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Autore Discussione: JEREMY RIFKIN -  (Letto 9064 volte)
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« inserito:: Dicembre 01, 2007, 11:05:09 pm »

Una nuova era per l'energia è alle porte, non c'è più tempo da sprecare: il documento che l'economista ha scritto per l'Europa

Rifkin: "Europa, passa all'idrogeno Sarà la rivoluzione per una nuova era"

di JEREMY RIFKIN


Il testo che pubblichiamo in esclusiva è una versione ridotta del "withe paper" sul futuro dell'energia redatto per il premier portogjese Socrates nella sua veste di presidente di turno della Ue


IN questa prima metà del XXI secolo ci stiamo avvicinando al tramonto dell'era petrolifera. Il prezzo del greggio nei mercati globali continua ad aumentare e nei prossimi decenni si arriverà sicuramente a un picco. Al tempo stesso, l'impressionante aumento delle emissioni di biossido di carbonio derivanti dalla combustione dei combustibili fossili sta facendo salire la temperatura della Terra e minaccia di modificare l'equilibrio chimico planetario e il clima globale in un modo che non ha precedenti nella storia, con conseguenze e ripercussioni inquietanti e minacciose per il futuro della civiltà umana e gli ecosistemi della Terra.

Se petrolio, carbone e gas naturali continueranno a fornire una parte considerevole dell'energia mondiale e dell'Unione Europea per un bel pezzo del XXI secolo, è ormai pressoché unanime il consenso sul fatto che stiamo entrando in un periodo crepuscolare, nel quale i costi complessivi della nostra dipendenza dai combustibili fossili iniziano ad agire da freno e ostacolo per l'economia mondiale. In quest'era crepuscolare, i 27 Stati membri dell'Ue stanno adoperandosi in ogni modo possibile per assicurarsi che le restanti scorte di combustibili fossili siano adoperate con maggiore efficienza e stanno sperimentando nuove tecnologie energetiche pulite per limitare le emissioni di biossido di carbonio nella combustione dei carburanti tradizionali. Da sole, però, una maggiore efficienza energetica e una riduzione obbligatoria dei gas che provocano il riscaldamento globale non basteranno. Le grandi rivoluzioni economiche della storia: la convergenza di nuovi regimi energetici e nuove forme di comunicazione

I cambiamenti economici epocali della storia dell'umanità si sono verificati allorché nuovi regimi energetici sono coincisi con nuove forme di comunicazione. Quando tale convergenza ha luogo la società si ristruttura in modalità del tutto nuove. All'inizio dell'era moderna, l'arrivo simultaneo della tecnologia del vapore alimentata a carbone e della stampa hanno dato origine alla prima rivoluzione industriale.

Alla fine del XIX secolo e per tutti i primi due terzi del XX secolo, le forme di comunicazione elettrica di prima generazione - il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione, le macchine da scrivere elettriche, le calcolatrici, e così via - hanno coinciso con l'introduzione del petrolio e del motore a combustione interna, diventando di fatto il meccanismo di controllo e di comando delle comunicazioni per organizzare e diffondere la seconda rivoluzione industriale. Una grande rivoluzione nelle comunicazioni ha avuto luogo negli anni Novanta. La seconda generazione di forme elettriche di comunicazione - personal computer, Internet, il World Wide Web, e le tecnologie wireless di comunicazione - ha messo in connessione tra loro il sistema centrale nervoso di oltre un miliardo di persone in tutto il pianeta alla velocità della luce. Sebbene le nuove rivoluzioni di software e della comunicazione abbiano iniziato a migliorare la produttività in ogni settore industriale, il loro pieno potenziale è lungi dal dirsi pienamente realizzato. Tale pieno potenziale si situa nel loro abbinamento all'energia rinnovabile, in parte immagazzinata sotto forma di idrogeno, per creare i primi regimi di energia "distribuita".

Gli stessi principi di progettazione, le stesse tecnologie intelligenti che hanno reso possibile Internet saranno utilizzati per riconfigurare le reti elettriche della Terra, così che gli individui possano produrre energia rinnovabile e condividerla da pari a pari, proprio come adesso producono e condividono informazione, creando di conseguenza una nuova e decentralizzata forma di uso dell'energia. La creazione di un regime a energia rinnovabile, in parte immagazzinata sotto forma di idrogeno, e distribuita tramite reti intergrid intelligenti, spalanca le porte a una Terza Rivoluzione Industriale, che dovrebbe avere un potente effetto moltiplicatore economico nel XXI secolo quanto quello che ebbe la convergenza di stampa e motore a vapore alimentato a carbone nel XIX secolo, o quello della convergenza di forme elettriche di comunicazione e motore a combustione interna e petrolio nel XX.

I tre pilastri della Terza

Rivoluzione Industriale
Le forme di energia rinnovabile - solare, eolica, a idrogeno, geotermica, delle onde oceaniche e delle biomasse - costituiscono il primo dei tre pilastri della Terza Rivoluzione Industriale. Se da un lato queste forme di energia agli esordi oggi rappresentano ancora una piccola percentuale del mix energetico globale, esse dall'altro sono in rapida crescita grazie ai governi che fissano obiettivi e scadenze per una loro massiccia immissione nel mercato e grazie ai costi in costante calo che li rendono sempre più competitivi. Miliardi di euro di capitali pubblici e privati affluiscono nella ricerca, nello sviluppo e nella penetrazione nei mercati, a mano a mano che le imprese e i proprietari di casa cercano di ridurre il loro impatto in termini di emissioni di anidride carbonica diventando più efficienti e indipendenti dal punto di vista energetico.
L'introduzione del pilastro delle energie rinnovabili della Terza Rivoluzione Industriale esige la contemporanea introduzione di un secondo pilastro: per massimizzare l'energia rinnovabile e ridurre al minimo i costi sarà necessario sviluppare metodi e sistemi di immagazzinamento che facilitino la conversione delle fonti intermittenti di queste fonti energetiche in asset affidabili. Batterie, pompe idrauliche differenziate, altri dispositivi possono fornire una capacità di immagazzinamento soltanto limitata. Esiste però un dispositivo di immagazzinamento assai disponibile e che può risultare relativamente efficiente. L'idrogeno è lo strumento universale che "immagazzina" tutte le forme di energia rinnovabile, garantendo che una fornitura stabile e affidabile è sempre disponibile e possibile per generare elettricità e, cosa altrettanto importante, è facilmente trasportabile.

L'idrogeno è l'elemento più leggero e più abbondante dell'Universo e quando è utilizzato come fonte energetica gli unici sottoprodotti a cui dà luogo sono acqua pulita e calore. Le nostre navicelle spaziali sono alimentate da celle hi-tech a idrogeno da più di 30 anni.

Il punto importante sul quale dobbiamo soffermarci è che una società che si basa sull'energia rinnovabile è possibile nella misura in cui parte di quell'energia può essere immagazzinata sotto forma di idrogeno. Questo perché le energie rinnovabili sono intermittenti: il sole non splende sempre, così come il vento non soffia sempre, l'acqua non scorre sempre se c'è siccità, e i raccolti agricoli possono variare per una molteplicità di fattori. Quando le energie rinnovabili non sono disponibili, non si può generare elettricità e le attività economiche rischiano di subire una frenata e fermarsi. Ma se l'elettricità generata allorché l'energia rinnovabile è abbondante, può essere utilizzata per estrarre idrogeno dall'acqua, che potrà essere conservato per essere utilizzato in seguito, a quel punto la società disporrà di un rifornimento continuo di energia elettrica. L'idrogeno può essere estratto anche dalle biomasse e immagazzinato nello stesso modo.

La Commissione Europea riconosce che una maggiore dipendenza dalle forme di energia rinnovabile sarebbe enormemente facilitata dallo sviluppo della capacità di immagazzinamento delle celle a idrogeno. Di conseguenza, nell'ottobre 2007 la Commissione Europea ha annunciato un'ambiziosa partnership tra pubblico e privato per accelerare l'introduzione commerciale di un'economia dell'idrogeno nei 27 Stati membri dell'Unione Europea, con l'obiettivo primario di produrre idrogeno dalle fonti di energia rinnovabile. Così facendo ha di fatto eretto i primi due pilastri della Terza Rivoluzione Industriale. Il terzo pilastro, la riconfigurazione della rete elettrica europea, similmente a quella di Internet, e in grado di permettere ad aziende e proprietari di casa di produrre l'energia che serve loro e di condividerla con gli altri, soltanto adesso è in corso di collaudo da parte di varie società elettriche europee.

L'intergrid intelligente, la rete elettrica interconnessa, è formata da tre componenti di importanza fondamentale. Le minigrid permettono a proprietari di casa, piccole e medie aziende (Sme) e imprese economiche su larga scala di produrre energia rinnovabile a livello locale - tramite pannelli solari, vento, piccole centrali eoliche, scorie animali e dell'agricoltura, spazzatura e così via - e di utilizzarla per le loro stesse necessità energetiche senza collegarsi alla rete elettrica generale. La tecnologia della misurazione intelligente consente ai produttori locali di rivendere più efficientemente la loro energia alla rete elettrica principale, come pure di accettare da essa elettricità, rendendo bidirezionale il flusso dell'elettricità. La fase successiva della tecnologia delle reti intelligenti consistente nell'inserire dispositivi, sensori e chip, in tutto il sistema della rete, collegando ogni singola apparecchiatura elettrica. Il software a quel punto consente all'intera rete elettrica di sapere con esattezza quanta energia sia utilizzata in ogni momento e in qualsiasi punto della griglia. Questa interconnettività può essere utilizzata per re-indirizzare e deviare gli usi e i flussi energetici durante i picchi d'uso e nelle interruzioni d'uso, e perfino di adeguarsi ai cambiamenti di prezzo dell'elettricità da un momento a un altro. In futuro, queste reti intelligenti potranno essere ulteriormente connesse per adeguarsi istantaneamente ai cambiamenti meteorologici dando alla rete elettrica la possibilità di adeguare il flusso dell'elettricità di continuo, sia in funzione delle condizioni meteorologiche sia della domanda dei consumatori. Per esempio, se la rete elettrica è sottoposta a un picco di uso energetico ed è esposta a un possibile sovraccarico dovuto all'eccessiva domanda, il software potrà regolare la lavatrice di un utente e rallentarla di un ciclo per carico o ridurre l'aria condizionata di un grado. I consumatori che acconsentiranno a lievi ritocchi dell'elettricità da loro utilizzata riceveranno del credito sulle loro bollette.

La prossima fase dell'integrazione europea
L'Unione Europea nacque quando le nazioni europee si strinsero intorno a una comune politica energetica, prima con la comunità del carbone e dell'acciaio e poco dopo con la fondazione di Euratom. La Terza Rivoluzione Industriale richiederà una riconfigurazione completa dei settori dei trasporti, delle costruzioni e dell'elettricità, creerà nuovi prodotti e servizi, favorirà lo sviluppo di nuove aziende e darà vita a milioni di nuovi posti di lavoro. Arrivare primi nel mercato consentirà all'Unione Europea di essere leader della Terza Rivoluzione Industriale, e di conseguire un vantaggio commerciale nelle esportazioni nel mondo di know-how della tecnologia e delle apparecchiature verdi.

La sicurezza energetica
Le crescenti preoccupazioni per la dipendenza dal gas naturale della Russia e dal petrolio del Golfo Persico alimentano buona parte del vivace dibattito in corso sulla questione di come garantire al meglio la sicurezza energetica dell'Ue. Con il prezzo del petrolio che adesso si aggira sui 68 dollari al barile sul mercato internazionale, i governi dell'Unione Europea, le industrie e i consumatori si sentono sempre più vulnerabili e in ansia per la loro indipendenza energetica. La chiave per "la sicurezza energetica" dell'Ue risiede nell'abilità di produrre energia ed elettricità localmente e regionalmente, da fonti prontamente disponibili di energia rinnovabile, nella capacità di immagazzinarne una parte sotto forma di idrogeno e altre tecnologie di immagazzinamento per sostituire e supportare l'energia della rete elettrica e dei trasporti, e nella possibilità di condividere l'energia supplementare ovunque tramite una rete intelligente che colleghi ogni comunità europea.
Una intergrid intelligente su scala continentale e pienamente integrata consente a ogni Paese membro dell'Ue di produrre la propria energia e al contempo di condividerne qualsiasi surplus con il resto dell'Europa con un approccio da "network" che garantisca all'Ue la sua sicurezza energetica. L'Italia può condividere con il Regno Unito il suo surplus di energia solare, il Regno Unito può fare altrettanto con il Portogallo con la sua energia eolica in eccesso, il Portogallo a sua volta può condividere la sua abbondante produzione di energia idroelettrica con la Slovenia, e la Slovenia può condividere le sue abbondanti scorie forestali con la Polonia, che può condividere le sue biomasse agricole con la Norvegia... e così via. Quando una qualsiasi regione dell'Unione Europea usufruisce di un temporaneo aumento o surplus della propria energia rinnovabile, potrà condividerla con le regioni che si trovano temporaneamente in situazione di calo o di deficit energetico.

Energia distribuita:
dalla geopolitica alla politica delle biosfere
I combustibili fossili e l'energia nucleare sono per loro stessa natura energie d'élite, che rappresentano il vecchio approccio centralizzato dall'alto verso il basso per la gestione delle risorse, così tipico del XIX e del XX secolo. Poiché possono essere reperiti soltanto in alcuni luoghi, il carbone, il petrolio, il gas naturale e l'uranio hanno spesso richiesto ingenti investimenti militari per essere messi in sicurezza e altrettanto ingenti investimenti di capitale per lavorarli e commercializzarli. Le fonti di energia rinnovabile, invece, sono distribuite ovunque sulla Terra. I raggi solari, il vento, l'acqua, la geotermia, le onde oceaniche, i residui dell'agricoltura e delle foreste, la spazzatura comunale sono tutte accessibili in tutto il mondo. Se raccolta e immagazzinata sotto forma di idrogeno, se distribuita sotto forma di elettricità per mezzo di intergrid, reti elettriche intelligenti, l'energia rinnovabile ha il potenziale di poter essere condivisa da pari a pari con una modalità di distribuzione simile a quella che oggi utilizziamo per comunicare e informarci su Internet.

La Terza Rivoluzione Industriale rende possibile una capillare ridistribuzione del potere, con conseguenze positive e di vasta portata per la società. L'odierna distribuzione centralizzata e dall'alto verso il basso di energia diverrà sempre più obsoleta. Nella nuova èra le aziende, i comuni, i proprietari di casa potranno diventare produttori tanto quanto consumatori della loro stessa energia, la cosiddetta "generazione distribuita". Addirittura, le automobili stesse saranno "stazioni energetiche su ruote" e avranno la capacità di generare 20 o più kilowatts. Considerato che in media un'automobile per la maggior parte del tempo è parcheggiata, nelle ore nelle quali non è utilizzata potrà essere collegata con una presa di corrente alla casa, all'ufficio o alla rete elettrica interattiva principale e trasferire elettricità di prima qualità. I veicoli azionati a celle a combustibile diverranno di conseguenza un mezzo per immagazzinare ingenti quantità di energia sotto forma di idrogeno che potrà, a sua volta, essere convertito nuovamente in elettricità per alimentare la rete elettrica principale. Se soltanto il 25% degli automobilisti usasse il proprio veicolo come impianto elettrico per rivendere energia alla rete principale intergrid , si potrebbero eliminare tutte le centrali elettriche dell'Unione Europea. In futuro, le società elettriche e le aziende di servizio pubblico sempre più diverranno bundler di energia distribuita, aggregando e raccogliendo l'energia rinnovabile generata localmente e regionalmente dalle aziende e dai proprietari di casa, immagazzinando quell'energia sotto forma di idrogeno e altri supporti di immagazzinamento energetico e distribuendo l'energia per mezzo di reti elettriche intelligenti in tutto il continente europeo. L'avvento simultaneo delle tecnologie della comunicazione distribuita e delle energie rinnovabili distribuite tramite un accesso aperto, una rete elettrica intelligente equivale a dire "potere al popolo".

La domanda cruciale che ogni nazione deve porsi è dove intende collocarsi da qui a dieci anni: nelle energie e nelle industrie al tramonto della seconda rivoluzione industriale o nelle energie e nelle industrie in via di sviluppo della Terza Rivoluzione Industriale. Sarà proprio questa Terza Rivoluzione Industriale, infatti, la partita conclusiva in grado di traghettare il mondo fuori da un panorama energetico obsoleto che si basa sul carbone e sull'uranio e farlo entrare nel futuro non inquinante e sostenibile dell'umanità.
(Traduzione di Anna Bissanti)

(1 dicembre 2007)

da repubblica.it
« Ultima modifica: Ottobre 31, 2011, 05:41:16 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 07, 2008, 10:59:32 am »

AMBIENTE

Le centrali sono una "soluzione di retroguardia" e non risolveranno il problema

Dopo l'incidente di Krsko il guru dell'economia all'idrogeno spiega perché l'Italia sbaglia

Rifkin, l'energia fai-da-te così ci salveremo dal nucleare

di RICCARDO STAGLIANÒ

 
UNA fatica inutile. Perché se anche rimpiazzassimo nei prossimi anni tutte le centrali nucleari esistenti nel mondo, il risparmio di emissioni sarebbe comunque un'inezia. Un quarto di quel che serve per cominciare a rimettere le briglie a un clima impazzito. Jeremy Rifkin non ha dubbi: quella atomica è una strada sbagliata, di retroguardia. Come curare malattie nuovissime con la penicillina. E non c'è neppure bisogno dei campanelli di allarme tipo Krsko per capirlo.

Basta guardare i numeri senza le lenti dell'ideologia. Proprio l'attitudine che, in Italia, scarseggia di più per il guru dell'economia all'idrogeno. Si vedrebbe così che l'uranio, come il petrolio, presto imboccherà la sua parabola discendente: ce ne sarà di meno e costerà di più. E che il problema dello smaltimento delle scorie è drammaticamente aperto anche negli Stati Uniti dove lo studiano da anni. "Vi immaginate uno scenario tipo Napoli, ma dove i rifiuti fossero radioattivi?" è il suo inquietante memento. Meglio puntare su quella che lui chiama la "terza rivoluzione industriale".

L'incidente all'impianto sloveno arroventa il dibattito italiano, a pochi giorni dall'annuncio del ritorno al nucleare. Cosa ne pensa?
"Ho parlato con persone che hanno conoscenza di prima mano dell'incidente, e mi hanno tranquillizzato. Non ci sono state fughe radioattive e il governo ha gestito bene tutta la vicenda. Ho lavorato con l'amministrazione Jan%u0161a e posso dire che hanno sempre dimostrato una leadership illuminata nel traghettare la Slovenia verso le energie rinnovabili. Non posso dire lo stesso di tutti i paesi europei, ma posso lodare le politiche energetiche di Ljubljana".

Superata questa crisi, in generale possiamo sentirci sicuri?
"Il problema col nucleare è che si tratta di un'energia con basse probabilità di incidente, ma ad alto rischio. Ovvero: non succede quasi mai niente di brutto, ma se qualcosa va storto può essere una catastrofe. Come Chernobyl".

Il governo italiano ha confermato l'inizio della costruzione delle nuove centrali entro il 2013. Coerenza o azzardo?
"Non capisco i termini della discussione in corso in Italia. Amo il vostro paese, lo seguo da anni ma questa volta mi sento davvero perso. I sostenitori dicono: il nucleare è pulito, non produce diossido di carbonio, quindi contribuirà a risolvere il cambiamento climatico. Un ragionamento che non torna se solo si guarda allo scenario globale. Oggi sono in funzione nel mondo 439 centrali nucleari e producono circa il 5% dell'energia totale. Nei prossimi 20 anni molte di queste centrali andranno rimpiazzate. E nessuno dei top manager del settore energetico crede che lo saranno in una misura maggiore della metà. Ma anche se lo fossero tutte si tratterebbe di un risparmio del 5%. Ora, per avere un qualche impatto nel ridurre il riscaldamento del pianeta, si dovrebbe ridurre del 20% il Co2, un risultato che certo non può venire da qui".

Un finto argomento quindi quello del nucleare "verde"?
"Non in assoluto, ma relativamente alla realtà, sì. Perché il passaggio al nucleare avesse un impatto sull'ambiente bisognerebbe costruire 3 centrali ogni 30 giorni per i prossimi 60 anni. Così facendo fornirebbe il 20% di energia totale, la soglia critica che comincia a fare una differenza. C'è qualcuno sano di mente che pensa che si potrebbe procedere a questo ritmo? La Cina ha ordinato 44 nuove centrali nei prossimi 40 anni per raddoppiare la sua potenza produttiva. Ma si avvia ad essere il principale consumatore di energia...".

Ci sono altri ostacoli lungo questa strada?
"Io ne conto cinque, e adesso vi dico il secondo. Non sappiamo ancora come trasportare e stoccare le scorie. Gli Stati Uniti hanno straordinari scienziati e hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all'interno delle montagne Yucca dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l'area nonostante i calcoli, i fondi e i super-ingegneri. Davvero l'Italia crede di poter far meglio di noi? L'esperienza di Napoli non autorizza troppo ottimismo. E questa volta i rifiuti sarebbero nucleari, con conseguenze inimmaginabili".

Ecoballe all'uranio, un pensiero da brividi. E il terzo ostacolo?
"Stando agli studi dell'agenzia internazionale per l'energia atomica l'uranio comincerà a scarseggiare dal 2025-2035. Come il petrolio sta per raggiungere il suo peak. I prezzi, quindi, andranno presto su. Ciò si ripercuoterà sui costi per produrre energia togliendo ulteriori argomenti a questo malpensato progetto. Aggiungo il quarto punto. Si potrebbe puntare sul plutonio. Ma con quello è più facile costruire bombe. La Casa Bianca e molti altri governi fanno un gran parlare dei rischi dell'atomica in mani nemiche. Ma i governi buoni di oggi diventano le canaglie di domani".

Siamo arrivati così all'ultima considerazione. Qual è?
"Che non c'è abbastanza acqua nel mondo per gestire impianti nucleari. Temo che non sia noto a tutti che circa il 40% dell'acqua potabile francese serve a raffreddare i reattori. L'estate di cinque anni fa, quando molti anziani morirono per il caldo, uno dei danni collaterali che passarono sotto silenzio fu che scarseggiò l'acqua per raffreddare gli impianti. Come conseguenza fu ridotta l'erogazione di energia elettrica. E morirono ancora più anziani per mancanza di aria condizionata".

Se questi sono i dati che uso ne fa la politica?
"Posso sostenere un dibattito con qualsiasi statista sulla base di questi numeri e dimostrargli che sono giusti, inoppugnabili. Ma la politica a volte segue altre strade rispetto alla razionalità. E questo discorso, anche in Italia, è inquinato da considerazioni ideologiche".

In che senso? C'è un'energia di destra e una di sinistra?
"Direi modelli energetici élitari e altri democratici. Il nucleare è centralizzato, dall'alto in basso, appartiene al XX secolo, all'epoca del carbone. Servono grossi investimenti iniziali e altrettanti di tipo geopolitico per difenderlo".

E il modello democratico, invece?
"È quello che io chiamo la "terza rivoluzione industriale". Un sistema distribuito, dal basso verso l'alto, in cui ognuno si produce la propria energia rinnovabile e la scambia con gli altri attraverso "reti intelligenti" come oggi produce e condivide l'informazione, tramite internet".

Immagina che sia possibile applicarlo anche in Italia?
"Sta scherzando? Voi siete messi meglio di tutti: avete il sole dappertutto, il vento in molte località, in Toscana c'è anche il geotermico, in Trentino si possono sfruttare le biomasse. Eppure, con tutto questo ben di dio, siete indietro rispetto a Germania, Scandinavia e Spagna per quel che riguarda le rinnovabili".

Ci dica come si affronta questa transizione.
"Bisogna cominciare a costruire abitazioni che abbiano al loro interno le tecnologie per produrre energie rinnovabili, come il fotovoltaico. Non è un'opzione, ma un obbligo comunitario quello di arrivare al 20%: voi da dove avete cominciato? Oggi il settore delle costruzioni è il primo fattore di riscaldamento del pianeta, domani potrebbe diventare parte della soluzione. Poi serviranno batterie a idrogeno per immagazzinare questa energia. E una rete intelligente per distribuirla".

Oltre che motivi etici, sembrano essercene anche di economici molto convincenti. È così?
"In Spagna, che sta procedendo molto rapidamente verso le rinnovabili, alcune nuove compagnie hanno fatto un sacco di soldi proprio realizzando soluzioni "verdi". Il nucleare, invece, è una tecnologia matura e non creerà nessun posto di lavoro. Le energie alternative potrebbero produrne migliaia".

A questo punto solo un pazzo potrebbe scegliere un'altra strada. Eppure non è solo Roma ad aver riconsiderato il nucleare. Perché?
"Credo che abbia molto a che fare con un gap generazionale. E ve lo dice uno che ha 63 anni. I vecchi politici, cresciuti con la sindrome del controllo, si sentono più a loro agio in un mondo in cui anche l'energia è somministrata da un'entità superiore".

(7 giugno 2008)

da repubblica.it
« Ultima modifica: Settembre 21, 2008, 08:40:41 am da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 13, 2008, 06:03:39 pm »

Dieci passi nel Futuro

Jeremy Rifkin


La terza rivoluzione industriale rende possibile una nuova Europa sociale nel ventunesimo secolo. Il sogno europeo è il fulcro della nuova Europa sociale. La maggior parte degli europei sperano soprattutto in una nuova Europa sociale fondata sulla “qualità della vita”. Il sogno europeo sottolinea i diritti umani e sociali in un quadro di equilibrio tra modelli sociali e di mercato e con prospettive di cooperazione e di pace. Il sogno di una Europa sociale è al momento minacciato dall’incremento dei prezzi del petrolio e del gas e dagli effetti del cambiamento climatico sulle comunità e sugli ecosistemi del continente. Presupposto di tutto è la terza rivoluzione industriale senza la quale è impossibile una nuova Europa sociale. La terza rivoluzione industriale e la nuova Europa sociale garantiranno all’Europa cinquant’anni di integrazione.

È necessaria ora una chiara agenda politica che consenta alla Commissione Europea di proseguire la realizzazione del progetto europeo. La nuova Europa sociale poggia su dieci pilastri ciascuno dei quali ha come presupposto la terza rivoluzione industriale:

1) Un livello di vita sostenibile:l’incremento di lungo periodo dei prezzi del gas e del petrolio e i crescenti effetti del cambiamento climatico su settori commerciali che vanno dall’agricoltura al turismo, stanno gia’ producendo conseguenze pesanti sul livello di vita di milioni di europei. I prezzi dei prodotti alimentari sono in continua ascesa e lo stesso dicasi per i servizi e per i prodotti di largo consumo. Negli anni a venire la situazione non può che peggiorare mettendo in pericolo il sogno di una nuova Europa sociale. I governi, il mondo finanziario e imprenditoriale e la società civile debbono mobilitarsi insieme per passare a nuove forme di energia.

2) L’effetto di moltiplicatore economico: la transizione verso la terza rivoluzione industriale comporterà una riconfigurazione globale delle infrastrutture europee con la creazione di milioni di posti di lavoro e di nuovi beni e servizi con un effetto di moltiplicatore economico che si farà sentire fino alle seconda metà del ventunesimo secolo. Saranno necessari massici investimenti nelle energie rinnovabili, dovremo ristrutturare milioni di edifici trasformandoli in vere e proprie centrali elettriche e impianti di produzione di energia e saremo costretti ad abbandonare la tecnologia obsoleta delle automobili alimentate dal motore a combustione interna.

3) Nuovi lavori e modelli imprenditoriali per il ventunesimo secolo: il rifacimento delle infrastrutture europee e l’ammodernamento dell’apparato industriale comporterà una massiccia operazione di riqualificazione dei lavoratori europei come già avvenne all’inizio della prima e della seconda rivoluzione industriale. La forza lavoro della terza rivoluzione industriale dovrà essere esperta di energie rinnovabili, di edilizia verde, di tecnologia dell’informazione, di nano-tecnologie, di chimica sostenibile, di gestione di griglie energetiche digitali, di mezzi di trasporto alimentati ad energia elettrica e idrogeno e di centinaia di altre tecnologie. Imprenditori e manager dovranno conoscere nuovi modelli di impresa, tra cui il commercio open-source e networked, la ricerca distribuita e collaborativa e le strategie di sviluppo, la logistica sostenibile a basso impiego di carbone e la gestione delle catene di approvvigionamento.

4) Migliorare la sicurezza energetica dell’Europa: La Ue ha cominciato ad occuparsi di sicurezza energetica con la creazione della Comunità Europea Carbone e Acciaio e l’introduzione del progetto Euratom. L’Europa dovrà creare un regime di energia rinnovabile autosufficiente e diffuso capillarmente che sia in grado di garantire l’indipendenza energetica. Un sistema integrato europeo consentirà a ciascun Paese della Ue di produrre l’energia di cui ha bisogno e di distribuire agli altri Paesi l’eccesso di produzione.

5) Realizzare l’Agenda di Lisbona e diventare l’economia più competitiva del mondo: l’industria europea dispone di un know-how scientifico, tecnologico e finanziario tale da aprire la strada alle energie rinnovabili, all’edilizia verde, all’economia fondata sull’idrogeno e da avviare il mondo verso una nuova era economica. L’industria automobilistica, quella chimica, quella manifatturiera, quella informatica e delle comunicazioni, le industrie bancaria e assicurativa sono in grado di dare impulso alla terza rivoluzione industriale. Inoltre la Ue è il più grosso mercato mondiale per l’energia solare ed è leader mondiale nella produzione di energia eolica. Resta solo alla Ue il compito di creare un mercato unico e integrato dell’energia. Pur essendo potenzialmente il più grande mercato interno del mondo con i suoi 500 milioni di consumatori e altri 500 milioni di consumatori nelle zone associate che abbracciano il Mediterraneo e il Nord Africa, la Ue non ha ancora creato infrastrutture logistiche efficienti con una comune griglia di trasporti, di comunicazioni e di energia.

6) Dare più potere alla gente e promuovere una rete europea: la terza rivoluzione europea porta ad una nuova Europa sociale nella quale il potere sarà più capillarmente diffuso in modo da incoraggiare nuovi livelli di collaborazione tra i suoi 500 milioni di cittadini. Nella nuova era, imprese, enti locali e proprietari di abitazioni diventeranno produttori oltre che consumatori di energia - stiamo parlando della cosiddetta “generazione distribuita”. Così come nel decennio scorso la rivoluzione della “comunicazione distribuita” ha allargato le menti e ha democratizzato le comunicazioni, la terza rivoluzione industriale intende democratizzare l’energia. La democratizzazione dell’energia diventa un punto focale della nuova Europa sociale e l’accesso all’energia diventa un diritto fondamentale inalienabile dell’era della terza rivoluzione industriale. Nel ventesimo secolo abbiamo assistito all’allargamento della partecipazione politica e ad un più diffuso accesso all’istruzione e all’economia per milioni di europei. Nel ventunesimo secolo anche l’accesso all’energia diventerà un diritto sociale ed umano.

7) L’istruzione nel ventunesimo secolo: La prima e la seconda rivoluzione industriale furono accompagnate da profonde trasformazioni dei sistemi scolastici. Anche la terza rivoluzione industriale comporterà una radicale riforma della scuola per preparare le future generazioni a lavorare e vivere in un mondo post-carbone. Le scuole e le università dovranno insegnare prevalentemente informatica, bio e nano-tecnologie, scienze della terra, ecologia, teoria dei sistemi, modelli di apprendimento open-source e capitale sociale. Dovremo educare i nostri figli a pensare come cittadini globali e prepararli a passare dalla tradizionale geopolitica del ventesimo secolo alla politica della biosfera globale del ventunesimo secolo. L’istruzione riguarderà il compito di tutelare la salute della biosfera del pianeta e di promuovere gli ecosistemi regionali.

Fico Una qualità della società della vita umana: nella nuova Europa sociale del ventunesimo secolo, l’opportunità economica del singolo diviene parte di una più ampia visione sociale che punta a creare una qualità della società della vita umana. I tradizionali indicatori economici del ventesimo secolo che sottolineano il prodotto interno lordo e il reddito pro capite saranno affiancati da indicatori altrettanto importanti sulla qualità della vita, sui diritti umani e sociali, sul livello di istruzione, sulla salute, sulla sicurezza delle comunità, su un giusto rapporto tra lavoro e tempo libero e sulla qualità dell’ambiente. Nella terza rivoluzione industriale motori della qualità della società della vita umana sono il potere distributivo e le comunità sostenibili.

9) Ripensare la globalizzazione dal basso: la transizione, che durerà mezzo secolo, dalla seconda alla terza rivoluzione industriale modificherà profondamente il processo di globalizzazione. A risentirne maggiormente saranno probabilmente i Paesi in via di sviluppo. Può sembrare incredibile ma oltre la metà degli abitanti del pianeta non ha mai fatto una telefonata e un terzo non dispone di corrente elettrica, la qual cosa funge da moltiplicatore della povertà. L’accesso all’energia garantisce maggiori opportunità economiche. Se milioni di individui e comunità diventassero produttori dell’energia che consumano, le conseguenze sarebbero enormi e cambierebbe anche la geografia del potere. Le comunità locali sarebbero meno soggette alla volontà di centri di potere lontani. Le comunità potrebbero produrre beni e servizi sul luogo e venderli in tutto il mondo. È questa l’essenza della politica dello sviluppo sostenibile e di una globalizzazione ripensata dal basso.

10) Il lascito dell’Europa, un pianeta sostenibile: nel 1960 il presidente Kennedy invitò la generazione americana del baby boom ad aiutarlo a portare un uomo sulla luna entro dieci anni e ad esplorare lo spazio. Nel ventunesimo secolo l’Europa deve svolgere un ruolo guida nella salvezza della biosfera sulla terra.

Per passare dalla seconda alla terza rivoluzione industriale è necessario un piano di transizione di lungo periodo e attentamente studiato. L’Unione Europea lo sa e si è impegnata a seguire un processo che poggia su due pilastri: 1) incrementare l’efficienza energetica e ridurre del 20% l’uso di carbone entro il 2020 e 2) centrare l’obiettivo del 20% di energie rinnovabili e posare le basi della terza rivoluzione industriale entro la prima metà del ventunesimo secolo.

Il testo è un’anticipazione dell’intervento che Jeremy Rifkin terrà oggi a «GlobaleLocale», la scuola politica estiva del Pd che si svolge in questi giorni in Toscana a Castiglione del Lago, Cortona e Montepulciano Jeremy Rifkin è presidente della Foundation on Economic Trends con sede a Washington e insegna all’Università di Pennsylvania Traduzione di Carlo Biscotto

Pubblicato il: 13.09.08
Modificato il: 13.09.08 alle ore 7.53   
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« Risposta #3 inserito:: Ottobre 18, 2008, 05:10:33 pm »

L'intervista

Rifkin: "Roma ha sbagliato rotta solo il business verde ci può salvare"

di ANTONIO CIANCIULLO



"La posizione del governo italiano rischia di trascinare l'Europa verso l'abisso. Berlusconi ha lo sguardo volto al passato, vede e pensa alla vecchia economia: ma su quella strada non c'è scampo perché la crisi ha una dimensione non affrontabile con i parametri tradizionali. Per salvarsi bisogna innovare, rilanciare, scommettere sul futuro". Jeremy Rifkin, il teorico americano della nuova Europa, guarda a Bruxelles come all'unico motore capace di trainare il mondo fuori dal pantano della grande crisi.

L'Italia sostiene che il costo della battaglia per la stabilizzazione del clima è troppo alto, che la difesa dell'ecologia affonda l'economia.
"E' vero esattamente il contrario: solo il green business è in grado di far ripartire l'economia perché non siamo di fronte a una difficoltà congiunturale ma al passaggio tra due ere. Un momento molto simile al 1929, anche se stavolta è peggio: allora c'era una crisi economica, oggi si sommano tre diverse crisi. La crisi del sistema creditizio, la crisi energetica e la crisi provocata dal riscaldamento globale. Però un'analogia con il 1929 c'è ed è fondamentale perché dà il segno del tempo che viviamo. Il '29 corrisponde al passaggio tra la prima e la seconda rivoluzione industriale, tra il vapore e l'elettricità. E' stata una rivoluzione profonda che ha causato grandi sommovimenti sociali e la seconda guerra mondiale".

Stavolta cosa sta cambiando?
"Stiamo passando dalla seconda alla terza rivoluzione industriale. Quello che si è appena aperto è il secolo di Internet e dell'energia dolce prodotta nei quartieri, nelle case. Passiamo da un modello centrato sulle autostrade a uno centrato sulle superstrade dei bit. Non comprendere il senso di questo cambiamento significa esserne tagliati fuori".

Questa crisi mette paura, tende a rallentare lo slancio.
"Chi deve saltare e si ferma a metà del salto in genere fa una brutta fine. La seconda rivoluzione industriale è arrivata a fine corsa, al capolinea. Per ripartire ci vuole visione del futuro".

Il governo italiano sottolinea la necessità di difendere i posti di lavoro, di non esporre i bilanci industriali a investimenti onerosi.
"Ma le conoscono le proiezioni? In Europa le fonti rinnovabili creeranno un milione di nuovi posti di lavoro. Senza calcolare la crescita negli altri pilastri della terza rivoluzione industriale: l'edilizia avanzata, l'idrogeno, le reti intelligenti".

Quindi lei considera irrinunciabile l'obiettivo 20, 20, 20?
"Il più convinto sponsor di questa strategia è il commissario europeo all'industria, qualcosa vorrà dire... Questo obiettivo è la spinta che può far ripartire l'economia globale, rinunciare vuol dire condannare il mondo a una recessione violenta. E in questa partita l'Europa ha già una posizione di leadership. Non sono stati gli Usa, non è stata la Cina, non è stata l'India, non è stato il Giappone a imporre sullo scenario mondiale il legame tra la battaglia per la difesa del clima e l'innovazione tecnologica".

Investire tanto sul futuro non significa trascurare il presente?
"Bisogna adottare la strategia del doppio binario perché una transizione energetica come quella che stiamo vivendo richiede decenni. Da una parte si fa i conti con quel che c'è: bisogna minimizzare i danni degli impianti a combustibile fossile e delle centrali nucleari. Dall'altra servono massicci investimenti pubblici e privati per spingere verso le rinnovabili, l'idrogeno, le costruzioni avanzate, le reti intelligenti".

Berlusconi si è fatto interprete di umori largamente diffusi nel mondo industriale.
"Quale mondo industriale? Durante le stagioni del cambiamento ci sono sempre i nostalgici, quelli che rimpiangono il vecchio. Difficilmente sono loro a guidare il nuovo. Il 24 ottobre a Washington abbiamo organizzato una riunione a cui parteciperanno 60 presidenti, amministratori delegati e leader delle più importanti industrie a livello globale nei settori strategici: le fonti rinnovabili, l'edilizia avanzata, i trasporti a basso impatto ambientale, le reti intelligenti".

Qual è l'obiettivo?
"Si creerà un think tank per mettere a fuoco la strategia necessaria a dare respiro alle politiche ambientali legando la difesa degli ecosistemi alla crescita economica. Dobbiamo misurarci con i prossimi appuntamenti internazionali sul clima: l'imminente conferenza di Poznan, in Polonia, e quella del 2009 a Copenaghen. Serve un nuovo approccio: non più solo target in negativo ma obiettivi in positivo. Non solo dire a ogni paese quanto deve tagliare le emissioni, ma chiedere a ognuno di realizzare una certa quantità di case super efficienti, di centrali rinnovabili, di celle a combustibile, di trasporti avanzati. In questa prospettiva stare fuori dalla scommessa sul clima significa stare fuori dall'economia vincente".


(18 ottobre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Dicembre 31, 2008, 12:04:26 am »

Arriva la rivoluzione

di Jeremy Rifkin


Stiamo vivendo l'inizio di una nuova grande era industriale. Ma gli Stati Uniti sono indietro. Toccherà all'Europa fare da motore di questa svolta  La Terza rivoluzione industriale è già qui, e ne stiamo vivendo i precocissimi esordi. Nel mondo reale, nel mercato, stiamo già assistendo a una prima proiezione a grandi linee di quella che sarà, anche se per qualche tempo rimarremo ancora nella Seconda rivoluzione industriale. Carbone, petrolio, gas e uranio sono le fonti energetiche che hanno alimentato la Prima e la Seconda rivoluzione industriale, ma è chiaro ormai che siamo alla fine di questa epoca. Occorre lasciare che essa tramonti del tutto anche se, talvolta, i tramonti durano molto.

Abbiamo toccato la soglia limite. In questo periodo ci troviamo nel bel mezzo di tre crisi: della finanza globale, della sicurezza energetica, del cambiamento climatico. Sono tutte collegate e interdipendenti tra loro e si alimentano a vicenda. Sono di gran lunga più impressionanti, dal punto di vista del loro impatto, di qualsiasi altra cosa alla quale abbiamo assistito dalla Depressione degli anni Trenta in poi.

La crisi finanziaria globale è più che mai evidente e i 700 miliardi di dollari stanziati dal Congresso non possono salvare gli Stati Uniti d'America. Abbiamo vissuto gli ultimi vent'anni a indebitarci a livello personale e familiare sempre più per entrare nel processo di globalizzazione e far andare avanti l'economia americana. Abbiamo messo in piedi un castello di carte, non abbiamo costruito a partire da progressi effettivi e fondamentali della produttività. C'è stata poca innovazione e poco spirito imprenditoriale. Tutto è andato avanti semplicemente così, sottraendo alle famiglie americane i loro risparmi. Così è stato possibile comperare tutte le merci, i prodotti e i servizi del resto del mondo. La globalizzazione è ricaduta sulle spalle degli americani, e il prezzo da pagare è stata la decurtazione dei risparmi delle famiglie americane: nel 1991 il tasso di risparmio delle famiglie era del 9 per cento circa. Adesso è negativo. Spendiamo più di quello che guadagniamo. L'indebitamento attuale delle famiglie negli Stati Uniti è nell'ordine dei 13-15 trilioni di dollari. Sì, trilioni! Sono vent'anni che andiamo avanti così. E se c'è qualcuno che davvero crede che 700 miliardi di dollari potranno sopperire a un indebitamento di 13-15 trilioni di dollari, significa che vive nel mondo dei sogni.

Siamo arrivati a un momento critico. Stiamo disperatamente immettendo nel sistema capitali del governo e soldi dei contribuenti cercando di salvare dal fallimento e in extremis la Seconda rivoluzione industriale, con tutte le industrie che la compongono. Ciò che stiamo facendo, in sostanza, è puntellare una Rivoluzione industriale che è ormai giunta a fine corsa ed è tenuta in vita artificiale. Certo, sono convinto che una determinata quantità di capitali debba essere immessa per tenerla in vita artificiale, perché ci sono davvero troppe persone nei guai fino al collo. Ma nell'insieme questa non è una soluzione ottimale. Credo che tutti siano consapevoli che teniamo in vita artificialmente la Rivoluzione industriale. Non si sente nessuno annunciare che dopo l'economia globale tornerà vitale. L'unica cosa che si sente dire è che non vogliamo che le cose peggiorino. Nessuno afferma che possiamo rimettere in moto l'economia, farla procedere oltre, toglierle questo sostegno artificiale. Ma se noi investiamo troppi soldi messi da parte dai nostri contribuenti per tenere in vita artificialmente la Seconda rivoluzione industriale e se le nostre riserve si riducono, non ce ne rimarranno a sufficienza, anche se ne avremo sicuramente bisogno per creare le infrastrutture necessarie a effettuare la transizione verso la Terza rivoluzione industriale. A quel punto sì che saremo in guai seri.

Adesso, però, dobbiamo assolutamente investire molti più capitali per innescare la Terza rivoluzione industriale. Trilioni di dollari, non centinaia di milioni o miliardi, per predisporre quanto prima possibile le infrastrutture necessarie alla Terza rivoluzione industriale. Stiamo vivendo un periodo storico decisivo e delicato. Sapremo presto se i leader politici e industriali saranno all'altezza della situazione. Il 24 ottobre a Washington abbiamo organizzato la Tavola Rotonda per la Terza rivoluzione globale alla quale hanno preso parte 70 amministratori delegati di società globali di Europa e Stati Uniti. Al meeting erano presenti gli uomini e le donne protagonisti principali della Terza rivoluzione industriale, seduti gli uni accanto agli altri per la prima volta. Si può dire che erano i quattro pilastri di una rivoluzione. Il primo: gli amministratori e i presidenti di tutte le più importanti società di energia rinnovabile. Il secondo: i rappresentanti delle principali società di costruzioni e immobiliari, perché noi vogliamo che gli edifici diventino centrali energetiche in grado di catturare e accumulare energia. In rappresentanza del terzo pilastro c'erano gli esperti di idrogeno, mentre del quarto pilastro c'erano le società di servizio pubblico (c'erano anche i rappresentanti di società informatiche, dell'industria automobilistica e delle società di logistica). Ma c'è stata anche una grande novità: per la prima volta abbiamo coinvolto le grandi cooperative. In alcuni paesi, come Italia, Spagna, Francia, Regno Unito, Germania, le cooperative sono molto potenti ed efficienti, rappresentano introiti per miliardi di dollari, e sono impegnate nel settore bancario, immobiliare, della produzione e dell'edilizia. Sono molto potenti anche in Giappone e Corea.

L'Europa è più pronta degli Stati Uniti a lanciare la Terza rivoluzione industriale. L'Unione europea è più avanti degli Stati Uniti per la questione della salvaguardia ambientale dagli anni Novanta. Gli Stati Uniti hanno guidato nel 1960 il movimento ambientalista. Ma dagli anni dell'amministrazione Reagan fino a quelli dell'amministrazione Clinton, l'ambiente è diventato una questione marginale, secondaria. L'Europa invece ci è passata davanti, perché il sogno dell'Unione europea si basa sulla qualità della vita. Il sogno americano, invece, invece si fonda sull'opportunità individuale. Qualità della vita significa più impegno comune, ricerca di un equilibrio tra il modello sociale e il modello di mercato. Ma non basta: richiede anche procedure più efficienti e ottimizzate, così che si possano controllare gli eccessi del mercato per essere sicuri che nessuno resti indietro e che i frutti siano distribuiti equamente. Quando si ha al centro della politica la qualità della vita, è necessario che il modello valga per la comunità nel suo complesso. La qualità della vita non può interessare infatti un'unica persona isolata dalle altre. Se si chiede agli europei qual è il loro sogno, per la maggior parte dei cittadini dell'Unione europea la risposta è avere una buona qualità della vita. Gli americani non la pensano così. Gli americani interpretano il sogno come un'opportunità per il singolo.

Credo che l'Europa sia in buona posizione per questo. E anche per altro: i diritti sociali e umani sono tanto importanti quanto quelli della proprietà, più importanti ancora, forse. In Europa lo sviluppo sostenibile è parte integrante del dibattito corrente, non è solo ricerca di una crescita illimitata, ma deve dimostrare di essere sostenibile. Nel continente Ue la chiave di tutto sta nel costruire ponti di pace. Per tutte queste ragioni il sogno europeo e la realtà europea si collocano a salvaguardia dell'ambiente e servono a promuovere e patrocinare iniziative di protezione ambientale. Non sono stati gli Stati Uniti, ma l'Unione europea, non dimentichiamolo, a patrocinare il primo Trattato di Kyoto. E sempre l'Ue ha guidato la battaglia contro gli ogm. È stata sempre l'Ue, anche se in seguito la cosa si è per così dire un po' stemperata, a chiedere una normativa specifica per monitorare le sostanze chimiche. Negli Stati Uniti neppure se ne parla.

L'Unione europea dovrebbe dire quanto segue agli Stati Uniti: al mondo esistono due superpotenze e noi dobbiamo lavorare insieme. Ma lo dobbiamo fare creando un partenariato con l'industria e quindi coinvolgere la società civile, perché si ha bisogno di tutti e tre al tavolo delle trattative. La gente è stufa, è arrabbiata, è frustrata, è delusa, è spaventata. I suoi risparmi sono svaniti, ha perduto il posto di lavoro, sente parlare incessantemente di una grave depressione. È spaventata a morte. A meno che non coinvolgiamo il settore pubblico, la società civile a ogni suo livello, con le imprese e il governo, il piano per la Nuova Rivoluzione Industriale non potrà funzionare. Si deve procedere dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso, finché non ci si incontra al centro. Ecco perché intorno al tavolo ci devono essere tre soggetti: i governi con i capitali pubblici, la comunità delle imprese con i capitali privati, la società civile con il capitale sociale.

testo raccolto da Antonio Carlucci

(30 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #5 inserito:: Dicembre 07, 2009, 11:24:55 am »

La svolta di Obama è la premessa per un cambiamento molto più radicale

Via alla Terza rivoluzione industriale che non è né di destra né di sinistra

Da anidride carbonica a vegetariani ecco l'alfabeto che salverà il pianeta

di JEREMY RIFKIN


Abbiamo due settimane per tirare il freno d'emergenza ed evitare la catastrofe climatica. Ma per raggiungere l'obiettivo dobbiamo rompere i vecchi schemi: non più solo obblighi ma spazio per la Terza rivoluzione industriale che non è né di destra né di sinistra.
Ecco un alfabeto per capire qual è la posta in gioco.

ANIDRIDE CARBONICA Il mutamento climatico sta procedendo a velocità superiore alle previsioni: l'obiettivo che fino a ieri sembrava sufficiente, un tetto di concentrazione di CO2 in atmosfera di 450 parti per milione, non ci protegge dal rischio della catastrofe. Come dice Jim Hansen, uno dei più accreditati climatologi, invece di continuare ad accumulare anidride carbonica in cielo dobbiamo tornare indietro, verso le 280 parti per milione dell'era preindustriale. Oggi siamo a quota 387: scendiamo almeno a 350.

BRASILE Meglio tardi che mai. Per decenni il Brasile è stato responsabile della deforestazione dell'Amazzonia, una devastazione che minaccia la sicurezza di uno degli ecosistemi fondamentali. Oggi il governo di Lula ha cambiato rotta: Copenaghen può essere il momento di rendere ufficiale la svolta.

CINA E' il paese che emette più anidride carbonica di tutti gli altri. Ma sta già pagando un prezzo pesante, in termini di vite umane, al cambiamento climatico. Se potesse scegliere tra il carbone e le tecnologie più avanzate della terza rivoluzione industriale cosa farebbe?

EFFICIENZA ENERGETICA E' la base per il riassetto energetico. Molti tagli di emissioni si possono realizzare eliminando gli sprechi e l'inefficienza.
FONDI I fondi per il trasferimento delle tecnologie avanzate ai paesi meno industrializzati sono un atto di giustizia: non si può penalizzare proprio chi è stato escluso dalla seconda rivoluzione industriale. Bisogna permettere a questi paesi di fare il salto della rana passando direttamente alla Terza rivoluzione industriale.

IDROGENO Le rinnovabili sono una fonte pulita ma non costante: c'è bisogno di un serbatoio per immagazzinare l'energia prodotta durante i momenti di picco. Questo serbatoio è l'idrogeno che permette anche di riutilizzare in modo flessibile l'energia accumulata.

KYOTO E' stato il momento che ha segnato l'inizio del percorso dalla geopolitica alla politica della biosfera.

LAVORO La Terza rivoluzione industriale dà spazio a sistemi labour intensive e produrrà milioni di posti di lavoro.

NUCLEARE Il nucleare è la tecnologia della guerra fredda. In più di mezzo secolo non ha risolto i suoi problemi, anzi li ha aggravati: rischi di incidenti durante tutte le fasi del ciclo di produzione, rischio terrorismo, rischio scorie. E nessun beneficio economico.

OBAMA La svolta di Obama è la premessa per un cambiamento che dovrà essere molto più radicale: senza la visione d'assieme, senza la capacità di pensare a lungo termine, il rilancio delle fonti rinnovabili è privo di solide basi.

POST KYOTO La conferenza di Copenaghen può avere successo se si fa il salto dalla prospettiva degli obblighi a quella delle opportunità. Invece di pensare solo a quantificare quello che non si deve fare bisogna cominciare a dire quante fonti rinnovabili, quanti edifici sostenibili, quanto idrogeno, quante smart grid deve realizzare ogni paese.

RINNOVABILI Sono il primo pilastro della terza rivoluzione industriale. Due regioni spagnole, la Navarra e l'Aragona, in dieci anni sono arrivate al 70 per cento di elettricità da fonti pulite. Perché non fare altrettanto?

SCETTICI E' un gruppetto inesistente sotto il profilo scientifico. Riescono ad avere visibilità perché sono supportati dalle lobby delle vecchie fonti energetiche che li usano per seminare dubbi nell'opinione pubblica.

TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Permette sia lo sviluppo economico che la riduzione delle emissioni serra. Poggia su quattro pilastri: le energie rinnovabili, gli edifici sostenibili, l'idrogeno e le reti intelligenti, le smart grid per distribuire l'energia secondo il modello del web. La Terza rivoluzione industriale significa spostare il potere dalle oligarchie che gestiscono le grandi centrali elettriche alle persone. Oggi parliamo attraverso Skype e si creano network liberi di scambio e condivisione delle informazioni. Perché non farlo con l'energia?

UNIONE EUROPEA E' stata l'apripista della battaglia per la difesa della biosfera. E lo ha fatto in condizioni di isolamento e di grande difficoltà. Ora può guardare con più fiducia al futuro, soprattutto se saprà sfruttare le sue grandi potenzialità.

VEGETARIANI La seconda causa di cambiamento climatico al mondo è l'emissione di CO2 derivante dall'allevamento di animali, ovvero dalla grande quantità di carne che consumiamo. Per abbattere le emissioni bisogna passare alla dieta mediterranea, come in Italia, mangiando molte verdure e molta frutta.

(testo raccolto da Antonio Cianciullo)

© Riproduzione riservata (7 dicembre 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #6 inserito:: Ottobre 31, 2011, 05:35:06 pm »

Rifkin: “La prossima rivoluzione sarà quella ambientale”

Intervista a Jeremy Rifkin di Antonio Cianciullo, da Repubblica, 26 ottobre 2011


«L'Italia ha tagliato drasticamente i suoi bilanci obbedendo alle disposizioni della finanza internazionale. E adesso che succede? Si sente dire che non è credibile perché non ha i fondi per sostenere la crescita. Ma questo è il comma 22, una via cieca. Non si può pensare di continuare a cancellare posti di lavoro e futuro senza che si moltiplichino moti di rivolta come quelli che stanno prendendo piede in Italia e in Grecia. La Germania ha dimostrato che uno sviluppo diverso è possibile. Perché non seguite quella strada?». Jeremy Rifkin, il presidente della Foundation on Economic Trends, è venuto a Roma per presentare il suo ultimo libro, La terza rivoluzione industriale, edito da Mondadori. L'appuntamento doveva essere un momento di confronto accademico, è diventato parte di un'attualità drammatica.

L'austerità dei bilanci è sbagliata?
«Non è l'austerità ad essere sbagliata, è la mancanza di un piano di sviluppo che crea i problemi. Per uscire dalla crisi ci vuole una visione del futuro. Bisogna comprendere il nesso fra le tre crisi che abbiamo di fronte, quella finanziaria, quella energetica e quella ambientale. Il carbone e il petrolio, che hanno animato la prima e la seconda rivoluzione industriale, sono in fase di esaurimento, un ciclo di crescita che si pensava come inesauribile è finito. E nel frattempo emergono i danni ambientali prodotti dall'uso dei combustibili fossili perché il carbonio, accumulato sotto terra in milioni di anni e rilasciato all'improvviso in atmosfera, sta modificando il clima».

Insomma abbiamo tre crisi invece di una.
«Ma la somma delle tre crisi offre una possibile soluzione. A patto di sostituire la speranza alla paura, di abbandonare la logica dei divieti e di guardare all'obiettivo da raggiungere: far decollare le aziende impegnate nell'edilizia sostenibile, nelle fonti rinnovabili, nelle telecomunicazioni, nella chimica verde, nella logistica a emissioni zero, nell'agricoltura biologica. La difesa dell'ambiente è un formidabile motore di sviluppo e di occupazione, non un peso: in Italia può dare centinaia di migliaia di posti di lavoro».

Eppure in molti, dovendo tagliare le spese, fanno cadere la scure proprio sugli investimenti ambientali: il governo italiano era arrivato a ridurli del 90 per cento.
«Vuol dire tagliare via il futuro, restare impantanati. Bisogna fare il contrario: traghettare l'economia dalla parte del nuovo perché siamo nel mezzo di un passaggio epocale, il salto dalla seconda alla terza rivoluzione industriale. Il nuovo modello si basa su cinque pilastri: le fonti rinnovabili; la trasformazione delle case in centri di produzione di energia grazie alle micro centrali domestiche; l'idrogeno per immagazzinare l'energia fornita dal sole e dal vento durante i momenti di picco; la creazione delle smart grid, che sono l'Internet dell'energia; le auto con la spina. È una rivoluzione che si completerà entro la metà del secolo».

Tempi lunghi, non scoraggiano gli investimenti immediati?
«No, perché il processo è già iniziato e sia i pericoli da evitare che i vantaggi da ottenere sono presenti qui e ora. Dagli anni Settanta a oggi il numero degli uragani più gravi è raddoppiato. E nell'agosto del 2008, per la prima volta da 125 mila anni, si poteva navigare attorno al Polo Nord perché i ghiacci si erano fusi».

E i vantaggi?
«Faccio un paio di esempi. Rendere più efficienti le case negli Stati Uniti costerebbe 100 miliardi di dollari l'anno ma permetterebbe di risparmiare energia per 163 miliardi di dollari l'anno. E la mobilità, nell'era in cui l'attenzione si sposta dalla proprietà all'accesso alle reti, offre analoghe opportunità. Zipcar, la più importante società di car sharing, in un decennio di attività ha aperto migliaia di sedi per mettere le auto condivise a disposizione dei suoi clienti: cresce del 30 per cento l'anno e nel 2009 ha fatturato 130 milioni di dollari».

Non c'è il rischio che questa prospettiva affascini i paesi più industrializzati, mentre gli altri continuano a produrre e inquinare sulla vecchia strada?
«La cronaca ci racconta una storia diversa: in Cina si moltiplicano le battaglie per conquistare uno spazio libero all'interno delle reti globali, in Nord Africa abbiamo visto che dittature brutali sono state rovesciate attraverso il tam tam dei social media. Il potere laterale, cioè il diritto all'accesso alle reti dell'informazione e dell'energia è la nuova frontiera capace di mobilitare la generazione di Internet. Oggi lo scontro non è tra destra e sinistra ma tra un modello accentrato, autoritario e inefficiente e un modello basato sul decentramento, sulla trasparenza e sulla libertà di accesso alle reti».

(27 ottobre 2011)

da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/rifkin-la-prossima-rivoluzione-sara-quella-ambientale/
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« Risposta #7 inserito:: Novembre 17, 2011, 05:01:24 pm »

17/11/2011 - INTERVISTA

Jeremy Rifkin: "L'Italia non può stare senza l'euro"

Il governo punti su giovani e Internet

TORINO

Per uscire dalla crisi l’austerità e lo sviluppo non bastano, deve cambiare il modello economico: ma siate fiduciosi, ce la potete fare». Jeremy Rifkin, 68 anni, fondatore e presidente della Foundation on Economic Trends di Washington (www.foet.org), autore di una ventina di best-seller tra cui L’era dell’accesso, Economia all’Idrogeno e Il sogno europeo, è il profeta della «Terza Rivoluzione Industriale», titolo del suo ultimo libro appena pubblicato in italiano dalla Mondadori. Lo abbiamo video-intervistato ieri all’inaugurazione della quarta edizione di Tosm, il salone della tecnologia a Torino, con la collaborazione dei lettori, che hanno partecipato online con tante domande. Ecco una sintesi.

Prof. Rifkin, a sentir lei c’è da essere ottimisti, ma il suo progetto prevede una rivoluzione epocale: non è solo un sogno?
«Da buon americano sono incline a vedere positivo: ma penso all’Europa, che deve sognare di più, non agli Usa, dove il sogno americano individualista è fallito assieme al modello economico tutto basato sul libero mercato senza antidoti sociali».

Qual è la sua ricetta per l’Italia e per l’Europa?
«L’austerità va accompagnata da quattro princìpi: coltivare la qualità della vita che in Europa è la più alta del mondo, assicurare la pace sociale, il lavoro, e che nessuno venga lasciato indietro».

Lei sostiene che «se ce l'ha fatta la Germania, ce la può fare anche l'Italia». Ma molti altri osservatori sono meno ottimisti e dicono: dopo la catastrofe greca, tocca agli italiani. Come risponde?
«Ai catastrofisti anti-globalizzazione rispondo che non si può tornare indietro. Asserragliarsi in una “Little Italy” senza euro è fuori questione. Ma il nuovo governo dovrà muoversi oltre la politica, oltre la destra e la sinistra, categorie che allontanano i giovani, che sono stufi di queste divisioni. Dico no a una politica chiusa e centralizzata, occorre una politica aperta e distribuita. I giovani sono abituati con Internet a condividere, i governi imparino da loro».

Cos’è per lei la “terza rivoluzione industriale”?
«Serve un nuovo modello non più basato sul petrolio, perché non ce lo possiamo più permettere, ma sull’energia verde, un’Internet dell’energia».

Che cosa intende?
«Dobbiamo fare con le risorse energetiche quello che hanno fatto i personal computer nell’informatica: hanno democratizzato l'informazione, consentendo a tutti di avere accesso a un laptop e a una connessione a Internet, che prima erano risorse esclusive. In Italia e in Europa ognuno di noi dovrà essere in grado di generare il proprio fabbisogno, dalla propria casa e dal proprio ufficio. Un sistema energetico che non sia fossile e che sia democratico, ampliabile e di facile accesso, che integri tutte le risorse alternative, in questo senso assimilabile a Internet».

Qual è il suo messaggio ai nuovi e vecchi politici che governano l’Italia?
«Quello che l’Arabia Saudita è stata fino adesso per il petrolio nel mondo può esserlo l’Italia per l’energia rinnovabile in Europa, perché avete il sole, il vento, le onde del mare, il calore geotermico dell’entroterra e l’energia idroelettrica dalle Alpi. Avete una grande occasione, non sprecatela».

Qual è il messaggio da cogliere dalle proteste di cui sono protagonisti milioni di giovani?
«Hanno ragione a screditare un sistema che privilegia l'1% dei ricchi sulle spalle del 99% della popolazione. Primavera araba, indignati spagnoli e italiani, movimento Occupy Wall Street: i giovani come sempre credono che sia possibile trasformare il mondo. E hanno sempre avuto ragione. Ascoltiamoli, il futuro è loro».

da - http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=2&ID_articolo=1281
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« Risposta #8 inserito:: Settembre 19, 2015, 11:02:35 am »

Jeremy Rifkin: "La sharing economy è la terza rivoluzione industriale"
Secondo l'economista americano l'affermazione dell’economia di scambio è un evento di portata storica.
E sostituirà i due sistemi nati nel Diciannovesimo secolo, cioè capitalismo e socialismo

Di Antonio Carlucci
17 agosto 2015

La sharing economy è la terza rivoluzione industriale. Parola di Jeremy Rifkin, economista visionario il cui percorso intellettuale è cominciato negli anni Novanta dello scorso secolo con un saggio che teorizzava la fine del lavoro come si era affermato dal Diciannovesimo Secolo, per arrivare oggi a scandire le basi teoriche esposte nel suo ultimo lavoro, “ La società a costo marginale zero ” (Mondadori). Secondo Rifkin la sharing economy è figlia naturale del capitalismo come lo vediamo funzionare ancora oggi tutti i giorni e questo sistema dovrà per forza di cose trovare un modo di coabitare con l’economia dello scambio dove non conta più il possesso dei beni e dei servizi ma la possibilità di scambiarne l’uso e alla fine esisterà un ibrido in cui le due forme saranno costrette a convivere e ad avere relazioni stabili.

In questo colloquio con “l’Espresso”, Rifkin racconta l’affermarsi dell’economia dello scambio in tutto il pianeta e le ragioni che ne stanno alla base. Spiega come e perché i governi mondiali inseguono a fatica questo fenomeno non essendo in grado di condizionarne lo sviluppo. E disegna i possibili scenari del futuro prossimo venturo.

Jeremy Rifkin, La sharing economy è un fenomeno mondiale o il suo sviluppo è ancora limitato all’ occidente?
«È universale, come si può leggere in uno studio condotto dalla Nielsen in oltre 40 nazioni dove sono state fatte ricerche attraverso centinaia di interviste sulla propensione a scambiarsi la casa piuttosto che la macchina rispetto al desiderio di possedere questi beni. Oggi, la sharing economy è un fenomeno affermato negli Stati Uniti e in Europa, ma la grande sorpresa che viene dallo studio Nielsen è l’entusiasmo che si coglie nei paesi dell’Asia e del Pacifico. Al primo posto con il 93 per cento di approccio favorevole verso l’economia dello scambio è la Cina».

Come lo spiega?
«Quello che pensavamo solo poco tempo fa, ovvero che i cinesi fossero più interessati a seguire il modello tradizionale della rivoluzione industriale del Ventesimo secolo che pone al centro delle relazioni umane l’acquisto e la vendita di beni all’interno di un mercato capitalista tradizionale, si è rivelato non del tutto esatto. Non intendono certo abbandonare quel modello ma lo scenario della sharing economy suscita grandissimo interesse. Credo che la ragione sia nel DNA culturale degli asiatici che li vede predisposti, anche per ragioni religiose legate al confucianesimo e al buddhismo, all’economia dello scambio. Loro sono molto meno individualisti degli occidentali e più propensi a legarsi ai valori collettivi che si creano all’interno delle loro comunità».

Che tipo di relazione esiste oggi tra la nascente sharing economy e il sistema capitalistico tradizionale che mette al centro la produzione e il possesso dei beni?
«Il capitalismo è il padre naturale dell’economia dello scambio, la quale è in fase di sviluppo e di crescita, ma è ancora giovane e immatura. Ma è assolutamente chiaro che l’economia dello scambio, oltre ad essere un evento storico di enorme portata, è il primo nuovo sistema economico in crescita in tutto il mondo che viene dopo i due sistemi che abbiamo visto prendere forma nel Diciannovesimo secolo, il capitalismo e il socialismo. Adesso assisteremo all’emergere di un sistema ibrido nel quale dovranno convivere l’economia capitalista fondata sul mercato e la sharing economy e che possiamo considerare la Terza Rivoluzione Industriale. E il capitalismo dovrà consentire alla neonata economia dello scambio di crescere e di trovare la sua identità in questo mondo. Ma come accade in ogni famiglia, in ogni relazione padre-figlio, quest’ultimo riuscirà a cambiare il genitore e questo vuol dire che il capitalismo come lo conosciamo oggi dovrà necessariamente modificarsi per convivere con la sharing economy e non sarà più l’arbitro esclusivo della vita economica di milioni di persone, perché dovrà dividere con il figlio il palcoscenico del mondo. Infine, man mano che le nuove tecnologie, internet, le piattaforme digitali si svilupperanno e consentiranno all’economia di scambio di ridurre quasi a zero i costi marginali, l’economia dello scambio crescerà sempre di più ed avrà un rapporto paritario con il suo padre naturale».

Così è stato sufficiente un sistema che riducesse quasi a zero i costi marginali per dare il via a un cambiamento che rischia di mettere in crisi il capitalismo?
«Esatto. Prenda per esempio Airbnb, la società che mette in contatto milioni di persone per lo scambio di una casa o la ricerca di una stanza. Per loro aggiungere un appartamento o un nuovo utente che vuole condividere la sua casa ha un costo marginale vicino allo zero. Per una grande società alberghiera aggiungere una stanza significa mettere in conto costi di acquisto del terreno, di costruzione di un nuovo albergo, di tasse sulla proprietà, di ulteriori spese di manutenzione. Lo stesso vale per la condivisione di una automobile, di una barca, perfino di un servizio. La rivoluzione sta tutta qui. E se a questo si aggiungono le piattaforme digitali e lo sviluppo che ci sarà, l’accesso all’economia di scambio sarà sempre più facile e alla portata di più persone».

I governi e le leadership di Stati Uniti, Europa ed Asia sono spettatori passivi dell’affermarsi della sharing economy o sono protagonisti di questo cambiamento?
«Il fenomeno si muove e si afferma a una velocità così grande che i governi sono molto indietro nel dibattito sul modo di interagire con l’economia dello scambio. Ci sono questioni che attengono alle regole che devono esserci quando si vuole scambiare una automobile o una casa. Quali debbano essere le linee guida generali di questo nuovo mondo è tutto da discutere e i governi non sono in prima fila, ma inseguono con fatica i cambiamenti. Del resto la prima rivoluzione industriale portò a un grande scontro politico, fece nascere nuove entità come la sovranità nazionale o i mercati nazionali e tutto questo avvenne a piccoli passi. Adesso si sta affermando una nuova categoria che sostituisce i consumatori classici che comprano e vendono beni e servizi. Sono coloro che cedono o usano per un limitato periodo di tempo beni e servizi senza possederli - case, automobili, musica, video, notizie - e così facendo saltano il mercato come lo conosciamo e le sue regole. È ovvio che ce ne vogliono di nuove, ma sarà molto difficile pensarle a tavolino con il rischio di difendere soltanto la status quo, senza considerare come il fenomeno crescerà e si svilupperà».

Se l’affermarsi dell’economia dello scambio porta con sé la riduzione dei costi marginali fin quasi a zero, dovremo affrontare di conseguenza una diminuzione della produzione mondiale e del prodotto interno lordo dei rispettivi Paesi. Non c’è il rischio che il mondo smetta di crescere e si apra una strada che non sappiamo dove ci porterà?
«È chiaro che il Pil mondiale cambierà e ci sarà un drammatico impatto sull’occupazione. Però, quando diciamo che i costi marginali tendono allo zero, questo non significa che saranno uguali a zero, ma che saranno molto molto bassi. Il Pil mondiale è in ogni caso in decrescita e le ragioni sono molte e non legate alla nascita della sharing economy: c’è l’uno per cento del mondo in conflitto con il restante 99 per cento, ci sono modifiche strutturali dell’economia, la produttività è in discesa ovunque, la piattaforma della Seconda Rivoluzione Industriale si sta esaurendo mentre si afferma un nuovo mondo al centro del quale ci sono le piattaforme digitali - e questa la possiamo considerare la Terza Rivoluzione Industriale - dove uomini e donne producono e consumano tra di loro a un costo marginale vicino allo zero, dove non conta il prodotto interno lordo, ma dove aumenta il benessere economico, la qualità della vita, la democratizzazione del sistema economico in generale perché gli sforzi saranno concentrati, e così la nuova occupazione, per rendere accessibili a tutti le piattaforme della sharing economy, l’automazione, le grandi reti del traffico digitale e delle energie alternative».

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17 agosto 2015

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