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Autore Discussione: BEDA Romano. La lenta morte delle democrazie.  (Letto 2037 volte)
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« inserito:: Aprile 24, 2018, 04:44:39 pm »

La lenta morte delle democrazie.

Articolo di Beda Romano (Sole 22.4.18)

Non c’è monumento negli Stati Uniti che non abbia sul frontone elogi ai padri fondatori del Paese e alla grande democrazia americana. Celebre citazioni decorano anche il molo da cui partono i traghetti che nella baia di New York collegano Battery Park a Ellis Island e alla Statua della Libertà. In questi giorni, il contrasto con i libri in libreria non potrebbe essere più evidente. Numerosi sono i volumi dedicati alla crisi della democrazia negli Stati Uniti, e più in generale nel mondo occidentale. Sotto al microscopio è il concetto di democrazia illiberale.  La lista è solo indicativa: The People vs Democracy: Why Freedom is In Danger and How to Save It, di Yascha Mounk; Anti-pluralism: The Populist Threat to Liberal Democracy, di William Galston; The Road to Unfreedom: Russia, Europe, America, di Timothy Snider. In particolare nel volume How Democracies Die, due professori di Harvard, Steven Levitsky e Daniel Ziblatt, hanno il merito di fare una analisi accurata di come ai loro occhi muoia oggigiorno una democrazia. Il tema è attuale: la crisi scoppiata nel 2007-2008 è stata successivamente economica e sociale, e sta oggi mettendo a rischio le istituzioni democratiche di molti Paesi.
Secondo una recente ricerca della Bertelsmann Stiftung, l’indice mondiale sulla qualità della democrazia è sceso ai minimi da 12 anni. Mentre durante la Guerra Fredda, il regime democratico – tre volte su quattro – cadeva dopo un colpo di Stato, oggi la deriva è lenta, graduale: «Le democrazie possono morire non per mano di generali, ma di leader eletti democraticamente», avvertono i due professori. Lo sguardo corre a Viktor Orbán in Ungheria, Vladimir Putin in Russia, Recep Tayyip Erdogan in Turchia. Peraltro, la storia non è priva di esempi di dittatori arrivati al potere con l’aiuto dei partiti tradizionali.
Benito Mussolini giunse al governo con l’aiuto di Giovanni Giolitti, che nell’accogliere il partito fascista tra i moderati dette al Duce rispettabilità politica. Lo stesso avvenne qualche anno dopo in Germania: Adolf Hitler si insediò alla Cancelleria grazie all’appoggio dell’establishment conservatore. Disse ai tempi Franz von Papen: «Lo abbiamo assunto alle nostre dipendenze (…) Nel giro di due mesi lo avremo spinto così tanto nell’angolo che strillerà». Ad altri livelli, seguirono Getúlio Vargas in Brasile sempre negli anni 30 e poi negli anni 50, Alberto Fujimori in Perù negli anni 80, Hugo Chávez in Venezuela negli anni 90. Ma come valutare se un leader è autoritario e illiberale? Quattro sono i criteri, secondo Levitsky e Ziblatt: un impegno limitato al rispetto delle regole, il rifiuto di legittimare i propri avversari politici, la tolleranza o l’incoraggiamento alla violenza, e la tendenza a limitare i diritti civili degli oppositori o della stampa. In molti casi, l’uomo forte modificherà le leggi, in particolare quella elettorale, a suo vantaggio (a questo proposito, in Francia l’idea del presidente Emmanuel Macron di limitare il diritto dei parlamentari di emendare proposte legislative ha suscitato non poche emozioni). Il libro di Steven Levitsky e Daniel Ziblatt si rivela particolarmente efficace quando analizza la situazione americana.
I due autori fanno risalire l’arrivo al potere di Donald Trump al 1972, quando i due partiti decisero di affidare la selezione dei candidati alle presidenziali nelle primarie direttamente agli elettori, senza il filtro dei delegati. Paradossalmente l’obiettivo era meritevole: rispondere alle proteste contro la guerra in Vietnam iniettando più democrazia nel processo decisionale di Democratici e Repubblicani. Più in generale, gli autori notano che due elementi sono venuti meno nella vita politica oltre-Atlantico: la tolleranza reciproca e il controllo istituzionale.
Purtroppo, How Democracies Die trascura di spiegare le cause del nuovo estremismo e di analizzare il ruolo di Internet nella crisi della democrazia rappresentativa, che deve fare i conti con «il plebiscito permanente» delle reti sociali (la citazione è dell’ex governatore della Bundesbank Hans Tietmeyer che la usava negli anni 90 per parlare del controllo dei mercati finanziari sui governi europei). Tuttavia, il libro offre spunti di riflessione che un lettore italiano non potrà fare a meno di considerare istruttivi.”"

Da - http://www.iniziativalaica.it/?p=39156#more-39156

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« Risposta #1 inserito:: Maggio 02, 2018, 06:26:36 pm »

La civiltà è una successiva neutralizzazione di diseguaglianze, è un generale progresso da ingiustizia a giustizia, da diseguaglianza a uguaglianza. Proprio affermando la disuguaglianza naturale degli uomini bisogna operare contro di essa: l’uguaglianza degli uomini non è una loro natura, è un dovere nostro.

Guido Calogero (1904-1986)

Da - http://www.circolorossellimilano.org/MaterialePDF/tesi_il_liberalsocialismo_di_guido_calogero.pdf
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