Un presidente energico e carismatico ma per i francesi è andato troppo a destra
Ha subito un calo netto nei consensi per le sue riforme giudicate molto autoritarie L’economia però viaggia con una crescita del 2 per cento annuo e il debito si è ridotto
Pubblicato il 06/05/2018 - Ultima modifica il 06/05/2018 alle ore 11:08
Leonardo Martinelli
Parigi
Era il 7 maggio 2017. E al secondo turno delle presidenziali francesi vinse Macron, allora 39 anni appena e fino a pochi mesi prima un outsider assoluto. In un anno di «regno» cos’ha fatto e come l’ha fatto? E chi è diventato, almeno agli occhi dei francesi?
Chi è oggi Emmanuel – In un’inchiesta realizzata nel marzo 2017 da Ipsos-Sopra Steria per Cevipof venne chiesto ai francesi se l’ex banchiere di Rothschild fosse di sinistra o di destra. I sondaggisti proponevano una scala da 0 (il massimo della sinistra) a 10 (il massimo della destra): i francesi fermarono il cursore a 5,2, confermando l’ambizione di Macron di puntare a una politica «né di destra, né di sinistra» (anche se poi in tanti s’illudevano che si volesse inserire nel filone socialdemocratico). Nei giorni scorsi la stessa società ha ripetuto l’inchiesta e il risultato è 6,7: per i francesi Macron è diventato di destra. Un anno fa, con la sua campagna elettorale all’insegna della gioventù e della società civile, tanti parlavano della sua empatia: oggi solo il 35% degli intervistati lo trova simpatico. Ma il 68% ammette che è energico e per il 50% «vuole riformare davvero la Francia». Il 55%, però, ritiene che le sue riforme siano «troppo autoritarie». Che differenza con l’immagine del leader conciliante veicolata nella campagna elettorale. Emmanuel è diventato un re.
Cos’ha fatto Emmanuel – Tanto, va ammesso. Ha già realizzato o messo in cantiere una trentina di riforme. Si va da quella del mercato del lavoro (una sorta di Jobs Act in salsa francese) alla moralizzazione della vita politica (compreso il divieto di impiegare familiari per i parlamentari), dalla riforma dell’accesso alle università (introducendo un minimo di selezione: le contestazioni attuali negli atenei non sembrano poter bloccare il processo) alla nuova legge sui migranti e l’asilo politico (in fase di approvazione in Parlamento: un testo molto duro rispetto alle norme in vigore in Europa, anche in Italia), fino alla riforma fiscale (la patrimoniale, l’imposta sui più abbienti, è stata ridotta solo agli investimenti immobiliari: è uno dei motivi per cui si guarda a Macron come a un «presidente dei ricchi» e di destra). Tantissime anche le normative specifiche che sono state varate dal governo di Edouard Philippe, nei settori più diversi, come l’introduzione di undici vaccini obbligatori, l’aumento del prezzo delle sigarette (a livelli tra i più alti del mondo) e lo sdoppiamento delle prime elementari nei quartieri in difficoltà, per ridurre le classi e rendere più efficace l’insegnamento.
Come l’ha fatto Emmanuel – Eletto al secondo turno in funzione anti Marine le Pen, mentre al primo aveva ottenuto appena il 24% dei voti, nelle legislative che seguirono a ruota, grazie a un sistema maggioritario a due turni e sullo slancio della vittoria alle presidenziali, Macron si è ritrovato con la maggioranza assoluta in Parlamento, composta dai deputati del suo movimento (En Marche!), spesso neofiti, facili da orientare. Il Presidente, poi, ricorre costantemente ai decreti per accelerare l’applicazione delle sue politiche, prima ancora dell’approvazione definitiva delle leggi relative. E si è ritrovato in un contesto economico favorevole (il Pil è cresciuto del 2% l’anno scorso invece dell’1,5% previsto inizialmente). Quanto al debito pubblico, a fine 2017 è stato limitato al 2,6% del Pil, scendendo per la prima volta sotto il 3% da dieci anni: una sua vittoria, ma che in grossa parte deve alla politica di riduzione della spesa pubblica portata avanti da François Hollande.
Cosa deve fare ancora Emmanuel - Sulla riforma delle ferrovie pubbliche, nonostante l’ultima ondata di scioperi, è già molto avanti. Lo aspettano al varco una (necessaria) riforma del sistema pensionistico e il varo di un «Piano banlieue», a sostegno delle periferie urbane, le aree più disagiate del Paese. Deve anche arrivare all’approvazione della nuova riforma istituzionale, che prevede, tra le altre cose, un’iniezione di proporzionale nel sistema elettorale (ma appena il 15%, giudicato insufficiente per democratizzarlo davvero). Anche sulla politica estera, nonostante il suo volontarismo, è atteso al varco con qualche risultato concreto. Intanto Emmanuel corre, corre.
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