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Autore Discussione: Di MAIO.  (Letto 8982 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Marzo 29, 2018, 06:37:01 pm »

Volontà popolare?

Una parte minoritaria di Italiani convinti con promesse fasulle,  

analizzati nel loro malessere con un "algoritmo",

motivati attaccando in modo indegno gli avversari PD,

richiede si abbia una notevole faccia di bronzo per chiamarla "volontà popolare".

ciaooo
« Ultima modifica: Aprile 15, 2018, 12:23:36 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 15, 2018, 12:24:51 pm »

E ora Di Maio teme un mandato a Fico. “Speriamo che il Colle scelga Casellati”
Di Battista complica la strategia del leader: «Salvini come Dudù».
Cresce il pressing dei parlamentari per il voto: «Mai con Silvio»

Pubblicato il 14/04/2018 - Ultima modifica il 14/04/2018 alle ore 17:12

ILARIO LOMBARDO
ROMA

Un nome Luigi Di Maio teme più di altri, nell’ipotesi in cui Sergio Mattarella scegliesse di offrire un mandato esplorativo, come da prassi, a uno dei due presidenti di Camera e Senato. E il nome è quello che tante volte, in questi anni, è stato opposto al suo, come in un duello che in quanto tale, quando non si consuma, non ha mai fine. Il presidente della Camera Roberto Fico è una delle opzioni che il capo dello Stato ha in mano. L’altra è quella che in queste ore è sulla bocca di tutti: Maria E. A. Casellati, presidente del Senato, berlusconiana di ferro. 

L’equazione che fanno in queste ore ai vertici del M5S è abbastanza logica, e si spiega con una strategia che ruota ancora attorno al fattore tempo. «Dare il mandato a Casellati sarebbe perfetto». Perché eviterebbe un faccia a faccia tra Di Maio e Fico, e leverebbe il leader dall’imbarazzo di dover dire no al suo compagno di partito. Ma l’esplorazione di Casellati sarebbe preferibile anche perché prevedibilmente andrà così, secondo i 5 Stelle: la presidente convocherà i partiti, cercherà di legittimare Silvio Berlusconi, tenterà di tenere assieme il centrodestra con il M5S, per ricevere, alla fine, un sonoro «no» da Di Maio. E in un certo senso non vedono l’ora di dirglielo, i grillini: per lavare il peccato originale di aver messo una delle guardiane giudiziarie del berlusconismo sulla sedia più pregiata di Palazzo Madama. «Farebbe un giro a vuoto e noi guadagneremmo tempo». I 5 Stelle fanno i conti dei giorni, calendario alla mano: se Mattarella offrisse il mandato a Casellati mercoledì, la presidente impiegherebbe una settimana prima di finire contro il muro del M5S. Sarebbero passate le elezioni in Molise e saremmo a ridosso di quelle del Friuli, il 29 aprile. 

A quel punto, Di Maio avrebbe rispettato l’impegno preso con Salvini. Il patto prevedeva di prendere tempo e scavallare il voto. «Se la Lega dovesse andare bene e Forza Italia male, Matteo romperà con Berlusconi» questa era la garanzia che Di Maio aveva ricevuto in cambio dal Carroccio.

È successo qualcosa, però, nelle ultime 48 ore che ha indurito Di Maio e ingarbugliato il percorso. I 5 Stelle non si aspettavano che Salvini cedesse a Berlusconi. Anzi. I «passi in avanti» nelle trattative che avrebbero voluto raccontare a Mattarella erano di fatto contenuti nel passo di lato di Berlusconi. Così i 5 Stelle dicono di aver capito dalla Lega e «da alcuni esponenti di Fi». Si sbagliavano, o qualcuno li ha raggirati. Sta di fatto che Di Maio quando si è seduto di fronte a Mattarella era terreo in viso. E ora va dicendo che Salvini lo ha «deluso», «è ostaggio di Berlusconi» e «non è coraggioso», confortato dalla convinzione che per il presidente della Repubblica «noi restiamo il perno di ogni scenario di governo». 

E attorno a questo perno bisogna riprendere a far girare la giostra dei negoziati con la Lega. Certo, non aiutano le improvvisate di Di Battista che ieri ha paragonato Salvini - un’uscita non concordata - a Dudù, fedele barboncino del leader forzista: «Berlusconi parlava e lui muoveva la bocca». Due giorni fa aveva definito l’ex Cavaliere il «male assoluto», un’uscita alla vigilia delle consultazioni che nella cerchia di Di Maio non è stata propriamente vissuta come un assist favorevole. Ma Di Battista si fa interprete dei timori di Beppe Grillo e di molti parlamentari che nelle ultime ore sono tornati sospettosi sull’ex Cav e insistono sul voto come unica via d’uscita, anche perché i sondaggi stanno registrando una prima flessione del M5S prigioniero di estenuanti trattative. 

Chiedono una doppia garanzia a Di Maio: che lui sia il premier e che non ci sia traccia di Fi nel governo. Il capo politico annuisce a chi di fronte allo stallo paventa le elezioni, e assicura: diremo no a qualsiasi governo istituzionale, del presidente o di emergenza, se la situazione in Siria dovesse precipitare. E no, ovviamente, direbbero a Salvini premier o al leghista Giancarlo Giorgetti. «In questo caso vorrebbe dire - secondo Di Maio - che vogliono un accordo con Renzi. Si farebbero male da soli». 

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/04/14/italia/politica/e-ora-di-maio-teme-un-mandato-a-fico-speriamo-che-il-colle-scelga-casellati-QuAJE3nd7TS1CoD6k6e8wO/pagina.html
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 25, 2018, 04:01:13 pm »

Luigi Di Maio scommette sul Pd, tra i mugugni della base e il timore del "trappolone" di Renzi

Il leader M5s prova a smontare il malcontento fra i militanti (e molti parlamentari): "Voterete su Rousseau".

Formalmente chiude alla Lega, anche se...

È una sorta di all inn quello che Luigi Di Maio piazza sul tavolo di chi si gioca il montepremi del governo: "Per me qualsiasi discorso con la Lega si chiude qui". Quando esce dall'incontro con Roberto Fico, esploratore incaricato dal Quirinale di sondare l'ipotesi di un governo tra M5s e Pd, il capo politico del Movimento usa parole nette. La sala stampa, prospiciente la sala della Lupa dove è avvenuto il faccia a faccia, è gravida di storia. Tra quelle quattro mura i deputati socialisti protestarono nel 1924 contro il governo fascista. E sotto la medesima volta affrescata i delegati della Corte di Cassazione proclamarono l'esito del referendum del 1946 che trasformò la monarchia italiana in Repubblica.

Il passaggio di un martedì d'aprile quasi qualunque della storia italica impallidisce di fronte a tali monumenti di storia patria. Eppure segna una svolta non indifferente sulla strada che conduce al prossimo esecutivo. Di Maio, sollecitato dal reggente del Pd Maurizio Martina qualche ora prima, si posiziona dietro i microfoni e da un podio istituzionale chiude definitivamente il forno con il Carroccio. L'atmosfera è scarica, l'afflusso di telecamere e giornalisti scarno rispetto ai pienoni dei giorni scorsi. Perché il leader M5s ha incontrato il compagno di tante battaglie Fico, non ci si aspettano novità rilevanti.

Ma Di Maio più che riferire del colloquio parla al Pd. Che poco dopo l'ora di pranzo aveva aperto a una possibilità di dialogo, sia pur dopo essere passato per una Direzione che definisse i se, i come e i cosa di un'eventuale trattativa. Indicando il programma presentato in campagna elettorale come ineludibile punto di partenza di qualsiasi dialogo, e i sigilli sulla porta di un esecutivo gialloverde come precondizione essenziale.

Ottenendo un via libera sulla seconda questione, quella qualificante, si sono aperte le danze. I 5 stelle non nascondono di puntare forte su un governo politico che pur comprenda l'appoggio del tanto vituperato Matteo Renzi e dei suoi. È forse l'ultima possibilità di partecipare a un governo politico. Probabilmente a un governo tout court. Il capo politico stellato lo mette in chiaro: "Voglio chiarire una cosa: non esiste per noi alcuna fiducia a governi tecnici, istituzionali, di scopo, di garanzia, del Presidente o altro. Quindi se fallisce anche questo tentativo, il paese dovrà affrontare nuove elezioni". Un suo fedelissimo spiega anche che "in quel caso si riproporrebbe una maggioranza tra noi e il Pd o tra noi e il centrodestra, ma con un esecutivo che ci vedrebbe fuori. Ma siamo matti?".

La strada è impervia. Per le oggettive condizioni politiche. Un dialogo con il Pd non è mai veramente decollato. E nonostante le concrete aperture di Martina la macchina fatica a carburare. Con il timore che Matteo Renzi butti acqua nel serbatoio per farla sbiellare. Una paura che lo stato maggiore grillino ha ben chiara: "In questa fase ci sono poche alternative. Ma chi ci dice che l'ex premier non mandi avanti il segretario reggente, ci faccia credere che ci siano margini d'intesa, e che poi invece non saboti tutto?".

In questa fase a prevalere è tuttavia l'ottimismo della volontà. Insieme alla convinzione che sia proprio il Colle a esercitare quella moral suasion sui Dem che potrebbe essere il discrimine tra un successo e un fallimento. Certo, Di Maio ha ribadito che non svilirà i "valori e le più grandi battaglie" del Movimento. Elencandoli: "Costi della politica, ambiente, reddito di cittadinanza, lotta al business dell'immigrazione, pensioni e aiuti alle imprese, lotta alla corruzione". Facendo capire che sull'eventuale programma ci sarà molto da discutere. Glissando, fra l'altro, sul nodo della sua premiership. Argomento per ora prematuro da affrontare, ma che se le cose procedessero nella direzione sperata si porrà con forza.

C'è un altro terreno che rende il campo di gioco scivolosissimo. Ed è fotografato da una base e da un gruppo parlamentare in gran subbuglio. Perché il Pd è stato per cinque anni considerato il nemico da combattere e smontare con tutti i mezzi. E si fatica molto a digerire una partnership con il nemico di sempre. Di Maio ne è consapevole, e ha messo in campo una serie di contromisure. Per giovedì è stata convocata un'assemblea, nella quale il capo politico darà conto ai parlamentari delle mosse degli ultimi giorni e tratteggerà un orizzonte degli eventi. E ha lanciato un altro segnale preciso: "Sottoporremo anche ai nostri iscritti sulla piattaforma Rosseau" il contratto di governo. È la prima volta che nei cinquanta giorni della crisi viene tirata in ballo la rete. Non un elemento nostalgico. Nemmeno un modo per rispondere alle critiche su verticismo e accentramento. Ma un segnale di coinvolgimento lanciato alla base, tentando di calmierare, almeno per il momento, il disagio percepito. "Condivido anche io le perplessità – dice chi ha sentito Di Maio nelle ultime ore – ma che facciamo, ci arrocchiamo nel nostro castello e buttiamo via 11 milioni di voti? La nostra gente deve capire che l'alternativa è l'irrilevanza".

La via per un governo giallorosso è stretta e accidentata. Si dovrà camminare in equilibrio tra due voragini, rischiando di scivolare al minimo refolo di vento. E la Lega? Sentite cosa dice uno dei massimi vertici 5 stelle: "Certo che con loro è chiusa; in queste ore è chiusa, in questi giorni è chiusa. Ma tu hai mai visto una cosa definitivamente chiusa in politica?".

"It ain't over 'til it's over", amava ripetere il grande allenatore di baseball Yogi Berra. "Non è finita finché non è finita".

Da - https://www.huffingtonpost.it/2018/04/24/luigi-di-maio-scommette-sul-pd-tra-i-mugugni-della-base-e-il-timore-del-trappolone-di-renzi_a_23419310/?utm_hp_ref=it-homepage
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 29, 2018, 09:54:21 pm »

Fateli governare, con le conseguenze negative che emergeranno presto se non altro, si cambierà la legge elettorale e avremo dato all'elettorato Italiano la possibilità di riflettere sul fatto che andare a votare è un diritto che richiede serietà e impegno.

Non si vota con la pancia della protesta ma per il cervello della proposta.
 
ciaooo
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« Risposta #4 inserito:: Maggio 01, 2018, 12:18:14 pm »

La richiesta di aiuto a Salvini, con la pretesa assurda e inconcepibile di “andare a votare", Di Maio ha chiuso la sua leadership nei 5Stelle.

La visione di Calenda e Renzi sul formare un Governo Istituzionale, aperto a più Partiti, per realizzare finalmente le Riforme, ha superato di fatto le sue presunzioni infantili, facendolo retrocedere di molto anche nella considerazione di chi l'aveva votato (Friuli Venezia Giulia docet).

ggiannig

Da Fb del 30 aprile 2018 (Di Maio arretra)
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 03, 2018, 08:42:37 pm »

Di Maio dopo la poltrona perde anche la testa

Francesco Gerace
@FrancescoGerace ·
3 maggio 2018

Di Maio ha capito che le sue chance di andare a Palazzo Chigi sono pari a zero e allora ricomincia con gli insulti agli avversari politici
 
La settimana di Luigi Di Maio non è iniziata benissimo. Dopo aver ricevuto l’ennesimo no, domenica sera da Matteo Renzi, ha definitivamente capito che le sue chanche di andare a Palazzo Chigi erano pari a zero. E così ha ricominciato a fare la cosa che gli riesce meglio: insultare gli avversari e pronunciare velate minacce. Subito dopo le parole dell’ex segretario Dem ha voluto subito precisare che per lui non c’è altra via se non le elezioni immediate, condito con un “la pagheranno” rivolto al Pd.

Le ire di Di Maio verso Salvini
Ma è verso Matteo Salvini che le ire del capo politico M5s si sono concentrate maggiormente. In effetti quello tra Lega e M5s sembrava un matrimonio destinato a quagliare, e la volontà del leader leghista di non rompere con Berlusconi non è andata proprio giù al leader pentastellato. Così sono partite le accuse: “Noi non abbiamo alcun problema a tornare al voto perché ci sostengono i cittadini con le piccole donazioni. Altri invece si oppongono perché, tra prestiti e fideiussioni, magari hanno qualche problemino con i soldi. Ma l’Italia non può rimanere bloccata per i guai finanziari di un partito”. Dichiarazioni che dimostrano quanto Di Maio sia in confusione. Il suo sogno di andare a Palazzo Chigi è svanito, i risultati elettorali in Molise e Friuli Venezia Giulia dimostrano una perdita di consenso e così Di Maio ha deciso di svestire i panni dello statista e ritornare alle origini. Si può dire che ha perso la testa, dopo aver perso la poltrona.

Editto bulgaro 2.0
Nel suo sfogo non potevano mancare gli attacchi ai giornalisti, altro pezzo forte della casa. Nel mirino c’è la Rai e come riporta il Corriere della Sera Di Maio scrive ai suoi parlamentari: “Negli ultimi 50 giorni ci avevano trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori. Lo faremo molto presto grazie a una legge finalmente meritocratica”. Una sorta di editto bulgaro 2.0, simile a quello pronunciato nel 2002 dal tanto “odiato” Silvio Berlusconi contro Biagi, Santoro e Luttazzi.

Da - https://www.democratica.com/focus/dimaio-salvini-rai-cambio-direttori/?utm_source=newsletter&utm_medium=testo&utm_campaign=nl20-03052018
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« Risposta #6 inserito:: Maggio 03, 2018, 08:54:37 pm »

e chiede aiuto per uscirne, Salvini ingoia il boccone Di Maio per paura di restare solo.

Tutti e due hanno scolpito il loro autoritratto nel marmo ma hanno i piedi di argilla.

ggiannig

Da Fb del 3 maggio 2018
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« Risposta #7 inserito:: Maggio 03, 2018, 08:59:43 pm »


Il capo politico del Movimento a Porta a Porta: "Negli ultimi 50 giorni i telegiornali Rai ci hanno trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori.

Lo faremo molto presto"

Di SEBASTIANO MESSINA
03 maggio 2018

Chi si domanda perché l'Onu abbia sentito il bisogno di celebrare - oggi, 3 maggio - la giornata mondiale della libertà di stampa forse s'è perso il comizietto di Luigi Di Maio ieri sera a Porta a porta, su quella tv dove una volta i grillini avevano il divieto di mettere piede (e che oggi occupano una sera sì e l'altra pure, avendo ottenuto il singolare privilegio di essere sistematicamente i soli politici in studio). Cos'ha detto Di Maio? Ha spiegato che "negli ultimi 50 giorni i telegiornali Rai ci hanno trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori". Un timore infondato? No, ha rivelato Di Maio: "Lo faremo molto presto".

Dunque la "rivoluzione" grillina, se mai ci sarà, comincerà con un'epurazione dei media, assai simile a quella che Berlusconi decretò con l'ormai celebre editto bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi. E confermerà che anche loro, come la stragrande maggioranza dei partiti che hanno occupato la stanza dei bottoni, vorranno subito mettere le mani sull'informazione del servizio pubblico. Un bell'inizio. Del resto, il Movimento 5 Stelle ha sempre considerato la libera stampa come un nemico da annientare, diffondendo la bufala che i grandi giornali oggi siano finanziati dallo Stato, una bufala che lo stesso Di Maio continua a diffondere annunciando - l'ultima volta l'11 gennaio di quest'anno - che appena andranno al potere loro aboliranno "i finanziamenti ai quotidiani e all'editoria" (guardandosi bene dal rivelare che nessun grande giornale riceve da molti anni un solo euro di finanziamento pubblico).

Del resto, se l'ultimo rapporto di Reporter Sans Frontières colloca l'Italia al 46mo posto anche e soprattutto a causa "della rivendicata ostilità nei confronti dei media, incoraggiata da alcuni responsabili politici". E se sono tanti i Paesi dove "l'odio del giornalismo minaccia la democrazia", per l'Italia il rapporto fa un solo nome, e cita espressamente il Movimento 5 Stelle, "che ha spesso condannato la stampa per il suo lavoro".

Sia chiaro: non è l'unica minaccia, per i giornalisti, e neanche la più pericolosa. Sono certo più inquietanti le intimidazioni che i cronisti subiscono, lo ricorda lo stesso rapporto, "dalla mafia, da gruppi anarchici o fondamentalisti". Perché le minacce di morte, le pallottole spedite come "ultimo avviso", i piani per sbarazzarsi dei giornalisti scomodi carpiti ai boss grazie alle intercettazioni, hanno un peso notevole in questo imbarazzante piazzamento nella classifica della stampa libera che in Europa vede dietro di noi solo Serbia, Polonia, Grecia e Albania. E le storie di Paolo Borrometi, il cronista siciliano al quale il fratello di un capomafia ha scritto "ti vengo a cercare e ti massacro", o quella della nostra Federica Angeli a cui un boss del clan Spada urlò "te sparo in testa se scrivi" sono solo due tra le decine di chi oggi è costretto a una vita sotto scorta solo per aver fatto il suo dovere di giornalista. Solo nel 2017, il rapporto che "Ossigeno per l'informazione" ha consegnato al presidente Mattarella ha elencato 423 intimidazioni, minacce, abusi e ritorsioni ai danni di cronisti, blogger, fotoreporter e videomaker.

Il fatto è che le intimidazioni di mafia, camorra e 'ndrangheta non sono nuove, e la scia di sangue che parte da Mauro De Mauro e arriva a Mauro Rostagno - passando per Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Peppino Impastato, Mario Francese, Giuseppe Alfano, Cosimo Cristina e Giovanni Spampinato - non consente a nessuno di abbassare la guardia.

La vera novità di questi ultimi anni è che in tutto il Paese, e non solo nelle regioni ad alto tasso di criminalità, tira un'aria sempre più brutta per la libera stampa. Un'aria avvelenata dai politici, a cominciare da quelli che due anni fa strillavano contro le minacce alla libertà di stampa. Impossibile dimenticare le parole di Grillo sui direttori dei telegiornali, "gentaglia che pagherà", o quelle che pronunciò nella piazza di Mascalucia: "Non ce l'ho con i giornalisti, ma io non dimentico niente, e un giorno gli faremo un c... così". Fu lui, del resto, a inventarsi la gogna mediatica per i cronisti, battezzando sul suo blog il premio (di insulti) al "Giornalista del giorno", poi quello al "Giornalista dell'anno" ("Quello che più si è distinto per il suo livore prezzolato") e infine "Lo sciacallo del giorno".

Oggi c'è Di Maio, certo, al posto di Grillo. Ma un anno fa è stato proprio l'attuale candidato premier a spedire all'Ordine dei giornalisti una lista di cronisti che - secondo lui - danneggiavano il Movimento 5 Stelle con le loro inchieste e i loro articoli sullo scandalo Romeo al Campidoglio. E dunque è proprio a lui che si riferisce Reporter Sans Frontières quando denuncia chi "non esita a comunicare pubblicamente l'identità dei giornalisti che lo disturbano". Ma evidentemente l'unica stampa che Di Maio considera libera è quella che lo difende (sparando letame sui suoi avversari), e l'unica tv che gli piace è quella che gli concede la libertà di parlare da solo.
 
© Riproduzione riservata 03 maggio 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/05/03/news/5stelle_stampa-195410816/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.4-T1
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