Il capo politico del Movimento a Porta a Porta: "Negli ultimi 50 giorni i telegiornali Rai ci hanno trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori.
Lo faremo molto presto"
Di SEBASTIANO MESSINA
03 maggio 2018
Chi si domanda perché l'Onu abbia sentito il bisogno di celebrare - oggi, 3 maggio - la giornata mondiale della libertà di stampa forse s'è perso il comizietto di Luigi Di Maio ieri sera a Porta a porta, su quella tv dove una volta i grillini avevano il divieto di mettere piede (e che oggi occupano una sera sì e l'altra pure, avendo ottenuto il singolare privilegio di essere sistematicamente i soli politici in studio). Cos'ha detto Di Maio? Ha spiegato che "negli ultimi 50 giorni i telegiornali Rai ci hanno trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori". Un timore infondato? No, ha rivelato Di Maio: "Lo faremo molto presto".
Dunque la "rivoluzione" grillina, se mai ci sarà, comincerà con un'epurazione dei media, assai simile a quella che Berlusconi decretò con l'ormai celebre editto bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi. E confermerà che anche loro, come la stragrande maggioranza dei partiti che hanno occupato la stanza dei bottoni, vorranno subito mettere le mani sull'informazione del servizio pubblico. Un bell'inizio. Del resto, il Movimento 5 Stelle ha sempre considerato la libera stampa come un nemico da annientare, diffondendo la bufala che i grandi giornali oggi siano finanziati dallo Stato, una bufala che lo stesso Di Maio continua a diffondere annunciando - l'ultima volta l'11 gennaio di quest'anno - che appena andranno al potere loro aboliranno "i finanziamenti ai quotidiani e all'editoria" (guardandosi bene dal rivelare che nessun grande giornale riceve da molti anni un solo euro di finanziamento pubblico).
Del resto, se l'ultimo rapporto di Reporter Sans Frontières colloca l'Italia al 46mo posto anche e soprattutto a causa "della rivendicata ostilità nei confronti dei media, incoraggiata da alcuni responsabili politici". E se sono tanti i Paesi dove "l'odio del giornalismo minaccia la democrazia", per l'Italia il rapporto fa un solo nome, e cita espressamente il Movimento 5 Stelle, "che ha spesso condannato la stampa per il suo lavoro".
Sia chiaro: non è l'unica minaccia, per i giornalisti, e neanche la più pericolosa. Sono certo più inquietanti le intimidazioni che i cronisti subiscono, lo ricorda lo stesso rapporto, "dalla mafia, da gruppi anarchici o fondamentalisti". Perché le minacce di morte, le pallottole spedite come "ultimo avviso", i piani per sbarazzarsi dei giornalisti scomodi carpiti ai boss grazie alle intercettazioni, hanno un peso notevole in questo imbarazzante piazzamento nella classifica della stampa libera che in Europa vede dietro di noi solo Serbia, Polonia, Grecia e Albania. E le storie di Paolo Borrometi, il cronista siciliano al quale il fratello di un capomafia ha scritto "ti vengo a cercare e ti massacro", o quella della nostra Federica Angeli a cui un boss del clan Spada urlò "te sparo in testa se scrivi" sono solo due tra le decine di chi oggi è costretto a una vita sotto scorta solo per aver fatto il suo dovere di giornalista. Solo nel 2017, il rapporto che "Ossigeno per l'informazione" ha consegnato al presidente Mattarella ha elencato 423 intimidazioni, minacce, abusi e ritorsioni ai danni di cronisti, blogger, fotoreporter e videomaker.
Il fatto è che le intimidazioni di mafia, camorra e 'ndrangheta non sono nuove, e la scia di sangue che parte da Mauro De Mauro e arriva a Mauro Rostagno - passando per Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Peppino Impastato, Mario Francese, Giuseppe Alfano, Cosimo Cristina e Giovanni Spampinato - non consente a nessuno di abbassare la guardia.
La vera novità di questi ultimi anni è che in tutto il Paese, e non solo nelle regioni ad alto tasso di criminalità, tira un'aria sempre più brutta per la libera stampa. Un'aria avvelenata dai politici, a cominciare da quelli che due anni fa strillavano contro le minacce alla libertà di stampa. Impossibile dimenticare le parole di Grillo sui direttori dei telegiornali, "gentaglia che pagherà", o quelle che pronunciò nella piazza di Mascalucia: "Non ce l'ho con i giornalisti, ma io non dimentico niente, e un giorno gli faremo un c... così". Fu lui, del resto, a inventarsi la gogna mediatica per i cronisti, battezzando sul suo blog il premio (di insulti) al "Giornalista del giorno", poi quello al "Giornalista dell'anno" ("Quello che più si è distinto per il suo livore prezzolato") e infine "Lo sciacallo del giorno".
Oggi c'è Di Maio, certo, al posto di Grillo. Ma un anno fa è stato proprio l'attuale candidato premier a spedire all'Ordine dei giornalisti una lista di cronisti che - secondo lui - danneggiavano il Movimento 5 Stelle con le loro inchieste e i loro articoli sullo scandalo Romeo al Campidoglio. E dunque è proprio a lui che si riferisce Reporter Sans Frontières quando denuncia chi "non esita a comunicare pubblicamente l'identità dei giornalisti che lo disturbano". Ma evidentemente l'unica stampa che Di Maio considera libera è quella che lo difende (sparando letame sui suoi avversari), e l'unica tv che gli piace è quella che gli concede la libertà di parlare da solo.
© Riproduzione riservata 03 maggio 2018
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