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Autore Discussione: Il paese reale -- Dall'assassinio di Moro all'Italia di oggi  (Letto 3514 volte)
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« inserito:: Maggio 22, 2018, 11:16:21 am »

Il paese reale
Dall'assassinio di Moro all'Italia di oggi

Saggi. Storia e scienze sociali
2012, pp. VI-396, rilegato

La fine degli anni settanta segna una svolta nella storia della Repubblica: agli ultimi, cupi sussulti del decennio morente si intreccia l’emergere di trasformazioni colossali che riguardano l’economia e la cultura, il privato e il pubblico, la politica e la comunicazione. Nella convulsa stagione degli anni ottanta si ripropongono inoltre quelle tendenze esasperate all’affermazione individuale, quello sprezzo delle regole, quell’atteggiamento predatorio nei confronti del bene pubblico che erano già apparsi negli anni del «miracolo». Al tempo stesso giunge al punto estremo di crisi un sistema dei partiti sempre più portato a esaudire gli egoismi di ceto, pur di ottenere il consenso. Di qui un dilatarsi del debito pubblico fino a livelli intollerabili. Di qui, anche, un dilagare della corruzione politica che avrebbe portato al crollo della prima Repubblica, e – ben lungi dall’essere sradicato dall’esplosione di Tangentopoli – avrebbe segnato in profondità anche tutta la fase successiva. Per molti versi dunque i lunghi anni ottanta si presentano come un luogo di incubazione del nostro presente. Il nesso fra gli anni di Craxi e l’era berlusconiana ha qui le sue radici, e in questo scenario si collocano le domande che oggi ci incalzano: perché l’anomala alleanza di centrodestra che si affermò inaspettatamente all’alba della seconda Repubblica riuscì a improntare largamente di sé l’intero ventennio successivo? Quali sono le ragioni della quasi ventennale stagione di Berlusconi? E che Italia ci lascia, quella stagione? E ancora: ci sono le energie e le qualità per affrontare una difficile ricostruzione e misurarsi con la crisi internazionale che chiama in causa l’identità e il futuro dell’Europa? Da dove prendere l’avvio per invertire il degrado di un sistema politico e di una «partitocrazia senza i partiti» che ha superato ogni livello di guardia?

Autore
Guido Crainz

Guido Crainz, già docente di Storia contemporanea all’Università di Teramo e commentatore del quotidiano «la Repubblica», per i tipi della Donzelli ha pubblicato fra l’altro Storia della Repubblica. L’Italia dalla Liberazione ad oggi (2015).

Da - https://www.donzelli.it/libro/9788860367327
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 22, 2018, 06:29:31 pm »

PROGETTI per il nostro RISORGIMENTO RESISTENZIALE.

Da martedì 22 maggio 2018 indipendentemente dalle decisioni del Presidente Mattarella, sull'ipotesi nuovo governo, i Cittadini "non sotto contratto", a mio avviso, dovranno modificare il lor modo di praticare e portare contributi alla discussione politica.

Se Il Presidente accetterà di far decollare questo governo bifronte e non volendo creare ulteriori complicazioni, dovremo concentrarci sul:

1) CONOSCERE la Storia recente del nostro Paese, ma non soltanto, e gli aspetti culturali socio-economici che l’hanno caratterizzata;

2) fare PROGETTI e dare colore al nostro RISORGIMENTO RESISTENZIALE.

Altre attività importante dovranno essere:

1) citare il meno possibile, nella persona, i "soci momentanei" di 5Stelle e Lega.

2) Mettere, invece, grande attenzione in ciò che “combineranno” concretamente, sia in positivo, sia in modo diverso.

In termini di marketing si intende: “studiare la concorrenza”.

Quindi meno chiacchiere e più analisi sul loro “fare” … Sarà "meglio"!

Su Our Story - Fb del 22 maggio 2018.

iCittadini del Paese Reale.
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« Risposta #2 inserito:: Maggio 31, 2018, 11:57:23 am »

Promemoria su “paese reale”, “paese legale” e “paese mediatico”

 Alleanza Cattolica 14 anni fa
Prima pagina / Cristianità / Articoli e note firmate / Promemoria su “paese reale”, “paese legale” e “paese mediatico”

Giovanni Cantoni, Cristianità n. 323 (2004)

“L’origine della parola italiana paese va ricercata nel latino pagus che voleva dire villaggio.
“Da pagus si è formato poi l’aggettivo pagensis, che indicava lo spazio circostante un borgo agricolo.
“Questo è il significato originario con cui la forma pagense è sopravvissuta nelle lingue romanze.
“Tra il XII e il XIV secolo, l’italiano paese significa infatti i dintorni di un centro abitato, oppure uno spazio geografico da abitare o coltivare.
“Paese indica infatti uno spazio più o meno grande dotato di alcuni elementi caratterizzanti: una regione, una porzione di territorio su cui si esercita un’autorità politica, ad esempio un feudo, una città o un regno.
“Da quest’ultimo valore politico deriva una delle due accezioni che la parola assume nella lingua contemporanea.
“Il significato di piccolo insediamento agricolo in contrapposizione alle grandi dimensioni della città compare soltanto a partire dal Quattrocento. Fino al XVIII secolo il termine paese è stato vicino e al tempo stesso distinto dal vocabolo nazione.
“Con paese si indicava infatti un territorio amministrativo, eventualmente organizzato in una forma statale.
“Con nazione invece si denotava un popolo con caratteristiche comuni, a prescindere dalle sue forme di sovranità politica.
“Nella seconda metà del Settecento, soprattutto con la Rivoluzione Francese, nazione iniziò ad assumere un forte senso politico.
“I due termini — nazione e paese — divennero sinonimi, e insieme alla parola patria passarono a qualificare un gruppo di persone legate da cultura, storia e lingua, e in grado di esprimere una volontà politica comune.
“Nell’età della Restaurazione il termine paese trova una nuova collocazione nel linguaggio politico.
“La monarchia francese di primo Ottocento permetteva infatti di votare soltanto ai cittadini in possesso di un certo censo.
“Si creò così una contrapposizione tra paese legale — il corpo elettorale ristretto — e paese reale — tutti gli altri cittadini che non potevano esprimersi liberamente.
“Da questo momento in poi la nozione di paese indica sempre più il paese reale, una comunità nazionale in grado di darsi forme politiche nuove e più aperte: la democrazia e la repubblica.
“All’inizio del nostro secolo [XX] infine, paese diventa quasi una parola distintiva, rispetto a nazione, dei movimenti politici democratici” (1).

Dunque, la storia di “paese”, nella preziosa ricostruzione dell’itinerario di significato fornita da Stefano Gensini, docente di Semiotica nell’università di Salerno, e da Giancarlo Schirru, docente di Geografia Linguistica nell’università di Cassino, in provincia di Frosinone, è straordinariamente illuminante, tale da meritare di essere riferita ampiamente, o almeno così mi pare. Soprattutto là dove viene segnalata la nascita della contrapposizione fra “paese reale” e “paese legale”, che in Italia avrà la sua espressione — felicemente ritardata dalle diverse Italie storiche, che prima dell’Unità avevano anche veste politica — quando, dopo la Rivoluzione nazionale, il cosiddetto Risorgimento, verrà introdotto lo stesso voto censitario ricordato a proposito della Restaurazione in Francia e avrà agibilità politica una percentuale di elettori, su una popolazione di circa 22 milioni di abitanti, pari all’1,9% (2); la stessa percentuale, grosso modo, degli italofoni (3).

Si tratta di una contrapposizione che, oltre la storia evocata, ha acquisito un significato strutturale: infatti — a questo punto cito da Il dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto (1897-1974) e Gian Carlo Oli —, se s’indicava con “P[aese]. legale, il corpo elettorale della Francia nel periodo della Restaurazione, contrapposto al p[aese]. reale, costituito dalla stragrande maggioranza del popolo escluso dal diritto di voto; oggi, con l’espressione p[aese]. reale si tende a sottolineare il distacco e la contrapposizione dei cittadini nei confronti delle forze politiche istituzionali che li rappresentano” (4).

Ma, come accade in genere nel caso delle contrapposizioni, il loro stesso carattere polemico induce a escludere, almeno in prima ipotesi e quasi per principio, altri eventuali significati dei termini — per così dire — coinvolti nella contrapposizione stessa, semplicisticamente — idealisticamente — applicando alla realtà una legge della logica, cioè della strumentazione per conoscere la realtà stessa: tertium non datur, “non esiste una terza possibilità”. Quindi, si è indotti a credere che gli unici due “paesi” possibili siano quello reale e quello legale.

Però mi pare che le cose stiano diversamente, almeno dagli anni 1920, quando è stata inventata la radio e ha avuto inizio un nuovo modo di comunicazione, giunto all’invadenza e alla pervasività oggi a tutti note e da tutti patite. Ma, nonostante tali invadenza e pervasività — o proprio a causa di esse, che le trasforma in condizioni percepite come “naturali” — non viene quasi colto quanto è accaduto, neppure nei termini, per altro decisamente esigui, con i quali sono culturalmente registrate l’invenzione della stampa nel secolo XVI e le sue conseguenze sulla vita sia individuale che sociale, dal campo della religione a quello della politica. Eppure, a partire dai citati anni 1920 è nato e si viene svolgendo un terzo paese, che propongo di denominare “paese mediatico”, cioè il paese così com’è rappresentato dai mezzi di comunicazione sociale: nello stesso tempo rappresentazione del mondo reale e di quello legale.

E questo “terzo”, comparso all’interno della contrapposizione fra paese reale e paese legale, e almeno non percepito come terzo, accresce l’incomprensione, cioè la non corrispondenza, quindi la “litigiosità” fra i due noti.

Quanto viene accadendo nella Repubblica Italiana, con un’accelerazione visibile a occhio nudo dopo la tornata elettorale per il Parlamento Europeo del 12 e 13 giugno 2004, mi ha suggerito la redazione di questo promemoria, che credo utile sia per ogni politico di professione che per ogni politico “periodico”, cioè per ogni cittadino. E forse, avendo l’avvertenza d’estendere anche alle istituzioni ecclesiastiche quanto rilevato a proposito di quelle politico-sociali, non inutile neppure per i servitori del popolo di Dio e i membri generici di esso (5). Allo scopo, che dichiaro, di suscitare opportuna diffidenza verso mediazioni per nulla “naturali”, ma assolutamente storiche, che trasformano la realtà in una sua rappresentazione necessariamente selettiva; e non si tratta di una selezione fatta da soggetti eletti, scelti o, comunque, certificati da un consenso, ma che s’impongono surrettiziamente piuttosto che proporsi. Forse, dunque, vi è ben di più del cosiddetto “conflitto d’interessi” e — soprattutto — di ben più strutturale. Che dice relazione alla cosiddetta “opinione pubblica”, cioè a quanto di più parziale e di più privato si possa immaginare, e a coloro che ne sono piuttosto i creatori che i promotori o, tantomeno, i “modesti” veicoli.

Giovanni Cantoni

***

(1) <www.educational.rai.it/lemma/testi/spazio/paese.htm>.

(2) Cfr. Alfredo Capone, Destra e Sinistra da Cavour a Crispi, vol. XX della Storia d’Italia diretta da Giuseppe Galasso, TEA, Milano 1996, pp. 186.

(3) Cfr. Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 43.

(4) Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 2004, sub voce, p. 1902.

(5) Cfr. il mio Per una corretta recezione del Magistero, contro il “nominalismo mediatico”, in Cristianità, anno XXXII, n. 322, marzo-aprile 2004, pp. 3-4.

Da - http://alleanzacattolica.org/promemoria-su-paese-reale-paese-legale-e-paese-mediatico/
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« Risposta #3 inserito:: Maggio 31, 2018, 01:11:37 pm »

Penso che "sperare di contare di più" non si mai stato tranquillizzante, se non per una fascia di Cittadini semplici o impegnati in questioni personali, che impedivano di far venir voglia di "partecipare" anche solo stando aggiornati sugli eventi della realtà che li circondava.

Quindi sperare che la delega a un leader, a un partito, a un sindacato fosse modo sufficiente di raggiungere la tranquillità.

Sono decenni che verifichiamo quanto sia falso questo atteggiamento di sottomissione e anche un po’ intriso di pigrizia mentale.

Atteggiamenti che hanno danneggiato il nostro livello culturale e sociale sia abbiamo perso quella antica dei nostri Concittadini Antichi, sia quella dei nostri nonni, che non siamo riusciti in modo soddisfacente a ricostruire con moderne conoscenze e tesi aggiornate ai tempi moderni.

La rapida mutazione degli eventi sociali, quindi politici, la capacità tecnica di incidere e condizionare le libere scelte delle persone rendendoli, di conseguenza non più Liberi, ci consiglia (meglio obbliga) di realizzare una cultura della difesa personale di Cittadini del Paese Reale.

Abbiamo la possibilità di usare gli stessi strumenti che altri usano per agire negativamente in noi, perché non usare noi gli stessi strumenti (Internet) e gli stessi luoghi (virtuali) di incontro e di lettura di cosa pensano “gli altri noi”.
Questa pagina nasce con questa idea fissa incontrarci almeno per leggerci in un incontro di conoscenza unilaterale se non si arriva addirittura (e sarebbe buona cosa) a confrontare opinioni personali diverse senza gli accanimenti fastidiosi (spesso cattivi) da Bar o da Stadio.

Un luogo di incontro ma tra persone, non tra tifosi a rischio fanatismo.   
 
Grazie

ggiannig
iCittadini del Paese Reale.

Ps: penso che manterrò aperta anche la pagina (sorella maggiore di questa) iCittadini del Nuovo CentroSinistra, che si differenzierà da questa in quanto vi trattiamo da tempo e continueremo a trattare temi politicamente e socialmente schierati.
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« Risposta #4 inserito:: Luglio 04, 2018, 06:00:07 pm »

     Mercoledì 5 luglio 2017

L’Italia ha una legge sul reato di tortura

È stata approvata in via definitiva dalla Camera dopo quattro anni di discussioni, modifiche e rinvii, tra molte critiche

La Camera ha approvato il disegno di legge che introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano con 198 voti favorevoli, 35 contrari e 104 astenuti. Il ddl – di iniziativa parlamentare e a prima firma di Luigi Manconi del Partito Democratico – era stato approvato dal Senato con lo stesso testo lo scorso 17 maggio, e quindi è diventato legge: prevede per i responsabili dai 4 ai 10 anni di carcere, che salgono a un massimo di 12 se a commettere il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei suoi doveri. La legge sul reato di tortura è stata sostenuta dal PD e da Alternativa Popolare, il partito di Angelino Alfano, mentre hanno votato contro Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia; si sono astenuti il Movimento 5 Stelle, Sinistra Italiana, Scelta civica e Articolo 1 – Movimento democratici e progressisti, il gruppo parlamentare formato dalle persone uscite dal PD e da Sinistra Italiana.

Il nuovo reato di tortura è previsto dall’articolo 613-bis del codice penale, che dice:
    «Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.»

La nuova legge vieta inoltre le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni quando c’è motivo di credere che nel paese di destinazione la persona sottoposta al provvedimento rischi di subire violazioni “sistematiche e gravi” dei diritti umani; è anche previsto l’obbligo di estradizione verso lo stato richiedente dello straniero indagato o condannato per il reato di tortura.

Il testo approvato in via definitiva dalla Camera era in discussione dal luglio 2013, quando era arrivato in commissione Giustizia del Senato. Ci sono voluti quattro anni per la sua approvazione e il risultato finale è molto diverso dalla proposta fatta inizialmente da Manconi: già dopo la votazione in Senato dello scorso maggio, il testo era stato criticato da diverse associazioni che si occupano di tortura, come Amnesty International e Antigone. Lo stesso Manconi si era rifiutato di votare il nuovo testo al Senato, dicendo: «Le modifiche approvate lasciano ampi spazi discrezionali perché, ad esempio, il singolo atto di violenza brutale di un pubblico ufficiale su un arrestato potrebbe non essere punito. E anche un’altra incongruenza: la norma prevede perché vi sia tortura un verificabile trauma psichico. Ma i processi per tortura avvengono per loro natura anche a dieci anni dai fatti commessi. Come si fa a verificare dieci anni dopo un trauma avvenuto tanto tempo prima?».

Inoltre nel nuovo testo era stato aggiunto che il fatto doveva essere «commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona», insistendo dunque nel limitare la tortura ai soli comportamenti ripetuti nel tempo. Infine, a tutela delle forze di polizia, era stata confermata l’esclusione dalla legge delle sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti da parte dei pubblici ufficiali.

Il dibattito sul reato di tortura ha subìto un’accelerazione nell’aprile 2015, quando la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per la condotta tenuta dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz al G8 di Genova del 2001, dove secondo i giudici le azioni della polizia ebbero «finalità punitive» con una vera e propria «rappresaglia, per provare l’umiliazione e la sofferenza fisica e morale delle vittime». La Corte parlò quindi di «tortura» e invitò l’Italia a «dotarsi di strumenti giuridici in grado di punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o altri maltrattamenti impedendo loro di beneficiare di misure in contraddizione con la giurisprudenza della Corte».

Da - https://www.ilpost.it/2017/07/05/reato-di-tortura-legge-italia/
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