesso - ha detto più volte il Papa rivoluzionario - è il solo antidoto al fanatismo, all'integralismo e all'assolutismo. Mi auguro che lo ascoltino anche i politici di casa nostra. Soltanto col compromesso e non col radicalismo si rafforza la democrazia. * * * Dovrei ora rispondere a Galli Della Loggia (un altro sassolino) che riafferma la sua visione di un leader democratico che, secondo lui, vive e cresce sul carisma e sulle decisioni che deve prendere in perfetta solitudine. Questo è il ritratto da lui disegnato e identificato con Renzi sempre che non si faccia condizionare dai suoi colonnelli. Ognuno è libero di pensare come vuole. Io continuo a credere che il ritratto da lui fatto due domeniche fa sul Corriere della sera somigliasse molto di più al Mussolini del ventennio 1923-1943, ma se lui pensa a Renzi e non al capo del fascismo, francamente non è un regalo che fa al sindaco di Firenze. Nella Dc della prima Repubblica De Gasperi era un leader ma non certo solo e dopo di lui il gruppo dirigente fu sempre folto e differenziato, c'era Fanfani, c'erano Moro e Segni, Colombo, Dossetti, Andreotti, Bisaglia, Forlani, Zaccagnini, Gava, De Mita. Me ne scordo qualcuno. Nel Pci l'ideologia faceva da cemento ma il gruppo era anche lì fitto e il leader lo teneva nel dovuto conto. Insieme a Togliatti, in tempo clandestino, c'erano Tasca, Terracini, Negarville e Scoccimarro. Poi Longo e Secchia e Amendola e Ingrao e Napolitano e Berlinguer e Rodano e Macaluso e Cossutta e Pajetta e Chiaromonte e Occhetto. Anche qui me ne scordo parecchi. Il capo assoluto e solitario è un'immaginazione. In Italia l'abbiamo vista spesso, anche molto recentemente, ma questo è un altro discorso non certo auspicabile. Prima di concludere mi permetto di dissentire dal mio amico e collega Gad Lerner che giudica irrilevante la socialdemocrazia tedesca che avrebbe lasciato campo libero alla Merkel in cambio della possibilità di interventi, del tutto irrilevanti, sulla politica sociale. Caro Gad, temo ed anzi spero che tu sbagli. La politica sociale della Spd ha ottenuto ed otterrà un deciso aumento del potere d'acquisto dei lavoratori e dei consumatori con la conseguenza che già si profila d'un netto aumento della domanda interna ed un freno oggettivo alle esportazioni fuori dall'area dell'euro. La Merkel sa perfettamente quanto sta avvenendo nell'economia tedesca e quali sono le aspettative. Questa stessa politica è stata più volte incoraggiata da Mario Draghi e l'Italia insieme all'Europa possono trarne consistenti benefici. * * * Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica a me è parso misurato, fermo, commosso e insomma perfetto. Ha raccontato le ambasce di molti italiani schiacciati dalla solitudine, dai sacrifici, dalla disperazione per sé e per i figli; ha ricordato qual era e qual è la situazione del paese, ha sottolineato segnali di miglioramento, ha stimolato partiti e governo a fare meglio e di più, ha considerato l'attenzione che il Capo dello Stato deve riservare alle opposizioni, ha ricordato la sua funzione di coordinare i poteri dello Stato con la persuasione informale che rappresenta in particolare una delle sue prerogative specie nel momento in cui è chiamato a firmare decreti, a trasmettere disegni di legge al Parlamento e a inviare pubblici messaggi. Infine ha respinto insulti e calunnie che non toccano lui come persona ma l'Istituzione che rappresenta e le prerogative che ha il dovere di esercitare. Ha anche accennato ad un suo possibile ritiro dal ruolo che sta ricoprendo non appena la situazione politica sarà fuori dall'emergenza e fino a quando le forze fisiche glielo consentiranno. In un paese disastrato una presenza come la sua è preziosa. Avverto i lettori che gli sono amico da tempo ma non credo che l'amicizia mi faccia velo. Talvolta ci siamo trovati in disaccordo e l'ho detto e scritto e ancora lo scriverei se lo ritenessi necessario. Ma resta il giudizio positivo e la speranza che possa tornare presto alle sue letture e al meritato risposo. Vorrebbe dire che l'emergenza è finita e questo - credo - sarà il miglior premio della sua vita. © Riproduzione riservata 05 gennaio 201 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/01/05/news/il_dio_che_affanna_e_che_consola_di_eugenio_scalfari-75144462/?ref=HRER2-1
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #473 inserito:: Gennaio 17, 2014, 12:32:42 pm » |
|
Eugenio Scalfari Vetro soffiato Federalisti sì ma europeisti La Catalogna in Spagna, la Scozia in Gran Bretagna, la Baviera in Germania, le Fiandre in Belgio: tutti riscoprono il separatismo e l’indipendentismo. Ma dentro un forte Stato europeo. La Lega e i lepenisti francesi invece... La Catalogna farà un referendum sponsorizzato dal governo di quella regione, il cui esito è praticamente già scontato: sarà una regione-nazione che riconosce alla Spagna di rappresentarla nella politica estera e nella Difesa nel solo caso di un’aggressione. Ma anche le altre regioni-nazioni preparano referendum analoghi: l’Andalusia, la Mancia, i Paesi Baschi. Poi voterà la Spagna in quanto tale e probabilmente anche l’esito di questo atto conclusivo sarà la struttura federale dello Stato spagnolo. Un federalismo che va ben oltre l’autonomia amministrativa poiché contiene elementi di forte politicità. È inutile sottolineare che il linguaggio delle varie regioni-nazioni non ha struttura dialettale; il catalano, il basco, l’andaluso, non sono dialetti ma vere e proprie lingue e hanno alle spalle una vera e propria storia politica che per lunghi secoli ebbe un suo autonomo sviluppo, a cominciare dagli Emirati Arabi di Cordoba e Granada che sopravvissero fino a quando la Castiglia di Isabella e la Catalogna di Alfonso d’Aragona non si unirono e cominciarono la “reconquista”. Del resto non è soltanto la Spagna a orientarsi verso il separatismo. Il fenomeno della Scozia è ancor più antico e ha fatto già molti passi avanti. Anche lì un referendum è imminente e non è il primo. Dovrebbe sancire nuove e ancor più politiche forme di indipendenza. La realtà è che la Scozia ha da sempre avuto una storia propria, una religione propria e una propria dinastia regnante con un esercito combattente. Perfino quando l’impero di Roma sbarcò, prima con Cesare e poi, più stabilmente, con gli imperatori Antonini, il Vallo di Adriano lasciò fuori dal perimetro di conquista il Galles e la Scozia. La Scozia fu da sempre cattolica e impose la sua religione a tutta la Gran Bretagna quando il figlio di Maria Stuart divenne re di tutto il paese. Ora la Scozia torna all’indipendenza e l’Inghilterra è d’accordo ma il separatismo si estenderà anche al Galles e alle provincie settentrionali. L’Irlanda è da tempo sulla stessa via. Il medesimo fenomeno si sta manifestando in Francia, il paese dove da almeno mezzo millennio l’unità ha marciato di pari passo con la “grandeur”. In Germania la tradizione dei principati elettori è invece antica e mai spenta e sta ora manifestando la sua spinta in Baviera, nel Palatinato, in Renania, in Brandeburgo. Le Fiandre riscoprono anch’esse la loro lingua e la loro disposizione indipendentista. Insomma l’Europa intera torna all’ideale federalista, ma con una particolarità un tempo ignota: il federalismo delle regioni-nazioni non solo non è contrario, ma ha come caratteristica essenziale l’esistenza di uno Stato europeo; uno Stato vero, non una confederazione di paesi nazionali guidati da governi nazionali. L’Europa unita e le regioni-nazioni che in essa si riconoscono e in essa trovano quella dimensione continentale, quella moneta unica, quella politica estera che parli con una sola voce e si confronti pacificamente ma affermando i propri valori e interessi rispetto al resto del mondo e alla sua convivenza globale. Questo è il quadro, questo le forze che lo compongono e in esso si riconoscono e si articolano, con alcune vistose eccezioni: il Fronte nazionale lepenista e la Lega padana. Queste forze non vogliono affatto uno Stato europeo e tanto meno una moneta comune. Sono forze nazionaliste o favorevoli a confederazioni regionali dove l’accento si ponga contro la globalizzazione mondiale. Quale possa essere il loro futuro è ancora incognito a loro stesse, ma nella situazione attuale è un futuro ignoto che tende soltanto alla totale rottura del presente, nel bene e nel male che in esso convivono. 08 gennaio 2014© RIPRODUZIONE RISERVATA Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2014/01/03/news/federalisti-si-ma-europeisti-1.147548
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #474 inserito:: Gennaio 19, 2014, 05:48:18 pm » |
|
Eugenio Scalfari da Lucia Annunziata a 1/2h. "Berlusconi è risorto e da sabato è entrato nella maggioranza" L'Huffington Post | Pubblicato: 19/01/2014 14:41 CET | Aggiornato: 19/01/2014 15:23 CET "Berlusconi è risorto e di fatto è entrato nella maggioranza. Oggi il vero scontro è tra Letta e Renzi". Eugenio Scalfari, ospite da Lucia Annunziata a 'In ½ h', parla dell'incontro tra il segretario e il leader di Forza Italia, critica l'intesa fra i due e addebita a Renzi l'onere di aver ritirato nel dibattito politico il Cavaliere. E aggiunge: "Non credo a un Letta Bis, al massimo ci sarà un rimpastino"Il fondatore di Repubblica tira le orecchie al sindaco: "Non si può essere in piena sintonia con un pregiudicato". 15:02 – Oggi Scalfari: "Il vero scontro sarà tra Renzi e Letta" "Renzi vuole sostituire Letta. E per farlo ha tirato in mezzo Berlusconi. Di fatto riabilitandolo. Berlusconi non dava più carte da alcuni mesi. Anzi le aveva perse dal mazzo. Adesso rientra in gioco. Renzi è andato anche oltre, dicendo di provare 'profonda sintonia' con il Cavaliere. Non si può essere in sintonia con un pregiudicato. Le parole sono come pietre" 14:56 – Oggi "Non credo al Letta Bis, al massino un rimpastino limitatissimo" "Un eventuale Letta Bis è una eventualità remota perché non si possono cambiare molti ministri. In quel caso Letta non avrebbe vita facile: con Grillo e Renzi sarebbe difficile riottenere la fiducia. Non credo al Letta Bis, al massino un rimpastino limitatissimo" 14:54 – Oggi "Non si può navigare tranquilli. Berlusconi è imprevedibile" 14:51 – Oggi "Questo accordo prevede una stabilità fino al 2015" "Questo accordo prevede una stabilità fino al 2015. È vero, Berlusconi ha ancora il 20% dei suffragi ma Renzi dovrà affrontare il problema di trattare con una persona che è ai servizi sociali" 14:48 – Oggi "Sono cambiati in peggio i tempi. La gente vota Grillo per scassare il Paese e Renzi per rompere il Partito democratico" "Sono cambiati in peggio i tempi. Oggi è difficile per l'elettorato identificarsi. Molta gente ha votato Renzi per distruggere il Partito Democratico. Molta gente invece ha pensato "Voto Grillo così scasso il Paese". Ma così è impossibile andare avanti. Perché è una follia pensare che si possa ripartire da zero". 14:42 – Oggi "Berlusconi è risorto" "La guerra è finita? La sinistra è molto disorientata. Quello che succede è sconcertante e storico. Berlusconi era uscito dalla scena: lo ha fatto una prima volta con Monti (anche se il suo partito restava e cedeva il passo a un governo di necessità) e lo ha fatto dopo la decadenza. Ma dopo l'incontro con Renzi è cambiato l'architrave della politica italiana: "Berlusconi è risorto e da sabato di fatto è entrato nella maggioranza". Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/01/19/eugenio-scalfari-lucia-annunziata-_n_4626932.html?1390138871&utm_hp_ref=italy
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #475 inserito:: Gennaio 19, 2014, 06:10:06 pm » |
|
I Campi Elisi di Silvio l'Ispanico di EUGENIO SCALFARI Ieri si è combattuto il giorno intero sulla legge elettorale, anche il giorno prima si era combattuto e anche oggi e domani si continuerà perché lo scontro avverrà su un compromesso ed anche i compromessi contemplano molte varianti. Per abbreviare il linguaggio politico e mediatico il confronto avviene attorno al modello della legge elettorale spagnola definita Ispanico, scritto con la maiuscola. Mi viene in mente un celebre film il cui protagonista era l'attore Crowe, generale delle legioni e supposto successore di Marc'Aurelio il quale però venne ucciso dal figlio Commodo che diventò imperatore. L'ex generale fu ridotto in schiavitù e chiamato Ispanico; dopo varie vicende affrontò lo stesso Commodo nell'arena del Colosseo. Si uccisero reciprocamente e il film si chiude con l'arrivo di Ispanico nei Campi Elisi dove ritrova sua moglie e i suoi figli. Resta ora da capire per noi che viviamo duemila anni dopo questa romanzesca vicenda, chi sia l'Ispanico di oggi: se Berlusconi o Renzi o Letta. Personalmente propendo per Berlusconi, somiglia all'Ispanico del film sia come capo di legioni sia nella fase della schiavitù (condannato dalla Cassazione e deposto dal Senato) sia nel ritorno ai Campi Elisi. C'è tornato infatti ieri sera nell'incontro con Renzi nell'ufficio che era stato di Bersani, e ci resterà ormai per sempre, quali che siano i risultati dell'incontro. Berlusconi l'Ispanico. Renzi l'ha riportato al centro della politica italiana. Compiendo quell’atto di clemenza che il Cavaliere aveva invano atteso da un «motu proprio» di Napolitano e che il Presidente si è sempre rifiutato di concedere per la semplice ragione che non può ignorare le sentenze definitive della magistratura, rafforzate dalle decisioni altrettanto definitive del Senato della Repubblica. La clemenza «motu proprio » gliel’ha accordata Matteo Renzi. Nessuno lo obbligava, la legge elettorale ha carattere ordinario, non costituzionale, anche se è direttamente legata alla trasformazione del Senato in Camera delle regioni, senza di che resterebbe in piedi la trappola del bicameralismo perfetto che non esiste in nessuna democrazia occidentale, neppure in quella presidenzialistica americana. Allora perché il sindaco di Firenze ha deciso di riportare nei Campi Elisi l’Ispanico Berlusconi, con la sua fidanzata Francesca Pascale e il cagnolino Dudù? *** Ho letto con molto interesse qualche giorno fa un articolo di Asor Rosa sul “Manifesto”: un articolo decisamente anti-renziano e altrettanto decisamente filo-lettiano pur essendo Asor Rosa un intellettuale che vagheggia una nuova sinistra- sinistra. Non è paradossale che una personalità come Asor Rosa arrivi ad una conclusione così contraddittoria? Seguendo quale logica? Rosa lo dice: il Pd non c’è più, è un partito lacerato da correnti, correntine e spifferi di corrente, che si è consegnato di fatto a Matteo Renzi, sia in quelli che lo appoggiano sia in quelli che lo contrastano. In entrambi i casi le varie fazioni agiscono alla cieca o per interessi propri. I più contrari a Renzi, come Fassina o Civati, auspicano elezioni immediate e coincidono in questo punto di fondo con il sindaco di Firenze. Il partito non c’è più, c’è Renzi, il quale deve portare a casa riforme che facciano colpo sull’immaginario degli elettori. La legge elettorale interessa assai poco la gente, i lavoratori, le famiglie che non arrivano alla fine del mese, i poveri e i poverissimi ma anche gli agiati che vivono con l’incubo di precipitare in basso. Questa gente non ha alcuna stima della politica ma resterebbe colpita dal fatto che un politico di nuovo conio porta a casa un risultato concreto. Quale che sia, in- teressi o meno la gente, è pur sempre un risultato, ottenuto in pochi giorni. La gente ne sarebbe stupefatta se questo avvenisse. Il renzismo guadagnerebbe fiducia tanto più che il nuovo leader promette anche obiettivi economici «a portata di mano». Chi ha esaminato a mente fredda quelle promesse ha capito che non sono affatto a portata di mano, ma una buona parte degli italiani ha sempre creduto che i miracoli si fanno, la bacchetta magica esiste e anche l’asino che vola c’è da qualche parte. Se così non fosse, non ci sarebbe un venti per cento di elettori che vota ancora per Silvio. Silvio c’è e se non ha fatto miracoli è perché finora gliel’hanno impedito i suoi nemici toghe rosse e comunisti. Meno male che Silvio c’è e dunque anche meno male che c’è Renzi. Si somigliano? Sì, si somigliano e anche molto. *** La vera — e formidabile — bravura di Silvio è sempre stata quella d’incantare la gente, ma è la stessa bravura di Matteo che sa incantare la gente come Silvio e anche di più ora che Silvio è vecchio e fisicamente un po’ provato. Matteo è un Silvio giovane dal punto di vista dell’incantamento e quindi più efficace. Adesso il suo problema sarà quello di convincere Alfano a contentarsi. Gli ha offerto uno stock di seggi basati sul proporzionale ma corretti da un maggioritario assicurato dal premio di maggioranza che le liste dei partiti maggiori otterranno. Alfano avrà meno di quanto sperasse col doppio turno continuando tuttavia ad esistere, ma con Silvio l’Ispanico restituito al suo ruolo di salvatore della Patria. È terribilmente scomoda per Alfano una convivenza di questo genere. O si oppone al compromesso che gli viene proposto o il suo movimento finirà di nuovo nelle braccia di Berlusconi. Questo è il dilemma che dovrà sciogliere nelle prossime quarantott’ore. C’è tuttavia un aspetto di questa situazione politica: è interesse della democrazia italiana l’esistenza d’una destra moderata, repubblicana ed europeista, che restauri l’alternanza tra le due ali dello schieramento nell’ambito di quei principi sui quali è nata la democrazia europea simboleggiata dalla bandiera tricolore: libertà, giustizia, fraternità. In Italia ci fu la destra storica dopo la quale cominciò il gioco malandrino del trasformismo con interruzioni di governi autoritari comunque mascherati. Alfano può non piacere, non è certo un personaggio attraente, carisma zero, intelligenza politica dubitabile, ma non c’è solo lui in questa prima esperienza di destra moderata, ci sono Lupi, Cicchitto, Quagliariello. Siamo comunque ad un primo esperimento, ma merita di non essere schiacciato e ributtato indietro. È una mossa intelligente quella di Renzi di avergli offerto una ciambella di salvataggio, ma la ciambella funziona se il mare è calmo e la costa è vicina. Con Berlusconi risuscitato la costa è assai lontana e il mare in tempesta. Questo è il punto che Alfano e i suoi dovranno valutare con la massima attenzione. *** Nel frattempo la recessione economica sembra aver toccato il fondo cominciando a risalire. I dati per la prima volta registrano un aumento dei fatturati; la speranza è che i consumi riprendano e il «credit crunch» delle banche abbia finalmente una fine. La Commissione della Ue, si spera ed è probabile, darà un giudizio favorevole sulla politica economica italiana, specialmente per quanto riguarda le privatizzazioni e la revisione delle spese superflue. Le privatizzazioni consentiranno una diminuzione consistente del debito pubblico, la riduzione della spesa e l’appoggio dell’Europa potrebbero liberare risorse per incentivare la domanda interna ed anche quella estera. Il trattato con la Svizzera sui capitali italiani depositati nelle banche di quel Paese è vicino alla sua conclusione e ci darà una congrua disponibilità di nuove risorse. Insomma tra un anno il rilancio dello sviluppo potrebbe essere consolidato e i riflessi su investimenti e occupazione potrebbero essere consistenti. Non siamo certo in grado di giudicare se Renzi sarà lieto di questo risultato, ma tutti gli italiani ne saranno confortati e la rabbia sociale sarà confinata in piccole minoranze. Il Silvio Ispanico si attribuirà tutti i meriti. È sempre avvenuto e sarà ancora una volta così. Speriamo soltanto che gli italiani che credono nelle favole siano meno numerosi di oggi e i partiti più idonei a capire le differenze tra cultura politica e improvvisazione. Ci vogliono tutte e due queste capacità, una sola è una sciagura. © Riproduzione riservata 19 gennaio 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/01/19/news/i_campi_elisi_di_silvio_l_ispanico-76333648/?ref=HREA-1
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #476 inserito:: Gennaio 24, 2014, 05:46:41 pm » |
|
Eugenio Scalfari Vetro soffiato È Internet la causa dell’ignoranza Umberto Eco sostiene che la Rete è uno stimolo per i giovani. E invece la tecnologia della memoria artificiale è l’origine dell’appiattimento sul presente: non c’è bisogno di ricordare. E poi ha ridotto al minimo la parola scritta Nella sua “Bustina di Minerva” sull’ultimo “Espresso” Umberto Eco racconta un fatto al tempo stesso esilarante e preoccupante. In una trasmissione televisiva di quiz condotta da Carlo Conti erano stati scelti quattro giovani e gli erano state poste alcune domande apparentemente assai facili: in che anno Hitler fu nominato cancelliere della Germania e quando avvenne l’incontro di Benito Mussolini con Ezra Pound. La facilità delle domande consisteva nel fatto che le date proposte dal conduttore consentivano ai concorrenti risposte abbastanza sicure perché alcune superavano largamente la morte sia di Hitler sia di Mussolini. Sicché i giovani prescelti, anche se ignoravano la data esatta, avrebbero dovuto escludere quella decisamente sbagliata. Invece non fu così. La risposta di una dei giovani invitati al gioco collocò l’incontro di Mussolini e Pound nel 1964, cioè vent’anni dopo la morte del Duce. Eco così commenta l'accaduto, registrato su “You Tube”: «Quest’appiattimento del passato in una nebulosa indifferenziata si è verificato in molte epoche, ma ora non dovrebbe avere giustificazioni visto le informazioni che anche l’utente più smandrappato può ricevere su Internet. Evidentemente la memoria in alcuni (molti) giovani si è contratta in un eterno presente dove tutte le vacche sono nere. Si tratta dunque d’una malattia generazionale». Del resto lo stesso Eco qualche settimana fa aveva segnalato che, usando attendibili sondaggi, risultava che molti studenti universitari fossero convinti che Aldo Moro era il capo delle Brigate Rosse. Altro che malattia generazionale! Ma perché è accaduto questo? E perché colpisce (o almeno così sembra) soprattutto i giovani? Il motivo per il quale riprendo su questa pagina le preoccupazioni di Eco (che ovviamente condivido) segnala le cause che hanno determinato la malattia. Eco l’attribuisce soprattutto alle carenze della scuola, delle famiglie, dei vari centri educativi, che non si curano della memoria. La memoria un tempo veniva esercitata obbligatoriamente: i giovani dovevano imparare a memoria una serie di poesie indicate dagli insegnanti. Non importava se capissero o no il loro contenuto, importava di tenere in esercizio le mappe cerebrali dove la memoria ha la sua sede. In seguito quest’obbligo è stato abolito: sembrava che una memoria meccanica non servisse a nulla e anzi fosse disdicevole. Ed ecco le tristissime conseguenze. Osservo tuttavia che Eco considera Internet, e in generale la memoria artificiale affidata alla tecnologia, una risorsa per stimolare i giovani mettendo a loro disposizione una massa enorme di informazioni. Su questo il mio pensiero differisce molto dal suo. Secondo me, infatti, la tecnologia della memoria artificiale è la causa prima dell’appiattimento sul presente o almeno una delle cause principali. La conoscenza artificiale esonera i frequentatori della Rete da ogni responsabilità: non hanno nessun bisogno di ricordare, il clic sul computer gli fornisce ciò di cui in quel momento hanno bisogno. C’è chi ricorda per te e tanto basta e avanza. Ma c’è di più: la possibilità di entrare in contatto, sempre attraverso il clic, con qualunque abitante del mondo, di parlare con un residente in Australia e, a tuo piacimento, con uno che vive nei Caraibi o in Brasile o nel Sudafrica o a Pechino; sembra inserirti in una folla di contatti e di compagnia. In realtà è l’opposto: ti confina nella solitudine. Molti fruitori della Rete infatti hanno smesso di frequentare il prossimo e restano ritirati in casa a “navigare” sulle onde della nuova tecnologia. L’amore anche fisico attraverso la Rete è diventato abituale per molti. Si chiama da tempo “amore solitario” e infatti lo è. Infine la rete ha modificato il pensiero, ha ridotto al minimo la parola scritta. Perfino il Papa si serve del linguaggio “twitter” e comunica in questo modo con molti milioni di persone con frasi che non superano i 140 caratteri. Tra il pensiero e la parola scritta c’è un rapporto interattivo. I nostri giovani leggono i giornali e i libri attraverso la Rete. Cioè leggono notizie e cultura ridotte a poche parole. Il numero delle parole usate è ormai al minimo e poiché tra il pensiero e il linguaggio c’è una interazione, ne deriva che il pensiero si è anchilosato come il linguaggio. La malattia è estremamente preoccupante e segna un passaggio di epoca. Caro Umberto credimi, è qualcosa di più che non una malattia generazionale. 22 gennaio 2014 © Riproduzione riservata Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2014/01/15/news/e-internet-la-causa-dell-ignoranza-1.148803
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #477 inserito:: Gennaio 26, 2014, 11:26:15 pm » |
|
Il duopolio ai partitoni e il bavaglio ai partitini di EUGENIO SCALFARI QUALCUNO si ricorda la legge elettorale truffa, proposta dalla Democrazia cristiana e dai suoi alleati laici, i cosiddetti partitini? Ne dubito; sono passati sessant’anni da allora e molti degli attori di quella vicenda non ci sono più. Io ricordo bene: la legge fu sconfitta dall’opposizione di dissidenti da sinistra e da destra, tra i quali emergevano Codignola, Parri e Corbino. Eppure non era una grande truffa: attribuiva un premio del 15 per cento alla coalizione che avesse superato il 50,1 dei voti. Si votava in collegi uninominali, gli stessi con i quali nel 1948 la Dc aveva incassato il 48 per cento dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi. Altri tempi, sembrano la preistoria. C’erano personaggi come De Gasperi, Togliatti, Ugo La Malfa e molti altri di analogo conio; al Quirinale c’era Luigi Einaudi, del quale Napolitano è un devoto cultore nonostante il suo passato di comunista (ma non marxista). Oggi siamo alle prese con una riforma elettorale voluta da Renzi e da Berlusconi e diventata disegno di legge in pochi giorni, che cerca di realizzare il massimo di governabiltà sacrificando i criteri di rappresentanza. Il punto di frizione con i partiti minori e con i Cinque Stelle è proprio questo: attraverso un complicato gioco di soglie di sbarramento e di premi, le forze minori vengono di fatto ridotte al silenzio lasciando in campo i partiti maggiori. Come si può uscire da quest’imbroglio? Berlusconi se ne preoccupa poco o niente: voleva riguadagnare il titolo di salvatore della Patria e ce l’ha fatta. Per lui è una posizione di importanza enorme che può avere ripercussioni anche sulle sue vicende personali. Ma per Renzi è diverso; lui deve assolutamente portare a casa il risultato. Se fosse battuto sarebbe un disastro e lo sarebbe anche per il Pd. Nei sondaggi quel partito supera il neo-salvatore della Patria di 12 punti, ma li perderebbe di colpo se Renzi cadesse sulla riforma elettorale. Il crollo dei consensi finirebbe col travolgere anche il governo Letta. Del resto la forza di Renzi è proprio questa: o vincete con me o con me affonderete. È questo l’imbroglio in cui ci troviamo. A proposito del salvatore della Patria, credo sia giusto segnalare di nuovo un gesto di coraggiosa dignità che Repubblica ha già registrato con un’intervista venerdì scorso. Si tratta di Pietro Marzotto che aveva chiesto da alcuni mesi l’espulsione di Berlusconi dall’associazione dai cavalieri del Lavoro, senza ottenere alcuna risposta. Per protestare contro questo silenzio Marzotto si è dimesso da quell’associazione e ne resterà fuori fino a quando un condannato per frode fiscale non ne sarà escluso. Finora l’esempio di Marzotto non è stato seguito da altri. Bel gesto egli ha fatto e brutto segnale il pesante silenzio degli altri associati. Cavalieri smontati da cavallo? *** A me Matteo Renzi non ispira molta fiducia né come segretario del Pd né come eventuale presidente del Consiglio; le ragioni le ho più volte spiegate e non starò a ripetermi, riconosco però che la sua iniziativa ha dato una scossa al partito del quale è il leader e di conseguenza a tutta la politica italiana, governo compreso il quale ne aveva urgente bisogno. La legge da lui presentata, tuttavia, è assai poco accettabile poiché — volutamente e quindi consapevolmente — cancella non soltanto i partiti minori avversari senza se e senza ma del Partito democratico, ma anche quelli disposti ad allearsi col Pd ed entrare a far parte d’una coalizione da esso guidata. Il gioco delle soglie d’ammissibilità, da quella del 12 per cento a quella dell’8 e del 5, rischia di escluderli dall’eventuale premio previsto per chi raggiunge il 35 per cento dei consensi. Se infatti quei partiti non superano la soglia del 5 per cento non parteciperanno ai voti ottenuti dalla coalizione. Sono soltanto portatori d’acqua che non ricevono alcun tipo di ringraziamento dal partito maggiore che, anche con i loro voti, ha sconfitto l’avversario o comunque diventerebbe il partito d’opposizione. Ai portatori d’acqua non resta nulla fuorché gli occhi per piangere. Con questa legge, come è uscita dalle stanze del Nazareno, non restano in campo che Pd, Forza Italia e l’incomunicabile Grillo che probabilmente sarà beneficiario di quegli elettori che saranno schifati dal duopolio Renzi-Berlusconi e dalla loro riaffermata e reciproca sintonia. In una situazione di questo genere restano due punti fermi: la libertà costituzionalmente affermata del mandato parlamentare al quale non si può opporre alcun vincolo e la necessità che Renzi rimanga al suo posto di segretario del Pd per l’esistenza stessa di quel partito. La legge elettorale si trova ora all’esame del Parlamento che è libero di pronunciarsi. Se viene rivista in alcuni punti essenziali Renzi deve accettarne il risultato e restare al suo posto; dimettersi da segretario avrebbe infatti le stesse conseguenze d’una scissione del partito che nelle primarie ha votato massicciamente per lui. Un conto è il partito, un conto è il Parlamento. Il primo è una libera associazione, il secondo è un organo istituzionale sul quale si fonda la democrazia rappresentativa. Il primo è depositario di una sua visione del bene comune, il secondo è titolare dell’interesse generale e non ha nessun leader ma soltanto i propri organi previsti dai suoi regolamenti. I leader dei partiti non hanno in Parlamento alcun potere salvo la propria autorevolezza. Ugo La Malfa ai suoi tempi era più autorevole in Parlamento di quanto non lo fossero Rumor o Piccoli o De Martino o Mancini quando erano segretari della Dc o del Psi e guidavano partiti dieci o cinque volte più forti dei repubblicani i cui voti alla Camera oscillavano tra i 5 e i 20, su 630 membri. Renzi deve dunque restare e far digerire a Berlusconi il nuovo schema di legge approvato dalla Camera, sempre in attesa che il Senato sia riformato come è necessario fare. La legge più appropriata deve dare il peso che merita al criterio della rappresentanza e diminuire — non certo abolire — il criterio della governabilità. La soluzione migliore sarebbe quella di votare in collegi uninominali, innalzare la soglia prevista per ottenere il premio di maggioranza al 40 per cento, abolire la soglia del 5 per cento o abbassarla al 3, abbassando in proporzione la soglia dell’8 prevista per i partiti che si presentano da soli. Più o meno sono questi i lineamenti di una legge elettorale accettabile nell’interesse della democrazia parlamentare. Assai meglio delle preferenze che Renzi fa bene a non volere perché possono inquinare il voto in favore di clientele e mafie, come è spesso avvenuto in passato. Se Berlusconi non ci sta, il Pd si appelli a tutti i parlamentari di buona volontà e se non ci saranno altre soluzioni che il voto, si voterà con la proporzionale che prevede collegi e non liste. E vinca il migliore. *** Alcuni osservatori ed editorialisti di altri giornali hanno scritto che non esistono “governi amici” se non nei casi di emergenza. I governi amici cioè non sono altro che un commissariamento efficace e destinato ad esser breve. Su questo punto — che da molto tempo ritengo fondamentale per la democrazia rappresentativa — la mia opinione è completamente diversa; sostengo infatti (e lo sostengo dai primi anni Ottanta del secolo scorso) che il governo è titolare del potere esecutivo e in quanto tale è uno dei tre poteri dello Stato a somiglianza del Parlamento e dell’Ordine della magistratura. Quando un uomo politico, membro del Parlamento o tecnico, diventa presidente del Consiglio o ministro o sottosegretario, quale che sia la sua provenienza egli rappresenta un potere dello Stato. E poiché il governo ha bisogno della fiducia del Parlamento, esso è appunto amico della maggioranza parlamentare che lo sostiene, ma autonomo da essa. Tiene conto della visione del bene comune di quella maggioranza, ma deve sempre privilegiare l’interesse generale e quindi lo Stato che in sé lo riassume. Questo sostenne Enrico Berlinguer nell’intervista data al nostro giornale nel 1981 e questa egli chiamò “questione morale”. In questo modo si accresce l’autonomia del governo e del Parlamento dai partiti determinando così la nuova natura delle persone che ne fanno parte. La visione della democrazia rappresentativa qui esposta prevede un rafforzamento del potere esecutivo e soprattutto di chi ne è il titolare, così come un rafforzamento del Parlamento nei suoi poteri di controllo della pubblica amministrazione. Prevede anche una diversa concezione delle magistrature amministrative rispetto a quella ordinaria e quindi una profonda riforma sia della Corte dei Conti sia soprattutto del Consiglio di Stato. Ieri Galli Della Loggia ha documentato sul Corriere della Sera l’invadenza soffocante della burocrazia che si autotutela anziché essere il braccio armato del potere esecutivo. Concordo interamente e non da oggi con questa tesi. Bisogna disboscare e semplificare la pubblica amministrazione. Questa è la madre di tutte le riforme, senza la quale le altre restano barchette di carta nell’acqua, sulla quale a stento galleggiano prima di disfarsi. © Riproduzione riservata 26 gennaio 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/01/26/news/il_duopolio_ai_partitoni_e_il_bavaglio_ai_partitini-76943868/?ref=HRER1-1
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #478 inserito:: Febbraio 03, 2014, 04:58:09 pm » |
|
Il bivacco di manipoli accampato in Parlamento di EUGENIO SCALFARI Premessa: nell'articolo di domenica scorsa scrissi che Matteo Renzi non mi era simpatico riconoscendo però che forte della legittimazione ottenuta massicciamente alle primarie, era il leader del Pd e che la riforma della legge elettorale da lui proposta con Berlusconi aveva dato una salutare scossa all'intera situazione politica ed anche al governo, come lo stesso Letta ha riconosciuto. Nel frattempo è però avvenuto un fatto nuovo, apparentemente di modesta importanza ma per me molto significativo: il Fatto quotidiano dell'altro giorno ha spedito un suo inviato a Firenze ed ha titolato il servizio dicendo che Renzi dal 2009 ha incassato 4 milioni di finanziamento da donatori privati attraverso eventi di vario tipo: banchetti elettorali, donazioni per primarie di partito e per elezioni alla presidenza della Provincia e a sindaco di Firenze. Si tratta di dazioni pienamente legittime ma si ignora il nome dei donatori. Il sospetto del giornalista è che i donatori siano stati ricompensati da appalti di favore e da altri benefici illeciti dei quali tuttavia il giornale che ha organizzato il servizio non dà alcuna prova. Insomma un attacco bello e buono con l'evidente intenzione di screditare il leader del Pd e lo stesso partito del quale è ormai il capo riconosciuto. Fino a poco fa quel giornale gli era favorevole ma ora ha cambiato fronte in odio al partito da lui guidato. Per me questo voltafaccia di chi finora l'incoraggiava a dividere il partito, è sufficiente a rendermelo simpatico, fermo restando alcuni errori della riforma elettorale da lui proposta, che spero saranno cancellati durante la discussione in corso alla Camera. Quanto al giornale in questione, i suoi nemici sono da sempre tre: Napolitano, Letta, il Pd. Chi li appoggia entra nel suo mirino. Perciò viva Grillo e abbasso chi gli si oppone. Ecco un punto che mi sembrava meritevole d'esser chiarito. Fine della premessa. * * * Di Grillo ha scritto ieri il direttore del nostro giornale con una diagnosi con la quale concordo interamente. Un'opposizione dura e anche durissima è legittima in una democrazia parlamentare, purché non travalichi nella violenza dei suoi parlamentari che calpestano ogni regola e impediscono il funzionamento delle Camere e delle loro commissioni. L'aula "sorda e grigia, bivacco di manipoli" è un retaggio fascista e teorizzato dal fascismo. Nella sua visita-lampo di venerdì scorso a Roma, il guru del Movimento 5 Stelle ha invitato i suoi parlamentari a moderare le recenti intemperanze. Probabilmente si è reso conto di rischiare l'isolamento rispetto agli elettori che l'hanno gratificato di 8 milioni di voti nello scorso febbraio. I grillini finora hanno soltanto tentato d'inceppare il funzionamento del Parlamento. Null'altro. Odiano l'Europa, odiano l'euro, odiano la politica; fanno leva sul disagio economico per trasformarlo in rabbia sociale, aggrediscono in modo inqualificabile la presidente della Camera Laura Boldrini colpendola anche in quanto donna, danno del boia a Napolitano e lo accusano di tradimento della Costituzione. È diventato un vezzo quello di invocare la Costituzione per travolgerla da cima a fondo. Sono numerosi i giornali e le emittenti televisive divenuti amplificatori del verbo grillino. Il circuito mediatico ama le cattive notizie gonfiandole a dismisura e questo è un malanno grave: la dismisura che giova ai demagoghi e corrompe la pubblica opinione. Gli allocchi ci cascano e purtroppo sono numerosi nel nostro paese. La libertà è il valore più grande della vita associata e la demagogia è il suo nemico. Gran parte dei mali d'Italia proviene storicamente dalla vocazione demagogica, dal carisma che i demagoghi conquistano più facilmente nel nostro paese che altrove. Compito delle persone responsabili è di opporsi a quella vocazione che da molti anni e addirittura da secoli affligge questa nostra terra. Bisogna conoscer bene le proprie debolezze prima di gettare il sasso sugli altri. Lo predicò proprio Gesù e chi si professa cattolico dovrebbe ricordarselo. Quanto ai laici questa dovrebbe essere la loro insegna naturale. * * * Dicevamo che la nuova legge elettorale con le firme di Renzi e Berlusconi è accettabile nell'impianto ma contiene numerosi errori e perfino qualche aspetto di dubbia conformità alla recente sentenza della Corte Costituzionale. Quali sono tali errori è evidente: gli elementi costitutivi debbono essere due, governabilità e rappresentanza. Il giusto equilibrio tra di essi non è facile e Renzi ha provato a raggiungerlo ma c'è riuscito solo in parte per le resistenze che il suo interlocutore gli ha opposto. L'errore capitale è proprio questo: la governabilità ha gravemente mortificato la rappresentanza. Il gioco delle soglie ha creato questa situazione ed ha anche impedito la libertà di scelta degli elettori rispetto ai candidati da eleggere. Sono due errori molto gravi, solo in parte recuperati dal ballottaggio finale connesso con l'innalzamento del tetto da raggiungere per ottenere il premio di maggioranza dal 35 al 37 per cento dei voti espressi (meglio sarebbe portarlo al 40 o almeno al 38). Con il ballottaggio gli elettori voteranno per la seconda volta scegliendo tra le due contrapposte coalizioni, ma questa recuperata sovranità del popolo è molto viziata dalla soglia del 4,5 che esclude i partiti della coalizione da ogni presenza parlamentare. Ecco il punto che mortifica il criterio della rappresentanza: i voti degli alleati sono essenziali per la vittoria d'una coalizione sull'altra, ma il premio di maggioranza va unicamente al partito egemone. Questa situazione non è tollerabile, si dovrebbe abolire interamente la soglia che esclude il seggio a chi ha fornito voti preziosi per la conquista del premio; si può vincere perfino con un solo voto in più, perciò la soglia non va soltanto diminuita ma abolita. L'altro errore è la mancata scelta dei candidati eleggibili. Le liste piccole sono un vantaggio assai modesto per gli elettori. Forse conoscono i candidati scelti dai partiti, ma conoscerli non basta se non possono scegliere, se il capolista è meno gradito di chi lo segue nella lista, se tutto è scolpito dalle segreterie di partito. Il solo vero risultato è quello di votare senza alternative una lista prefabbricata. Il solo vero rimedio è quello di votare in collegi uninominali, dove ogni cittadino possa presentarsi candidato purché ottenga un numero ragionevole di firme di presentatori. Così si realizza nel modo migliore la libertà di scelta mentre le preferenze contengono tutti i guai che ben conosciamo e limitano comunque la scelta ai candidati presenti nelle liste, senza alternative di sorta. I collegi uninominali sono dunque la sola soluzione valida, ma Berlusconi si opporrà e il suo veto è il limite che Renzi non può superare. La legge comunque, possibilmente emendata, non entrerà in vigore fino a quando il Senato non sarà stato profondamente modificato con legge costituzionale. Ci vorrà poco meno di un anno perché questo avvenga e quindi l'urgenza è figurativa, ma non sostanziale. Rappresenta tuttavia un elemento di stabilità del governo in carica e questo è un indubbio vantaggio per l'economia nostra e dell'Europa. * * * L'economia dell'Europa è in sofferenza per la crisi dei paesi emergenti che si aggiunge ed aggrava la debolezza della domanda e dell'occupazione in tutto il nostro continente. I paesi emergenti registrano un'improvvisa fuga di capitali che indebolisce le loro monete e si indirizza verso il mercato americano in cerca di investimenti più vantaggiosi. Così dicono i commentatori ma c'è una contraddizione in questi flussi di capitale: il dollaro ha un cambio molto elevato nei confronti dell'euro ed anche di alcune monete di paesi come il Brasile, la Russia, la Turchia ed anche la Cina la cui moneta è solo artificialmente agganciata al cambio del dollaro. L'afflusso di capitali vaganti verso Wall Street punta evidentemente su titoli di fondi ad alto rischio e non verso i titoli del Tesoro americano. Le aspettative della speculazione non sono in un ulteriore aumento del cambio del dollaro, ma i fondi ad alto rischio dove investono le loro risorse? Non certo sul dollaro. Allora dove? In realtà la speculazione, secondo il parere di molti operatori, pensa di deprimere con la loro fuga il cambio dei paesi emergenti per poi rientrarvi per lucrare la differenza di una speculazione al ribasso, si tratta d'un gioco antico e sempre ricorrente anche perché i fondamentali dei paesi emergenti non sono cambiati, crescono più lentamente, aumenta un po' la loro domanda interna, ma questo non modifica la forza della loro emersione economica bensì i flussi delle importazioni ed esportazioni. Per quanto ci riguarda, l'Europa e l'Italia dovrebbero accrescere le esportazioni ma hanno l'handicap del dollaro debole. Rispetto all'euro vale 1,35 e anche più. L'interesse europeo e italiano sarebbe che il dollaro scendesse verso l'1 o almeno verso l'1,10. Allora sì, la spinta della nostra domanda diventerebbe potente. Comunque non siamo in deflazione e ce ne preserva un miglioramento ormai visibile e a quanto pare duraturo della produzione di industrie e di servizi. Purtroppo non si traduce ancora in un miglioramento dell'occupazione perché c'è larga disponibilità di impianti inutilizzati e quindi langue l'investimento privato. Quello pubblico potrà riprendere, così si spera, entro la metà di quest'anno quando il governo riuscirà ad ottenere dall'Europa un "plus" di risorse da investire e da utilizzare per un abbassamento sostanziale del cuneo fiscale. Questo è l'aspetto di maggiore interesse della nostra economia insieme alla indispensabilità dei contratti di lavoro aziendali, in mancanza della quale la crescita dell'occupazione sarà più lenta e la dislocazione produttiva più tentatrice. Tito Boeri ha descritto giovedì scorso con grande chiarezza quest'aspetto essenziale del problema. Draghi farà - e sta facendo da tempo - il resto, sulla liquidità, sull'Unione bancaria, sulla Vigilanza, sul panorama del futuro e necessario sviluppo dell'Europa federata nei settori decisivi della vita associata. Da questo punto di vista la stabilità del governo Letta è un punto per noi essenziale. L'ha capito anche Renzi e speriamo che non cambi idea. Ma Berlusconi può cambiarla, lui è abituato alla capriola. Meno male che Napolitano c'è. © Riproduzione riservata 02 febbraio 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/02/news/bivacco_di_manipoli_accampato_in_parlamento-77503700/?ref=HREA-1
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #479 inserito:: Febbraio 10, 2014, 05:16:56 pm » |
|
Quel western all'italiana dove sparano i pistoleri di EUGENIO SCALFARI IN TANTA babele di lingua, di idee e di comportamenti che sta devastando le società europea e italiana, va segnalato in apertura di queste righe il discorso pronunciato qualche giorno fa da Giorgio Napolitano al Parlamento europeo di Strasburgo. Molti capi di Stato sono stati invitati da quell'Assemblea ed hanno detto gentili parole di circostanza, ma nessuno era intervenuto esponendo un giudizio sull'Europa di oggi e un'esortazione così intensa e dettagliata su quella di domani, non tacendo né le virtù né i gravi difetti della politica europea fin qui attuata e i suoi protagonisti nel bene e nel male. Era il rappresentante d'uno Stato membro dell'Unione che ha affrontato dalla più prestigiosa tribuna del nostro continente problemi, posto domande, suggerito soluzioni che soltanto il presidente di turno dell'Unione avrebbe dovuto indicare, ma nessuno investito di quella carica l'ha finora mai fatto. Napolitano ha parlato dell'Europa ma anche dell'Italia; ha approvato la politica dei sacrifici a noi imposti perché necessari, ma ha stigmatizzato il fatto che il rigore fosse ormai diventato un'ideologia dei Paesi più ricchi che non si rendono conto della necessità ormai impellente di puntare sulla crescita economica, sull'occupazione, sull'equità sociale che alimenta lo sconforto e la rabbia contro l'Europa stessa, la sua moneta comune, le sue ancora fragili istituzioni. Qualcuno potrebbe osservare che forse Napolitano sia andato oltre i limiti che la sua carica gli consente. Chi ha fatto un mantra della critica e a volte addirittura dell'insulto contro di lui l'ha già detto, ma è una delle tante falsità faziose che abbondano purtroppo nel nostro Paese. Il suo discorso a Strasburgo è nel solco della grande politica europea di Adenauer, De Gasperi, Monnet, Delors, Schmidt, Kohl e di Altiero Spinelli che firmò il manifesto europeista di Ventotene assieme ad Ernesto Rossi, ambedue condannati al confino dal regime fascista allora vigente. Napolitano ha ricordato Spinelli come il profeta dell'Europa la cui costruzione è purtroppo ancora incompiuta anche se mai come ora ce ne sarebbe bisogno. È stato un intervento appassionato ed anche un'apertura di orizzonte e una scossa, quasi una frustata all'Europa e all'Italia per la quale ha posto due obiettivi a salvaguardia di un Paese che sembra stia brancolando alla cieca: la continuità e la stabilità del governo in carica, la maggiore dinamicità cui deve dare tutta l'energia possibile nell'ambito delle risorse delle quali dispone e poiché sono scarse deve agire sull'Europa, utilizzando le possibili alleanze e la propria fermezza di Paese fondatore di una storia che rischia di impantanarsi in una tecnocrazia dominata dagli interessi di pochi a danno dell'Unione nel suo insieme. I protagonisti della nostra politica e i cittadini consapevoli dell'impegno civico del quale tutti dovremmo dar prova dovrebbero leggere il testo del discorso di Napolitano e i media dovrebbero (avrebbero dovuto) dargli un'attenzione maggiore di quanto non abbiano fatto. Preferiscono il gossip la maggior parte dei nostri media, senza capire che il loro ruolo dovrebbe essere quello di informare e al tempo stesso di educare. * * * Guardando ciò che sta accadendo nell'unico partito che esista ancora in Italia, mi viene in mente la tipica scena di ogni film western: la cavalleria di militari o banditi e i carriaggi delle carovane dopo aver superato pianure, attraversato fiumi ed essersi arrampicati su sentieri scoscesi, imboccano alla fine una strada stretta e tortuosa, circondata da alte rocce: una terra di agguati e di trappole. Non sempre i cattivi sono nascosti dietro quelle rocce mentre i buoni percorrono la strettoia; a volte i carriaggi e i cavalieri sono da ambo le parti in quella strada che li porterà ad uno scontro frontale. La vittoria è incerta e gli spettatori attendono il finale per sapere se hanno vinto i buoni, come quasi sempre avviene nei film. Nella realtà invece i tempi sono assai più complicati: chi sono i buoni e chi i cattivi? E noi giudichiamo dal punto di vista del nostro partito che sempre vorremmo vincesse, o nell'interesse del Paese che non sempre coincide con quello d'un partito? Questo sta accadendo ora in Italia e non solo nel Partito democratico ma in tutte le forze politiche, grandi o piccole che siano. Se qui ci occupiamo del Pd è perché da esso dipenderanno in gran parte le decisioni degli altri. Letta e Renzi sono i protagonisti ma non mancano i comprimari e la matassa è molto intricata. * * * Gli appuntamenti decisivi sono tre: domani c'è l'incontro al Quirinale tra il Capo dello Stato e Letta e già si conosce il principale argomento di cui discuteranno: il programma del governo dei prossimi mesi per rilanciare l'economia nei limiti delle risorse disponibili e le iniziative da prendere affinché la politica europea renda possibile una maggiore elasticità finanziaria e la sostenga con adeguate provvidenze. Si parlerà anche della sostituzione di ministri già dimissionari o in via di esserlo. Letta ribadirà la sua intenzione di non dimettersi prima del semestre di presidenza europea che avrà termine alla fine di quest'anno con probabili elezioni generali nella primavera del 2015. Napolitano dal canto suo è del tutto d'accordo, ritiene inopportuno che il titolare di Palazzo Chigi cambi adesso e l'ha espresso con chiarezza anche nel suo discorso a Strasburgo quando ha dichiarato che l'aspetto positivo per l'Italia e per l'Europa è la stabilità, la continuità e l'evoluzione dinamica della Ue verso una vera Federazione. Molti non hanno afferrato quest'aspetto essenziale di quell'intervento di fronte ad una platea gremita e plaudente e continuano a profetizzare di un'imminente staffetta tra Letta e Renzi a Palazzo Chigi. Sul "Foglio" di ieri l'editorialista Cerasa la dà per certa anche perché il governo Letta è ormai di nessuno, lontano dal Partito democratico e perfino dal Quirinale. Mentana fa la stessa previsione da molte sere sulla sua "Sette" e in ogni trasmissione ne aumenta la certezza. Questi commentatori ed altri che li riecheggiano non hanno capito (o non vogliono capire) che il governo nominato un anno fa dal presidente della Repubblica e più volte confortato dalla fiducia del Parlamento non è affatto "di nessuno" e non è neppure di qualcuno che non sia il presidente del Consiglio e i ministri in carica, titolari del potere esecutivo cioè di un potere distinto dagli altri poteri costituzionali dello stato di diritto. Per buttarlo giù sono necessarie le dimissioni di chi lo guida o una mozione di sfiducia approvata dal Parlamento. Parlare di staffetta imminente in questa situazione è un marchiano errore lessicale: la staffetta è una gara di corsa a tappe dove il corridore di una squadra, compiuto un tratto di pista passa il testimone al compagno che a sua volta percorre con la massima velocità il tratto successivo. Il passaggio del testimone avviene per regolamento della gara e si compie col pieno accordo dei compagni di squadra. Nel caso che stiamo esaminando non esiste alcun regolamento e tantomeno l'accordo tra i corridori. Letta non ha alcuna intenzione di passare il testimone (cioè di dimettersi) e Renzi dice e ripete che, quanto a lui, non ha alcuna intenzione di andare al voto perché - così ha dichiarato appena due giorni fa - forse sarebbe utile a lui ma non certo al Paese. Francamente non credo che sarebbe utile a lui, ma certamente non al Paese ed è intellettualmente onesto a dirlo. Nel partito ci sono, come è naturale, i pro e i contro, ma tutti continuano a parlare di una staffetta che peraltro è inesistente. Chi vuole Renzi a Palazzo Chigi non ha altra strada che spingerlo a presentare o a votare in favore di una mozione di sfiducia presentata da Alfano il quale tuttavia ha più volte dichiarato che non ne ha alcuna intenzione. Allora la domanda che ci si deve porre è questa: può il Pd provocare la caduta del governo Letta che gode di ampia considerazione non solo dal Capo dello Stato che l'ha nominato, ma anche dalle principali autorità europee e perfino da quella tedesca, sebbene Letta abbia già manifestato e ancor più manifesterà la sua fermezza in Europa affinché la politica economica continentale cambi senza di che il rilancio della crescita resterebbe di fatto ai nastri di partenza, con conseguenze disastrose non solo per i Paesi poveri ma anche per i più ricchi del continente? Giro questa domanda al presidente della Confindustria e a quei membri autorevoli della "Business community" che fanno proposte razionali per il rilancio dell'occupazione e degli investimenti e la giro anche alla Camusso, segretaria della Cgil, che chiedono tutti a Letta di far proprie le loro proposte oppure di andarsene a casa. Ma né Squinzi né i suoi autorevoli colleghi industriali né la segretaria del maggior sindacato di lavoratori indicano le coperture adeguate a rendere attuabili le loro proposte. Non le indicano perché non ci sono o non sono adeguate o sono cervellotiche. Se l'Europa che conta non cambia politica è impossibile procedere al rilancio il cui strumento più idoneo è un taglio consistente del cuneo fiscale che favorisce al tempo stesso le imprese, i lavoratori e quindi gli investimenti e i consumi. Taglio sostanziale con l'aggiunta di ulteriori pagamenti dalla pubblica amministrazione ai propri creditori significa risorse fresche di almeno cinquanta miliardi e forse più. Si possono trovare queste risorse senza un mutamento della politica europea? In teoria l'alternativa ci sarebbe: un'imposta patrimoniale sui beni immobili e anche mobili. Ma si dovrebbe applicare non solo ai ricchi ma anche agli agiati; per intendersi, non solo a chi ha redditi al di sopra della soglia di mezzo milione l'anno ma a partire dalla soglia di 70 mila euro e cioè alla ricchezza patrimoniale della quale questi redditi sono il segnale. È possibile socialmente ed anche economicamente e politicamente tassare uno strato di questo genere senza provocare una fuga spettacolare di capitali, una drammatica caduta del valore degli immobili, uno sconvolgimento delle imprese del lusso che sono tra le poche che ancora reggono la competizione ed infine una rabbia sociale non solo dei "forconi" ma di ceti che sostengono l'architettura economico-sociale del Paese? E con un prelievo "una tantum" che non può ripetersi? Mi piacerebbe ricevere la risposta a questa domanda da Squinzi e dalla Camusso. Mi piacerebbe che fossero loro a proporlo al governo. Diminuire le diseguaglianze, questo sì, bisognerebbe farlo al più presto e in piccola parte si sta già facendo; si tratta di aumentare il numero degli asili, delle borse di studio, dei concorsi che privilegiano il merito; strumenti costosi ma necessari anche se non hanno alcuna attinenza con l'occupazione e i consumi ma soltanto con l'educazione e la cultura preparando a lunga scadenza i frutti in termini di produttività e creatività del sistema. Queste cose andrebbero dette e ripetute sia da Letta sia da Renzi sia dal maggior partito italiano sia dagli attuali alleati e da quelli potenziali, cioè gli elettori che si sono rifugiati nell'astensione o nei populismi di varie specie ma di analoga natura. Come si vede, la staffetta non c'è e non ci sarà perché sarebbe soltanto fonte di confusione ancora maggiore di quanto già non ce ne sia. © Riproduzione riservata 09 febbraio 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/09/news/quel_western_all_italiana_dove_sparano_i_pistoleri-78077181/?ref=HREC1-1
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
|